Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 10 dicembre 2020, n. 35818

Presidente: Bricchetti - Estensore: Aprile

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Milano dichiarava sussistenti le condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna di cui al mandato di arresto europeo processuale emesso il 2 luglio 2020 dalla Westminster Magistrates' Court, autorità giudiziaria della Gran Bretagna, nei confronti del cittadino iraniano Stefano T., in relazione a plurimi reati di truffa commessi in Londra e altrove tra l'aprile e il settembre del 2016: T. che era stato tratto in arresto in Italia il 28 luglio 2020 e, dopo la convalida, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere (più di recente sostituita con quella degli arresti domiciliari).

Rilevava la Corte territoriale come il mandato di arresto europeo fosse stato emesso per dare esecuzione al provvedimento restrittivo disposto dall'autorità giudiziaria inglese nei riguardi del prevenuto, sottoposto ad indagini per avere commesso in Londra, nel corso del 2016, tre episodi di "frode" ai danni della cittadina turca Aysun K. - la quale, secondo l'ipotesi di accusa, era stata tratta in inganno dal T., che a lei si era presentato come avvocato operante nel Regno Unito e che così l'aveva indotta in errore; aveva versato al T. dapprima 300.000 sterline per poter ottenere la cittadinanza britannica, in seguito altre 200.000 sterline per poter ottenere la cittadinanza italiana, dazione in relazione alla quale le erano stati poi consegnati documenti di identità italiani che erano risultati falsi; ed ancora, aveva consegnato al predetto l'importo di 1.500.000 sterline per poter acquistare pro quota una casa a Londra, operazioni che non erano state portate a termine ed in relazione alle quali la donna aveva ricevuto dal predetto un assegno in garanzia di 2.000.000 di sterline che, posto all'incasso, era risultato privo di provvista -; come tali reati rientrassero nel novero di quelli per i quali, sussistendo il requisito della doppia punibilità, la l. 22 aprile 2005, n. 69 (contenente le "Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri"), prevede la consegna obbligatoria e, comunque, come gli stessi avessero corrispondenza con l'analogo delitto di truffa previsto dal codice penale italiano; come non vi fossero ragioni per rifiutare la consegna, considerate le informazioni acquisite in ordine alla situazione delle carceri nel Regno Unito; ma come, in accoglimento di una richiesta formulata dalla difesa in via subordinata, la consegna dovesse essere disposta, ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. c), l. n. 69 del 2005, solo in via temporanea essendo stato dimostrato che il T. è persona radicata nel territorio dello Stato italiano.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il T., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti quattro motivi.

2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 9, comma 5-bis, l. n. 69 del 2005 (come introdotto dal d.lgs. n. 184 del 2016), 108, comma 1, e 178, lett. c), c.p.p., 24 Cost. e 6 CEDU, e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sulle reiterate istanze difensive con le quali si era domandato il rinvio della trattazione del procedimento nell'udienza del 16 ottobre 2020 per consentire al T. di nominare un proprio difensore nel procedimento pendente dinanzi all'autorità giudiziaria inglese e, in seguito, dopo aver effettuato tale nomina, allo scopo di consentire al difensore italiano di potersi confrontare con il patrocinatore incaricato nello Stato di emissione del mandato di arresto: circostanza, questa, che aveva determinato una violazione del diritto di difesa come tutelato dalla Direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013, recepita nel nostro ordinamento con il citato d.lgs. n. 184 del 2016, che all'art. 10, par. 4, prevede il dovere in capo all'autorità dello Stato richiesto di informare tempestivamente il consegnando della possibilità di avvalersi di un legale nello Stato di emissione del mandato cui affidare il compito di fornirgli informazioni e consulenza ai fini dell'effettivo esercizio dei diritti della persona ricercata; disposizione questa che non era stata rispettata dalla Corte milanese che non solo non aveva dato quella tempestiva informazione al T., ma che, ricevuta la comunicazione dell'avvenuta nomina di un difensore in Inghilterra, aveva omesso di dare avviso di tale nomina all'autorità giudiziaria inglese.

2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 6, commi 4, lett. a) e b), 6 e 7, e 16, comma 1, l. n. 69 del 2005, e vizio di motivazione, per avere la Corte lombarda accolto la richiesta di consegna, disattendendo le richieste difensive di rinvio della trattazione del procedimento, benché al mandato di arresto europeo non fosse stata allegata una relazione sui fatti e il testo delle disposizioni applicabili, né nella documentazione trasmessa fossero state precisate le ragioni processuali della richiesta di consegna (con il rischio che tale istanza sia stata avanzata solo per interrogare l'indagato); nonostante l'autorità giudiziaria inglese non avesse dato seguito alla richiesta di integrazione documentale che era stata formulata dal Ministero della giustizia e la Corte di appello non avesse esercitato i sollecitati poteri di integrazione istruttoria; ed ancora, nonostante il mandato di arresto non fosse stato integralmente e accuratamente tradotto nella lingua italiana.

2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 18, lett. h), l. n. 69 del 2005, e 3 CEDU, per avere la Corte periferica ingiustificatamente disatteso l'eccezione con la quale la difesa aveva domandato che fossero richieste allo Stato emittente informazioni supplementari in ordine alle condizioni di detenzione che sarebbero state riservate al T., avendo segnalato il rischio che il prevenuto, se consegnato alle autorità inglesi, possa essere sottoposto in carcere a trattamenti disumani e degradanti: ciò in ragione del sovraffollamento e delle carenze igienico-sanitarie esistenti negli istituti di detenzione dello Stato richiedente e, in particolare, in quello di Wandsworth dove l'interessato dovrebbe essere destinato in regime di detenzione "chiuso", in celle nelle quali non potrebbe essere garantito lo spazio minimo individuale non inferiore a 3 metri quadri e, comunque, in una struttura nella quale sono frequenti fenomeni di violenza tra reclusi (come riferito ancora nel 2020 dal Garante dei detenuti del Regno Unito); nonché considerate le gravi patologie di ipertensione e cardiopatia ischemica di cui il T. è affetto, che lo rendono soggetto a rischio in relazione al pericolo di contagio dovuto alla pandemia da Covid-19 (come confermato da un consulente tecnico di parte inglese).

2.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 17, comma 4, e 18, lett. t) (erroneamente indicata nell'atto di impugnazione come lett. q), l. n. 69 del 2005, e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente accolto la richiesta di consegna del T., benché l'originario provvedimento di arresto non contenga alcuna motivazione in merito ai gravi indizi di colpevolezza del prevenuto (essendo stata solamente richiamata una relazione redatta dalla polizia giudiziaria) e nonostante il mandato di arresto pervenuto in Italia sia privo di motivazione circa gli elementi di prova segnalati a carico e quelli menzionati - peraltro in termini generici, senza alcuna indicazione degli atti di investigazioni compiuti - non possano considerarsi seriamente evocativi dei fatti di reato addebitati al consegnando: tanto più che nel mandato non è stato descritto in cosa sarebbe consistito il comportamento ingannatorio del T., se questi abbia tenuto solo un comportamento inadempiente ovvero silente, e quale sia stata la rilevanza causale rispetto all'errore in cui sarebbe incorsa la persona offesa K.; e che nella documentazione in atti non vi sono dati per poter saggiare l'attendibilità della denunciante, che la difesa aveva provato avesse solo affidato al T. il compito di curare la pratica per il rilascio del permesso di soggiorno in Inghilterra; fosse stata ben consapevole della falsità dei documenti di identità italiani che le sarebbero stato consegnati; e avesse manifestato ragioni di ostilità verso il T. contro il quale aveva avviato un'azione giudiziaria civile.

2.5. Con memoria del 24 novembre 2020 il difensore del T. ha in parte ripreso e sviluppato gli argomenti posti a fondamento dell'originario terzo motivo del proprio ricorso, in parte proposto ulteriori argomenti - pure allegando a supporto ulteriore documentazione - segnalando come, in caso di consegna, il T. verrebbe recluso in un carcere che attualmente ospita 1452 detenuti a fronte di 961 posti disponibili in celle originariamente pensate per un solo detenuto, di cui non si conoscono esattamente le dimensioni e delle quali non si patibile o che ha abbandonato -di ciascun ospite sia superiore a 3 metri quadrati, come richiesto alla Corte di Strasburgo [così il testo della sentenza - n.d.r.]; non essendo neppure noto se i detenuti di quel carcere possano beneficiare in quella struttura di "fattori compensativi" o se, invece, siano costretti a rimanere in celle anguste per quasi l'intera giornata: circostanze, queste, che renderebbero necessaria una richiesta di informazioni supplementari alle autorità dello Stato emittente.

2.6. Con ulteriore nota il difensore ha chiesto il rinvio della trattazione del procedimento in quanto il proprio assistito risulterebbe per ragioni di salute assolutamente impossibilitato a comparire personalmente all'udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente va evidenziato come nell'odierna udienza è stata rigettata la richiesta difensiva di rinvio della trattazione del procedimento per una sopravvenuta impossibilità a comparire del T., che aveva manifestato l'intenzione di partecipare personalmente all'udienza.

Ed invero, non esiste alcuna norma che riconosca al ricorrente, destinatario di un mandato di arresto europeo, il diritto alla partecipazione personale all'udienza fissata dinanzi alla Corte di cassazione per la trattazione dell'atto di impugnazione presentato nel suo interesse.

Al contrario, l'art. 22, comma 3, della l. n. 69 del 2005, stabilisce che la Corte di cassazione decide sul ricorso avverso il provvedimento che decide sulla consegna "nelle forme di cui all'art. 127" c.p.p.; non vi è, dunque, ragione alcuna per derogare alla previsione generale dettata dall'art. 613, comma 1, ultima parte, dello stesso codice di rito, secondo la quale davanti alla Corte di cassazione "le parti sono rappresentate dai difensori": disposizione in base alla quale è possibile ribadire il principio per cui nel giudizio di legittimità, qualunque sia la forma procedimentale adottata, non è previsto il diritto della parte privata alla partecipazione personale (così Sez. un., n. 34535 del 27 giugno 2001, Petrantoni, non massimata sul punto) e, perciò, non può rivestire alcun rilievo l'impedimento dell'imputato - che si trova in una posizione alla quale sarebbe parificabile quella del destinatario di un mandato di arresto europeo - eventualmente posto a fondamento di una istanza di rinvio della udienza (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 19012 del 28 marzo 2017, Besana, Rv. 269877).

2. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato.

3. Il primo motivo del ricorso è infondato.

3.1. La difesa si è doluta di plurime violazioni di norme di legge e, in particolare, del fatto che la Corte di appello di Milano non abbia dato alcuna risposta o non abbia adeguatamente replicato alle plurime richieste di rinvio della trattazione del procedimento nell'udienza del 16 ottobre 2020.

Al riguardo va evidenziato come sia priva di pregio la questione concernente la mancata osservanza della disposizione dettata dall'art. 9, comma 5-bis, della l. n. 69 del 2005, che - introdotta dall'art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 184 del 2016, di attuazione della Direttiva 2013/48/UE, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo - prevede che "all'atto della esecuzione della ordinanza di cui al comma 4" (cioè del provvedimento di applicazione di una misura coercitiva nei riguardi del soggetto destinatario del mandato di arresto europeo) "l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria informa altresì la persona della quale è richiesta la consegna che ha facoltà di nominare un difensore nello Stato di emissione. Della nomina ovvero della volontà dell'interessato di avvalersi di un difensore nello Stato di emissione il presidente della Corte di appello dà immediato avviso all'autorità competente dello stesso".

È indubbio che tale norma sia finalizzata a rafforzare le garanzie di difesa spettanti ai soggetti destinatari dell'applicazione di un mandato di arresto europeo: tuttavia, non prevedendo il citato art. 9, comma 5-bis, una specifica sanzione, la mancata osservanza delle relative prescrizioni non può che integrare gli estremi di una nullità generale a regime intermedio, in quanto riguardante l'assistenza dell'imputato ovvero dell'indagato, dunque ai sensi dell'art. 178, comma 1, c.p.p. (contra Sez. 6, n. 17592 del 5 aprile 2017, Bulai, Rv. 269879 che ha escluso, in tale ipotesi, la sussistenza di alcuna invalidità o inefficacia dell'atto di arresto né della sentenza che dispone la consegna dell'interessato).

Ricordato come nel caso di specie all'odierno ricorrente, in occasione del suo arresto, non venne data dalla polizia giudiziaria l'avviso della facoltà di nominare un difensore nello Stato di emissione del mandato, va rilevato come la nullità a regime intermedio causata da quella omissione, per un verso, non potesse essere più dedotta dalla difesa dell'interessato per decorso del termine previsto dall'art. 182, comma 2, c.p.p., in quanto trattandosi di invalidità dovuta ad omissione alla quale la parte aveva assistito, essa doveva essere eccepita "immediatamente dopo", dunque nel corso dell'udienza di convalida fissata ai sensi dell'art. 13 della l. n. 69 del 2005, cosa che non è avvenuta (in questo senso Sez. 6, Sentenza n. 51289 del 6 novembre 2017, Marinkovic, Rv. 271501; Sez. 6, n. 24301 del 9 maggio 2017, U., Rv. 270377); per altro verso, come la nullità sia risultata sanata a mente dell'art. 183, comma primo, lett. b), c.p.p., con riferimento alla omessa informazione circa la facoltà di nominare un difensore nello Stato di emissione, dal fatto che l'interessato ha comunque provveduto ad effettuare quella nomina e non ha subito, dunque, alcun concreto pregiudizio dalla considerata omissione (in termini Sez. 6, n. 17592 del 5 aprile 2017, Bula, Rv. 269879).

3.2. Va poi escluso che una invalidità sia configurabile in relazione ad una condotta omissiva riferibile alla mancata comunicazione, da parte del Presidente della Corte di appello, all'autorità competente dello Stato emittente del fatto che il T. avesse provveduto a nominare un difensore di fiducia all'estero, dato che la nomina non è avvenuta con dichiarazione resa all'autorità giudiziaria italiana, deve considerarsi inconferente il richiamo, operato dal ricorso oggi in esame, all'art. 108, comma 1, c.p.p., della cui mancata osservanza la difesa si è pure doluta.

Tale articolo, nel regolare le ipotesi nelle quali al nuovo difensore spetta un termine a difesa, fa riferimento a situazioni - quali quelle della nomina di un nuovo patrocinatore dell'imputato in sostituzione di altro rinunciante, revocato, incompatibile o che ha abbandonato - del tutto differenti da quella verificatasi nel caso in esame nel quale il difensore del consegnando che ha presentato il ricorso per cassazione, venne officiato, in sostituzione di altro difensore, l'8 settembre 2020, oltre un mese prima dello svolgimento dell'udienza di trattazione della richiesta da parte della Corte di appello di Milano: sicché a tale avvocato non spettava alcun termine a difesa per esaminare la documentazione depositata agli atti del procedimento pendente dinanzi all'autorità giudiziaria straniera, dovendo il relativo ufficio defensionale essere svolto dinanzi all'autorità giudiziaria italiana e sulla base degli atti trasmessi per decidere sulla richiesta di consegna.

4. Anche il secondo motivo del ricorso appare infondato.

4.1. Nella fattispecie non è riconoscibile alcuna violazione dell'art. 6, comma 4, lett. a) e b), della l. n. 69 del 2005, in quanto al mandato di arresto emesso nei confronti dell'odierno ricorrente venne allegata una relazione sui fatti addebitati al prevenuto contenente l'indicazione - sintetica ma sufficientemente particolareggiata - delle fonti di prova, del tempo e dei luoghi di commissione dei fatti e della loro qualificazioni giuridica.

Quanto alla indicazione delle disposizioni di legge di cui l'autorità giudiziaria straniera ha ritenuto di fare applicazione, vi era nel mandato di arresto europeo un riferimento preciso, senza che fosse necessaria l'allegazione del relativo testo: essendo stato chiarito - con una esegesi dalla quale questo Collegio non reputa di doversi discostare - che la mancata allegazione del "testo delle disposizioni di legge applicabili", richiesta dal suddetto art. 6, comma 4, lett. b), non costituisce di per sé causa di rifiuto della consegna, trattandosi di documentazione necessaria solo quando sorgano particolari problemi interpretativi la cui soluzione necessiti della esatta cognizione della portata della norma straniera (in questo senso Sez. 6, Sentenza n. 931 dell'11 gennaio 2018, Yordanov, Rv. 271961).

4.2. Non conduce a differenti conclusioni la circostanza, di cui pure la difesa si è doluta, della esistenza di imperfezioni o incompletezze nella traduzione in lingua italiana del mandato emesso nei riguardi del T., tenuto conto che, per il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, in tema di mandato d'arresto europeo, è legittima la decisione di consegna in relazione ad un mandato processuale al quale non sia stata allegata la completa traduzione in lingua italiana del provvedimento non definitivo posto a fondamento della richiesta, qualora la documentazione in atti contenga tutti gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per l'adozione della decisione (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 43136 del 15 settembre 2017, Ponti, Rv. 271573).

4.3. Non colgono nel segno neppure le ulteriori questioni poste dal ricorrente in ordine alla mancata allegazione del testo originale del provvedimento in base al quale il mandato di arresto europeo è stato emesso ovvero in ordine alla circostanza che tale provvedimento sia stato emesso dall'autorità giudiziaria inglese sulla base della relazione trasmessa dalla polizia giudiziaria di quel Paese.

È consolidato l'orientamento interpretativo in base al quale si è affermato che, in tema di mandato di arresto europeo, non è ostativa alla consegna l'omessa acquisizione da parte della Corte d'appello del provvedimento restrittivo interno in base al quale il mandato è stato emesso, allorquando il controllo dell'autorità giudiziaria italiana in ordine alla motivazione ed ai gravi indizi di colpevolezza possa essere comunque effettuato sulla base della documentazione trasmessa dall'autorità dello Stato di emissione (così, tra le molte, Sez. fer., n. 33219 del 28 luglio 2016, Scarfò, Rv. 267452).

D'altro canto, il provvedimento in base al quale è stato emesso il mandato di arresto europeo nei confronti del T. è di certo una decisione giudiziaria esecutiva, che legittima la consegna a mente degli artt. 6, comma 1, lett. a), legge cit., e 8, par. 1, lett. c), della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 13 giugno 2002 (in questo senso Sez. 6, n. 20571 del 1° luglio 2020, Emma, Rv. 279280, che, ai fini indicati, ha ritenuto persino sufficiente un provvedimento della polizia giudiziaria convalidato dal pubblico ministero del Paese interessato).

4.4. Infine, è irrilevante la mancata indicazione dell'attività di indagine che l'autorità inglese intende svolgere e in relazione alla quale ha richiesto la consegna del T. Tale requisito non è richiesto espressamente dalla l. n. 69 del 2005 e deve escludersi che l'assenza di tale precisazione sia di ostacolo all'accoglimento della richiesta di consegna sulla base di un mandato di arresto europeo processuale.

In tale senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità per la quale, in tema di mandato di arresto europeo, può essere data esecuzione ad una richiesta di consegna nei confronti di persona imputata di un reato per procedere anche solo al suo interrogatorio, atteso che l'art. 6, comma 1, lett. c), della l. n. 69 del 2005 consente il ricorso alla procedura in esame con riferimento ad ogni provvedimento di natura coercitiva emesso dall'Autorità giudiziaria dello Stato di emissione, qualunque ne siano i motivi, purché inerenti al processo (in questo senso, da ultimo, Sez. 6, n. 43386 dell'11 ottobre 2016, Berdzik, Rv. 268305).

5. Il terzo motivo del ricorso è infondato.

Va premesso che il difensore ha posto per la prima volta solo il ricorso la questione relativa ad un asserito sovraffollamento nelle carceri inglesi, con riferimento alle ridotte dimensioni della cella nella quale il T. potrebbe essere recluso e alla mancata indicazione del regime detentivo al quale lo stesso sarà sottoposto.

Dinanzi alla Corte di appello era stato esclusivamente prospettato il rischio per le condizioni di salute del T. in relazione al pericolo di contagio da virus Covid-19 esistente nelle carceri inglesi.

Al riguardo, la risposta data dalla Corte di merito, per cui la situazione di generico pericolo a causa della pandemia in atto è presente negli istituti di detenzione di tutti i Paesi dell'Unione europea e, anche in ragione delle non gravi condizioni di salute del consegnando, debba escludersi la configurabilità di una violazione dell'art. 3 CEDU, risulta in linea con l'orientamento interpretativo privilegiato da questa Corte di cassazione, per cui la doglianza "esula dal tema dell'inadeguatezza intrinseca delle strutture penitenziarie... a garantire un livello minimo di vivibilità ai detenuti al fine di non incorrere nel divieto stabilito dalla seconda parte dell'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo" (così Sez. 6, n. 22275 del 21 luglio 2020, Levakovic, non massimata).

A ciò si aggiunga che vi una sostanziale sopravvenuta carenza di interesse a coltivare l'impugnazione con riferimento a questo specifico motivo, in quanto la difesa ha comunicato che il proprio assistito ha contratto il virus Covid-19 in Italia ed è attualmente in cura nel domicilio ove è stato posto agli arresti.

6. Le doglianze difensive formulate con il quarto e ultimo motivo vanno anch'esse disattese.

Costituisce principio oramai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, in tema di mandato di arresto europeo, l'autorità giudiziaria italiana, ai fini della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, non deve effettuare un controllo analogo a quello stabilito dall'art. 273 c.p.p. per l'applicazione di una misura cautelare personale, ma deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l'autorità giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (in questo senso Sez. un., n. 4614 del 30 gennaio 2007, Ramoci, Rv. 235348).

Di tale principio la Corte territoriale ha fatto buon governo, passando in rassegna una serie di elementi di prova - quali le dichiarazioni rese dalla persona offesa, la documentazione di identità falsa rinvenuta dalla polizia giudiziaria, la documentazione bancaria relativa alle transazioni tra l'indagato e la vittima e talune deposizioni testimoniali - costituenti un compendio indiziario che l'autorità giudiziaria straniera ha giudicato, con motivazione idonea ai sensi dell'art. 18, lett. t), legge cit., sufficiente a giustificare l'adozione del provvedimento di arresto e che la Corte italiana ha poi ritenuto seriamente evocativi dei fatti di reato commessi dalla persona di cui è stata chiesta la consegna: ciò senza che l'autorità giudiziaria italiana possa sostituire alla valutazione del giudice straniero una propria determinazione - come il ricorrente ha sostanzialmente chiesto di fare - fondata su criteri ermeneutici previsti dall'ordinamento ad altri fini, quali sono, appunto, quelli regolati dal codice di rito per l'applicazione di una misura cautelare personale.

Né vi sono elementi per poter sostenere che nella fattispecie sia stato violato il principio della doppia incriminazione. È certo che, in materia di mandato di arresto europeo, ai fini dell'accertamento della condizione della doppia punibilità prevista dall'art. 7 legge cit., la Corte d'appello è tenuta a verificare anche d'ufficio la corrispondenza tra gli illeciti contemplati nei due diversi sistemi penali, pure se la difesa del consegnando nulla abbia eccepito in proposito (Sez. 6, n. 12204 del 24 marzo 2011, Placonà, Rv. 249645).

Regola, questa, la cui mancata applicazione da parte della Corte territoriale è stata censurata dall'odierno ricorrente con considerazioni che finiscono per sollecitare una inammissibile rilettura di tutte le emergenze procedimentali in un'ottica di gravità indiziaria. Corte di appello che, al contrario, con motivazione congrua ha adempiuto al dovere di verifica del rispetto del considerato criterio della doppia punibilità, nel momento in cui ha rilevato come i dati informativi segnalati dall'autorità giudiziaria straniera fossero idonei ad escludere la sussistenza di un mero inadempimento contrattuale: avendo il T. usato plurimi artifici e raggiri - quali quelli di "spacciarsi per avvocato" londinese; di farsi rilasciare cospicue somme di denaro vantando conoscenze e rapporti per far ottenere alla persona offesa la cittadinanza inglese e poi quella italiana; di consegnare documenti di identità italiani poi risultati falsificati; di far vedere un immobile a Londra asseritamente da acquistare, senza aver intrattenuto alcun rapporto con l'agenzia immobiliare incaricata della vendita; ed ancora, di farsi consegnare dalla medesima vittima una cospicua somma di denaro sostenendo di volerla impegnare per quell'investimento immobiliare, dando in garanzia un assegno poi risultato privo di provvista - finalizzati a trarre in inganno la controparte e a procurarsi un ingiusto profitto con danno altrui.

In tal senso va qui ribadito che, in tema di mandato di arresto europeo, per soddisfare la condizione della doppia punibilità prevista dall'art. 7, comma primo, della l. n. 69 del 2005, non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell'ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma dell'ordinamento italiano, ma è sufficiente che la concreta fattispecie sia punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l'eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato: principio, questo, enunciato proprio con riferimento ad una fattispecie di un m.a.e. emesso in relazione ad una condanna, tra l'altro, per i reati di truffa e abuso di fiducia, in cui questa Corte di cassazione ha ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo all'assenza del requisito della doppia incriminazione rilevando che, a prescindere dalla diversa qualificazione giuridica, le condotte concretamente ascritte al ricorrente integravano gli estremi della truffa e, dunque, non erano esenti da pena secondo la legge nazionale (così Sez. 6, n. 22249 del 3 maggio 2017, Bernard, Rv. 269918).

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicati di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, l. n. 69/2005.

Depositata il 14 dicembre 2020.

R. Garofoli

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