Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 11 novembre 2020, n. 2929
Presidente: Sarno - Estensore: Andreazza
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 18 luglio 2011 il G.i.p. del Tribunale di Enna disponeva nei confronti di B. Davide la misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di cui agli artt. 81 c.p. e 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990. Successivamente, la stessa custodia cautelare veniva sostituita con ordinanza del 27 settembre 2011 con la misura degli arresti domiciliari.
Con sentenza del Tribunale di Enna del 18 settembre 2012 B. veniva quindi condannato, con la allora circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, del citato d.P.R., alla pena detentiva di anni 4 di reclusione.
La Corte d'Appello di Caltanissetta, successivamente, in data 19 dicembre 2013, nel confermare la sentenza di primo grado, sostituiva la misura degli arresti domiciliari con quella dell'obbligo di presentazione alla p.g. e riduceva, tenuto conto della già ritenuta ipotesi lieve di cui all'art. 73, comma 5, cit., la pena ad anni 2 e mesi 6 di reclusione.
In sede di giudizio di Cassazione, quest'ultima annullava, in data 28 gennaio 2015, la sentenza e la Corte d'Appello di Caltanissetta, investita del relativo rinvio, alla luce della novella normativa del 2014, nel frattempo intervenuta, riduceva la pena detentiva a mesi dieci di reclusione ed euro 800,00 di multa.
L'imputato proponeva pertanto domanda di riparazione per ingiusta detenzione alla Corte d'Appello di Caltanissetta lamentando che, scontata una pena detentiva complessiva di anni due, mesi due e giorni venti di reclusione (corrispondenti alla custodia in carcere dal 20 luglio 2011 al 27 settembre 2011 e agli arresti domiciliari dal 28 settembre 2011 all'8 ottobre 2013), il periodo di ingiusta detenzione sarebbe risultato pari ad anni uno, mesi quattro e giorni venti.
Rigettata detta domanda e impugnata per cassazione la decisione, la quarta sezione di questa Corte la annullava con rinvio alla Corte di Appello di Caltanissetta che, con ordinanza dell'11 novembre 2019, rigettava nuovamente l'istanza.
2. Tanto premesso, B. ha presentato ricorso per cassazione avverso tale ultimo provvedimento articolando un unico motivo con cui lamenta la violazione del dictum fissato dalla Suprema Corte in seno alla sentenza di annullamento con rinvio del 20 dicembre 2018, nonché la violazione degli artt. 314 e segg. c.p.p., in relazione all'art. 606, lett. b), c) ed e), c.p.p.
Il ricorrente censura in particolare l'ordinanza della Corte d'Appello nella parte in cui quest'ultima ha ritenuto la riduzione della pena in sede di rinvio quale conseguenza della modifica normativa e non di una più corretta qualificazione del reato e che dunque, prima di tale sentenza, la detenzione inflitta fosse da ritenersi legittima, mentre, a ben vedere, essa deriverebbe dalla riqualificazione del fatto ai sensi del comma 5 dell'art. 73, anziché del comma 1. Tale riqualificazione sarebbe sorretta dagli stessi elementi sottoposti al giudice durante tutto il procedimento, quindi anche precedentemente alla modifica normativa cui si riferisce la sentenza di rinvio. Tali elementi dunque, se correttamente applicati, non avrebbero portato all'irrogazione della custodia cautelare o, al più, essa avrebbe avuto una durata inferiore a quella effettivamente subita dall'imputato. Costituisce prova di ciò la circostanza che già la Corte d'Appello di Caltanissetta, adita in prima battuta per impugnare la sentenza di primo grado, abbia ridotto la pena per effetto della operata derubricazione del fatto ai sensi del comma 5, come poi ribadito dalla Cassazione in sede di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va anzitutto chiarito che, nella specie, qui richiamandosi quanto già sopra anticipato, il ricorrente, sottoposto a misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui all'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, veniva condannato, in primo grado, dal G.u.p. del Tribunale di Enna, con il riconoscimento, sia pure in equivalenza alla contestata recidiva, della circostanza attenuante del fatto lieve (tale essendo ancora, in allora, la natura della previsione del comma 5 dell'art. 73 cit.), alla pena detentiva di anni quattro di reclusione. Interposto appello, la pena detentiva suddetta veniva ridotta, con la sentenza della Corte territoriale di Caltanissetta, in data 19 ottobre 2013, ad anni due e mesi sei di reclusione, venendo disposta contestualmente la sostituzione della misura cautelare in quella dell'obbligo di presentazione alla p.g.
Successivamente, interposto ricorso per cassazione, e annullata la predetta sentenza in data 28 gennaio 2015, la pena detentiva veniva, in conseguenza dell'intervento normativo da ultimo operato con l'art. 2, comma 24-ter, lett. a), l. n. 79 del 2014 (che modificava il regime sanzionatorio previsto per l'ipotesi lieve di cui al predetto comma 5, divenuta reato autonomo), definitivamente rideterminata, in sede di rinvio, in quella di mesi dieci di reclusione.
2. Ciò posto, l'ordinanza impugnata ha rigettato la richiesta, avendo individuato, quale causa decisiva della rideterminazione della pena detentiva da anni due e mesi dieci di reclusione alla pena di mesi dieci di reclusione operata dalla Corte nissena in sede di rinvio, la modifica normativa intervenuta per effetto dell'art. 2, comma 24-ter, appena sopra citato, in forza del quale la forbice edittale originaria prevista per il comma 5 dell'art. 73 cit. ricompresa tra uno e sei anni di reclusione (ed ancora in vigore nel momento in cui la Corte di appello, pronunciando sull'impugnazione della sentenza di primo grado, aveva sostituito la misura cautelare in carcere con la misura non restrittiva diminuendo la pena ad anni due e mesi sei di reclusione), veniva mutata in quella ricompresa tra mesi sei ed anni quattro di reclusione.
Corrispondentemente, sempre l'ordinanza impugnata ha posto in evidenza come la qualificazione del reato di cui al comma 1, per il quale era ab origine stata adottata la misura coercitiva, nella fattispecie di cui al comma 5, lungi dall'essere stata operata dal giudice di rinvio (limitatosi, invece, in coerenza con le ragioni dell'annullamento della settima sezione di questa Corte in data 28 gennaio 2015, a recepire, come appena detto, il più favorevole regime edittale) era già stata in realtà operata dal G.i.p. del Tribunale di Enna.
Tali dati, effettivamente corrispondenti agli atti processuali, come evincibile del resto dalla stessa sentenza di primo grado allegata, hanno pertanto condotto l'ordinanza impugnata alla corretta conclusione della insussistenza, nella specie, dell'invocato diritto alla riparazione per ingiusta detenzione: dirimente appare infatti la considerazione che, nella specie, la detenzione sofferta dal ricorrente per un periodo di anni due, mesi due e giorni venti di reclusione, fu, fino al momento della sua cessazione, ovvero in data 19 dicembre 2013 (quando ancora, cioè, dovevano intervenire le modifiche normative che avrebbero poi condotto a mutare la previsione del comma 5 cit. e quando intervenne la condanna alla pena, superiore al presofferto sino a quel momento espiato, di anni due e mesi sei), pienamente legittima e rispettosa dell'assetto normativo allora in atto che prevedeva, in quel momento, un assetto sanzionatorio ancora conforme a quello vigente al momento della applicazione della misura coercitiva; del resto, solo per effetto della già ricordata modifica normativa del 2014 il trattamento sanzionatorio sarebbe poi stato ridotto a mesi dieci di reclusione.
Dunque, non solo, appunto, la detenzione subita si è nella specie interamente esaurita prima della modifica normativa del comma 5 cit., ma, soprattutto, la stessa è stata pienamente legittima e rispettosa dell'assetto normativo vigente sino al momento della cessazione di essa, da ciò discendendo, per effetto di principio già affermato da questa Corte, indirettamente confermato dalla previsione dell'art. 314, comma 5, c.p.p., la inconfigurabilità di un diritto alla riparazione per ingiusta detenzione (si veda, per identità di ratio, con riferimento alla intera espiazione di pena inflitta per il delitto di detenzione illegale di sostanze stupefacenti del tipo "droga leggera" prima della declaratoria di incostituzionalità della fattispecie incriminatrice da parte della Corte cost. con sentenza n. 32 del 2014, tra le altre, Sez. 4, n. 4240/17 del 16 dicembre 2016, Laratta, Rv. 269168; Sez. 4, n. 15237 del 14 febbraio 2018, Cassotta e altro, Rv. 272474).
Né potrebbe ostare, alla correttezza della conclusione, la circostanza che la sentenza n. 3470 del 2019 della quarta sezione di questa Corte, di annullamento della prima ordinanza di rigetto della Corte nissena, pare avere collocato il momento di ritenuta configurazione del "fatto lieve" nell'ambito del giudizio di rinvio e non invece, come in effetti accaduto, già in sede di giudizio di primo grado, da qui facendo discendere l'annullamento della prima ordinanza di rigetto della Corte nissena. Va infatti ribadito che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali (tra le altre, Sez. 2, n. 8733 del 22 novembre 2019, Le Voci, Rv. 278629), ciò che, correttamente, è stato fatto, nella specie, dall'ordinanza impugnata.
Nessuna violazione del dictum della sentenza di annullamento appare, pertanto, prospettabile.
3. Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 25 gennaio 2021.