Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 9 dicembre 2020, n. 8020
Presidente: Zaza - Estensore: Brancaccio
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il GIP del Tribunale di Pisa, decidendo in ordine alla richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero nel procedimento a carico di Antonio Marcello C. per il reato di cui all'art. 593 c.p. ed opposta ai sensi dell'art. 90, comma terzo, c.p.p. dai prossimi congiunti della persona offesa deceduta, Roberta G., ha assegnato al pubblico ministero un termine di 90 giorni per procedere ad ulteriori, numerose indagini contenute nell'atto di opposizione e ritenute necessarie al fine di poter decidere sulla richiesta di archiviazione predetta.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione per violazione di legge il pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Pisa, ritenendolo atto abnorme e comunque illegittimo.
2.1. Anzitutto si denuncia violazione di legge per la genericità del richiamo contenuto nell'ordinanza oggetto di ricorso alle numerose indagini ulteriori richieste nell'atto di opposizione dai congiunti della persona offesa, senza indicare autonomamente i temi di indagine.
2.2. Con una seconda censura si eccepisce violazione di legge per abnormità del provvedimento nella parte in cui ordina al pubblico ministero di compiere nuove indagini per un reato - il furto di fotografie contenute nel cellulare della persona deceduta, che aveva una relazione sentimentale con l'indagato - in relazione al quale non vi è iscrizione nel registro delle notizie di reato ed in relazione alla quale il pubblico ministero aveva motivato l'insussistenza nella richiesta di archiviazione.
2.3. Il terzo argomento di censura evidenzia violazione di legge per abnormità del provvedimento nella parte in cui, sempre facendo riferimento alle indagini indicate nell'atto di opposizione, finisce per ordinare al pubblico ministero di disporre sequestro e perquisizione del telefono cellulare dell'indagato, previo avviso al suo difensore.
3. Il Sostituto Procuratore Generale Antonietta Picardi ha chiesto che venga dichiarata l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In linea generale, è necessario tener presente che la categoria dei provvedimenti abnormi risponde all'esigenza di introdurre un correttivo al principio della tassatività dei mezzi d'impugnazione e di apprestare il rimedio del ricorso per cassazione per rimuovere gli effetti di determinati provvedimenti, che, pur non essendo oggettivamente impugnabili, risultino, tuttavia, affetti da anomalie genetiche o funzionali così radicali da non poter essere inquadrati nei tipici schemi normativi ovvero da essere incompatibili con le linee fondanti dell'intero sistema organico della legge processuale (cfr. Sez. un., n. 7 del 26 aprile 1989, Goria, Rv. 181304; Sez. un., n. 11 del 9 luglio 1997, Quarantelli, Rv. 208221; Sez. un., n. 17 del 10 dicembre 1997, dep. 1998, Di Battista, Rv. 209603; Sez. un., n. 26 del 24 novembre 1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 215094; Sez. un., n. 33 del 22 novembre 2000, Boniotti, Rv. 217244; Sez. un., n. 4 del 31 gennaio 2001, Romano, Rv. 217760; Sez. un., n. 22909 del 31 maggio 2005, Minervini, Rv. 231163; Sez. un., n. 5307 del 20 dicembre 2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238240).
Il numero di decisioni delle Sezioni unite intervenute sul tema, peraltro, ne evidenzia la complessità e la difficoltà di individuare una linea interpretativa generale, valida per ciascuna delle fattispecie molteplici che, configurando errori procedurali, possono dar luogo ad impugnazioni per abnormità dell'atto giurisdizionale (così Sez. 5, n. 44343 del 21 maggio 2019, n.m., alla cui motivazione ci si richiama di seguito).
Con la pronuncia Sez. un., n. 25957 del 26 marzo 2009, Toni, Rv. 243590, le Sezioni unite hanno offerto una più puntuale delimitazione dell'area dell'abnormità ricorribile per cassazione, la cui duplice accezione, strutturale e funzionale, si è cercato di ricondurre ad un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell'atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall'art. 606, comma 1, c.p.p., quanto come esercizio di un potere in difformità dal modello descritto dalla legge.
Nello specifico settore dei rapporti tra giudice e pubblico ministero, l'abnormità strutturale, pertanto, è stata ritenuta riconoscibile soltanto nel caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto), ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto).
L'abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, è stata limitata all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo.
Anche l'ultimo arresto del massimo collegio nomofilattico è in linea con tale tendenza: la sentenza Sez. un., n. 20569 del 18 gennaio 2018, Ksouri, Rv. 272715 ha optato per la non abnormità, e, quindi per la non ricorribilità in cassazione, del provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, restituisca gli atti al pubblico ministero perché valuti la possibilità di chiedere l'archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p., precisando che l'invito a verificare il carattere "particolarmente tenue" dell'illecito contestato nell'imputazione non implica alcuna invasione delle competenze dell'organo requirente, ma appartiene all'attività di qualificazione giuridica propria del giudice.
Le Sezioni unite, aderendo all'orientamento maggioritario in materia, hanno ricordato che l'abnormità costituisce una forma di patologia dell'atto giudiziario priva di riconoscimento testuale in un'esplicita disposizione normativa, ma frutto di elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza, tramite cui si è inteso porre rimedio, attraverso l'intervento del giudice di legittimità, agli effetti pregiudizievoli derivanti da provvedimenti non previsti nominatim come impugnabili, ma affetti da tali anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema processuale e con esso radicalmente incompatibili.
La categoria dell'abnormità, in altre parole, presenta carattere eccezionale e derogatorio al principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, sancito dall'art. 568 c.p.p., mantenuto inalterato nel suo testo anche dopo la riforma introdotta con la l. 23 giugno 2017, n. 103, ed al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell'art. 177 c.p.p.
La sua eccezionalità e residualità impongono, secondo la pronuncia del 2018, una interpretazione rigorosa delle ipotesi che possono configurare un atto abnorme.
Pertanto, non è abnorme quell'atto, pur compiuto al di fuori degli schemi legali o per finalità diverse da quelle che legittimano l'esercizio della funzione, che sia superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia corretto impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da annullarne gli effetti, da privarlo di rilevanza ed eliminare l'interesse alla sua rimozione.
Non è abnorme, altresì, l'atto, pur erroneamente adottato, che non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del procedimento.
Resta dunque escluso - secondo le Sezioni unite - che possa invocarsi la categoria dell'abnormità per giustificare la ricorribilità immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto da nullità o comunque sgraditi e non condivisi (Sez. un., n. 33 del 22 novembre 2000, Boniotti), perché tanto si tradurrebbe nella non consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall'art. 568, comma 1, c.p.p.
3. Più specificamente, e tenendo presente la cornice generale di principi predetta, l'abnormità di un atto del GIP è da sempre valutata in modo coerente con il perimetro, molto ampio, dei poteri di controllo a lui devoluti dalla legge sull'intera notitia criminis (Sez. un., n. 22909 del 31 maggio 2005, Minervini, Rv. 231162).
Questa Corte di legittimità, pertanto, ha affermato che non è abnorme l'ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari, in esito all'udienza camerale fissata a seguito di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, indichi al PM, tra le ulteriori indagini necessarie, anche la reiterazione di indagini già disposte per acquisire nuovi elementi o per approfondimenti su specifici temi (così Sez. 3, n. 23930 del 27 maggio 2010, B., Rv. 247876).
L'eventuale superfluità dell'atto richiesto, infatti, riguarda il merito del provvedimento e non il suo aspetto strutturale o funzionale, sicché la sua inutilità è eventualmente valutabile sotto il profilo dell'illegittimità ma non dell'abnormità.
3.1. Orbene, rispondendo - così - al primo motivo di ricorso, in particolare, il Collegio ritiene che, per le ragioni anzidette, non sussista abnormità dell'atto anche nel caso in cui - come nella fattispecie dedotta - l'indicazione dei temi di indagine nuovi, operata dal GIP nell'ordinanza con cui non accoglie la richiesta di archiviazione, sia specifica, per quanto posta in essere con rinvio per relationem all'istanza di opposizione della persona offesa dal reato, e le prospettazioni delle ulteriori, possibili investigazioni siano diffuse ed analitiche (ancora una volta avuto riguardo all'istanza di opposizione di parte cui si fa rinvio).
Il contenuto dell'attività investigativa demandata, infatti, non è tacciabile di abnormità, ma, al più, di inutilità (perché non foriero di risultati rilevanti) o di non decisività, valutazioni queste ultime che, come detto, riguardano il merito del provvedimento e non il suo aspetto strutturale o funzionale.
La modalità di formazione del provvedimento giudiziale con motivazione per relationem, peraltro, è consentita in linea generale a determinate condizioni (cfr. Sez. un., n. 17 del 21 giugno 2000, Primavera, Rv. 216664; Sez. 6, n. 48428 dell'8 ottobre 2014, Barone, Rv. 261248; Sez. 2, n. 55199 del 29 maggio 2018, Salcini, Rv. 274252; nonché Sez. 5, n. 24460 dell'8 febbraio 2019, Foffo, Rv. 276760; Sez. 6, n. 46080 del 29 ottobre 2015, Talbi Nejib, Rv. 265338) e non prova, quindi, di per sé che la valutazione svolta dal GIP non sia stata autonoma e ponderata (come invece ha eccepito il pubblico ministero, lamentando la scelta non autonoma, da parte del GIP, delle indicate nuove indagini).
Anzi, nel caso di specie, il giudice ha dimostrato di aver considerato espressamente le ulteriori investigazioni utili, puntualmente indicate per quelle contenute a pagg. 12 e 13 dell'atto di opposizione alla richiesta di archiviazione, ritenendone la necessità ai fini della decisione e lasciando libero il pubblico ministero di adoperare, allo scopo, tutti gli strumenti più idonei tra quelli a sua disposizione.
Tale ultima annotazione motivazionale supera, altresì, i dubbi del ricorrente, quanto alle violazioni di legge dedotte nel secondo e nel terzo motivo di ricorso, poiché deve ritenersi che non siano stati imposti sequestri o altri provvedimenti a carico dell'indagato (la cui richiesta pure era, effettivamente, contenuta nell'atto di opposizione richiamato), ma il GIP ha indicato esplicitamente l'utilizzo di qualsiasi mezzo investigativo, secondo la scelta autonoma dell'organo inquirente, facendo riferimento al tema di indagine collegato all'acquisizione del contenuto del traffico telefonico e dei messaggi tra l'indagato e Roberta G., nonché a tutte le annotazioni di fatto richiamate per rinvio all'atto di opposizione (tra queste anche la presenza di fotografie rilevanti).
In tal modo, si sono evitate anche eventuali obiezioni che potrebbero porsi rispetto alla cogenza specifica delle indicazioni stesse (cfr. Sez. 4, n. 37994 del 13 luglio 2006, Veroux, Rv. 235438).
Quanto alla possibilità di disporre indagini su di un reato giammai iscritto a carico dell'indagato, ed anzi del quale il pubblico ministero aveva escluso motivatamente la sussistenza nella motivazione della richiesta di archiviazione, se ne coglie la manifesta infondatezza, poiché nel provvedimento impugnato (anche nella sua quota motivazionale per relationem) non si fa richiamo esplicito alcuno a tale condotta di reato, bensì al possibile ritrovamento di fotografie utili all'indagine per i reati già iscritti.
3.2. In conclusione deve affermarsi che: non è abnorme l'ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari, in esito all'udienza camerale fissata a seguito di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, indichi al PM temi di indagine nuovi e specifici, pur se operando rinvio per relationem all'istanza di opposizione della persona offesa dal reato, ed anche nel caso in cui le prospettazioni delle ulteriori, possibili investigazioni siano diffuse ed analitiche.
In tale ipotesi, infatti, il contenuto dell'attività investigativa demandata, non è tacciabile di abnormità, ma, al più, di inutilità (perché non foriero di risultati rilevanti) o di non decisività; tali valutazioni, tuttavia, riguardano il merito del provvedimento e non il suo aspetto strutturale o funzionale.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del PG.
Depositata il 1° marzo 2021.