Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 21 gennaio 2021, n. 47

Presidente: De Nictolis - Estensore: Gaviano

FATTO E DIRITTO

1. Il Comune di Messina rilasciava al sig. S. Orazio per la realizzazione di un edificio, in data 24 marzo 1988, la concessione edilizia n. 9294, titolo cui accedeva la previsione dell'obbligo di versamento degli oneri di urbanizzazione e del contributo per costo di costruzione, che venivano rispettivamente frazionati in quattro rate (i primi) e in due (il secondo).

I lavori edilizi venivano conclusi nell'anno 1991.

Il concessionario versava soltanto in parte gli importi dovuti (corrispondendo la sola prima rata degli oneri di urbanizzazione).

Di conseguenza: il Comune iscriveva a ruolo gli importi residui dovuti dal medesimo, per l'ammontare di lire 31.425.746; veniva emessa dall'agente della riscossione la cartella di pagamento n. 29520060007783890000 relativa a sorte capitale, sanzioni e interessi, notificata al debitore in data 6 giugno 2006; la s.p.a. Riscossione Sicilia notificava indi al debitore il 24 aprile 2018 un'intimazione di pagamento avente ad oggetto le somme sopra indicate, maggiorate di interessi moratori e aggio di riscossione, per un totale di euro 75.422,91.

2. Il sig. S. proponeva a quel punto un ricorso al T.A.R. per la Sicilia, notificato il 17 maggio 2018, con il quale domandava l'accertamento della non debenza, in ragione dell'intervenuta prescrizione, delle somme richiestegli dal Comune a titolo di oneri, sanzioni e interessi relativi alla predetta concessione edilizia, nonché l'annullamento dell'intimazione di pagamento del 24 aprile 2018 e della precedente cartella.

Parte ricorrente deduceva, infatti, l'intervenuta prescrizione di tutte le pretese comunali a causa dell'avvenuto decorso dei termini quinquennali o decennali, poiché l'Amministrazione aveva lasciato trascorrere circa 15 anni tra l'ultimazione dei lavori e la notifica della cartella, nonché ulteriori 12 anni tra quest'ultima e la notifica dell'intimazione impugnata.

Il Comune di Messina si costituiva in giudizio in resistenza al ricorso opponendo l'intervenuta decadenza del ricorrente dal potere di contestare il quantum dovuto, nonché l'insussistenza della dedotta prescrizione.

Il ricorrente non avrebbe tenuto conto di numerosi atti, antecedenti e successivi alla cartella di pagamento, provenienti dall'Amministrazione, dal concessionario della riscossione e dallo stesso debitore, che avrebbero avuto l'effetto di interrompere il corso della prescrizione.

In particolare, il Comune menzionava: solleciti di pagamento del 1996-1999; ordinanza/ingiunzione del 2000; provvedimenti di rigetto delle istanze di rateizzazione del debito presentate dal ricorrente nel 2000 e nel 2006; cartella notificata nel 2006; l'accoglimento da parte di Riscossione Sicilia, nel 2009, del piano di rientro del debito formulato dal ricorrente nel 2008; una ulteriore intimazione di pagamento notificata nel 2013; l'iscrizione ipotecaria effettuata nel 2007 a garanzia del credito; l'adozione di provvedimento di fermo amministrativo del 2015.

Veniva altresì dedotto che la prescrizione sarebbe stata soggetta al termine decennale, e non a quello quinquennale.

Anche l'agente della riscossione si costituiva in giudizio, argomentando in senso contrario alla maturazione della prescrizione.

Il ricorrente con motivi aggiunti notificati in data 17 maggio 2019 allegava nuove ragioni a supporto delle domande già proposte, e specificamente, a sostegno della propria domanda di accertamento negativo della debenza delle somme richieste a titolo d'interessi (la quota prevalente del debito), che questi ultimi non sarebbero stati dovuti - oltre che perché prescritti, anche - in quanto richiesti in violazione dell'art. 50 della l.r. n. 71/1978, giacché la loro funzione era assorbita in concreto dalla sanzione amministrativa prevista per il ritardo nel pagamento degli oneri urbanistici.

Il privato insisteva, infine, per l'applicazione del termine di prescrizione quinquennale sia agli oneri concessori (ex art. 2948, n. 4, c.c., in quanto prestazioni periodiche rateizzate), sia alle sanzioni (ex art. 28 l. 689/1981), sia infine agli interessi.

3. All'esito del giudizio di primo grado il Tribunale adìto, con la sentenza n. 2200/2019 in epigrafe, prendeva preliminarmente posizione sull'eccezione comunale secondo la quale il ricorrente era decaduto dalla possibilità di contestare sia la persistenza del debito, sia il suo ammontare, a causa dell'acquiescenza prestata ai numerosi atti emessi dall'Amministrazione e dall'agente della riscossione.

Il T.A.R. accoglieva l'eccezione con riferimento ai motivi aggiunti, affermando, al riguardo, che la ragione ivi allegata di non debenza degli interessi sugli oneri avrebbe dovuto essere dedotta entro il termine decennale dell'azione di accertamento, mentre invece la contestazione era stata avanzata per la prima volta solo, appunto, con i motivi aggiunti notificati il 17 maggio 2019. L'eccezione veniva invece reputata infondata nella parte in cui era stato sostenuto che l'acquiescenza e il decorso del tempo avessero paralizzato anche la possibilità del ricorrente di opporre l'avvenuta prescrizione del diritto a pretendere gli oneri concessori e il contributo per il costo di costruzione.

Nel merito, il primo Giudice respingeva tuttavia in toto le domande attoree.

Il T.A.R., difatti, riteneva che:

- il termine di prescrizione da applicare nella vicenda fosse quello quinquennale, e ciò sia per gli oneri concessori, in quanto questi erano dovuti in forma rateale e costituivano quindi obbligazioni periodiche, sia per gli interessi, sia per le sanzioni irrogate;

- e, nondimeno, non si fosse verificata la prescrizione del diritto a pretendere gli oneri edilizi e i relativi accessori, giacché nel quinquennio antecedente la data di notifica dell'ultima intimazione di pagamento (aprile 2018) sarebbero stati riscontrabili almeno quattro atti che avevano determinato l'interruzione del termine.

4. Seguiva avverso tale sentenza la proposizione del presente appello da parte del privato soccombente, che riproponeva le proprie domande e ragioni, sottoponendo a critica gli argomenti con cui il Tribunale le aveva disattese.

In particolare, l'appellante:

- contestava la valutazione di inammissibilità che aveva colpito i propri motivi aggiunti;

- lamentava che il Tribunale, nel pronunciarsi sulla prescrizione, si fosse limitato a una verifica del solo quinquennio antecedente la notifica dell'ultima intimazione di pagamento (quella dell'aprile 2018), laddove, si obiettava, la prescrizione si era invece già maturata nel periodo precedente, e tanto sarebbe stato decisivo ai fini di causa;

- assumeva che gli atti del 1996 e 1999 valorizzati dalla difesa comunale ai fini interruttivi non sarebbero stati idonei a interrompere la prescrizione.

L'Amministrazione comunale resisteva alle domande avversarie anche nel nuovo grado di giudizio, deducendo la loro infondatezza e concludendo per la conferma della sentenza di prime cure.

Le parti riprendevano e sviluppavano le rispettive tesi, controdeducendo anche alle reciproche deduzioni, con successive memorie.

Infine, con apposite note d'udienza veniva richiesto in passaggio in decisione della causa, che effettivamente all'udienza del 16 dicembre 2020 è stata trattenuta in decisione.

5. L'appello è suscettibile di accoglimento solo nei limitati termini di seguito illustrati, concernenti le sanzioni per ritardato pagamento inflitte dal Comune di Messina nonché, marginalmente, gli interessi a questo dovuti.

6.a. Rileva preliminarmente il Collegio che, secondo quanto previsto dall'art. 73, comma 1, c.p.a., le parti sono ammesse a produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell'udienza, e memorie fino a trenta giorni liberi prima.

Da tale norma deriva, giusta eccezione dell'appellante, l'irricevibilità della memoria di costituzione e dei documenti presentati in giudizio dalla s.p.a. Riscossione Sicilia solo in data 12 dicembre 2020, ossia appena tre giorni liberi prima dell'udienza di discussione; tale memoria vale pertanto solo come atto di costituzione, che non è soggetto, a differenza delle memorie e dei documenti, a termini di decadenza (C.d.S., Ad. plen., 25 febbraio 2013, n. 5).

6.b. Sempre in via preliminare, il Collegio prende atto che il Comune, nella propria memoria di costituzione, ha ripreso la precedente eccezione secondo la quale l'interessato doveva reputarsi decaduto dalla possibilità di eccepire l'intervenuta prescrizione, e questo a causa della acquiescenza prestata verso i numerosi atti emessi dall'Amministrazione e dall'agente della riscossione, nel tempo, per coltivare e garantire la pretesa creditoria.

Contrariamente a quanto affermato dalla difesa comunale, tuttavia, l'eccezione, lungi dall'essere rimasta negletta, è stata invece dal T.A.R. esaminata e disattesa, ancorché con stringata motivazione:

"L'eccezione in esame è invece infondata nella parte in cui assume che il decorso del tempo abbia anche paralizzato la possibilità per il ricorrente di opporre l'avvenuta prescrizione del diritto a pretendere gli oneri concessori ed il contributo per il costo di costruzione.

Non si ritiene operante alcuna decadenza in ordine alla possibilità di dedurre in giudizio l'avvenuta prescrizione della pretesa creditoria avversaria".

Pertanto, secondo la corretta obiezione dell'appellante, il Comune avrebbe dovuto insorgere sul punto proponendo appello incidentale avverso la reiezione della propria eccezione.

Sicché in difetto di tanto quest'ultima deve reputarsi ormai definitivamente respinta, e non è perciò suscettibile di riesame.

7.a. Il Comune ha ripreso altresì la tesi che il termine prescrizionale applicabile al proprio credito sarebbe stato quello decennale.

In questo caso, tuttavia, l'Ente locale non aveva l'onere di proporre appello incidentale contro la difforme decisione espressa dal primo Giudice a favore, invece, della quinquennalità dello stesso termine, giacché siffatta decisione non integrava, in se stessa, un capo autonomo di sentenza: onde questo Consiglio può ben pronunciarsi sul punto.

Secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale costituisce, invero, capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato interno, soltanto quello che risolva una questione controversa tra le parti che sia caratterizzata, inoltre, da una propria individualità e una propria autonomia sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum del tutto indipendente, e non anche quello relativo ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica o mere argomentazioni della statuizione in concreto adottata, oppure valutazioni di presupposti necessari di fatto che, unitamente ad altri, semplicemente concorrano a formare un capo unico della decisione (Cass. civ., III, 31 gennaio 2018, n. 2379; I, 18 settembre 2017, n. 21566; III, 30 ottobre 2007, n. 22863).

La Suprema Corte, all'atto di occuparsi specificamente di problematiche prescrizionali (era allora in discussione l'effetto interruttivo di una citazione), ha escluso, in particolare, che potesse essersi formato un giudicato interno "in merito solo ad alcune argomentazioni giuridiche adottate dal primo Giudice, poiché esse non avevano una loro autonomia in relazione al punto controverso tra le parti: cioè l'esistenza o meno della prescrizione del diritto azionato" (III, 16 gennaio 2006, n. 726).

Alla luce di questi principi, pertanto, la decisione che sia limitata, come nel caso odierno, al punto di merito della durata decennale/quinquennale della prescrizione di un determinato diritto, lungi dal poter integrare, stante il proprio carattere del tutto parziale e astratto, gli estremi di un "decisum del tutto indipendente", rileva piuttosto quale affermazione costituente una semplice premessa della statuizione adottata, all'esito, sulla questione del maturarsi o meno della prescrizione del diritto azionato.

Da ciò la possibilità del Comune di Messina di rimetterla in discussione pur in difetto di un preventivo appello incidentale.

7.b. Tanto premesso, il Consiglio è dell'avviso che la tesi comunale della decennalità del termine prescrizionale della sorte capitale sia corretta.

In proposito deve infatti seguirsi il consolidato indirizzo giurisprudenziale che, muovendo dal principio che l'art. 2948, n. 4, c.c., che prevede la prescrizione quinquennale per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, si riferisce alle obbligazioni periodiche e di durata, le quali sono caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo (nel senso che soltanto con il protrarsi dell'adempimento nel tempo si realizza la causa del rapporto obbligatorio e può essere soddisfatto l'interesse del creditore attraverso la ricezione di più prestazioni, aventi un titolo unico ma ripetute nel tempo e autonome le une dall'altre), esclude la quinquennalità del termine prescrizionale in presenza della diversa ipotesi di un unico debito che semplicemente sia stato rateizzato in più versamenti (in termini cfr. Cass. civ., VI, 20 dicembre 2017, n. 30546; I, 8 agosto 2013, n. 18951; II, 27 novembre 2009, n. 25047; I, 6 dicembre 2006, n. 26161).

Ora, proprio quest'ultimo è il caso degli oneri concessori sulla cui prescrizione si controverte (eloquente, in tal senso, è il testo dell'art. 3 della l. n. 47/1985, trasfuso nell'art. 42 d.P.R. n. 380/2001; cfr. poi anche gli artt. 3, 5 e 6 della l. n. 10/1977, e le corrispondenti norme della l.r. n. 71/1978).

Di conseguenza, la durata del relativo termine prescrizionale, diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R., era quella ordinaria decennale (conclusione che nel paragr. 10.b si vedrà valere anche per i conferenti interessi).

8.a. Venendo ai contenuti propri del presente appello, è indubbiamente corretta la sua critica della decisione di prime cure per cui il T.A.R., nel proprio scrutinio dell'eccezione di prescrizione, sarebbe incorso nell'errore di esaminare solamente il quinquennio antecedente la data di notifica dell'intimazione di pagamento del 2018, e non anche il lungo periodo anteriore.

Il mero fatto, invero, che la prescrizione non risultasse compiuta nel segmento conclusivo del complessivo periodo intercorso non autorizzava a escludere tout court la sua maturazione, che ben avrebbe potuto essersi verificata anteriormente.

E il relativo accertamento non può che muovere, secondo un ordine logico, a partire dallo stesso originario avvio della decorrenza del termine prescrizionale.

8.b. Ai fini dell'identificazione del momento appena detto l'appellante si richiama all'indirizzo giurisprudenziale incline a individuare il relativo dies a quo nel momento stesso del rilascio della concessione edilizia.

Questa impostazione, per quanto non insolita nella giurisprudenza, non può tuttavia - almeno rispetto al caso concreto - essere condivisa, stante la sua incompatibilità con il pacifico e tradizionale canone per cui actioni nondum natae non praescribitur.

L'art. 2935 c.c. ("Decorrenza della prescrizione"), dispone, invero, che "La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere".

In presenza, pertanto, di rate degli oneri concessori connotate ciascuna da un proprio preciso termine di scadenza dettato nell'univoco interesse del debitore (rendendosi comunque applicabile sul punto anche la presunzione dettata dall'art. 1184 c.c.), la circostanza che i relativi pagamenti non possano essere pretesi prima (art. 1185 c.c.: "il creditore non può esigere la prestazione prima della scadenza, salvo che il termine sia stabilito esclusivamente a suo favore") comporta che il corso della prescrizione possa prendere a decorrere solo con la maturazione delle scadenze medesime (Cass. civ., VI, 25 gennaio 2018, n. 1947).

Alla luce delle indicazioni offerte alla pag. 3 dell'atto di appello vengono quindi in rilievo le seguenti scadenze: per le tre residue rate degli oneri di urbanizzazione i termini, rispettivamente, del 5 novembre 1988, 5 maggio 1989 e 5 novembre 1989; per le due rate dei costi di costruzione, i termini del 10 febbraio 1989 e del 3 settembre 1991.

8.c. Passando alla disamina dei possibili atti interruttivi della prescrizione, il Collegio deve subito disattendere l'assunto dell'appellante teso a disconoscere l'efficacia interruttiva degli atti comunali del 26 settembre 1996 e del 10 giugno 1999.

Con entrambi gli atti l'Ente creditore aveva azionato le due polizze fideiussorie emesse dalla UNIPOL il 9 marzo 1988 a garanzia del versamento dei contributi in discorso, richiedendo al garante i pagamenti omessi dal debitore.

Con l'appello viene opposto che i detti atti comunali non veicolavano alcuna richiesta nei confronti dell'interessato, nei cui riguardi avevano valore essenzialmente informativo.

Questa obiezione non è però persuasiva.

Occorre ricordare, in via di principio, che il fideiussore è obbligato in solido col debitore principale (art. 1944 c.c.), e che in materia di solidarietà l'art. 1310 c.c. ("Prescrizione") stabilisce che "Gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido ..., hanno effetto riguardo agli altri debitori o agli altri creditori".

La giurisprudenza, in argomento, ha poi puntualizzato che l'obbligazione del fideiussore, se non è stato pattuito il beneficium excussionis, pur avendo carattere accessorio, e pur essendo subordinata all'inadempimento del debitore principale, è solidale con quella di quest'ultimo, e non può essere considerata, quindi, né sussidiaria né eventuale. Ne consegue l'applicabilità in materia della disposizione, prevista per le obbligazioni in solido, di cui all'art. 1310 c.c., per la quale, appunto, l'atto interruttivo contro uno dei condebitori in solido determina l'interruzione della prescrizione anche nei confronti dei condebitori (Cass. civ., III, 29 novembre 2005, n. 26042).

Ciò posto, le fideiussioni emesse nella fattispecie dalla UNIPOL non solo non contemplavano un beneficium excussionis, ma addirittura espressamente lo escludevano (si veda l'art. 7 delle polizze).

Ne consegue che le richieste di pagamento recate dagli atti comunali del 26 settembre 1996 e del 10 giugno 1999 e rivolte al fideiussore costituivano cause interruttive della prescrizione efficaci anche nei confronti del debitore principale, odierno appellante.

8.d. Il Collegio deve aggiungere che ulteriori atti interruttivi dei crediti del Comune di Messina sono agevolmente individuabili quantomeno nell'ordinanza/ingiunzione del 5 maggio 2000 notificata il successivo giorno 27, nella cartella esattoriale notificata il 6 giugno 2006 e, infine, nell'ulteriore intimazione di pagamento notificata il 2 aprile 2013 (atti la cui valenza interruttiva è implicitamente riconosciuta nello stesso appello, nelle pagg. 7-8).

8.e. Quanto fin qui esposto è dunque sufficiente a concludere che la tesi dell'intervenuta prescrizione delle ragioni dell'Amministrazione risulta, quanto ai crediti per sorte capitale in discussione, destituita di fondamento.

9. Rimane da scrutinare la fondatezza dell'eccezione di prescrizione rispetto agli accessori costituiti dagli interessi, nonché dalle sanzioni previste dall'art. 50 l.r. n. 71 del 27 dicembre 1978.

9.a. Con riferimento a queste ultime l'articolo appena citato dispone:

"Il mancato o ritardato versamento del contributo per la concessione comporta:

a) la corresponsione degli interessi legali di mora se il versamento avviene nei successivi trenta giorni;

b) la corresponsione di una penale pari al doppio degli interessi legali qualora il versamento avvenga negli ulteriori trenta giorni;

c) l'aumento di un terzo del contributo dovuto, quando il ritardo si protragga oltre il termine di cui alla precedente lettera b)".

9.b. Dalla norma si desume che la sanzione costituita dall'aumento di un terzo del contributo dovuto si rende immediatamente irrogabile per il solo fatto che si sia registrato un ritardo nell'adempiere protratto oltre i sessanta giorni.

Da ciò il logico corollario che il corso della relativa prescrizione possa e debba partire sin dal superamento della soglia di ritardo così indicata.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, nel riferirsi alle simili previsioni dell'art. 42 d.P.R. n. 380/2001, osserva, del resto, che "il sistema di pagamento del contributo di costruzione è caratterizzato da uno strumento a sanzioni crescenti sino al limite di importo individuato dalla lett. c), dell'art. 42 cit., con chiara funzione di deterrenza dell'inadempimento, che trova applicazione, in base alla legge, al verificarsi dell'inadempimento dell'obbligato principale. La sanzione scatta automaticamente, quale effetto legale automatico (C.d.S., V, n. 5394 del 2011), se l'importo dovuto per il contributo di costruzione non è corrisposto alla scadenza..." (IV, 31 agosto 2017, n. 4123).

9.c. Quanto alla durata della specifica prescrizione, la communis opinio giurisprudenziale (cfr. ad es. Cass. civ., I, 6 novembre 2006, n. 23633) reputa applicabile, in mancanza di una diversa disciplina legale, il termine prescrizionale quinquennale stabilito dall'art. 28 della l. 24 novembre 1981, n. 689 (che va coordinato con l'art. 12 della stessa fonte, e stabilisce che "Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione").

9.d. Il termine prescrizionale riferibile alle sanzioni in discorso era perciò quello quinquennale, e decorreva, per ciascun rateo, a partire dal superamento dei sessanta giorni di ritardo nell'adempiere.

9.e. Tutto ciò posto, l'eccezione di prescrizione rispetto a tali sanzioni amministrative risulta dunque fondata.

Poiché le sanzioni medesime erano espressamente eccettuate dal contenuto delle fideiussioni prestate dalla UNIPOL, non possono qui giovare quali atti interruttivi le già menzionate richieste comunali di pagamento risalenti al 1996 e 1999 e rivolte solo al fideiussore.

La prima potenziale causa interruttiva risalirebbe allora all'ordinanza/ingiunzione del maggio 2000, la quale è stata adottata, tuttavia, allorché la prescrizione quinquennale si era già abbondantemente maturata.

10.a. Venendo al conclusivo tema degli interessi, il Collegio deve al riguardo preventivamente occuparsi del secondo motivo di appello.

Con questo l'appellante contesta la valutazione d'inammissibilità espressa dal T.A.R. sui suoi motivi aggiunti.

In occasione di tali motivi era stata dedotta la non debenza delle somme pretese dal Comune a titolo d'interessi, allegando che questi ultimi non sarebbero stati dovuti poiché richiesti in violazione dell'art. 50 della l.r. n. 71/1978, giacché la loro funzione era già assorbita, in concreto, dalla sanzione amministrativa prevista per il ritardo nel pagamento degli oneri concessori. Onde un'applicazione congiunta di sanzione e interessi avrebbe comportato un'inammissibile duplicazione di penalità.

Il T.A.R. ha però ritenuto, accogliendo sul punto l'eccezione comunale, che la ragione così prospettata di non debenza degli interessi avrebbe dovuto essere dedotta entro il termine decennale dell'azione di accertamento, mentre invece la contestazione era stata avanzata per la prima volta solo, appunto, con i motivi aggiunti del 17 maggio 2019.

Più in dettaglio, con la sentenza di prime cure è stato osservato che:

- l'eccezione comunale andava esaminata alla luce di quanto precisato dal Consiglio di Stato con la decisione dell'Adunanza plenaria n. 12/2018: "Il privato contro gli atti determinativi del contributo, sempre nel termine di dieci anni, può ricorrere (anche nelle forme dell'azione di mero accertamento) dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f, c.p.a.";

- tenuto conto di tale principio, qualsiasi contestazione circa l'ammontare degli oneri di urbanizzazione e del contributo di costruzione non soggiace al termine decadenziale d'impugnazione degli atti determinativi dell'an e del quantum ma può essere avviata anche con azione di accertamento, purché entro il termine decennale;

- nel caso concreto il ricorrente, da tempo destinatario della richiesta dell'ente pubblico degli accessori in esame, avrebbe dovuto contestare nel termine decennale l'asserita non debenza degli interessi: tale contestazione era stata invece avanzata, per la prima volta, soltanto con i motivi aggiunti notificati il 17 maggio 2019, ossia ben al di là del termine decennale entro il quale deve esercitarsi l'azione di accertamento.

Orbene, con il secondo motivo del presente appello il decisum del T.A.R. viene criticato opponendosi che il primo Giudice sarebbe incorso in un malgoverno dei principi espressi dalla decisione dell'Adunanza plenaria: ciò in quanto questa aveva riferito il menzionato termine decennale alle contestazioni dell'importo del contributo, e non anche a quelle relative all'applicabilità degli interessi.

Il Tribunale avrebbe inoltre omesso d'individuare con certezza il provvedimento dalla cui data il preteso termine decennale avrebbe preso a decorrere.

Il mezzo così motivato non è tuttavia persuasivo.

Al di là del testo letterale della richiamata sentenza dell'Adunanza plenaria n. 12/2018, non v'è dubbio che il primo Giudice abbia ritenuto che il "diritto" del privato a non subire la denunciata duplicazione insita nel cumulo di sanzione e interessi dovesse ritenersi caduto in prescrizione per scadenza del relativo termine generale decennale.

Gli argomenti critici offerti dall'appellante non si presentano, però, in alcun modo indirizzati alla confutazione di un siffatto iter logico, manifestandosi invece fuori fuoco (tra l'altro, non è stato contestato che da parte del Comune fosse stata sollevata una corrispondente eccezione di prescrizione).

Né può addebitarsi al T.A.R. di aver lasciato indeterminato il provvedimento dalla cui data il termine prescrizionale avrebbe preso a decorrere, che è stato identificato dal Tribunale con sufficiente chiarezza nella cartella esattoriale del 2006.

Il secondo motivo di appello deve pertanto essere disatteso (nel senso della possibilità del cumulo in discorso cfr., comunque, C.d.S., V, 23 maggio 2003, n. 2789).

10.b. L'appellante non può essere seguito, se non marginalmente, neppure nel suo assunto circa l'intervenuta prescrizione del credito comunale concernente gli interessi.

Anche in questo caso, diversamente da quanto afferma il ricorrente, il termine prescrizionale è decennale, e non quinquennale.

La giurisprudenza civile ha da tempo posto invero in luce che, poiché l'art. 2948 c.c. prevede si prescriva in cinque anni "tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi", e in via di esemplificazione fa riferimento agli "interessi", deve ritenersi che, in tanto gli interessi sono soggetti alla prescrizione quinquennale, in quanto per legge o per contratto sia previsto che il creditore possa ottenere il loro pagamento a scadenze annuali, o inferiori.

Diversamente, invece, allorché nulla preveda il titolo, e gli interessi stessi possano perciò essere reclamati dal creditore solo unitamente alla somma capitale, gli stessi non possono essere soggetti a un termine di prescrizione diverso rispetto a quello applicabile al capitale (Cass. civ., III, 29 gennaio 1999, n. 802).

In altre parole, anche gli interessi previsti dall'art. 2948 c.c. devono soddisfare il requisito della periodicità della corresponsione dovuta. Pertanto, in assenza di una previsione legale o contrattuale che stabilisca il versamento periodico degli interessi, ossia quando gli stessi debbano essere versati in un'unica soluzione, il diritto a percepire questi ultimi resta soggetto alla prescrizione ordinaria decennale (in questo senso cfr. altresì Cass. civ., III, 1° luglio 2005, n. 14080; I, 16 novembre 2007, n. 23746; II, 23 settembre 2011, n. 19487; III, 11 novembre 2015, n. 22978).

Questa impostazione è stata applicata anche all'ipotesi, qui ricorrente, del debito rateizzato in prestazioni periodiche costituenti adempimento parziale di un'unica obbligazione principale, in cui pure, ravvisandosi un'identità della causa debendi tra l'obbligazione accessoria e quella principale, il termine di prescrizione è stato identificato anche per gli interessi in quello ordinario decennale (Cass. civ., II, 27 novembre 2009, n. 25047).

E l'impostazione va seguita anche nella fattispecie concreta, in cui gli interessi dovuti per il ritardato pagamento degli oneri concessori maturano, certo, progressivamente nel tempo in ragione del crescere del ritardo, ma, non essendo prevista una loro autonoma erogazione periodica frazionata nel tempo, sono soggetti in via di principio a corresponsione globale in un'unica soluzione, unitamente al capitale dovuto.

Fatta chiarezza, pertanto, sulla natura decennale della prescrizione applicabile agli interessi in controversia, è del tutto conseguente che gli stessi atti interruttivi che sono stati già passati in rassegna nei paragrr. 8.c e 8.d, concernendo anche gli interessi (con la sola eccezione del primo di essi, la richiesta di pagamento del 26 settembre 1996), risultino idonei a interrompere il corso della prescrizione anche rispetto ai medesimi.

Poiché, tuttavia, il primo atto interruttivo riferibile anche agli interessi rimonta soltanto al 10 giugno 1999, devono ritenersi prescritti gli esigui ratei d'interesse maturatisi già anteriormente al 10 giugno 1989.

11. In conclusione l'appello è suscettibile d'accoglimento, oltre che sul marginale punto testé indicato, limitatamente alle sanzioni previste dall'art. 50 l.r. n. 71/1978, anch'esse non dovute in quanto prescritte, mentre sotto ogni altro aspetto deve essere respinto, con l'integrazione della motivazione della sentenza di prime cure mediante gli argomenti sopra esposti.

La reciprocità della soccombenza giustifica la compensazione delle spese processuali tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione, ed entro gli stessi limiti, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, per l'effetto dichiarando prescritto il credito comunale per accessori nei termini sopra illustrati.

Respinge l'appello per quanto residua.

Compensa tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

P. Gallo

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