Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 15 febbraio 2021, n. 1386

Presidente: Santoro - Estensore: Lopilato

FATTO E DIRITTO

1. Il Comune di Parma ha adottato nei confronti della sig.ra B. i seguenti atti: i) atto del 30 giugno 2009, prot. n. 113768, di rigetto del condono edilizio relativo ad una cantina adibita ad abitazione; ii) atto 1° luglio 2009, prot. n. 115043, con il quale tale bene è stato ritenuto inabitabile; iii) atto 6 luglio 2009, prot. n. 118180, con il quale è stato ingiunta la demolizione delle opere abusive, in quanto non condonate e di ripristinare lo stato dei luoghi.

2. La sig.ra ha impugnato tali atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, per i motivi riproposti in sede di appello e riportati nei successivi punti.

3. Il Tribunale amministrativo, con sentenza 15 luglio 2014, n. 301, ha rigettato il ricorso.

4. La ricorrente di primo grado ha proposto appello.

5. Si è costituita in giudizio l'amministrazione comunale, chiedendo il rigetto dell'appello.

6. La causa è stata decisa all'esito dell'udienza pubblica del 28 gennaio 2021.

7. L'appello, a prescindere dalla mancanza di specificità delle censure riferite alla sentenza, non è fondato.

8. Con un primo motivo si assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto la illegittimità del rigetto istanza di condono edilizio.

In particolare, si assume che, in data 29 settembre 1986, il sig. F. Gaetano, detentore all'epoca del bene in esame, aveva presentato istanza di condono edilizio per aumento di superficie da mt. 11,00 a mt. 16,50 a seguito di realizzazione di un vano servizi nel cavedio condominiale e per cambio di destinazione d'uso da cantina/magazzino ad abitazione. Tale domanda, contrariamente da quanto affermato dal Comune, avrebbe avuto ad oggetto interventi realizzati entro i termini prescritti dalla normativa sul condono.

Il motivo non è fondato.

In via preliminare, deve rilevarsi, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, che non si sia formato il silenzio assenso in ordine alla domanda di condono, in quanto l'amministrazione aveva ritenuto necessarie integrazioni documentali, indirizzando, correttamente, la relativa richiesta alla parte che aveva presentato la domanda di condono.

Tale domanda è stata legittimamente ritenuta non meritevole di accoglimento.

L'onere di dimostrare che gli interventi edilizi sono stati realizzati prima del 1° ottobre 1983 incombe in capo alla parte che propose l'istanza di sanatoria. Nella specie, tale prova non è stata fornita, essendo generico il riferimento ai lavori condominiali. Né varrebbe richiamare l'autodichiarazione della parte che ha presentato tale istanza sia perché si tratta di un soggetto diverso dall'appellante sia, soprattutto, perché tale domanda non esime il Comune dall'effettuare i dovuti controlli pubblici sul suo contenuto.

Nel caso in esame, l'amministrazione ha ritenuto, con gli atti impugnati, che non fosse stata fornita la prova della ultimazione in tempo utile, ai fini del condono, dei lavori effettuati. In particolare, si è rilevato che nell'atto notarile di acquisto del bene in esame, stipulato nel dicembre del 2008, tale bene viene descritto come "cantina", il che sarebbe sufficiente per desumere che il cambio di destinazione non fosse stato disposto in data anteriore.

Si tratta di un elemento probatorio rilevante che è sufficiente - come, correttamente, messo in rilievo dal primo giudice - per ritenere, in assenza di prova positiva fornita dalla parte, che non vi fossero i presupposti per l'accoglimento della domanda di condono.

9. Con un secondo motivo si assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto non abitabile l'immobile, in quanto, si afferma, le dimensioni dello stesso (pari a 28 metri quadri) sarebbero conformi alle regole di disciplina della materia.

Il motivo non è fondato.

A prescindere dalla questione della dimensione, l'amministrazione sanitaria ha accertato, ai sensi dell'art. 222 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, che l'immobile si trova, per il suo stato, in una situazione di insalubrità. Ciò è sufficiente per ritenere legittimo, anche sotto questo aspetto, l'atto adottato.

10. I motivi riproposti sono inammissibili per difetto di specificità.

In ogni caso, si tratta di motivi dal contenuto analogo a quelli già esaminati.

Con riguardo alla asserita violazione del preavviso di rigetto di cui all'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, la stessa, anche a prescindere dalla indicata inammissibilità, non sussiste.

Tale articolo prevede che: i) «nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda»; ii) «entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti»; iii) «dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale»; iv) «non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione» (art. 10-bis).

L'art. 21-octies, secondo comma, della l. n. 241 dispone che: i) «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato» (primo periodo); ii) «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato» (secondo periodo).

Questo Consiglio, con orientamento costante, ritiene che «la mancata comunicazione del preavviso di rigetto non comporta l'automatica illegittimità del provvedimento finale in quanto la previsione di cui all'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 deve essere interpretata alla luce del successivo art. 21-octies, comma 2, il quale, nell'imporre al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, rende irrilevante la violazione delle disposizioni sul procedimento o sulla forma dell'atto quando il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato» (C.d.S., sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 1144; s. v. anche C.d.S., sez. V, 10 giugno 2019, n. 3882; C.d.S., sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156; C.d.S., sez. V, 9 ottobre 2018, n. 5793; C.d.S., sez. IV, 16 giugno 2017, n. 2953).

Nel caso in esame, la parte non ha addotto alcun elemento di prova volto a dimostrare che se fosse stato adottato il preavviso di rigetto avrebbe potuto introdurre nel procedimento elementi idonei ad incidere sul contenuto sostanziale della determinazione finale adottata.

11. Per le plurime ragioni sin qui esposte, non sussistono i presupposti per accogliere l'appello.

12. La particolarità della vicenda giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta l'appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;

b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

P. Loddo (cur.)

L'amministratore di sostegno

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