Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 9 aprile 2021, n. 2905

Presidente: Caringella - Estensore: Barreca

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, n. 13514 del 15 dicembre 2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha dichiarato l'illegittimità del silenzio serbato da Roma Capitale sull'istanza presentata, in data 16 settembre 2019, dalla società P.P.O. s.r.l. per il trasferimento della licenza di somministrazione tra due sedi site nello stesso ambito ai sensi della delibera c.c. n. 35/2010.

Conseguentemente ha dichiarato l'obbligo dell'amministrazione di provvedere in ordine a detta istanza, assegnando, a tal fine, il termine di giorni sessanta dalla data di notifica della decisione da parte della ricorrente, fatta salva la nomina di commissario ad acta in caso di persistente inottemperanza e ferma restando la trasmissione al giudice contabile per la valutazione degli eventuali profili di responsabilità emergenti.

1.1. Il Tribunale amministrativo regionale ha quindi condannato Roma Capitale al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 1.500,00, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore della parte ricorrente, dichiaratosi antistatario.

2. Roma Capitale ha proposto appello avverso la sentenza, censurandone la parte in cui, in motivazione, ha affermato che la ricorrente avrebbe confermato, in vista della discussione, "il perdurare dell'inerzia" dell'amministrazione.

L'appellante ha osservato che, in disparte l'ambiguità ed il contesto delle note depositate dalla società il 10 ottobre 2020, che possono aver indotto in errore il giudice, quelle non affermavano la persistente inerzia di Roma Capitale né l'avrebbero potuta affermare poiché con determina prot. CA/65708/2020 dell'11 marzo 2020 l'amministrazione aveva provveduto sull'istanza della società esprimendo il proprio diniego all'istanza di autorizzazione al trasferimento di sede.

Ha chiesto quindi la riforma della sentenza appellata e la dichiarazione di improcedibilità del ricorso proposto in primo grado per sopravvenuta carenza d'interesse, previa sospensione dell'esecutività sia quanto alla condanna a provvedere sia quanto alla condanna al pagamento delle spese processuali; con vittoria delle spese legali del doppio grado.

2.1. La società P.P.O. si è costituita per resistere all'appello, deducendo che l'appellante sarebbe priva di interesse perché la sentenza ordina la conclusione di un procedimento già concluso e comunque la ricorrente aveva già fatto presente, per le vie brevi, al difensore della controparte che avrebbe posto in esecuzione la sentenza limitatamente alla condanna al pagamento delle spese processuali.

Ha aggiunto che l'appello sarebbe inammissibile per divieto dello ius novum, in quanto in primo grado, non è stata depositata la determina di diniego dell'autorizzazione né altra documentazione e, pur avendo il difensore di Roma Capitale partecipato all'udienza di discussione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, non avrebbe dato conto della conclusione del procedimento. Pertanto, Roma Capitale sarebbe decaduta dal deposito di documenti e dalla pretesa di far esaminare al giudice di appello ciò che non è stato oggetto di esame da parte del primo giudice. Quest'ultimo, in ogni caso, non sarebbe incorso in alcun errore in iudicando o in procedendo, atteso il mancato esercizio di difesa in primo grado da parte di Roma Capitale.

Ha perciò concluso chiedendo la dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità dell'appello e la conferma della condanna alla spese del primo grado di giudizio, asseritamente dovute anche in applicazione del principio della soccombenza virtuale, per avere Roma Capitale provveduto sull'istanza soltanto dopo l'instaurazione del giudizio avverso il silenzio e dopo ben otto mesi dalla presentazione dell'istanza medesima.

2.2. Fissata la camera di consiglio del 25 marzo 2021 per la decisione sull'istanza cautelare, entrambe le parti hanno depositato memorie.

2.3. Il Collegio, accertata la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 60 c.p.a., ha deciso di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, deliberando in camera di consiglio ai sensi dell'art. 25, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla l. n. 176 del 2020, il quale prevede che durante il periodo 9 novembre 2020-30 aprile 2021 (così prorogato il periodo di cui allo stesso art. 25, comma 1, dall'art. 1, comma 17, del d.l. n. 183 del 2020, convertito dalla l. n. 21 del 2021), salvo quanto previsto sulla facoltà delle parti di depositare note di udienza o di chiedere la discussione orale, "gli affari in trattazione passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 60 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010 , n. 104, omesso ogni avviso. [...]".

La possibilità di definire il giudizio in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata è quindi da intendersi riconosciuta alle condizioni fissate dall'art. 60 c.p.a. La natura eccezionale della disposizione - connessa "all'emergenza epidemiologica da COVID 19", come da rubrica del testo normativo che la contiene - comporta che il contraddittorio sulla definizione del giudizio ai sensi dell'art. 60 c.p.a. (laddove la norma del codice del processo amministrativo richiede che siano "sentite sul punto le parti costituite") è sostituito dallo scambio di note, ma "omesso ogni avviso". In sintesi, la possibilità della definizione del giudizio con sentenza semplificata è così prevista ex lege.

2.3.1. Nel caso di specie, in mancanza di opposizione o di dichiarazione di voler proporre "motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione", sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 60 c.p.a., come richiamato dall'art. 25, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020.

3. Preliminarmente vanno disattese le eccezioni di improcedibilità dell'appello per carenza di interesse e di inammissibilità per divieto dei nova in appello.

3.1. L'interesse di Roma Capitale alla riforma della sentenza di primo grado è palese, anche soltanto a voler considerare la condanna al pagamento delle spese processuali.

3.2. Il divieto di cui all'art. 104 c.p.a., poi, non può operare in ragione del principio per il quale sussiste il potere del giudice di appello di rilevare ex officio la esistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado (con particolare riguardo alla condizione rappresentata dall'interesse a ricorrere), non potendo ritenersi che sul punto si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione, ogniqualvolta il primo giudice non si sia espressamente pronunciato sulla questione (cfr., da ultimo, C.d.S., Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4).

Conseguentemente, sono producibili in appello, perché in tesi "indispensabili" ai sensi dell'art. 104, comma 2, c.p.a., i documenti, preesistenti o successivi al gravame, che attengono alla definizione in rito della controversia (cfr. C.d.S., IV, 11 novembre 2014, n. 5509; V, 5 ottobre 2015, n. 4623; III, 27 giugno 2017, n. 3142; e, di recente, V, 21 novembre 2018, n. 6574), quindi anche quelli concernenti l'inesistenza o la sopravvenuta carenza dei presupposti processuali o delle condizioni dell'azione.

4. Nel merito, il ricorso è fondato.

Risulta dagli atti, senza che sia contestato dalla società appellata, che Roma Capitale ha provveduto sull'istanza della società con determinazione dell'11 marzo 2020, esprimendo il proprio "diniego all'istanza avente ad oggetto la richiesta di autorizzazione al trasferimento di sede dell'attività di somministrazione da Via della Scrofa 1 a Largo del Teatro Valle n. 3 aprile 4° - via del Melone 2/4 della Società P.P.O. Srl".

La società è stata resa edotta della determinazione con notificazione in data 22 maggio 2020 - quindi in pendenza del primo grado del presente giudizio e diversi mesi prima del deposito delle note conclusive del 10 ottobre 2020 - ed anzi la determinazione è stata impugnata dalla società P.P.O. con ricorso notificato a Roma Capitale il 25 maggio 2020, iscritto dinanzi al medesimo T.a.r. Lazio - Roma, con il n. r.g. 3777/2020 (nell'ambito del quale si è svolta la fase cautelare, in primo grado e in appello, sfavorevole alla ricorrente).

4.1. Poiché il provvedimento espresso sopravvenuto è stato autonomamente impugnato, non avendo la ricorrente ritenuto di proseguire il giudizio avverso il silenzio ai sensi del comma 5 dell'art. 117 c.p.a., va dichiarata, in accoglimento dell'appello ed in riforma della sentenza di primo grado, l'improcedibilità del ricorso per avere l'amministrazione capitolina provveduto sull'istanza della società ricorrente nelle more del giudizio di primo grado.

Infatti, la condanna dell'amministrazione a provvedere ai sensi dell'art. 117 c.p.a. presuppone che al momento della pronuncia del giudice perduri l'inerzia e che dunque non sia venuto meno l'interesse del privato istante a ottenere una pronuncia dichiarativa dell'illegittimità del silenzio-inadempimento. Trattandosi di una condizione dell'azione, questa deve persistere fino al momento della decisione; pertanto, l'emanazione di un provvedimento (o l'adozione di un comportamento) esplicito in risposta all'istanza dell'interessato o in ossequio all'obbligo di legge, rende il ricorso inammissibile per carenza originaria dell'interesse ad agire o improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, a seconda se il provvedimento (o il comportamento conforme all'interesse del privato) intervenga prima della proposizione del ricorso o nelle more del giudizio conseguentemente instaurato (cfr. ex multis: C.d.S., III, 4 maggio 2018, n. 2660; V, 14 aprile 2016, n. 1502; V, 1° ottobre 2015, n. 4605).

5. L'accoglimento dell'appello e la riforma della sentenza di primo grado comportano la necessità di pronunciarsi sulle spese processuali di tale grado.

Si ritiene che sussistano giusti motivi di compensazione, considerati, per un verso, il ritardo dell'amministrazione nel provvedere espressamente sull'istanza della società interessata, ma, per altro verso, la condotta processuale di quest'ultima, che non ha fatto presente la sopravvenuta ragione di improcedibilità del ricorso (spettando alla ricorrente l'onere di dare conto della permanenza delle condizioni dell'azione, tra cui l'interesse alla pronuncia, a prescindere dall'eccezione di controparte).

6. Sussistono giusti motivi per compensare anche le spese del presente grado, poiché l'appellante vittoriosa avrebbe potuto evitare il gravame, eccependo, a sua volta, l'improcedibilità del ricorso già nel corso del giudizio di primo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, dichiara improcedibile il ricorso proposto dalla società P.P.O. s.r.l.

Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.