Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 19 gennaio 2021, n. 10491

Presidente: Dovere - Estensore: Bruno

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 gennaio 2020, la Corte di appello di Roma, decidendo ai soli effetti civili, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Roma, ha condannato C. Andrea e M. Paolo, imputati del reato di omicidio colposo, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede e al pagamento di una provvisionale in favore di T. Barbara e F. Christian per un ammontare complessivo di euro 50.000.

I ricorrenti, medici chirurghi in servizio presso l'ospedale Fatebenefratelli di Roma, erano stati tratti a giudizio per il reato di cui all'art. 589 c.p. per avere cagionato il decesso di F. Antonio decidendo di non procedere con urgenza ad effettuare sul paziente un intervento chirurgico di appendicite, nonostante la diagnosi di sospetto peritonismo e una situazione sintomatica rivelatrice di una infiammazione acuta in atto.

Il Tribunale di Roma, con pronuncia del 6 marzo 2017, aveva mandato assolti gli imputati "perché il fatto non sussiste".

La Corte di appello, in seguito ad impugnazione della sola parte civile, ha individuato profili di responsabilità a carico dei due sanitari, sostenendo che, attese le condizioni di assoluta urgenza del caso e la evidenza della diagnosi, costoro avrebbero dovuto immediatamente richiedere la disponibilità di una sala operatoria nella struttura ospedaliera, intervenendo chirurgicamente sul paziente, nonostante l'indisponibilità di posti letto, anche accettando di collocare il F., nel decorso post operatorio, in un altro reparto o in un posto barella. Il ritardo nell'intervento, dovuto anche alla effet[t]uazione di un accertamento superfluo (TAC addome), sostengono i giudici distrettuali, avrebbe determinato il decesso del paziente, rendendo irreversibile la condizione patologica acuta.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma hanno proposto ricorso per cassazione C. Andrea e M. Paolo, a mezzo dei rispettivi difensori, lamentando quanto segue.

2. In favore di C. Andrea.

2.1. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 589 c.p. e 192 c.p.p.; erronea interpretazione e applicazione della legge penale in relazione agli artt. 589 e 40 c.p.

In relazione al primo profilo di colpa ritenuto in sentenza dalla Corte d'appello, consistito nell'aver sottoposto il paziente ad un accertamento non necessario (TAC addome), attesa la già evidente sintomatologia presente al momento dell'arrivo in ospedale, tale da rendere indispensabile un immediato intervento chirurgico, la Corte di merito avrebbe espresso una motivazione che presenta evidenti connotati di erroneità.

Le giustificazioni addotte a fondamento dell'assunto sarebbero puramente assertive, sfornite di qualsivoglia supporto tecnico-scientifico e in contrasto con le argomentazioni espresse dai testimoni qualificati esaminati nel corso del giudizio.

La dr.ssa Fa. Diana, che aveva preceduto i due colleghi nell'esame del paziente al momento dell'ingresso in pronto soccorso, ha escluso che al momento del suo intervento le condizioni cliniche del F. potessero fare pensare ad un'appendicite acuta, precisando che la manifestazione di un addome acuto può costituire sintomo di un aneurisma, di un'appendicite acuta in peritonite diffusa, di una occlusione con perforazione, di una diverticolite perforata.

Il prof. Ci., consulente tecnico nominato dal PM, nei due elaborati depositati nel corso del procedimento, si era espresso in termini diversi da quelli risultanti dalla motivazione della sentenza. Nella prima relazione tecnica del 6 agosto 2010, il consulente aveva implicitamente sostenuto la correttezza della decisione di sottoporre a TAC il paziente, evidenziando che unico aspetto critico nella gestione del paziente, presso l'ospedale Fatebenefratelli, era rappresentato dal suo trasferimento in altra struttura, fatto imputabile a ragioni organizzative e non a colpa dei sanitari.

Quanto alla situazione di emergenza, il medesimo consulente, aveva osservato che, al momento della somministrazione della TAC, il paziente era sufficientemente compensato, sebbene il quadro fosse di urgenza clinica.

In relazione al secondo profilo di colpa, consistito nel non avere sottoposto il paziente ad intervento chirurgico subito dopo i risultati della TAC, avviando la ricerca di un posto letto in altra struttura, la Corte di merito ha sostenuto che i medici avrebbero dovuto richiedere la immediata disponibilità della sala operatoria per avviare il paziente all'intervento ch[i]rurgico e, solo in caso di indisponibilità della camera operatoria, avrebbero dovuto attivarsi per collocare altrove il paziente.

Tale assunto contrasterebbe con le emergenze probatorie e con la precisa indicazione fornita dal consulente tecnico del PM, il quale, nella sua deposizione, ha rimarcato come, in assenza di un posto letto, non sarebbe stato possibile assistere il paziente, portatore di una pregressa patologia cardiaca, nella delicata fase post operatoria.

Secondo i giudici di merito entrambe le condotte colpose erano causalmente connesse con la morte del paziente. L'anticipazione dell'intervento al momento dell'ingresso in ospedale o subito dopo la TAC avrebbe garantito alla persona offesa concrete possibilità di sopravvivenza.

Tali affermazioni sarebbero tuttavia meramente assertive perché sprovviste di qualsivoglia supporto tecnico: il consulente ed i periti nominati dalla Corte di appello hanno infatti escluso che un immediato intervento operatorio avrebbe sortito un effetto salvifico.

2.2. Mancanza di motivazione in relazione agli artt. 589 c.p., 125, comma 3, c.p.p., 192 c.p.p. e 533 c.p.p.

Il secondo Giudice avrebbe violato gli obblighi motivazionali imposti dalle Sezioni unite Mannino in presenza di overturning, non rispettando i canoni della motivazione rafforzata e giungendo alla condanna del ricorrente nonostante la sussistenza di ragionevoli dubbi in ordine alla responsabilità.

2.3. Mancanza di motivazione in relazione all'art. 603, comma 3, c.p.p.

Sebbene l'art. 603, comma 3, c.p.p., non sia suscettibile di interpretazione estensiva in relazione ai casi di appello per i soli interessi civili, tuttavia la Corte territoriale avrebbe dovuto procedere alla riassunzione della deposizione del consulente del PM e degli altri testimoni, le cui dichiarazioni rappresenterebbero "prove decisive" secondo le indicazioni contenute nella sentenza Dasgupta, che non pone distinzioni al riguardo e che impone la riassunzione delle prove dichiarative in caso di ribaltamento del verdetto assolutorio.

2.4. Mancanza di motivazione in relazione all'art. 539, comma 2, c.p.p.

Il Giudice di seconde cure avrebbe quantificato la provvisionale irrogata senza indicare le ragioni della prova del danno cagionato entro l'importo determinato in sentenza.

3. In favore di M. Paolo.

3.1. Erronea applicazione di legge penale in relazione agli artt. 43 e 589 c.p. con riferimento alla esigibilità della condotta in capo all'imputato, avuto riguardo alle condizioni generali del F. al momento dell'accesso al pronto soccorso; vizio di motivazione con riferimento alle dichiarazioni acquisite dal consulente tecnico, dai medici e dai periti nel corso del dibattimento, in relazione alla prima parte della condotta colposa contestata al ricorrente, riguardante la sottoposizione del F. ad una TAC.

Le argomentazioni della Corte d'appello sarebbero in evidente contraddizione con le testimonianze qualificate assunte nel corso del dibattimento. Da ciò sarebbe dipesa una motivazione frutto di un'interpretazione del fatto generica e priva di apporti tecnici. Inoltre il Giudice di seconde cure non avrebbe adempiuto all'obbligo di offrire una motivazione rafforzata richiesta dalla giurisprudenza di legittimità per ribaltare il verdetto assolutorio di primo grado.

3.2. Erronea applicazione della legge penale con riguardo agli artt. 43 e 589 c.p. in relazione alla esigibilità della condotta ascritta all'imputato, avuto riguardo alle condizioni generali dei F. al momento dell'accesso al pronto soccorso.

Contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione alle risultanze di una pluralità di acquisizioni probatorie (dichiarazioni del dott. Fe. Maurizio, dichiarazioni del prof. Ci. Costantino, dichiarazioni dei consulenti della difesa e dei periti nominati dalla Corte di appello) con riferimento alla seconda parte della condotta colposa contestata, riguardante l'addebito di non aver operato il F. presso l'ospedale Fatebenefratelli per indisponibilità dei posti letto.

3.3. Erronea applicazione della legge penale con riguardo agli artt. 40 e 589 c.p.; mancanza del necessario nesso causale tra la condotta colposa e l'evento, nonché vizio motivazionale per travisamento della prova con riferimento alle dichiarazioni del prof. Ci. e alle risultanze della perizia collegiale disposta dalla Corte d'appello.

La Corte di appello sarebbe incorsa in un evidente travisamento della prova in punto di nesso causale, avendo apoditticamente disatteso tutte le risultanze probatorie, dalle quali emergerebbe in modo univoco che un immediato intervento chirurgico al momento del ricovero non avrebbe comunque consentito di salvare il paziente, in ragione della sua peculiare situazione clinica.

4. Nei termini di legge hanno rassegnato conclusioni scritte per l'udienza camerale senza discussione orale (art. 23, comma 8, d.l. 137/2020) il PG e la difesa di parte civile.

Il PG, concludendo per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, chiede il differimento della trattazione del giudizio a udienza successiva, essendo pendente innanzi alle Sezioni unite la questione riguardante la individuazione del giudice di rinvio, civile o penale, in caso di annullamento, ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, della sentenza di secondo grado che, in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento del danno.

La difesa di parte civile, con memoria datata 5 novembre 2020, depositata il 10 novembre 2020, ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi. In subordine, in caso di annullamento della sentenza, prospetta la competenza del giudice penale, quale giudice di rinvio, richiamando Sez. 4, n. 11958 del 13 febbraio 2020, Rv. 278746-01.

Con ulteriore memoria pervenuta in data 8 gennaio 2021, nel confutare le argomentazioni contenute nei ricorsi e quelle espresse dal PG nella requisitoria scritta, insiste nella declaratoria d'inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati e devono essere accolti nei termini di seguito precisati.

2. Comuni ai ricorrenti sono le ragioni di doglianza riguardanti la mancanza di una motivazione rafforzata nella sentenza ed il viz[i]o logico afferente alla valutazione delle prove scientifiche convogliate nel giudizio (motivi secondo e terzo del ricorso proposto da C. Andrea; motivo primo del ricorso proposto da M. Paolo).

Le critiche evidenziate nei ricorsi con riferimento a tali aspetti sono fondate e rivestono carattere assorbente rispetto alle ulteriori deduzioni contenute nei rispettivi atti di impugnazione.

3. Risulta dalla lettura delle sentenze di merito che la Corte di appello si è sottratta all'obbligo di fornire una motivazione rafforzata.

Occorre, prima di procedere oltre nell'esame del caso specifico, richiamare i principi che questa Corte ha da tempo elaborato sul tema, pacificamente estensibili anche alla ipotesi di ribaltamento, ai soli effetti civili, della sentenza assolutoria.

Quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado sono concordanti, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso argomentativo. Nel caso in cui, invece, per diversità di apprezzamenti, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, egli non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa del giudice di primo grado - genericamente richiamata - delle semplici notazioni critiche di dissenso, essendo invece necessario che riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, che consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (cfr. Sez. un., n. 6682 del 4 febbraio 1992, PM, pc. Musumeci e altri, Rv. 191229-01).

Tali principi sono stati successivamente ribaditi ed approfonditi, essendosi affermato che, in caso di totale riforma della decisione di primo grado, il giudice dell'appello ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della sentenza di primo grado, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cfr. Sez. un., n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 6, n. 1253 del 28 novembre 2013, Rv. 258005; n. 46742 dell'8 ottobre 2013, Rv. 257332; Sez. 4, n. 35922 dell'11 luglio 2012, Rv. 254617).

Ai fini della riforma della sentenza assolutoria, pertanto, in assenza di elementi sopravvenuti, non è sufficiente una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, che sia caratterizzata da pari plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo una maggior forza persuasiva, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (cfr. Sez. 1, n. 12273 del 5 dicembre 2013, Rv. 262261; Sez. 6, n. 45203 del 22 ottobre 2013, Rv. 256869; Sez. 6, n. 46847 del 10 luglio 2012, Rv. 253718).

Il tema coinvolge anche quello della corretta interpretazione del canone del "ragionevole dubbio", quale limite alla riforma di una sentenza assolutoria, avendo le Sezioni unite di questa Corte, nella nota pronuncia Dasgupta (Sez. un., n. 27620 del 28 aprile 2016), evidenziato che, per effetto del rilievo dato alla introduzione di tale canone di giudizio, inserito nel comma 1 dell'art. 533 c.p.p. ad opera della l. 20 febbraio 2006, n. 46 (già individuato dalla giurisprudenza quale inderogabile principio atto ad informare i criteri fondanti la decisione: v. Sez. un., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, Rv. 222139), nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, occorrendo una "forza persuasiva superiore", tale da far venire meno "ogni ragionevole dubbio" (ex plurimis, Sez. 3, n. 6817 del 27 novembre 2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 5 dicembre 2013, dep. 2014, Ciaramella, Rv. 262261; Sez. 6, n. 45203 del 22 ottobre 2013, Paparo, Rv. 256869; Sez. 2, n. 11883 dell'8 novembre 2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez. 6, n. 8705 del 24 gennaio 2013, Farre, Rv. 254113; Sez. 6, n. 46847 del 10 luglio 2012, Aimone, Rv. 253718).

Si è quindi precisato, nel definire i requisiti da soddisfare nell'adempimento dell'obbligo di rendere una motivazione rafforzata, in caso di riforma di una sentenza assolutoria, che il giudice deve compiutamente indicare le ragioni per cui una determinata prova sia suscettibile di assumere una valenza dimostrativa completamente diversa da quella ritenuta dal giudice di primo grado, dando conto degli istituti di diritto sostanziale e processuale che sorreg[g]ono la diversa valutazione, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva maggiore (cfr. Sez. 6, n. 51898 dell'11 luglio 2019, Rv. 278056-01).

La necessità di una motivazione rafforzata deve informare di sé, in ogni caso, il ragionamento posto a fondamento di una decisione opposta a quella adottata dal giudice di primo grado, anche quando la riforma abbia riguardato i soli effetti civili e anche ove sia stata disposta in secondo grado una perizia (cfr. in argomento la recente Sez. 4, n. 42868 del 26 settembre 2019, Rv. 277624-01, così massimata: «La necessità, per il giudice di appello, di redigere una motivazione "rafforzata" sussiste anche nel caso in cui la riforma ai soli effetti civili della sentenza di assoluzione di primo grado si fondi su una perizia espletata nel giudizio d'appello, dovendo, in tal caso, il giudice dell'impugnazione confrontarsi con il sapere scientifico introdotto nel processo di primo grado dai consulenti tecnici di parte e posto alla base della sentenza impugnata»).

4. Orbene, deve senz'altro escludersi, alla luce dei richiamati principi, che la Corte di appello abbia soddisfatto tali obblighi motivazionali, essendosi limitata ad intraprendere un autonomo percorso logico argomentativo, in contrasto con tutte le risultanze probatorie scientifiche acquisite nel corso del dibattimento, ivi comprese quelle risultanti dalla perizia espletata in appello, discostandosi dalla motivazione offerta dal primo giudice, senza confutarne in modo specifico i principali argomenti.

Il mancato rispetto del principio di cui si è detto, come lamentato dalle difese degli imputati, risulta evidente in diversi passaggi motivazionali, riguardanti sia i profili colposi contestati agli imputati, sia il giudizio controfattuale.

Il giudice di primo grado, ripercorrendo la vicenda nella sua interezza, ha ricordato che il ricovero del paziente presso l'ospedale Fatebenefratelli era stato preceduto da analogo ricovero, in data 7 febbraio 2010, presso l'ospedale Santo Spirito. In relazione a tale degenza era stato tratto a giudizio altro sanitario con l'accusa di omicidio colposo, per non avere individuato nel paziente la presenza di una franca reazione peritoneale alla palpazione dell'addome, legata alla propagazione dell'infiammazione appendicolare, per non avere richiesto un videat chirurgico e, infine, per non avere disposto un ricovero temporaneo in osservazione del paziente, al fine di provvedere ad una rivalutazione del caso dopo 4-6 ore di distanza.

Nel riportare le conclusioni del CT prof. Ci. - il quale aveva proceduto ad accertamento necroscopico sulla salma, come da incarico conferito dal PM nel febbraio 2010, e ad una successiva consulenza nell'ambito del presente procedimento avente ad oggetto le condotte serbate degli odierni ricorrenti - il giudice di primo grado ha messo in rilievo che il consulente ha escluso profili di responsabilità omissiva a carico dei sanitari del Fatebenefratelli da porre in relazione di causalità con la morte del paziente. Ha precisato che, a giudizio del consulente, era stata "corretta la decisione degli odierni imputati di effettuare, all'interno di un quadro sostanzialmente stabile di dolori addominali, una TAC, assolutamente necessaria al fine di confermare l'evidenziata occlusione e di stabilirne la causa e/o la natura, anche in vista dell'individuazione della più corretta via per il futuro accesso addominale chirurgico". Ha puntualizzato, quanto alla decisione di trasferire il paziente in altra struttura, che il prof. Ci. ha evidenziato che l'ospedale Fatebenefratelli non sarebbe stato in grado di gestire, quantomeno in condizioni di adeguata sicurezza, il decorso post operatorio del paziente, particolarmente critico essendo questi affetto da pregressa cardiopatia.

In ordine al nesso eziologico, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica, il Tribunale ha evidenziato che "neanche un immediato intervento operatorio, ipoteticamente effettuato nel preciso momento del ricovero del F., avrebbe avuto conseguenze di favore per il paziente, alla luce dell'elevato rischio chirurgico derivante dalla cardiopatia pregressa, specialmente se considerata la situazione all'interno di un arco temporale di possibile omessa diagnosi, durata circa 36 ore".

Tale conclusione, si legge in motivazione, è stata desunta dalle dichiarazioni del consulente nominato dal PM, il quale aveva affermato che "l'eventuale ritardo di 2-3 ore (ma, a suo giudizio, anche forse di 5-6 ore) nel procedere alla definitiva decisione di intervenire chirurgicamente sul paziente ... non ha inciso minimamente sulla produzione dell'evento lesivo", stante il prolungato arco di tempo in cui il F. rimase vittima di occlusione intestinale con accumulo di liquidi nel lume intestinale e di insufficienza multi-organo.

Ebbene la Corte di merito non si confronta adeguatamente con le argomentazioni offerte dal giudice di primo grado, mancando di confutare, in modo puntuale, i passaggi logici che sostengono la decisione assolutoria.

Si afferma, nella sentenza impugnata, che il consulente del PM si è espresso nel senso di una indicazione assoluta al trattamento chirurgico immediato, contrariamente alla interpretazione fornita dal primo giudice, senza indicare in maniera compiuta gli elementi dai quali è stata tratta tale diversa conclusione, peraltro contraddetta in altro passaggio motivazionale in cui si afferma che "le condizioni del paziente, anche per quanto attiene la pregressa patologia cardiaca, erano nell'urgenza relativamente stabili".

Le dichiarazioni del consulente prof. Ci., come lamentato dalla difesa del M. (pag. 15 e seguenti del ricorso), sono riprodotte nella sentenza impugnata in maniera parziale e incompleta, avendo egli espresso il parere, ricavabile dalla lettura della sentenza di primo grado, in cui sono chiaramente riportate le conclusioni della consulenza, che l'intervento, ove fosse stato anticipato di 2-3 ore, sarebbe stato egualmente non risolutivo.

5. Ulteriore profilo di censura della sentenza impugnata è ravvisabile nella valutazione degli apporti scientifici provenienti dalle risultanze peritali introdotte dalla stessa Corte di appello.

In sentenza si sminuiscono apoditticamente i risultati della perizia disposta in sede di appello che ha escluso profili di responsabilità a carico dei sanitari in relazione alla scelta di disporre l'effettuazione della TAC addome all'ingresso in ospedale e di trasferire il paziente in altra struttura per indisponibilità di posti letto. In motivazione si ritengono erronee le conclusioni espresse dai periti, í quali non hanno ravvisato una incidenza del ritardo nella effettuazione dell'intervento chirurgico sul decesso del paziente ed hanno individuato la causa della sua morte nella fibrillazione ventricolare subentrata nel decorso post operatorio.

Nello specifico i periti nominati, analogamente a quanto sostenuto dal consulente del PM, erano giunti alla concorde conclusione, riportata nella motivazione della sentenza di appello, che "se anche l'intervento chirurgico fosse stato eseguito alle ore 17.30 presso l'ospedale Fatebenefratelli, le complicanze cardiache - ritenute causa ultima del decesso - si sarebbero comunque verificate", precisando, in giudizio, che "non sarebbe stato possibile evitare la morte nemmeno se l'intervento fosse stato anticipato di qualche ora".

Tali conclusioni, basate su precise coordinate scientifiche, condivise dallo stesso consulente del Pubblico Ministero, sono state disattese dai giudici di appello con rilievi assertivi, sprovvisti di supporto tecnico. La Corte di merito ha ritenuto l'erroneità del giudizio espresso dai periti, nella parte in cui ricollegano causalmente il decesso del paziente all'intervento chirurgico ed alla fibrillazione ventricolare insorta, affermando che gli esperti non avevano attribuito particolare rilievo, nel determinismo causale, alle condizioni di addome acuto, evoluto in peritonite generalizzata, che comporta "uno squilibrio idro-elettrico e una insufficienza multi organo, con inevitabili e pregiudizievoli conseguenze sulla pregressa patologia cardiaca".

L'assunto, secondo la Corte di merito, sarebbe ricavabile da "una lettura coerente delle conclusioni rassegnate dal CT nominato dal PM e dalle valutazioni di emergenza espresse dal medico del pronto soccorso e dai medici penitenziari". Tuttavia, tali generici richiami non possono valere ad esprimere una congrua giustificazione in ordine alla esclusione della validità degli apporti scientifici provenienti dai periti.

6. Occorre rammentare come il sapere scientifico costituisca un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito, per addivenire all'accertamento dei fatti, specie in settori nei quali, come la colpa medica, vengono in rilievo conoscenze specifiche che non fanno parte di regola del patrimonio conoscitivo del giudice.

Non di rado, la soluzione del caso posto all'attenzione dei giudicante, nei processi ove assume rilievo l'impiego della prova scientifica, viene a dipendere dall'affidabilità delle informazioni che, attraverso l'indagine di periti e consulenti, fanno ingresso nel processo. Si tratta di questione di centrale rilevanza nell'indagine fattuale, giacché costituisce parte integrante del giudizio critico che il giudice di merito è chiamato ad esprimere sulle valutazioni di ordine extragiuridico emerse nel processo (così, in motivazione, Sez. 4, n. 49884 del 16 ottobre 2018, Rv. 274045-01). Il giudice deve, pertanto, dar conto del proprio ragionamento in relazione agli apporti scientifici che provengono dagli esperti, soppesando l'imparzialità e l'autorevolezza scientifica dei pareri espressi da consulenti e periti, che veicolano nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali.

Il controllo che la Corte Suprema è chiamata ad esercitare in tale campo attiene alla razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito esprime nella sentenza impugnata.

Si è precisato, nella elaborazione dei principi che regolano la materia, che il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione, l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire.

Si è altresì più volte ribadito che, ove il giudice di merito intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d'ufficio, egli è tenuto ad un più penetrante onere motivazionale, dovendo illustrare accuratamente le ragioni della scelta operata in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico-scientifico (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 46432 del 19 aprile 2017, Rv. 271924-01: "In tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato, l'apprezzamento - positivo o negativo - dell'elaborato peritale e delle relative conclusioni da parte del giudice di merito, il quale, ove si discosti dalle conclusioni del perito, ha l'obbligo di motivare sulle ragioni del dissenso").

Ebbene, la motivazione offerta nella sentenza impugnata si pone in contrasto con i principi saldamente affermati in sede di legittimità in materia di gestione della prova scientifica. La Corte di merito non ha espresso congrua giustificazione in ordine alla scelta di discostarsi dai pareri tecnici acquisiti nel giudizio dai periti nominati, prospettando una propria ricostruzione, la quale, deprivata di supporto scientifico, è connotata da mera assertività.

7. Deriva da quanto precede l'annullamento della sentenza impugnata. Non essendovi più res iudicanda penale, in quanto è intervenuta impugnazione, sin dalla sentenza di primo grado, della sola parte civile, la pronuncia deve essere annullata con rinvio innanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui è demandata anche la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello cui demanda la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.

Depositata il 18 marzo 2021.

A. Bartolini e al. (curr.)

Le riforme amministrative

Il Mulino, 2024

M. Bencini e al. (curr.)

Delitti di corruzione

Giuffrè, 2024

L. Della Ragione, R. Muzzica

La riforma del processo penale

Neldiritto, 2024