Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 15 gennaio 2021, n. 14825

Presidente: Centofanti - Estensore: Magi

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con ordinanza emessa in data 16 dicembre 2019 il Tribunale di Bologna, Sezione misure di prevenzione, ha respinto la domanda di revoca ex tunc della confisca, introdotta nell'interesse di Giuseppe L.

1.1. Le procedure di prevenzione che hanno determinato la confisca si sono concluse nel 2011 e nel 2014 e si sono basate su un precedente decreto di applicazione della misura personale emesso nel 2009.

In sede cognitiva la pericolosità del L., per come ricostruita dal Tribunale, risulta inquadrata tanto nella ipotesi tipica di cui alla lett. a) che in quella della lett. b) del d.lgs. n. 159 del 2011 (da ora in avanti cod. ant.), essendo stato fatto riferimento non soltanto alla dedizione a "traffici delittuosi" ma anche alla commissione di più reati contro il patrimonio.

2. In motivazione si afferma, in sintesi, che:

a) quanto alla sopravvenienza della nota decisione Corte cost. n. 24 del 2019, con cui è stata dichiarata, per difetto di specificità, la illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. a), cod. ant., non può ritenersi consentita la produzione di un effetto retroattivo tale [da] travolgere le decisioni applicative della confisca, trattandosi di situazioni "esaurite" e dunque insensibili alla eliminazione della disposizione dal quadro normativo;

b) in ogni caso, la base legale della confisca è rappresentata anche dall'avvenuto inquadramento tipico del L. nella condizione descritta dal legislatore all'art. 1, comma 1, lett. b), cod. ant., il che rende intangibili le decisioni emesse in sede cognitiva.

3. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - L. Giuseppe, articolando una unica doglianza, in termini di erronea applicazione della legge regolatrice, violazione dell'art. 30 l. n. 87 del 1953 e vizio di motivazione.

3.1. Il ricorrente afferma che la categoria soggettiva in cui era stata censita la pericolosità del L. era, essenzialmente, quella di cui all'art. 1, comma 1, lett. a), cod. ant., oggetto della pronunzia di illegittimità costituzionale n. 24 del 2019.

Erroneamente il Tribunale avrebbe escluso l'effetto retroattivo della pronunzia di illegittimità costituzionale, da ritenersi sussistente, data l'incidenza della decisione definitiva sul diritto di proprietà, costituzionalmente garantito.

Il mero richiamo, contenuto in una delle decisioni, alla categoria di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), cod. ant. non sarebbe assistito da una effettiva ricognizione delle condizioni di legge, per come risultanti dai contenuti della medesima pronunzia del giudice delle leggi.

4. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono.

4.1. Il tema trattato in sede di merito ed oggetto del ricorso riguarda le ricadute - in tema di confisca - della pronunzia della Corte costituzionale n. 24 del 2019 con cui è stata dichiarata la illegittimità di una delle categorie soggettive di pericolosità (art. 1, comma 1, lett. a), cod. ant.) e sono state recepite, in chiave di tenuta complessiva del sistema, alcune coordinate interpretative della previsione di legge rimasta in vigore (art. 1, comma 1, lett. b), cod. ant.).

Si tratta di «sopravvenienze in diritto» rispetto a pronunzie definitive che hanno disposto la confisca - in sede di prevenzione - di beni riferibili al soggetto portatore di pericolosità.

L'analisi delle conseguenze di detta pronunzia deve muovere da alcune considerazioni in diritto, relative sia alla incidenza delle decisioni (ablazione del diritto di proprietà con vocazione definitiva) che alla natura giuridica del c.d. giudicato di prevenzione, ontologicamente caratterizzato da margini di flessibilità, che lo rendono sui generis e, dunque, diverso dal giudicato penale in senso proprio.

4.2. Giova ricordare, quanto ai contenuti della sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale (n. 24 del 2019) che nella sua parte "demolitiva" la decisione, come è noto, ha dichiarato la illegittimità della categoria di pericolosità di cui all'art. 1, comma 1, lett. a), cod. ant. (abituale dedizione a traffici delittuosi) per indeterminatezza dei contenuti descrittivi della disposizione di legge.

La rilevanza dogmatica di simile statuizione sta, in particolare, nell'aver ritenuto applicabili - anche in ragione dell'accertamento di violazione dei contenuti dell'art. 2 Prot. n. 4 CEDU derivante dalla nota decisione GC Corte Edu De Tommaso c. Italia - alle disposizioni regolatrici in tema di prevenzione i principi di tassatività descrittiva delle fattispecie, in chiave di prevedibilità delle conseguenze sfavorevoli di determinate condotte, pur restando le misure di prevenzione strumenti giuridici non "attratti" nella materia penale.

In rapporto alle ricadute di tale pronunzia - quanto all'art. 1, comma 1, lett. a) - va affermato che la ontologica «permanenza di effetti» della disposizione caducata, in caso di ablazione della proprietà derivante dall'inquadramento tipico del soggetto nella disposizione eliminata, rende doverosa - in ipotesi di ricognizione della pericolosità soggettiva basata in via esclusiva sulla disposizione dichiarata incostituzionale - la rimozione del giudicato di prevenzione.

Come si è osservato in alcune decisioni emesse da questa Corte di legittimità, la natura della disposizione regolatrice, pur in un ambito non strettamente penale, è quella di fungere da «base legale» di una limitazione autoritativa di un diritto costituzionalmente garantito e, pertanto, va detto che l'effetto retroattivo - con individuazione di un vizio ab origine tipico del giudizio di costituzionalità - derivante dall'accertato contrasto della disposizione censurata con una o più norme costituzionali, è tale da imporre la rimozione del giudicato. In tale cornice ermeneutica appare decisiva la considerazione della permanenza di effetti (la perdita della proprietà) di carattere afflittivo, quale fatto ricollegabile alla applicazione della disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima. Non può pertanto ritenersi opponibile il limite delle "situazioni esaurite", dovendosi dare ampia espansione alla disposizione dell'art. 30, comma 3, della l. n. 87 del 1953 secondo cui le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (quanto alla naturale retroattività degli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale, sia pure con individuazione di possibili limitazioni, v. di recente Corte cost. n. 246 del 2019).

In tale ottica il particolare carattere del giudicato di prevenzione (forma di preclusione sui generis, posto che attiene all'avvenuto riconoscimento di una condizione soggettiva, più che di un fatto, secondo gli insegnamenti derivanti da Sez. un., n. 18 del 1996, Simonelli) agevola, sul piano dogmatico, il riconoscimento della sua cedevolezza - qui in bonam - derivante da rivisitazioni della "base legale" che aveva determinato l'affermazione della pericolosità.

Ciò del resto appare un ineludibile risvolto della definitiva affermazione (contenuta nella sent. n. 24 del 2019 Corte cost.) dei principi di tassatività e determinatezza delle previsioni regolatrici in tema di prevenzione, ferma restando la natura "non penale" delle medesime, aspetto che consente di ritenere (in quanto derivante da pronunzia sopravvenuta emessa dal giudice delle leggi) non vincolante (in rapporto ai contenuti dell'art. 618, comma 1-bis, c.p.p.) la risalente posizione espressa in tema di misure di sicurezza ex art. 240 c.p. - nel senso della non rivedibilità delle statuizioni applicative, pure in presenza di declaratoria di illegittimità costituzionale della correlata norma incriminatrice - da Sez. un., n. 2 del 1998, Maiolo, decisione orientata a ritenere sussistente (in riferimento alla naturale espansione retroattiva della pronunzia di incostituzionalità) il limite delle "situazioni esaurite".

4.3. Può dunque ritenersi, per quanto sinora detto, che l'effetto della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 1, comma 1, lett. a), cod. ant. sia assimilabile - in sede di prevenzione - all'effetto previsto per le disposizioni di carattere penale incidenti sulla responsabilità o sulla determinazione della pena (v. Sez. un. 2014, Gatto), e ciò in ragione della "incidenza" della disposizione dichiarata incostituzionale sulla ablazione patrimoniale (effetto che si manifesta come permanente ed è dunque "in atto" al momento della decisione di incostituzionalità), posto che non vi è giustificazione costituzionale del sacrificio del diritto di proprietà in assenza di idonea «base legale» tesa a concretizzarne il presupposto.

4.4. Ciò posto, va altresì precisato che la doverosa verifica di permanenza della «base legale» della decisione applicativa di misura di prevenzione è stata estesa, in taluni recenti arresti che il Collegio condivide (v. Sez. I, n. 11661 del 10 gennaio 2020, Pilato, Rv. 278738 in caso di misura personale; Sez. II, n. 33641 del 13 ottobre 2020, Sabatelli, Rv. 279970 in caso di confisca) alle ipotesi di intervenuta applicazione, in sede cognitiva, anche della categoria tipica di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), cod. ant. (il vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose).

Ciò perché in riferimento ai contenuti di tale disposizione la citata decisione del giudice delle leggi - lungi dal convalidare senza rilievi i contenuti espressivi del testo - si atteggia a sentenza interpretativa di rigetto, i cui contenuti argomentativi pongono talune precise condizioni di «validità costituzionale» del modus interpretativo adottato nel caso concreto (si vedano, sul tema, Sez. I, n. 27696 del 1° aprile 2019, Rv. 275888; Sez. II, n. 11445 dell'8 marzo 2019, Rv. 276061; Sez. VI, n. 21513 del 9 aprile 2019, Rv. 275737).

In particolare, giova ricordare che a seguito dell'intervento della Consulta, nella c.d. parte "constatativa" del giudizio di prevenzione, l'applicazione della disposizione di cui alla lett. b) dell'art. 1 del d.lgs. n. 159 del 2011 può dirsi conforme ai principi costituzionali di riferimento se ed in quanto il giudice del merito abbia rispettato, dandone conto in motivazione, quei particolari connotati di «tassatività» dei contenuti, già individuati da questa Corte di cassazione negli arresti posteriori alla nota decisione Corte Edu De Tommaso c. Italia (v. Sez. I, n. 349 del 15 giugno 2017, dep. 2018, ric. Bosco, Rv. 271996 e successive conformi) e così riassunti nella sent. n. 24 del 2019 «[...] le "categorie di delitto" che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie esaminato dal giudice in virtù del triplice requisito - da provarsi sulla base di precisi «elementi di fatto», di cui il tribunale dovrà dare conto puntualmente nella motivazione (art. 13, secondo comma, Cost.) - per cui deve trattarsi di a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito [...]».

Le precisazioni operate dal giudice delle leggi nel corpo della decisione riconoscono, pertanto, quanto alla categoria tipica di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), cod. ant., una validità costituzionale «condizionata» alla avvenuta adozione di un preciso canone ermeneutico, il che equivale a porre fuori dalla compatibilità con i principi costituzionali (e convenzionali) le applicazioni concrete non conformi a simile inquadramento.

Non può parlarsi, in tale ambito, di una mera "evoluzione interpretativa giurisprudenziale" (che sarebbe, come è noto, fenomeno non influente sulle decisioni definitive già emesse), essendosi verificato (in virtù di interventi di attori giurisdizionali diversi) un fenomeno di "allineamento costituzionale e convenzionale" dei contenuti semantici e prescrittivi della disposizione (pur rimasta, ovviamente, invariata) ben più complesso.

In particolare, è la stessa sentenza n. 24 del 2019 ad affermare come - in tal caso - l'interpretazione giurisprudenziale maturata in sede di legittimità a ridosso della decisione Corte Edu De Tommaso c. Italia del 2017 abbia contributo a delineare con sufficiente chiarezza ed in forma compatibile con il principio di prevedibilità gli stessi contenuti della disposizione di legge, arrivando a recepire detta interpretazione come l'unica in grado di resistere alla censura di indeterminatezza che ha colpito la previsione di cui alla lett. a) del medesimo articolo di legge.

Da ciò deriva la medesima conseguenza, in punto di rivedibilità dei giudicati di prevenzione, già illustrata a proposito della parte demolitiva della decisione, con la avvertita necessità di un intervento del giudice della fase revocatoria o esecutiva, teso a riconoscere (o meno) la perdurante «base legale» della ablazione patrimoniale, nel senso imposto - quanto a tale ipotesi tipica - dai contenuti prescrittivi della decisione n. 24 del 2019 (tali da rappresentare, come è stato affermato nella citata sent. Sez. II, n. 33641 del 2020, un "parametro obbligatorio di riferimento" anche per il giudice della revocazione).

Non sarebbe rispondente, in altre parole, al principio costituzionale di uguaglianza e parità di trattamento espresso dall'art. 3 Cost., la "permanenza di effetti" di una decisione di confisca basata su un inquadramento della pericolosità (in fase constatativa del giudizio di prevenzione) difforme dai "quei" canoni interpretativi condizionanti la stessa validità costituzionale della previsione di legge (art. 1, comma 1, lett. b), cod. ant.) applicata nel caso concreto.

Ciò consente di attribuire al giudice della fase revocatoria (nel caso in esame trattasi del Tribunale in virtù dell'epoca di proposizione delle domande applicative, in applicazione dell'art. 7 l. n. 1423 del 1956) il dovere di operare simile verifica, non potendosi altrimenti consentire la perdurante incidenza della decisione su un diritto costituzionalmente protetto.

4.5. Tutto ciò premesso, nel caso in esame le valutazioni espresse dal Tribunale non appaiono rispondenti ai principi in diritto sin qui esposti.

In particolare, va rilevato che non può dirsi "esaurito" il rapporto sorto sulla base della disposizione dichiarata incostituzionale, essendo "in atto" l'effetto di ablazione della proprietà. Ciò determina la segnalata necessità di complessiva rivalutazione dei contenuti delle decisioni emesse in cognizione, dovendosi escludere la permanenza di effetti della previsione di legge dichiarata incostituzionale (l'art. 1, comma 1, lett. a), cod. ant.) ed al tempo stesso dovendosi accertare l'avvenuta applicazione della previsione di legge di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), cod. ant. in modo conforme ai contenuti della decisione Corte cost. n. 24 del 2019, ritenuti in linea con i principi costituzionali e convenzionali in punto di chiarezza e precisione delle disposizioni descrittive della categoria tipica di pericolosità.

La decisione impugnata va pertanto annullata con rinvio, come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bologna.

Depositata il 20 aprile 2021.