Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 5 maggio 2021, n. 3519

Presidente: Contessa - Estensore: Sabbato

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso n. 9110/2011, proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, diversi militari in servizio a Roma impugnavano i provvedimenti coi quali il Comando Militare della Capitale, dopo il venir meno del titolo di concessione degli alloggi di servizio rimanendo di fatto nella disponibilità degli originari assegnatari, aveva stabilito, ai sensi della l. n. 724/1994, il canone maggiorato rispetto agli utenti aventi titolo alla concessione; estendevano l'impugnativa al connesso decreto del Ministero della difesa del 16 marzo 2011 ed alla nota del 9 giugno 2011 dello Stato Maggiore della Difesa.

2. A sostegno dell'impugnativa avevano dedotto, articolando plurimi motivi di censura, che i nuovi e peraltro provvisori canoni recherebbero un aumento esponenziale rispetto ai canoni di occupazione sinora corrisposti, e sarebbero di importo di molto superiore rispetto ai prezzi effettivi di mercato, per evidenti errori nella predisposizione dei criteri da utilizzare per la individuazione del canone da corrispondere ad esempio per la mancata considerazione dello stato di fatiscenza degli immobili.

3. Costituitasi l'Amministrazione erariale, il Tribunale amministrativo adìto (Sezione I-bis) ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha respinto le eccezioni di difetto di giurisdizione, di tardività e di inammissibilità per la natura collettiva del ricorso;

- ha ritenuto l'eccezione di costituzionalità priva del requisito della non manifesta infondatezza;

- ha respinto il ricorso proposto avvero il decreto ministeriale del 16 marzo 2011;

- ha accolto il ricorso in relazione all'impugnativa degli altri provvedimenti (reputando "fondate le censure del primo motivo di ricorso che contestano, agli atti di concreta determinazione del canone, una non consentita provvisorietà, nonché difetto di istruttoria e di motivazione") provvedendo quindi al loro annullamento "salvi gli ulteriori provvedimenti";

- ha compensato le spese di lite.

4. Avverso tale pronuncia il signor O. ha interposto appello, notificato il 19 marzo 2013 e depositato il 16 aprile 2013, avversando la parte in cui il T.a.r. ha qualificato l'intervento proposto dall'odierno appellante come adesivo dipendente invece che come "intervento autonomo volontario", sebbene tale iniziativa fosse da ritenere ammissibile nel processo amministrativo;

II) si ripropone pertanto il motivo di censura sollevato in primo grado e ritenuto fondato dal T.a.r. con la sentenza odiernamente impugnata.

5. L'appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell'impugnata sentenza, l'accoglimento del ricorso di primo grado e quindi il rinvio della causa al primo giudice nonché l'annullamento del provvedimento individuale del 1° ottobre 2011.

6. In data 7 giugno 2013, il Ministero della difesa si è costituito in giudizio.

7. Con ordinanza cautelare n. 3028 del 31 luglio 2013, la domanda di sospensione degli effetti della sentenza impugnata è stata respinta con la seguente motivazione: "considerato che nella fattispecie non sussistono profili che, ad un sommario esame proprio della fase cautelare, inducono alla previsione di un esito favorevole nel merito del ricorso in appello, con riferimento alla posizione processuale rivestita dall'appellante nel giudizio di primo grado".

8. In data 22 gennaio 2021 parte appellata ha depositato memoria concludendo per la reiezione dell'appello alla luce dell'orientamento giurisprudenziale, che si assume consolidato, col quale si ritiene inammissibile nel processo amministrativo l'intervento c.d. litisconsortile volontario autonomo.

9. La causa, chiamata per la discussione alla udienza pubblica svoltasi con modalità telematica del 2 marzo 2021, è stata ivi trattenuta in decisione.

10. Sussistono i presupposti per disporre, ex officio, il rinvio della causa al giudice di prime cure.

10.1. Invero, come esposto in narrativa, con la decisione odiernamente impugnata, il T.a.r. si è orientato per l'accoglimento della domanda di annullamento dei provvedimenti coi quali il Comando Militare di Roma Capitale aveva stabilito il canone degli alloggi di servizio dopo il venir meno del titolo di concessione ma nella persistente disponibilità degli originari assegnatari, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione. L'odierna appellante, non figurando tra i ricorrenti, si associava all'azione da costoro proposta invocando a sua volta l'annullamento dei provvedimenti impugnati perché asseritamente titolare di una posizione del tutto analoga a quella azionata col ricorso. Il Collegio di prime cure, dopo essersi pronunciato espressamente, in sede cautelare, nel senso che "analoga cautela non spetti gli intervenienti, dato il loro status processuale, diverso da quello dei ricorrenti (v. artt. 28 e 55 del codice del processo amministrativo)", non ha mostrato di avere preso in esame la domanda dell'odierna appellante, la quale ne contesta la decisione di fatto reiettiva inferendone le ragioni dal semplice fatto che, nelle premesse, il T.a.r. lo qualificava come "intervento ad adiuvandum" e pertanto implicitamente lo considerava come intervento adesivo dipendente invece che autonomo volontario. L'appellante argomenta quindi diffusamente nel senso che la propria iniziativa, assunta in corso di giudizio, sarebbe del tutto assimilabile ad un ricorso autonomo, tanto da essere tempestiva e suffragata da una posizione giuridica sovrapponibile a quella dei ricorrenti, di guisa che il T.a.r. avrebbe dovuto assicurarvi tutela alla stessa stregua di quella dei ricorrenti. Va tuttavia rilevato che la sentenza risulta priva di ogni statuizione, nemmeno accennata, riferita esattamente alla posizione dell'odierna appellante limitandosi a prendere atto del suo intervento "ad adiuvandum" senza ulteriori specificazioni.

10.2. Tanto premesso, occorre verificare quali siano le conseguenze processuali di tale rilevata mancanza; in particolare, se essa imponga o meno la regressione della causa al giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., che così recita: "Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l'ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l'estinzione o la perenzione del giudizio".

10.3. Sul punto è sufficiente rinviare ai consolidati principi elaborati dalla recente giurisprudenza dell'Adunanza plenaria che, come è noto, si è pronunciata ben quattro volte, nell'arco del 2018, sui limiti applicativi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. sentt. 30 luglio 2018, n. 10; 30 luglio 2018, n. 11; 5 settembre 2018, n. 14; 28 settembre 2018, n. 15) ripetutamente osservando che le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall'art. 105 c.p.a. hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive. Ha quindi rilevato che non rientrano nel perimetro applicativo della norma processuale:

a) la erronea dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado né la mancanza totale di pronuncia da parte del primo giudice su una delle domande del ricorrente, rientrandovi invece il difetto assoluto di motivazione della sentenza di primo grado (cfr. Ad. plen., n. 10 del 2018);

b) la erronea dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado né la mancanza totale di pronuncia da parte del primo giudice su una delle domande del ricorrente, rientrandovi invece il difetto assoluto di motivazione della sentenza di primo grado (cfr. Ad. plen., n. 11 del 2018);

c) la mancanza totale di pronuncia da parte del giudice di primo grado su una delle domande del ricorrente, nella specie sulla domanda di risarcimento del danno conseguente all'annullamento dei provvedimenti impugnati (cfr. Ad. plen., n. 14 del 2018);

d) l'erronea declaratoria d'inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, anche se è sempre possibile per il giudice d'appello riqualificare il dispositivo delle sentenze in rito, quando accerti la patologica eversione da parte del giudice di prime cure dall'obbligo della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato o dall'obbligo di motivazione, con possibile integrazione delle ipotesi di annullamento con rinvio per violazione del diritto di difesa e nullità della sentenza impugnata (cfr. Ad. plen., 15 del 2018).

10.4. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche occorre interrogarsi se, nel caso di specie, ricorrano i presupposti per disporre la rimessione al Tribunale. Soccorre al riguardo la da ultimo richiamata pronuncia n. 10 del 2018 che individua una causa di rimessione nel difetto assoluto di motivazione. A parere del Collegio in tal guisa si palesa il caso in esame, proprio in considerazione della mancanza di ogni disamina della domanda ritraibile dal quadro motivazionale della pronuncia, non potendosi certo rinvenire le ragioni del mancato accoglimento della domanda di annullamento avanzata dall'interveniente nelle argomentazioni del Collegio poste a fondamento dell'ordinanza cautelare assumendo la sua piena autonomia rispetto al giudizio di merito. Né osta alla rimessione al Tribunale la circostanza della mancata richiesta in tal senso della parte appellante, in quanto, come osservato dall'Adunanza plenaria n. 11 del 2018, "La disciplina dei rapporti tra giudice di primo grado e giudice d'appello ha natura indisponibile, il che implica che, fermo restando l'onere di articolare specifici motivi di appello e il generale principio di conversione della nullità in motivi di impugnazione, nei casi di cui all'art. 105 c.p.a., il giudice d'appello deve procedere all'annullamento con rinvio anche se la parte omette di farne esplicita richiesta o chiede espressamente che la causa sia direttamente decisa in secondo grado".

È dato quindi rilevare che la fattispecie oggetto di esame, integrando un difetto assoluto di motivazione sulla domanda avanzata a mezzo d'intervento proposto nel corso del giudizio di primo grado, impone la rimessione della causa al Tribunale, con conseguente assorbimento di ogni altra questione sollevata.

Sarà compito del giudice di prime cure pronunciare sulla domanda dell'odierno appellante nella sua veste di interveniente.

11. In conclusione, l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio al medesimo T.a.r., che provvederà a pronunciare in diversa composizione ex artt. 17 c.p.a. e 51, n. 4, c.p.c. (cfr. C.d.S., Ad. plen., n. 2 del 2009; nn. 4 e 5 del 2014, queste ultime rese sotto l'egida del nuovo codice del processo amministrativo, che hanno ribadito la necessità di salvaguardare il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione in sede di rinvio prosecutorio).

12. Le spese processuali dei due gradi del giudizio sono interamente compensate in ragione della peculiarità della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, annulla la sentenza impugnata e rinvia la causa, per l'ulteriore corso, al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, in diversa composizione.

Dichiara interamente compensate le spese processuali del doppio grado di giudizio.

Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.