Corte di cassazione
Sezione II civile
Sentenza 28 maggio 2021, n. 15001

Presidente: Manna - Estensore: Picaroni

FATTI DI CAUSA

1. Sebastiana F., comproprietaria con il coniuge dell'immobile sito in Aritzo, identificato al foglio 11, mappale 226, agì in confessoria servitutis nei confronti di Giancarlo P., Sebastiano P., Antonio Pa. e Maria Pi., assumendo di essere titolare del diritto di passaggio sui fondi dei convenuti in forza di scrittura privata unilaterale del suo dante causa, o per usucapione.

L'attrice lamentò, inoltre, che le fosse impedito l'esercizio della servitù da opere realizzate dai P., anche con sconfinamento, e chiese la condanna dei predetti alla rimessi[o]ne in pristino ed al risarcimento dei danni materiali e morali; domandò, infine, l'accertamento della illiceità dell'installazione di tubi di acqua lurida nel sottosuolo di sua proprietà ad opera dei Pa.-Pi., chiedendo la relativa rimozione ed il risarcimento dei danni.

I convenuti resistettero e, in via riconvenzionale, domandarono la condanna dell'attrice al completamento dei lavori di costruzione del muro di cinta, e l'accertamento della servitù di scolo, con determinazione della relativa indennità.

1.1. Il Tribunale di Oristano, con la sentenza n. 40 del 2012, accertò l'avvenuto acquisto per usucapione della servitù di passaggio pedonale in favore del fondo dell'attrice, e rigettò le ulteriori domande attoree nonché le riconvenzionali.

2. La Corte d'appello di Cagliari, adita in via principale dalla F. ed in via incidentale dai convenuti, con sentenza pubblicata il 28 luglio 2015 ha accolto l'appello principale e, per l'effetto, ha condannato i convenuti, ciascuno per la parte di interesse, a ripristinare il passaggio in favore del fondo attoreo, arretrare il muro di confine, rimuovere la condotta di scarico nella parte interrata nella proprietà F.

3. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso Antonio Pa., Maria Pi., Giancarlo P. e Sebastiano P., sulla base di quattro motivi, ai quali resiste con controricorso Sebastiana F.

3.1. Il ricorso, già fissato per la decisione nella camera di consiglio del 26 febbraio 2020, è stato rimesso alla pubblica udienza e quindi chiamato in data odierna. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si deve verificare l'ammissibilità del ricorso, spedito per la notifica in data 1° marzo 2016.

2. La controricorrente ne ha eccepito la tardività sul rilievo dell'avvenuta notificazione della sentenza d'appello in data 14 ottobre 2015, ed ha prodotto documentazione dalla quale risulta che, nella data indicata, l'avv. Poddie (codifensore della F. in appello) inviò messaggio via PEC di notifica della sentenza della Corte d'appello n. 524 del 2915 presso il difensore domiciliatario delle controparti avv.ti Luigi Greco e Gabriella Greco.

3. I ricorrenti hanno replicato all'eccezione in memoria (dep. in data 11 febbraio 2020, in prossimità della camera di consiglio), evidenziando che il file denominato "Corte d'appello di Cagliari sent. n. 524 del 2015.pdf" allegato al messaggio PEC conteneva solo pagine bianche, e che nel file denominato "Relata di notifica P. Sebastiano.pdf" erano visibili solo puntini neri. Siffatta notifica, pertanto, non aveva raggiunto il suo scopo ed era perciò inidonea a far decorrere il termine breve di impugnazione.

4. Il Collegio ritiene che, a fronte della documentazione comprovante l'avvenuta accettazione dal sistema e ricezione del messaggio di consegna, l'onere della prova della disfunzione del sistema gravi sulla parte che contesta la regolarità della notificazione.

4.1. In questi termini si è già espressa Cass. n. 20747 del 2018 (più di recente Cass. 21 febbraio 2020, n. 4624 e Cass. 24 settembre 2020, n. 20039), affermando che «una volta acquisita al processo [in questo caso attraverso l'asseverazione], la prova della sussistenza della ricevuta telematica di avvenuta consegna, solo la concreta allegazione, da parte del destinatario, di una qualche disfunzionalità dei sistemi telematici potrebbe giustificare migliori verifiche sul piano informatico, con onere probatorio a carico del medesimo destinatario (Cass. 31 ottobre 2017, n. 15819; v. anche Cass. 22 dicembre 2016, n. 26773 e, per la precisazione che, in tale ambito, non vi è comunque necessità di querela di falso, Cass. 21 luglio 2016, n. 15035), e ciò in coerenza con i principi già operanti in tema di notificazioni secondo i sistemi tradizionali, ove, a fronte di un'apparenza di regolarità della dinamica comunicatoria, spetta al destinatario promuovere le contestazioni necessarie ed eventualmente fornire la prova di esse (ex plurimis, v. Cass. 20 ottobre 2002, n. 18141; Cass. 20 luglio 1999, n. 7763)».

4.2. In caso di ricezione di messaggio PEC i cui allegati risultino in tutto o in parte illeggibili, questa Corte ha pure già chiarito che «spetta al destinatario, in un'ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all'utilizzo dello strumento telematico» (Cass. 31 ottobre 2017, n. 25819).

5. Il ricorso risulta pertanto tardivo e deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.500.00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.