Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 31 maggio 2021, n. 4150

Presidente: Saltelli - Estensore: Manca

FATTO E DIRITTO

1. La società P.R.S. - Planning Ricerche e Studi s.r.l. (in seguito anche solo P.R.S.) ha partecipato, quale mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese con la società HSPI s.p.a., alla procedura negoziata, indetta dalla Camera dei deputati, per l'affidamento quadriennale del monitoraggio dei contratti I.C.T. (Information and Communications Technology), risultando prima nella graduatoria finale. All'esito della verifica di anomalia l'offerta è stata tuttavia esclusa in quanto la composizione del "gruppo di lavoro" proposto (costituito da 10 addetti, di cui 5 impiegati con contratto libero professionale, tra cui il direttore tecnico, e 5 con contratto di lavoro subordinato) non sarebbe stato compatibile con l'allegato tecnico del capitolato d'oneri. In particolare sarebbe incompatibile con la legge di gara l'impiego di un lavoratore autonomo per il ruolo di direttore tecnico. Inoltre, veniva rilevato anche il contrasto con la disciplina di cui all'art. 105, comma 3, lett. a), del Codice dei contratti pubblici (approvato con il d.lgs. n. 50 del 2016), il quale esclude che i lavoratori autonomi possano essere impiegati nell'esecuzione dell'oggetto dell'appalto, salvo lo svolgimento di attività accessorie o strumentali.

2. Il provvedimento di esclusione è stato impugnato dalla P.R.S. con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, lamentando la violazione della lex specialis di gara, la quale nulla avrebbe prescritto circa il tipo di "rapporto contrattuale" che doveva intercorrere tra appaltatore e direttore tecnico del gruppo di lavoro, essendo rimessa alla libera determinazione del concorrente l'organizzazione di maestranze e collaboratori necessari per l'esecuzione.

3. Il ricorso è stato respinto con la sentenza 24 aprile 2020, n. 4183, che respinta l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalla Camera dei deputati in base al Regolamento generale della Camera, adottato in attuazione dell'art. 64 della Costituzione, e al Regolamento per la tutela giurisdizionale (il quale attribuisce al Consiglio di giurisdizione della Camera il compito di decidere in primo grado sui «ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera medesima [...]»), ha ritenuto - nel merito - che la stazione appaltante abbia fatto corretta applicazione del disposto della norma dell'art. 105, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, nel testo vigente all'epoca dell'indizione della procedura (il bando risulta pubblicato il 24 ottobre 2017), dovendosi inquadrare i rapporti di lavoro autonomo o collaborazione nell'ambito dell'istituto del subappalto, anche ai fini dell'applicazione del limite del 30% dei lavori previsto dal comma 2 dell'art. 105 cit. (che nella fattispecie sarebbe stato superato). In particolare, il primo giudice ha osservato che il ricorso al lavoro autonomo, pur se consentito, è subordinato dal codice dei contratti pubblici all'individuazione specifica del contenuto delle attività da svolgere [art. 105, comma 3, lett. a)], al fine di evitare un uso elusivo delle norme in materia di subappalto. Nel caso di specie, i lavoratori autonomi non erano incaricati di specifiche attività, come richiesto dal codice, ma della diretta esecuzione, in via generale, di attività costituenti l'oggetto principale dell'appalto, per l'intero periodo di durata del contratto.

4. La soccombente in primo grado ha proposto appello, chiedendo la riforma della sentenza sulla scorta di plurimi motivi che saranno esaminati in prosieguo.

5. Resiste in giudizio la Camera dei deputati, chiedendo il rigetto dell'appello e proponendo, altresì, appello incidentale, con il quale eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, nei termini già sollevati in primo grado. A suo avviso, infatti, i provvedimenti impugnati rientrano tra gli "atti di amministrazione" che costituiscono oggetto della riserva di autodichia sancita dall'art. 12, commi 3, lett. f), e 6, del Regolamento generale della Camera, e dall'art. 1 del Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli atti di amministrazione della Camera dei deputati non concernenti i dipendenti, la cui relativa cognizione spetterebbe in via esclusiva al Consiglio di giurisdizione (organo di autodichia della medesima Camera). In alternativa, l'amministrazione appellata sollecita la rimessione alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione, non potendosi altrimenti pervenire alla disapplicazione dei regolamenti della Camera.

Nel merito poi chiede la conferma della sentenza, sottolineando come l'esclusione della P.R.S. sia stata disposta per l'impossibilità di assicurare in concreto l'esercizio - da parte del direttore tecnico del gruppo di lavoro - della propria funzione di coordinamento nei confronti di altri lavoratori autonomi per la mancanza di un vincolo di subordinazione e del tipico potere direttivo del datore di lavoro (funzione prevista nel § 5.1.1 dell'allegato tecnico al capitolato d'oneri).

6. All'udienza del 17 dicembre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. Occorre esaminare la questione di giurisdizione reiterata dall'appellata Camera dei deputati mediante appello incidentale.

7.1. L'eccezione è infondata.

7.2. Come ha chiarito la Corte costituzionale in numerose pronunce (cfr. in particolare sentenza n. 262 del 2017) il principio dell'autodichia invocato dalla Camera dei deputati, che si traduce nella possibilità degli organi costituzionali di decidere attraverso propri organi interni le controversie che concernono l'applicazione della disciplina normativa che gli stessi organi costituzionali si sono dati in una determinata materia, trova il suo fondamento nell'autonomia normativa che la Costituzione riconosce agli organi costituzionali (alla Camera dei deputati, nel caso di specie). In particolare, la Corte - rammentato come solo nell'art. 64 («Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti»), e solo con riferimento alle Camere, la Costituzione ha previsto una specifica attribuzione di autonomia normativa (mentre i regolamenti approvati dal Presidente della Repubblica debbono considerarsi sorretti «da un implicito fondamento costituzionale»: punto 7.2. del "considerato in diritto", primo periodo, della sentenza n. 262 del 2017), ricollega, in maniera diretta, l'estensione dell'autodichia alla sfera di autonomia normativa costituzionalmente delineata, attraverso la quale «gli organi costituzionali in questione sono messi nella condizione di provvedere alla "produzione di apposite norme giuridiche, disciplinanti l'assetto ed il funzionamento dei loro apparati serventi" (sentenza n. 129 del 1981)» (sentenza n. 262 del 2017, punto 7.2., terzo periodo, cit.). Peraltro, soggiunge la Corte, «se è consentito agli organi costituzionali disciplinare il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, non spetta invece loro, in via di principio, ricorrere alla propria potestà normativa, né per disciplinare rapporti giuridici con soggetti terzi, né per riservare agli organi di autodichia la decisione di eventuali controversie che ne coinvolgano le situazioni soggettive (si pensi, ad esempio, alle controversie relative ad appalti e forniture di servizi prestati a favore delle amministrazioni degli organi costituzionali). Del resto, queste ultime controversie, pur potendo avere ad oggetto rapporti non estranei all'esercizio delle funzioni dell'organo costituzionale, non riguardano in principio questioni puramente interne ad esso e non potrebbero perciò essere sottratte alla giurisdizione comune» (punto 7.2. cit.). Per ciò che esula «dalla capacità classificatoria del regolamento parlamentare e non sia per intero sussumibile sotto la disciplina di questo (perché coinvolga beni personali di altri membri delle Camere o beni che comunque appartengano a terzi), deve prevalere la "grande regola" dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 della Costituzione (sentenza n. 379 del 1996)» (così nella sentenza n. 120 del 2014, al punto 4.4. del "considerato in diritto").

7.3. Da tali principi deriva la necessità di una rigorosa interpretazione letterale e funzionale (ossia, tenendo conto delle finalità costituzionali assegnate al riconoscimento del principio di autodichia, che ne costituiscono anche i limiti entro i quali esso può espandersi) delle norme regolamentari approvate dalla Camera dei deputati.

7.4. Nella fattispecie viene in considerazione la disposizione del regolamento per la tutela giurisdizionale che attribuisce al Consiglio di giurisdizione della Camera il compito di decidere in primo grado sui «ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera medesima», il cui ambito di applicazione, alla luce degli indirizzi dettati dalla Corte costituzionale, deve essere limitato alle controversie che abbiano per oggetto non qualsiasi atto di amministrazione della Camera dei deputati ma esclusivamente quegli atti adottati in una materia in ordine alla quale, all'organo costituzionale, è costituzionalmente riconosciuta una sfera di autonomia normativa. Le altre controversie rientrano (secondo «la "grande regola" dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 della Costituzione)») nella giurisdizione comune, secondo i criteri di riparto tra le diverse giurisdizioni fissati dalle norme processuali ordinarie.

7.5. Pertanto, posto che la materia dell'affidamento a terzi dei contratti di lavori, servizi e forniture - pur involgendo l'acquisizione, da parte dell'amministrazione della Camera, di beni e servizi per lo svolgimento delle sue funzioni - non rientra nella sfera di autonomia normativa costituzionalmente riconosciuta, le relative controversie sono sottratte alla giurisdizione domestica.

Da ciò discende inoltre che le norme del Regolamento di amministrazione e contabilità della Camera dei deputati (artt. 39 e ss.), dettate in materia di contratti, non essendo espressione della ridetta autonomia normativa costituzionalmente fondata, non giustificano l'attrazione della controversia nell'ambito della cognizione dell'organo di autodichia.

7.6. Né ricorrono, nella fattispecie, i presupposti costituzionali per sollevare il conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale, sia perché - allo stato - non sussiste un interesse attuale al conflitto (non essendoci alcun atto della Camera dei deputati che abbia leso le prerogative giurisdizionali del giudice amministrativo); sia perché, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, il conflitto tra poteri non è esperibile quando altri rimedi giuridici di rilievo costituzionale siano a disposizione del potere-organo che si ritenga leso nelle sue attribuzioni costituzionali (nel caso di specie, infatti, la Camera dei deputati ha la facoltà di impugnare la sentenza innanzi alla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 110 del Codice del processo amministrativo, trattandosi di questioni inerenti alla giurisdizione).

7.7. Infine, nemmeno è possibile sollevare, da parte di questo giudice, questione di legittimità costituzionale, considerato che la Corte costituzionale esclude che i regolamenti parlamentari possano costituire oggetto del sindacato di costituzionalità ai sensi dell'art. 134 della Costituzione (per tutte, cfr. sentenza n. 120 del 2014, già sopra richiamata).

8. Passando all'esame del merito, con il primo motivo le appellanti deducono l'ingiustizia della sentenza nella parte in cui, sull'assunto che l'impiego di lavoratori autonomi nelle attività oggetto dell'appalto si configuri come subappalto, ha ritenuto superata la soglia massima del 30% dell'importo complessivo del contratto, fissata dall'art. 105 del Codice dei contratti pubblici. Secondo l'appellante, la norma sul limite al subappalto è incompatibile con l'ordinamento euro-unitario, come stabilito dalla Corte di giustizia U.E. (Sez. V, 26 settembre 2019, C-63/18; Sez. V, 27 novembre 2019, C-402/18), la quale ha affermato che il subappalto deve avere un'applicazione generalizzata, priva di limiti quantitativi, salvo ipotesi specifiche ed eccezionali in cui sia previamente e motivatamente necessaria una particolare limitazione in relazione alla particolare natura dell'appalto (motivazione, secondo l'appellante, del tutto assente nella gara di cui trattasi); con la conseguenza che il Tribunale amministrativo avrebbe dovuto disapplicare la previsione dell'art. 105, comma 2, del Codice dei contratti pubblici.

8.1. Il motivo è fondato.

8.2. In linea di fatto, è bene precisare che l'importo del contratto oggetto della procedura di gara si colloca al di sopra della soglia di rilevanza comunitaria fissata, per gli appalti di servizi, dall'art. 35 del Codice dei contratti pubblici (il valore complessivo è pari a euro 560.000,00, come risulta dal bando di gara pubblicato sulla G.U.U.E. del 27 ottobre 2017).

8.3. Precisato inoltre che alla fattispecie per cui è controversia è applicabile, ratione temporis (il bando di gara risulta spedito per la pubblicazione in data 24 ottobre 2017), esclusivamente l'art. 105, comma 2, del Codice dei contratti pubblici (e non la norma di cui all'art. 1, comma 18, del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito dalla l. 14 giugno 2019, n. 55, ai sensi della quale, «nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici [...], fino al 30 giugno 2021, in deroga all'articolo 105, comma 2, del medesimo codice [...] il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell'importo complessivo del contratto [...]»), va data continuità all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la norma del Codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l'ordinamento euro-unitario, come affermato dalla Corte di giustizia nelle pronunce Sezione Quinta, 26 settembre 2019, C-63/18, e 27 novembre 2019, C-402/18 (in termini cfr. C.d.S., Sez. V, 16 gennaio 2020, n. 389, che ha puntualmente rilevato come «i limiti ad esso relativi (30% per cento "dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture", secondo la formulazione del comma 2 della disposizione richiamata applicabile ratione temporis, [...] deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea»; da ultimo, nello stesso senso, Sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8101).

9. Con il secondo motivo le appellanti sostengono che il primo giudice ha errato nel ritenere che i rapporti di lavoro autonomo posti in essere dall'offerente siano da considerare come subappalto, con applicazione della relativa disciplina. Tale inquadramento non sarebbe corretto, posto che, nel caso di specie, i consulenti impiegati dal raggruppamento P.R.S. Planning opererebbero all'interno dell'organizzazione delle due imprese raggruppate, mentre il subappalto ha come presupposto che l'appaltatore si privi dell'esecuzione di parte delle attività affidategli, investendo di queste soggetti imprenditoriali che eseguiranno tali attività con propria organizzazione e propri mezzi, assumendosi il relativo rischio.

9.1. Il motivo è fondato.

9.2. Nell'interpretazione dell'art. 105, comma 3, lett. a), del Codice dei contratti pubblici (secondo cui «non si configurano come attività affidate in subappalto [...] l'affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi, per le quali occorre effettuare comunicazione alla stazione appaltante») occorre muovere dalla premessa che le prestazioni oggetto di siffatti contratti sono rivolte a favore dell'operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico e non invece direttamente a favore di quest'ultimo, come avviene nel caso del subappalto.

L'impostazione del problema in termini di deroga rispetto alla disciplina del subappalto della norma sull'impiego di lavoratori autonomi (così come nell'ipotesi della utilizzazione di prestazioni rese sulla base dei contratti continuativi di cooperazione: lett. c-bis) del medesimo art. 105, comma 3), non tiene conto della differenza specifica che intercorre tra i due tipi di contratti, che emerge anche dalle norme sopra richiamate. L'art. 105, comma 3, cit. non può essere configurato come una norma derogatoria del subappalto posto che essa muove dalla considerazione della specificità di determinate categorie di forniture e di servizi e, sulla base della natura peculiare di dette prestazioni e della diversità del regolamento contrattuale in termini di rapporti tra le parti del contratto e con l'amministrazione appaltante, giunge alla conclusione che i contratti con i quali vengono affidate a lavoratori autonomi specifiche attività rientranti nell'appalto non sono contratti di subappalto (l'incipit dell'art. 105, comma 3, cit. fornisce un'univoca indicazione testuale in tal senso: «Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto [...]»). La norma in questione pertanto delimita i confini rispetto alla nozione di subappalto applicabile nella disciplina sui contratti pubblici, ma non è una norma derogatoria del regime sul subappalto (né di natura eccezionale).

9.3. La distinzione tra le due figure contrattuali (subappalto e lavoro autonomo) si fonda non solo, come si è veduto, sulla specificità delle prestazioni, ma anche sulla diversità degli effetti giuridici dei due tipi di contratto. Le prestazioni alla base dei due contratti sono infatti dirette a destinatari diversi: nel caso del subappalto, il subappaltatore esegue direttamente parte delle prestazioni del contratto stipulato con l'amministrazione, sostituendosi all'affidatario; nell'altro caso, le prestazioni sono rese in favore dell'aggiudicatario che le riceve, inserendole nell'organizzazione di impresa necessaria per adempiere alle obbligazioni contrattuali e le riutilizza inglobandole nella prestazione resa all'amministrazione appaltante. Nel subappalto vi è un'alterità anche sul piano organizzativo, tra appaltatore e subappaltatore, poiché la parte di prestazione contrattuale è affidata dall'appaltatore a un terzo che la realizza direttamente attraverso la propria organizzazione; mentre nel contratto di cooperazione la prestazione resa è inserita all'interno dell'organizzazione imprenditoriale dell'appaltatore. I due contratti sono quindi diversi quantomeno sul piano funzionale.

9.4. Ne deriva che la disciplina in tema di subappalto non è immediatamente estendibile, se non si dimostri che il contratto di lavoro autonomo costituisca solo uno schermo per il contratto di subappalto (il che, nella concreta fattispecie, non risulta).

10. Con il terzo mezzo di gravame si deduce l'ingiustizia della sentenza per aver ritenuto che l'incarico di direttore tecnico del gruppo di lavoro non possa svolgersi nelle forme del lavoro autonomo, per la generalità ed essenzialità dell'incarico rispetto al contenuto del servizio richiesto.

Sul punto, l'appellante rileva, anzitutto, che la lex specialis nulla disponeva in merito al tipo di contratto di lavoro che l'impresa dovesse utilizzare, imponendo esclusivamente la sussistenza di particolari requisiti professionali legati alla formazione, all'anzianità, alle conoscenze tecniche ed alla capacità. In secondo luogo, nella fattispecie dovrebbe applicarsi il principio secondo cui l'organizzazione di maestranze e collaboratori necessari per l'esecuzione dell'appalto è rimessa alla libera determinazione dell'imprenditore, nella quale rientra anche la scelta del tipo di rapporto da instaurare con i propri collaboratori e del relativo contratto.

10.1. Anche quest'ultima censura è fondata.

Come rilevato dall'appellante, la lex specialis di gara non contiene alcuna prescrizione in ordine al tipo di contratto di lavoro (subordinato o autonomo) del direttore tecnico per il monitoraggio (si veda l'art. 2 del capitolato d'oneri [«Oggetto e durata dell'appalto»], nonché i punti 5.1.1. e ss. dell'allegato tecnico, dedicati al «Coordinamento del monitoraggio» e alla analitica descrizione delle attività di monitoraggio oggetto del contratto). Pertanto la scelta dello strumento contrattuale attraverso il quale l'appaltatore reperisce le prestazioni si conforma al principio di autonomia dell'imprenditore (che discende dal principio costituzionale della libera iniziativa privata di cui all'art. 41 Cost.), il quale organizza e predispone autonomamente le risorse e i mezzi idonei e necessari ad adempiere alle obbligazioni contrattuali oggetto dell'appalto.

10.2. Né può essere condivisa la tesi dell'amministrazione secondo cui, per la guida del gruppo di lavoro, in relazione alle essenziali funzioni svolte dal direttore tecnico, occorrerebbe necessariamente assumerlo con contratto di lavoro subordinato; tesi che confonde il piano del rapporto tra l'appaltatore, esecutore del servizio, e il direttore del gruppo di lavoro (rapporto che può trovare origine in un contratto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo), con il piano nel quale si inserisce la relazione tra il direttore e i singoli componenti del gruppo di lavoro. Non si vede, infatti, né sul piano giuridico né su quello fattuale, in qual modo la prima relazione si rifletta sulla seconda: anche l'esistenza di un rapporto di lavoro autonomo non esclude che l'appaltatore possa attribuire, al professionista incaricato di svolgere il ruolo di direttore tecnico, i medesimi poteri di direzione e controllo sul gruppo di lavoro che sarebbero conferiti al direttore con contratto di lavoro subordinato.

11. In conclusione, l'appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso introduttivo in primo grado, con annullamento degli atti impugnati.

12. Considerata la complessità delle questioni esaminate e decise, si giustifica l'integrale compensazione delle spese giudiziali, per entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione Prima, 24 aprile 2020, n. 4183, accoglie il ricorso introduttivo e annulla il verbale del 1° ottobre 2019 con cui il seggio di gara costituito presso il Servizio amministrazione della Camera dei deputati ha disposto l'esclusione del costituendo R.T.I. tra P.R.S. Planning Ricerche e Studi s.r.l. e HSPI s.p.a.

Rigetta l'appello incidentale proposto dalla Camera dei deputati.

Spese compensate.

Ordina che il presente dispositivo sia eseguito dall'autorità amministrativa.

L. Di Muro, G. Correale (curr.)

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