Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 14 giugno 2021, n. 4584

Presidente: Santoro - Estensore: De Luca

FATTO E DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (per brevità, anche AGCM o Autorità) ha appellato la sentenza di prime cure, con cui il Tar Veneto ha rigettato il ricorso ex art. 21-bis l. n. 287 del 1990 proposto avverso il provvedimento di diniego opposto dall'Ente di Governo del trasporto pubblico locale del bacino territoriale ottimale e omogeneo di Venezia (per brevità, anche Ente di Governo), in relazione ad una domanda presentata dalla società Torquato Tasso Società Cooperativa a r.l. tendente ad ottenere l'autorizzazione alla prestazione del servizio di trasporto commerciale nel territorio veneziano.

In particolare, secondo quanto dedotto dall'odierno appellante:

- l'Ente di Governo ha rigettato l'istanza autorizzatoria de qua, richiamandosi principalmente al divieto di sovrapposizione e interferenza con il servizio pubblico già affidato alla società Azienda Veneziana della Mobilità s.p.a. (AVM s.p.a.) e all'Azienda Trasporto Veneto Orientale s.p.a. (in seguito ATVO), ai sensi dell'art. 23, comma 2, l.r. Veneto n. 25/1998;

- il servizio oggetto di autorizzazione, infatti, prevedeva una "sostanziale identità tariffaria", fermate ed orari del programma di esercizio "in sovrapposizione" con quelle dei c.d. servizi minimi affidati ad AVM s.p.a. e ad ATVO, determinando una non consentita sottrazione di utenza;

- l'AGCM, a fronte della segnalazione pervenuta dalla società Torquato e di altre verifiche disposte d'ufficio, ha adottato un parere motivato ex art. 21-bis l. n. 287 del 1990, avente ad oggetto il prefato diniego di autorizzazione;

- in particolare, l'Autorità ha rilevato che il diniego de quo determinava una restrizione non proporzionata della concorrenza, limitando ingiustificatamente l'ingresso sul mercato di un nuovo operatore ed estendendo impropriamente all'offerta di servizi di natura commerciale il monopolio riconosciuto sul mercato del trasporto pubblico locale, in violazione degli artt. 49, 106 e 107 TFUE;

- in subordine, l'Autorità ha chiesto all'Amministrazione di disapplicare le disposizioni della l.r. Veneto n. 25/1998, ove ritenute ostative al rilascio dell'autorizzazione ad un nuovo servizio di tipo commerciale, in quanto incompatibili con le disposizioni unionali;

- l'Ente di Governo ha confermato il proprio diniego di autorizzazione, rilevando che i contratti di servizio affidati ad AVM e ad ATVO prevedevano obblighi di servizio pubblico in capo ai gestori, a fronte dei quali erano stati riconosciuti diritti di esclusiva, all'uopo da tutelare; peraltro, dai dati in possesso dell'Amministrazione non emergeva una domanda di servizio allo stato non soddisfatta, né poteva ritenersi che il servizio per il quale era stata chiesta l'autorizzazione fosse destinato ad una platea di utenti differenti rispetto a quella servita dal servizio pubblico; pertanto, non potendo ammettersi l'erogazione di un servizio commerciale in concorrenza con i servizi programmati, pena la sottrazione di clientela ai servizi assoggettati ad obblighi di servizio pubblico, in attuazione dell'art. 23, comma 2, l.r. n. 25/1998 (all'uopo non disapplicabile), l'istanza autorizzatoria de qua sarebbe stata correttamente rigettata;

- l'Autorità ha, dunque, proposto ricorso ex art. 21-bis l. n. 287 del 1990 per l'annullamento del diniego di autorizzazione e degli atti connessi;

- il Tar ha rigettato i motivi di impugnazione, pervenendo alla conferma della legittimità delle determinazioni gravate.

2. La ricorrente in prime cure, ricostruito il percorso motivazionale sotteso alla sentenza del Tar, ne ha denunciato l'erroneità con l'articolazione di tre motivi di appello.

2.1. In particolare, con il primo motivo di appello è stata censurata la sentenza di prime cure, per avere ritenuto che la mera esistenza di un servizio di trasporto pubblico locale precludesse l'esercizio da parte di soggetti terzi di un diverso servizio di natura commerciale a vocazione turistica, senza verificare se, in concreto, lo svolgimento di tale diverso servizio da parte di un privato comportasse l'effettiva "compromissione dell'equilibrio economico" delle imprese incaricate di svolgere i servizi di trasporto pubblico locale, non essendo sufficiente a tale fine una sovrapposizione solo parziale del servizio commerciale ad una linea di trasporto pubblico locale.

Secondo quanto dedotto dall'appellante:

- l'Amministrazione avrebbe dovuto svolgere una complessiva verifica tra i costi ed i ricavi relativi allo svolgimento dei predetti servizi di TPL in relazione a tutte le linee oggetto del medesimo contratto di servizio, onde verificare la necessità dei diritti di esclusiva riconosciuti in favore della società affidataria dei relativi servizi pubblici e, quindi, la legittimità del diniego di autorizzazione all'accesso nel mercato di soggetti terzi fornitori di servizi di trasporto a vocazione turistica; altrimenti legittimandosi indebite restrizioni alla libertà di iniziativa economica degli operatori privati e inammissibili sovra-compensazioni in favore degli incaricati dell'erogazione del pubblico servizio;

- il che sarebbe confermato dagli artt. 1 e 4 reg. (CE) n. 1370/2007, ostativi al riconoscimento di sovracompensazioni;

- inoltre, l'art. 58 TFUE, nel prevedere che "la libera circolazione dei servizi, in materia di trasporti, è regolata dalle disposizioni del titolo relativo ai trasporti", non farebbe venire meno l'applicazione al caso di specie dell'art. 49 TFUE sulla libertà di stabilimento; così come la mancata inclusione della materia dei trasporti nell'ambito di applicazione della direttiva servizi non avrebbe impedito l'applicazione delle previsioni del Trattato in materia di libertà di stabilimento e dei principi generali del diritto unionale, con particolare riguardo ai principi di necessarietà e proporzionalità, richiedenti a carico dell'Amministrazione procedente un'analisi caso per caso (c.d. case by case analysis), del tutto mancante nella specie;

- le riserve garantite agli esercenti di un servizio di TPL non potrebbero, infine, estendersi anche al diverso mercato dei servizi commerciali a vocazione turistica.

2.2. Con il secondo motivo di appello è censurata la sentenza di prime cure, per erronea applicazione dell'art. 106, par. 2, TFUE, considerata dal Tar la base giuridica fondante la legittimità delle determinazioni censurate in primo grado.

Secondo la prospettazione dell'appellante, invece:

- l'art. 106, par. 2, TFUE non avrebbe potuto essere applicato isolatamente, operando soltanto in combinato disposto con almeno un'altra disposizione unionale;

- in ogni caso, l'art. 106, par. 2, TFUE avrebbe dovuto essere inteso restrittivamente, richiedendo una verifica della necessità e proporzionalità delle misure limitative delle libertà economiche, in concreto omessa;

- pertanto, il rigetto dell'istanza da parte dell'Ente di Governo avrebbe dovuto costituire l'extrema ratio, cui ricorrere solo laddove il servizio non potesse essere autorizzato neanche a seguito di modifiche (eventualmente di orari e di tariffe).

2.3. Con il terzo motivo di appello è censurata la sentenza di prime cure, per avere erroneamente ritenuto che spettasse all'Autorità l'onere di dimostrare l'esistenza di una possibile sovra-compensazione a favore della società affidataria del servizio di trasporto pubblico locale, conseguente all'illegittima estensione dell'esclusiva prevista in suo favore, in relazione al diverso settore dei trasporti autorizzati con finalità turistica.

Secondo quanto contestato dall'appellante, invece, avrebbe dovuto essere l'Amministrazione a dimostrare l'assenza di indebite sovra-compensazioni, anche perché nella disponibilità esclusiva dei relativi elementi informativi; sicché, non risultando le società affidatarie del servizio pubblico selezionate mediante previa indizione di una procedura di gara, in assenza di una approfondita analisi dei costi di svolgimento del TPL e dei suoi ricavi in relazione a tutte le linee oggetto del contratto di servizio, non sarebbe stato possibile giungere ad alcuna conclusione né in merito alla sussistenza di una compromissione dovuta all'ingresso di Torquato, né sull'assenza di una eventuale sovra-compensazione di oneri dei soggetti esercenti le linee di TP di servizio pubblico contraria all'art. 107, primo comma, TFUE o al Regolamento (CE) n. 1370/2007.

In subordine, l'Autorità ha chiesto di rimettere alla Corte di giustizia un quesito pregiudiziale volto a chiarire se «l'art. 106, secondo par., TFUE, in combinato disposto con gli articoli 49 e 107 TFUE, interpretati alla luce del principio di proporzionalità, ostino all'applicazione di una disposizione regionale, quale l'art. 23, comma 2, l. r. V., tale per cui un'Amministrazione locale può negare ad un privato l'autorizzazione allo svolgimento di un "servizio di trasporto commerciale autorizzato" in ragione dell'asserita "sovrapposizione e interferenza" con i servizi di TPL, senza aver previamente verificato se l'eventuale autorizzazione a svolgere il predetto servizio comporti l'effettiva compromissione dell'equilibrio economico dei contratti di servizio in base ai quali vengono svolte le linee di TPL interessate dalla parziale sovrapposizione e interferenza».

3. Il Comune di Venezia, A.T.V.O. s.p.a. e la Citta Metropolitana di Venezia si sono costituiti in giudizio, in resistenza all'appello. La società Torquato Tasso Società Cooperativa a. r.l. si è costituita in adesione all'atto di appello.

A.T.V.O. s.p.a. ha pure proposto appello incidentale condizionato, "in via meramente subordinata, solo nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento del ricorso in appello principale", volto a denunciare l'error in procedendo et in iudicando in cui sarebbe incorso il Tar per non avere ravvisato l'irricevibilità del ricorso di prime cure e, comunque, la sua inammissibilità sia per difetto di interesse, sia per la natura di merito del sindacato giurisdizionale sollecitato dall'Autorità ricorrente.

4. Il Comune di Venezia, A.T.V.O. s.p.a. e la Citta Metropolitana di Venezia hanno argomentato a sostegno delle rispettive conclusioni con il deposito di memorie conclusionali.

6. L'Autorità e A.T.V.O. s.p.a. hanno depositato memoria di replica.

7. Il Comune di Venezia e la società A.T.V.O. s.p.a. hanno depositato note di udienza chiedendo la decisione della controversia.

8. La causa è stata trattenuta in decisione nell'udienza dell'11 marzo 2021.

9. In via pregiudiziale, occorre statuire sull'eccezione di "irricevibilità del ricorso in appello per tardività del deposito" opposta dalla società A.T.V.O. s.p.a. con memoria conclusionale depositata in data 23 febbraio 2021.

Trattasi, infatti, di eccezione di rito che, se fondata, comporterebbe l'irricevibilità dell'appello, le cui doglianze non potrebbero, pertanto, essere esaminate nel merito.

In particolare, secondo quanto dedotto dalla parte appellata, il ricorso in appello sarebbe stato depositato oltre il termine perentorio di quindici giorni decorrenti dal perfezionamento della sua notifica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 21-bis l. n. 287/1990, 45 e 119 c.p.a.: a fronte della notifica perfezionatasi in data 15 aprile 2019, il ricorso in appello sarebbe stato infatti depositato soltanto in data 9 maggio 2019.

10. L'eccezione di irricevibilità è fondata.

11. Il presente giudizio è soggetto al rito speciale di cui all'art. 119 c.p.a., connotato dal dimezzamento (altresì) del termine perentorio per il deposito del ricorso in appello.

12. In primo luogo, si rileva che il ricorso in prime cure è stato proposto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai sensi dell'art. 21-bis l. n. 287/1990; il che, peraltro, risulta espressamente riconosciuto dalla stessa appellante sin dall'atto introduttivo del giudizio dinnanzi al Tar (cfr. pag. 1 ricorso di primo grado, in cui si rileva che "il presente ricorso viene proposto a norma dell'art. 21-bis l. 287/1990").

12.1. Al riguardo, questo Consiglio (Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246), nel ricostruire la portata applicativa dell'art. 21-bis l. n. 287/1990, ha precisato come la relativa disciplina non preveda due forme di tutela attivabili dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato - l'una con accesso diretto ed immediato al giudice e l'altra mediata alla fase pre-contenziosa -, facendosi questione di un rimedio giuridico unitario soggetto al medesimo regime processuale.

In particolare, con argomentazioni condivise dal Collegio, nel predetto precedente n. 2246 del 2014, è stato osservato che:

- l'art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, aggiunto dall'art. 35, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 214 del 2011, significativamente rubricato "Poteri dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza", ha previsto al comma 1 che "L'Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato";

- al successivo secondo comma è poi stabilito che "L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni":

- il terzo comma aggiunge infine che "Ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104";

- ognuna delle ricordate disposizioni assolve ad una specifica funzione, individuando e tutelando uno specifico interesse pubblico;

- il primo comma infatti, attribuisce una peculiare legitimatio ad causam all'Autorità nei confronti degli atti amministrativi generali, dei regolamenti e dei provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato, in tal modo evidenziando la natura di speciale interesse pubblico generale della tutela della concorrenza e del mercato, quale condizione essenziale per l'ordinato sviluppo economico e sociale e per il progresso della collettività, in armonia del resto con i principi comunitari;

- è coerente con il bene giuridico protetto dalla norma (la libertà di concorrenza ed il corretto funzionamento del mercato) e con le finalità che con essa si intende perseguire (la crescita e lo sviluppo economico) la previsione che l'accertamento della violazione delle nome in questione e il loro ripristino, per un verso, trascenda l'interesse specifico del singolo operatore del mercato e sia pertanto sottratto alla libera disponibilità dell'interessato (il che giustifica la disposizione nella parte in cui ammette sostanzialmente una legittimazione ad agire concorrente, dell'Autorità e dei singoli interessati, quanto ai provvedimenti lesivi del predetto bene giuridico), e, per altro verso, la tutela debba avviarsi per quanto possibile immediatamente, in tal modo dovendo essere intesa la legittimazione ad agire dell'Autorità nei confronti dei regolamenti e dei provvedimenti generali (atti che, secondo i principi generali, in quanto in genere non immediatamente lesivi, possono essere impugnati solo unitamente ai provvedimenti di cui costituiscono applicazione);

- il secondo comma, coerentemente con il principio di legalità predicato dall'art. 97 della Costituzione, cui è improntata tutta l'attività della pubblica amministrazione, disciplina (e delimita, procedimentalizzandolo) il potere attribuito alla Autorità in relazione agli atti amministrativi generali, ai regolamenti e ai provvedimenti amministrativi, dalla stessa ritenuti violativi delle norme a tutela della concorrenza e del mercato;

- secondo l'intenzione del legislatore, così come si ricava dall'esame della norma, il fondamentale e innovativo ruolo attribuito all'Autorità circa il controllo sull'effettivo ed efficace dispiegarsi della libertà della concorrenza e del mercato impone che il potere di agire in giudizio contro gli atti lesivi di tali principi sia preceduto da una fase pre-contenziosa, caratterizzata dall'emissione, da parte dell'Autorità, di un parere motivato rivolto alla pubblica amministrazione, parere in cui ragionevolmente sono segnalate le violazioni riscontrate e sono indicano i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato;

- con il terzo comma, infine, è stato stabilito che alle controversie azionate dall'Autorità ai sensi del comma uno trovino applicazione le disposizioni concernenti i riti abbreviati, di cui al Libro IV, Titolo V, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104;

- in presenza di una previsione di rinvio così generale, all'intero titolo V del libro IV, del codice del processo amministrativo, e in considerazione del bene giuridico tutelato, deve ragionevolmente ritenersi che il legislatore non abbia inteso sottoporre le controversie in questione al solo rito abbreviato dell'art. 119 c.p.a., fermo restando la necessità di verificare in concreto l'applicabilità delle altre specifiche disposizione del titolo V alla fattispecie sottoposta all'esame del giudice;

- l'art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, anche in considerazione della sostanziale unicità ed unitarietà del bene giuridico protetto (libertà della concorrenza e del mercato), sia pur nelle differenti prospettive di cui ai commi 1 e 2, non preveda due distinte forme di tutela del predetto bene giuridico, l'una con accesso diretto ed immediato al giudice e l'altra mediata alla fase pre-contenziosa;

- risulta in tal senso priva di autonoma rilevanza la circostanza per cui il terzo comma dell'articolo in esame faccia riferimento, ai fini di stabilire la disciplina processuale da applicare, ai soli giudizi instaurati ai sensi del comma 1, da ciò non potendo desumersi l'esistenza di altri giudizi (instaurati ai sensi del comma 2, successivamente cioè all'espletamento della fase pre-contenziosa);

- il riferimento operato dal legislatore (ai giudizi di cui al comma 1), lungi dall'essere equivoco o fonte di dubbi, è del tutto coerente e ragionevole, anche sotto il profilo dell'interpretazione letterale, tenuto conto che solo nel comma 1 si prevede la legittimazione straordinaria dell'Autorità ed il potere di quest'ultima di introdurre giudizi, di cui non vi è invece alcuna menzione nel comma 2;

- né alla predetta ricostruzione dell'unicità dei giudizi instaurabili dall'Autorità può opporsi che in tal modo, dovendo cioè gli stessi essere necessariamente preceduti dalla fase pre-contenziosa, potrebbero verificarsi in concreto e nell'immediato proprio quegli effetti negativi ed eventualmente irreversibili, derivanti dalla efficacia di regolamenti, atti generali e provvedimenti emessi in violazione delle norme poste a tutela della concorrenza e del mercato, che la stessa norma vuole invece scongiurare;

- è sufficiente rilevare al riguardo che, fermo restando la generale disciplina delineata dal secondo comma dell'art. 21-bis in esame, non vi è alcuna ragione logico-sistematica che possa ragionevolmente escludere, ricorrendone i presupposti, la richiesta da parte dell'Autorità delle misure cautelari ante causam di cui all'art. 61 c.p.a.;

- la Corte costituzionale, con la sentenza n. 20 del 14 febbraio 2013, nel dichiarare inammissibili le questioni di illegittimità costituzionale dell'art. 21-bis della l. n. 287 del 1990 promosse in via principale dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, 113, primo comma, 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, alla legge costituzionale n. 3 del 2001 ed al principio di leale collaborazione, ha osservato che detta norma, piuttosto che introdurre un "nuovo e generalizzato controllo di legittimità" in capo all'Autorità nei confronti degli atti delle pubbliche amministrazioni, ha soltanto integrato "... i poteri conoscitivi e consultivi già attribuiti all'Autorità garante dagli artt. 21 e seguenti della legge n. 287 del 1990", prevedendo "... un potere di iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato ... e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi che violino le norme a tutela della concorrenza [e] del mercato", precisando quindi che tale potere "... si esterna in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda (eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione non si conformi al parere stesso";

- trova pertanto autorevole conforto la tesi della eccezionalità della legitimatio ad causam riconosciuta all'Autorità in funzione del bene giuridico tutelato e l'unicità e unitarietà dell'azione giudiziaria dalla stessa proposta, ancorché preceduta da una necessaria fase pre-contenziosa.

12.2. Alla stregua delle considerazioni svolte, emerge che l'odierna appellante, agendo dinnanzi al Tar, ha azionato apposito rimedio giurisdizionale, regolato in via unitaria dall'art. 21-bis l. n. 287/1990, soggetto, sul piano processuale, alle disposizioni di cui al Libro IV, Titolo V, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

I riti speciali previsti dagli artt. 119 e ss. c.p.a., seppure connotati da disposizioni particolari, operanti in relazione al compimento di taluni atti processuali, sono accomunati dal generale dimezzamento dei termini processuali ordinari.

In particolare:

- ai sensi dell'art. 119, comma 2, c.p.a., "Tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all'articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel presente articolo"; trattasi di previsione applicabile, ai sensi dell'art. 119, comma 7, c.p.a., anche al giudizio di appello;

- ai sensi dell'art. 45, comma 1, c.p.a., "Il ricorso e gli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione sono depositati nella segreteria del giudice nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui l'ultima notificazione dell'atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario";

- ai sensi dell'art. 94 c.p.a., "Nei giudizi di appello, di revocazione e di opposizione di terzo il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall'ultima notificazione ai sensi dell'articolo 45, unitamente ad una copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni";

- per l'effetto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 45, comma 1, 94 e 119, comma 2, c.p.a. e 21-bis l. n. 287/1990, il termine perentorio da rispettare per il deposito del ricorso in appello è di quindici giorni decorrenti dal perfezionamento dell'ultima notificazione anche per il destinatario;

- la regola del dimezzamento dei termini per il deposito del ricorso in appello, in virtù del rinvio operato dall'art. 120, comma 3, c.p.a. all'art. 119 c.p.a., trova applicazione anche in relazione alle impugnazioni proposte avverso gli atti delle procedure di affidamento ex art. 120 c.p.a., non prevedendo al riguardo tale articolo alcuna disposizione derogatoria;

- parimenti, le ulteriori disposizioni recate negli artt. 121 e ss. c.p.a., inseriti nell'ambito del Libro IV, Titolo V, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, non dettano una disciplina derogatoria riferita ai termini di deposito del ricorso in appello.

Emerge, dunque, che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 45, comma 1, c.p.a., 94 c.p.a., 119, comma 2, c.p.a. e 21-bis l. n. 287/1990, il ricorso in appello, proposto avverso una sentenza emessa a definizione di una causa introdotta ai sensi dell'art. 21-bis l. n. 287/1990, deve essere depositato entro il termine perentorio di quindici giorni dal perfezionamento dell'ultima notificazione anche per il destinatario.

13. Non potrebbe diversamente argomentarsi neppure rilevando che l'art. 119, comma 2, c.p.a. non prevede espressamente la perentorietà del termine processuale dimezzato.

La previsione in commento, operando un rinvio ai termini ordinari, consente di individuare, nel caso concreto, mediante l'applicazione della regola della dimidiazione, il termine da osservare per il compimento del singolo atto processuale: la natura del termine - perentorio o ordinatorio - non è, invece, regolata dalla disposizione normativa in analisi, dovendo dunque essere ricostruita avendo riguardo al regime generale cui è assoggettato il relativo termine.

Pertanto, se detto termine è regolato come perentorio, lo stesso non muterà natura giuridica in caso di dimezzamento ex art. 119, comma 2, c.p.a.

Peraltro, una interpretazione differente, volta a negare la natura perentoria dei termini dimezzati ex art. 119, comma 2, c.p.a., anche ove la regola della dimidiazione sia applicata ad un termine regolato come perentorio, oltre a non trovare alcun fondamento nel dato positivo - rinviando l'art. 119, comma 2, c.p.a. ai termini ordinari e prevedendo soltanto il loro dimezzamento, senza influire, dunque, sul relativo regime ordinatorio o perentorio - risulterebbe manifestamente incompatibile con la ratio sottesa sia alla previsione di un termine processuale perentorio, sia al rito speciale di cui all'art. 119 c.p.a.

Sotto il primo profilo, la perentorietà del termine discende da valutazioni di ordine pubblico processuale - volte a garantire il celere svolgimento del giudizio in condizioni di parità delle parti -, correlate alla tipologia di atto regolato; pertanto, le esigenze di tutela sottese alla previsione di un termine perentorio, di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, non possono declinarsi differentemente a fronte del medesimo atto processuale, permanendo con la medesima forza, a prescindere da quale sia il rito applicabile al giudizio nell'ambito del quale l'atto deve essere compiuto.

Sotto il secondo profilo, si rileva che la previsione del rito abbreviato rientra nelle scelte discrezionali del legislatore, tendendo ad assicurare una celere definizione di determinate tipologie di controversie, involgenti interessi sensibili, suscettibili di essere pregiudicati da una perdurante incertezza dei relativi atti e rapporti amministrativi, derivante dalla loro contestazione in sede giurisdizionale.

La qualificazione in termini ordinatori dei termini processuali dimezzati ex art. 119, comma 2, c.p.a., anche ove corrispondenti a termini ordinari perentori, minerebbe, dunque, tali esigenze di tutela: i soggetti del processo, a fronte di termini ordinatori, non sarebbero indotti ad agire tempestivamente, non producendosi in caso di azioni tardive gli effetti decadenziali discendenti dall'inosservanza di un termine perentorio; intendendo tutti i termini ex art. 119, comma 2, c.p.a. come ordinatori, si priverebbe di utilità il rito abbreviato, non consentendosi la definizione del giudizio con una tempistica (di regola) dimezzata rispetto a quella altrimenti operante.

Si conferma, dunque, che un termine processuale non muta la sua natura perentoria ove soggetto alla regola della dimidiazione processuale.

Pertanto, costituendo il termine per il deposito del ricorso un termine perentorio ex art. 45, comma 1, c.p.a., tale termine conserva la propria natura (perentoria) anche nell'ambito del rito abbreviato ex art. 119 c.p.a, con conseguente irricevibilità del ricorso tardivamente depositato (cfr. C.d.S., Sez. V, 12 maggio 2017, n. 2233; Sez. III, 14 luglio 2015, n. 3527; Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2399).

14. Avuto riguardo al caso di specie, il termine di quindici giorni prescritto dal combinato disposto degli artt. 45, comma 1, c.p.a., 94 c.p.a., 119, comma 2, c.p.a. e 21-bis l. n. 287/1990, non risulta essere stato rispettato.

Alla stregua di quanto emergente dal fascicolo informatico:

- il ricorso in appello è stato notificato via pec in data 15 aprile 2019, con notificazione perfezionatasi anche per i destinatari in pari data;

- il ricorso in appello è stato depositato in data 9 maggio 2019 e, pertanto, una volta decorso il termine perentorio di quindici giorni dal perfezionamento della sua notificazione nei confronti dei destinatari.

Per l'effetto, posto che ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. a), c.p.a., "il giudice dichiara, anche d'ufficio, il ricorso: a) irricevibile se accerta la tardività della notificazione o del deposito...", facendosi questione di ricorso tardivamente depositato, l'appello deve essere dichiarato irricevibile.

15. Peraltro, non potrebbe giungersi a diversa conclusione neppure invocando la rimessione in termini ex art. 37 c.p.a.

Trattasi di un istituto di carattere eccezionale, derogando alla generale perentorietà dei termini processuali, come osservato prevista a tutela del pubblico interesse al tempestivo e celere svolgimento del giudizio, oltre che della parità di trattamento delle parti, da sottoporre ai medesimi termini processuali.

La sua operatività deve, dunque, ritenersi limitata alle ipotesi in cui sussista effettivamente un impedimento oggettivo ovvero un errore scusabile in cui sia incorsa la parte processuale, determinato da fatti oggettivi, rappresentati - di regola - dall'oscurità del testo normativo, dalla sussistenza di contrasti giurisprudenziali o da erronee rassicurazioni fornite da soggetti pubblici istituzionalmente competenti all'applicazione della normativa violata.

Come precisato da questo Consiglio, "tale istituto riveste carattere eccezionale (cfr. Ad. plen., nn. 22 del 2016, 33 del 2014, 32 del 2012, 10 del 2011, 3 del 2010), risolvendosi in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali, ed è soggetto a regole di stretta interpretazione. Infatti, i termini in generale, e quelli dei riti speciali abbreviati in particolare, sono stabiliti dal legislatore per ragioni di interesse generale e hanno applicazione oggettiva. In definitiva, i presupposti per la concessione dell'errore scusabile sono individuabili esclusivamente nella oscurità del quadro normativo, nelle oscillazioni della giurisprudenza, in comportamenti ambigui dell'amministrazione, nell'ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione dei termini effettivamente previsti dalla legge, nel caso fortuito e nella forza maggiore" (C.d.S., Sez. IV, 19 settembre 2019, n. 6242).

Nel caso di specie, non risultano dedotti - né, a fortiori, provati - impedimenti fattuali che hanno reso impossibile il rispetto del termine processuale in esame; non si discorre neppure di comportamenti ambigui dell'amministrazione, né emerge un contrasto giurisprudenziale in ordine alla natura perentoria del termine di deposito del ricorso in appello, in caso di sua sottoposizione alla regola del dimezzamento ex art. 119, comma 2, c.p.a.

Come precisato da questo Consiglio proprio in relazione ad una controversia soggetta al rito abbreviato ex art. 119 c.p.a., "la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che il termine legislativamente fissato per il deposito del ricorso presso la segreteria del giudice adito abbia carattere perentorio in quanto, essendo espressione di un principio di ordine pubblico processuale, è sottratto alla disponibilità non solo delle parti, ma anche del giudice, il quale non può disattenderlo o prorogarlo, al di fuori dei casi restrittivamente interpretati di errore scusabile, per sopperire all'inerzia dell'interessato" (C.d.S., Sez. III, 8 febbraio 2021, n. 1129).

Non emerge, infine, neppure una situazione fattuale tale da poter avere determinato nella parte appellante un errore scusabile.

Come precisato dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio (n. 32 del 2012), l'applicazione del rito è doverosa ed oggettiva, e non vi è spazio per una scelta del rito, o sua disapplicazione, ad opera delle parti o del giudice. Le parti sono tenute a seguire il rito speciale e il giudice, a propria volta, è tenuto alla sua osservanza. Se la parte non rispetta i termini del rito speciale incorre in un errore processuale che determina decadenza, salva la ricorrenza dell'errore scusabile.

Sotto tale ultimo profilo, in particolare, l'Adunanza plenaria ha osservato che "se in primo grado viene seguito il rito ordinario senza che nessuna delle parti, che anzi ne traggono vantaggio, né il giudice rilevino la necessità di seguire il rito speciale, e senza che vi siano altri indizi della necessità di seguire il rito speciale (qualificazione del ricorso nel registro dei ricorsi, misura del contributo unificato) si determina una situazione complessiva, oggettivamente e concretamente idonea a trarre in errore la parte. Sicché, la parte che, nel proporre appello, segue i termini del rito ordinario anziché quelli del rito speciale, incorre in un errore che può essere ritenuto scusabile".

Nel caso di specie, tuttavia:

- il ricorso di primo grado, come osservato sopra, risulta espressamente qualificato dalla stessa ricorrente come ricorso ex art. 21-bis l. n. 287/1990;

- nel fascicolo informatico di primo grado, la tipologia di ricorso risulta classificata come "rito abbreviato (ex art. 119 c.p.a.)";

- coerentemente, il giudizio di primo grado si è svolto con le forme del rito abbreviato, avendo la stessa parte ricorrente depositato memoria conclusionale in data 3 dicembre 2018 e memoria di replica in data 7 dicembre 2018, a fronte di un'udienza di discussione fissata per il giorno 19 dicembre 2018; con una tempistica, pertanto, coerente con l'applicazione del rito abbreviato ex art. 119 c.p.a.;

- anche il ricorso in appello, nel discorrere dell'atto introduttivo del giudizio, opera un riferimento al "ricorso proposto dall'Autorità ex art. 21-bis della legge n. 287/1990" (pag. 1 appello);

- parimenti, il fascicolo di appello risulta classificato come "appello avv. sentenza nel rito abbreviato ex art. 119 c.p.a.".

Pertanto, in assenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla perentorietà del termine dimidiato di deposito del ricorso in appello ex art. 119 c.p.a., a fronte di un contesto fattuale e processuale connotato dalla certa applicazione dell'art. 119 c.p.a., non sussistono i presupposti per concedere la rimessione in termini ex art. 37 c.p.a.

16. L'appello deve, dunque, essere dichiarato irricevibile per tardività del suo deposito ai sensi del combinato disposto degli artt. 35, comma 1, lett. a), c.p.a., 45, comma 1, c.p.a., 94 c.p.a., 119, comma 2, c.p.a. e 21-bis l. n. 287/1990.

Per l'effetto, deve essere assorbito il ricorso in appello incidentale, proposto "in via meramente subordinata, solo nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento del ricorso in appello principale": il mancato accoglimento dell'appello principale, in ragione della sua irricevibilità, osta infatti alla disamina dell'appello incidentale condizionato.

17. Le spese processuali del grado di appello possono essere interamente compensate tra le parti in ragione della particolarità della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile.

Compensa interamente tra le parti le spese processuali del grado di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

V. anche Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 14 giugno 2021, nn. 4585 e 4586.

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