Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 16 giugno 2021, n. 534
Presidente ed Estensore: De Nictolis
FATTO E DIRITTO
1. Con atto notificato al Comune resistente e ai controinteressati il 15 febbraio 2018 e depositato il 14 marzo 2018 i signori Giuseppe e Carmela Z. propongono appello avverso la sentenza del Tar Sicilia - Palermo, sez. III, 20 luglio 2017, n. 1932 che ha respinto il ricorso di primo grado proposto avverso:
- la nota prot. 7 ottobre 2015 n. 18759 ricevuta il 18 ottobre 2015, che riconosce il diritto alla sepoltura della signora N. Francesca nella tomba intestata ai ricorrenti ubicata nel settore S part. n. 47;
- l'autorizzazione al seppellimento datata 8 ottobre 2015.
1.1. Nella parte in fatto del ricorso di primo grado veniva evidenziato che si tratterebbe di una "tomba a due posti", che era originariamente intestata allo zio N. Leonardo, deceduto senza figli, di cui è divenuto erede Z. Francesco, padre degli odierni ricorrenti.
Gli stessi ricorrenti hanno conseguito, giusta delibera di G.M. n. 350/2003, l'intestazione della sepoltura, nella quale risulterebbero sepolti, al momento dell'adozione degli atti impugnati, il signor N. Leonardo, i nonni paterni e i genitori dei ricorrenti.
Il Comune, con gli atti impugnati, avrebbe riconosciuto il diritto alla sepoltura in tale tomba della signora N. Francesca, e autorizzato i due controinteressati a effettuare la sepoltura.
1.2. Nella parte in diritto del ricorso di primo grado si denunciavano vizi di eccesso di potere, contraddittorietà, difetto di motivazione e di istruttoria, sotto il profilo che i provvedimenti adottati nel 2015 sarebbero in contrasto con la voltura della concessione cimiteriale operata con la delibera di G.M. n. 350/2003. Pertanto, l'adozione dei due provvedimenti impugnati avrebbe dovuto avvenire nel rispetto dell'art. 21-novies l. n. 241/1990, di cui difetterebbero, invece, tutti i presupposti: mancherebbero l'originaria illegittimità del provvedimento, la sussistenza di un interesse pubblico attuale, il termine ragionevole, la valutazione comparativa di interesse pubblico e privato.
2. Il Tar ha respinto il ricorso con la sentenza indicata in epigrafe, ritenendo che il diritto alla sepoltura compete ai familiari del titolare della tomba, salva diversa espressa volontà contraria del medesimo. Rientrano tra i familiari anche i parenti nella linea collaterale. Non vi sarebbe perciò alcuna contraddittorietà dell'autorizzazione alla sepoltura di un familiare, rilasciata nel 2015, con la voltura della concessione cimiteriale, assentita nel 2003.
3. Hanno proposto appello gli originari ricorrenti.
3.1. Nemmeno in appello si sono costituiti il Comune appellato e i controinteressati, già contumaci in primo grado.
3.2. Con atto del 19 ottobre 2020 gli appellanti hanno dichiarato che perdura l'interesse alla decisione.
3.3. La causa è passata in decisione all'udienza del 15 giugno 2021, in vista della quale l'appellante ha depositato note di udienza in data 11 giugno 2021.
4. L'atto di appello è affidato a due motivi.
4.1. Con il primo si lamenta la violazione dell'art. 93 d.P.R. n. 285/1990 (regolamento di polizia mortuaria), e la violazione del principio generale secondo cui la sepoltura può essere autorizzata solo previo accertamento del relativo diritto del defunto. Nella specie, non sarebbe stato considerato che con la voltura n. 350/2003 i ricorrenti sarebbero divenuti concessionari "in esclusiva", e solo loro e i loro familiari avrebbero diritto alla sepoltura. Sarebbe inoltre violato l'art. 93 d.P.R. n. 285/1990 in base al quale il diritto di uso delle tombe private si esercita fino al completamento della capienza del sepolcro. Nel caso di specie si tratta di una tomba privata già occupata da cinque salme, per cui nessuna sepoltura poteva essere autorizzata.
4.2. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
È inammissibile nella parte in cui si lamenta la violazione dell'art. 93, comma 1, d.P.R. n. 285/1990 quanto alla previsione secondo cui "tale diritto si esercita fino al completamento della capienza del sepolcro", e si assume che essendo la tomba già occupata da cinque salme, non si poteva autorizzare una ulteriore sepoltura.
Si tratta infatti di un motivo nuovo, proposto per la prima volta in appello, come si evince da un piano confronto tra il ricorso di primo grado e il ricorso di appello. Dato che tale censura non è mai stata sottoposta al contraddittorio con le altre parti in prime cure e all'esame del giudice del Tar, la stessa è inammissibile, stante il divieto dei nova in appello.
Giova poi aggiungere che nel rilevare d'ufficio l'inammissibilità di un motivo nuovo perché proposto per la prima volta in appello, non occorre dare alle parti l'avviso di cui all'art. 73 c.p.a. per le questioni rilevate d'ufficio.
Lo scopo dell'art. 73 c.p.a. è infatti di evitare le c.d. decisioni "a sorpresa" con esiti processuali non prevedibili per le parti perché relativi a questioni giuridiche dalle parti non prese in considerazione. Non si ricade in tale ipotesi quando la parte, assistita dal medesimo difensore sia in primo grado che in appello, modifica in appello la materia del contendere del giudizio di primo grado in senso additivo, con l'aggiunta di questioni mai sollevate in prime cure e che esulano dalla critica alla sentenza gravata. In tal caso la parte non può non essere consapevole della propria scelta processuale e delle conseguenze giuridiche della stessa, né può ritenersi "colta di sorpresa" dalla declaratoria di inammissibilità, essendo piuttosto essa parte a porre in essere un atto processuale "a sorpresa" che, sotto veste di riproposizione dei motivi del primo grado e di critica alla sentenza, introduce senza avviso esplicito al giudice e alle altre parti censure nuove mai esposte in prime cure.
A fronte di una consapevole scelta processuale della parte, ragioni di economia processuale impongono di applicare le conseguenze processuali discendenti direttamente dalla legge, e conoscibili dalla parte, senza necessità di attivare il contraddittorio.
4.3. Nel resto il motivo è infondato, perché non scalfisce i chiari argomenti del Tar secondo cui un conto è la titolarità della sepoltura, un conto è il diritto al seppellimento nella tomba privata dei "familiari" del titolare.
Dispone infatti l'art. 93, comma 1, d.P.R. n. 285/1990, che "Il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari".
Il citato art. 93 non definisce il "familiare", la cui nozione si desume dalle regole del codice civile sulla parentela e sulla successione ereditaria legittima: si tratta quanto meno dei parenti fino al sesto grado, oltre che dei coniugi e conviventi more uxorio.
Nel caso di specie la sepoltura autorizzata con i provvedimenti impugnati riguarda una cugina di secondo grado dei ricorrenti, ossia una parente di sesto grado, che come tale ha titolo alla sepoltura, non risultando, peraltro, dall'atto di concessione, nessuna espressa esclusione dei familiari o riserva in favore dei soli titolari della tomba.
Non rileva, ai fini processuali, che la sepoltura sia stata autorizzata dal Comune senza verificare i limiti di capienza della tomba, perché si tratta di ipotetico vizio che doveva essere tempestivamente denunciato con il ricorso di primo grado, e non lo è stato.
5. Con il secondo motivo di appello si lamenta la violazione e mancata applicazione dell'art. 8, comma 1, l.r. n. 10/1991 e dell'art. 21-novies l. n. 241/1990, i nuovi provvedimenti sarebbero una autotutela rispetto alla voltura della concessione cimiteriale del 2003 e avrebbero violato tutti i presupposti dell'autotutela.
5.1. Anche tale censura presenta un profilo di inammissibilità laddove nel sostenere il difetto di interesse pubblico attuale evidenzia che i posti nella sepoltura sono già esauriti. Come già evidenziato in relazione al primo motivo di appello, si tratta di censura inammissibilmente nuova.
5.2. Nel resto, il motivo è in radice infondato perché i provvedimenti del 2015 non costituiscono autotutela rispetto al provvedimento del 2003. Come ha già chiarito il Tar, la titolarità della sepoltura è questione diversa dalla individuazione della platea dei familiari che possono essere seppelliti nella tomba privata, sicché, la autorizzazione alla sepoltura di un familiare del titolare della tomba, non costituisce in alcun modo atto di autotutela perché non inficia la titolarità della concessione cimiteriale.
Ne consegue che, non trattandosi di provvedimenti di autotutela, non occorre verificare se ricorressero o meno i presupposti e le condizioni dell'art. 21-novies l. n. 241/1990, disposizione che nella specie non è applicabile.
6. Conclusivamente, l'appello è in parte inammissibile e in parte infondato.
Non si fa luogo a pronuncia sulle spese, in difetto di costituzione degli appellati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.