Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 25 giugno 2021, n. 25333

Presidente: Fidelbo - Estensore: Mogini

RITENUTO IN FATTO

1. E. Emiy ricorre per mezzo del difensore di fiducia avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte di appello di Torino ha dichiarato l'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna formulata dall'Autorità giudiziaria della Croazia con mandato di arresto europeo emesso in data 10 febbraio 2021 dal Tribunale di Zagabria con riferimento a provvedimento cautelare del 2 marzo 2016 relativo a 8 furti in abitazione, consumati o tentati, commessi in Croazia, in concorso con altra persona, tra il 16 luglio e il 23 settembre 2014.

2. La sentenza impugnata evidenzia che: a) in relazione al medesimo titolo cautelare la ricorrente era stata già tratta in arresto a Torino il 4 dicembre 2017 sulla base di mandato di arresto europeo emesso dall'Autorità giudiziaria croata; b) in applicazione dell'art. 18, lett. p), della l. n. 69 del 2005, la consegna della ricorrente era stata rifiutata dalla Corte di appello di Torino, con sentenza pronunciata il 2 febbraio 2018 e divenuta irrevocabile il 16 febbraio 2018, essendo stato accertato che E., a quella data, risultava essere madre di una bambina di età inferiore ai tre anni, in mancanza di esigenze cautelari di eccezionale gravità.

Dopo aver premesso che nel caso di specie non si configura un'ipotesi di ne bis in idem, poiché la precedente decisione di rifiuto della consegna, pur riferendosi al medesimo titolo cautelare, non aveva statuito sul merito della richiesta e si era limitata a dare atto, in via pregiudiziale, della oggettiva sussistenza di un motivo ostativo alla consegna, alla luce del tenore della disposizione recata dall'art. 18, lett. p), della l. n. 69 del 2005 all'epoca vigente, la Corte territoriale ha evidenziato che a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 10 del 2 febbraio 2021 il succitato art. 18 è stato riformulato, eliminando l'ipotesi di rifiuto obbligatorio della consegna relativa all'esistenza di prole di età inferiore ai tre anni. Sicché, in base alla normativa oggi applicabile alla domanda di consegna, ricorrono le condizioni per l'accoglimento della relativa richiesta, poiché l'eccepito radicamento della ricorrente nel territorio dello Stato non rileva, trattandosi di mandato di arresto europeo processuale, mentre l'allegazione difensiva riguardante l'esistenza di un titolo esecutivo interno e la pendenza di procedimento penale dinanzi al Tribunale di Cuneo nei confronti della stessa ricorrente per reati diversi da quelli oggetto del m.a.e. deve ritenersi del tutto generica e non documentata, ciò impedendo tra l'altro alla Corte territoriale la comparazione tra le esigenze processuali del giudice nazionale e quelle dello Stato richiedente necessaria per l'eventuale rinvio della consegna ex art. 24 della l. n. 69 del 2005.

3. La ricorrente deduce i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p.

3.1. Violazione del principio del ne bis in idem, poiché la sentenza, divenuta definitiva, con la quale nel 2018 la stessa Corte di appello di Torino aveva rifiutato la consegna della ricorrente ai sensi dell'art. 18, lett. p), della l. n. 69 del 2005 non si era limitata alla decisione di questioni pregiudiziali in rito, ma aveva deliberato nel merito di richiesta identica a quella in esame, accertando l'esistenza di una causa obbligatoria di rifiuto e l'assenza di esigenze cautelari allo scopo rilevanti.

3.2. Mancanza di motivazione circa il ritenuto carattere processuale del m.a.e. in questione, non risultando da tale titolo se il processo croato per quei fatti sia ancora in corso o se sia stato definito. Allorché, in tale ultimo caso, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare le allegate condizioni di radicamento in Italia della ricorrente, nata a Guastalla, presente nel territorio dello Stato da oltre cinque anni e residente a Torino, dove nel 2016 ha dato alla luce una figlia, con ciò vertendosi in ipotesi di consegna facoltativa.

3.3. "Errata motivazione in ordine al mancato accertamento e conseguente ritenuta insussistenza di un titolo esecutivo definitivo, ancorché allo stato sospeso ex art. 146 c.p., e di una pendenza in Italia a carico della ricorrente", risultanti il primo dal certificato del Casellario e la seconda dal verbale di esecuzione dell'ordinanza della stessa Corte territoriale con la quale la ricorrente è stata posta agli arresti domiciliari a tutela della sua effettiva consegna all'Autorità giudiziaria croata.

4. Disposta la trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, in mancanza di richiesta, nei termini ivi previsti, di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate [«rigetto del ricorso» - n.d.r.].

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito indicati.

1.1. Va per chiarezza premesso che, in tema di mandato di arresto europeo, il principio del ne bis in idem viene in rilievo, in primo luogo, quale motivo obbligatorio di rifiuto della consegna previsto all'art. 18, lett. b), della l. n. 69/2005, quale risulta dalle modifiche apportate dall'art. 14 del d.lgs. n. 10/2021 (in precedenza analogo motivo di rifiuto era previsto all'art. 18, lett. m, della l. n. 69/2005).

Il vigente art. 18, intitolato "Motivi di rifiuto obbligatorio della consegna", al riguardo ora testualmente dispone: "[f]ermo quanto previsto dagli articoli 1, commi 3 e 3-ter, 2 e 7, la corte di appello rifiuta la consegna (...) se risulta che nei confronti della persona ricercata, per gli stessi fatti, sono stati emessi, in Italia, sentenza o decreto penale irrevocabili o sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione o, in altro Stato membro dell'Unione europea, sentenza definitiva, purché, in caso di condanna, la pena sia stata già eseguita ovvero sia in corso di esecuzione, ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato che ha emesso la condanna (...)".

Tale norma costituisce il riflesso, in materia attinente alla consegna europea, degli artt. 50 del Trattato sull'Unione europea (TUE) e 54 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen (CAAS), oggetto dell'acquis europeo, che statuiscono il diritto a non essere giudicato o punito due volte per lo stesso fatto allorché sia intervenuta sentenza di assoluzione o condanna definitiva in uno Stato membro dell'UE, a condizione, in caso di condanna, che la pena sia stata eseguita, in corso di esecuzione o non più suscettibile di esecuzione.

È evidente che nel caso di specie tale causa di rifiuto obbligatorio della consegna (vedi Sez. 6, n. 10085 del 14 gennaio 2021, Burca, Rv. 280720; Sez. 6, n. 1695 del 14 gennaio 2014, Caldaras, Rv. 258145) non sia configurabile, né sia stata del resto ipotizzata dalla stessa ricorrente, la quale non ha allegato in nessun modo l'esistenza di sentenze definitive pronunciate in Italia o in altro Stato membro dell'Unione europea sugli stessi fatti oggetto del mandato di arresto europeo de quo.

1.2. Il primo motivo di ricorso pone, invece, con riferimento al mandato di arresto europeo, il tema - tradizionalmente definito "ne bis in idem estradizionale" in relazione all'archetipo della consegna internazionale rappresentato dal meccanismo dell'estradizione - relativo alla esistenza e alla portata di un eventuale effetto preclusivo prodotto su una nuova domanda di consegna dalla pronuncia definitiva contraria intervenuta su una precedente richiesta presentata dallo stesso Stato per i medesimi fatti-reato.

Le sentenze di legittimità chiamate a chiarire le condizioni e i contorni di un tale effetto preclusivo non hanno al riguardo fornito, anche in ragione della diversità dei casi concreti esaminati, indicazioni uniformi.

È stato così affermato che, in tema di mandato di arresto europeo, il principio del ne bis in idem trova applicazione con riguardo alla sentenza irrevocabile con la quale è stata rifiutata la consegna, per effetto del mancato invio da parte dello Stato richiedente della documentazione integrativa richiesta, sicché la Corte d'appello non può, a seguito della successiva ricezione della predetta documentazione, pronunciarsi nuovamente sulla medesima richiesta, modificando la precedente decisione di rifiuto (Sez. 6, n. 35290 del 19 luglio 2018, Sniadecki, Rv. 273780, che in motivazione ha precisato che solo nel caso in cui il rifiuto sia motivato dal serio pericolo di sottoposizione a trattamenti non consentiti, ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. h), l. 69 del 2005, la sentenza deve considerarsi adottata "allo stato degli atti" ed è, quindi, suscettibile di una nuova valutazione ove l'impedimento alla consegna venga rimosso).

Diversa prospettiva ermeneutica si rinviene in Sez. 6, n. 18872 del 26 aprile 2018, Di Lallo, Rv. 273134, secondo la quale, in tema di mandato di arresto europeo, non configura violazione del principio del ne bis in idem la pronuncia di una successiva decisione che dispone la consegna dell'interessato all'autorità giudiziaria dello Stato richiedente quando una precedente decisione abbia negato detta consegna definendo soltanto questioni attinenti al rito o meramente pregiudiziali, senza deliberare sul merito della richiesta.

1.3. Il Collegio ritiene che, in mancanza di pertinenti previsioni della l. 22 aprile 2005, n. 69, il parametro normativo idoneo a orientare l'interprete in subiecta materia debba essere individuato facendo riferimento all'art. 39, comma 1, della stessa legge, il quale prevede un meccanismo normativo di completamento della legislazione interna propria al mandato di arresto europeo che, nel constatato vuoto di disciplina specifica, rende applicabili le disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari, in quanto compatibili.

Sicché anche in materia di mandato di arresto europeo, certamente connotata da tratti analoghi alla consegna estradizionale, deve ritenersi applicabile l'art. 707 c.p.p., intitolato "Rinnovo della domanda di estradizione", secondo cui: "La sentenza contraria all'estradizione preclude la pronuncia di una successiva sentenza favorevole a seguito di un'ulteriore domanda presentata per i medesimi fatti dallo stesso Stato, salvo che la domanda sia fondata su elementi che non siano già stati valutati dall'autorità giudiziaria".

1.4. In realtà, la giurisprudenza di questa Corte, anche a tale riguardo evidentemente condizionata dalla diversità dei casi concreti sottoposti al suo esame, non appare uniforme nell'individuare gli elementi nuovi rilevanti ai sensi dell'art. 707 c.p.p. - per non essere stati già valutati dall'autorità giudiziaria - e idonei ad evitare il verificarsi della preclusione ivi prevista.

Secondo un primo orientamento, in tema di estradizione per l'estero richiesta sulla base della Convenzione europea del 13 dicembre 1957, la sentenza con la quale la Corte di cassazione dichiari non sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione, a causa del suo ritiro da parte dello Stato istante, preclude, ex art. 707 c.p.p., la pronuncia di una successiva sentenza favorevole a seguito della presentazione da parte dello stesso Stato di una nuova domanda per i medesimi fatti, salvo che la stessa sia fondata su elementi non valutati in precedenza (Sez. 6, n. 40167 del 18 ottobre 2006, Jazukevicius, Rv. 235230, la quale, in applicazione di tale principio, ha ritenuto preclusa la valutazione di una nuova domanda di estradizione presentata dalle autorità tedesche, dopo che la stessa Corte di cassazione aveva dichiarato non sussistenti le condizioni per l'accoglimento di una precedente domanda, a seguito del suo ritiro, motivato dalla cessazione del titolo estradizionale). In tale prospettiva, è stato ritenuto che "[r]agioni sistematiche e logiche lasciano dedurre che gli 'elementi' nuovi evocati dall'art. 707 c.p.p. attengano a circostanze o eventi inerenti i profili sostanziali del fatto o dei fatti reato integranti la domanda in tutte le loro componenti (ontologiche e soggettive), emersi in epoca successiva alla precedente richiesta estradizionale o comunque non portati o non potuti portare a conoscenza dell'autorità giudiziaria dello Stato richiesto, e non già circostanze o situazioni di stretta significanza processuale", sicché deve concludersi che "il divieto di un secondo procedimento estradizionale per i medesimi fatti, nei confronti della medesima persona ed instaurato su 'rinnovata' domanda del medesimo Stato richiedente rinvii ad un concetto di consunzione o perenzione dell'esercizio del peculiare diritto di estradizione attiva". Si deve pertanto escludere "che uno Stato richiedente possa considerarsi facoltizzato a rinnovare o reiterare ad libitum domande di estradizione identiche e già in precedenza respinte dallo Stato richiesto ovvero cadute in perenzione (...) per effetto dell'autonoma ed insindacabile decisione dello stesso Stato richiedente di ritirare o revocare l'anteriore richiesta estradizionale; salvi i casi (...) che la nuova o le nuove domande si basino su elementi storici diversi od ulteriori non resi già oggetto della o delle precedenti richieste", mentre "non può far velo all'operatività dell'effetto preclusivo del giudicato estradizionale in tal modo formatosi il fatto che la decisione del giudice di legittimità sia stata connotata da mere valenze processuali o formali connesse alla revoca della richiesta di estradizione" (così, testualmente, Sez. 6, Jazukevicius, cit.).

Una successiva pronuncia ha maggiormente circoscritto detto effetto preclusivo, statuendo che, in tema di estradizione per l'estero richiesta sulla base della Convenzione europea del 13 dicembre 1957, la pronuncia di una successiva sentenza favorevole all'estradizione non è preclusa a seguito di un'ulteriore domanda presentata dallo stesso Stato per i medesimi fatti a norma dell'art. 707 c.p.p., quando la precedente decisione abbia definito questioni in rito o di natura pregiudiziale, senza deliberare sul merito della richiesta (Sez. 6, n. 8812 del 25 febbraio 2011, Balliu, Rv. 249640, in fattispecie in cui la Corte d'appello aveva precedentemente rigettato una domanda estradizionale avanzata dalle autorità albanesi, per la mancanza del provvedimento custodiale e la non esecutività della sentenza di primo grado, impugnata dinanzi all'autorità giudiziaria albanese).

Tale decisione definisce espressamente "il cosiddetto 'giudicato estradizionale'" come "mera preclusione allo stato degli atti", che attiene alla sola deliberazione sul merito della richiesta, e non comprende le decisioni che per questioni in rito o pregiudiziali non abbiano appunto esaminato tale merito della richiesta e, quindi, non abbiano espressamente deliberato sulla sua conformità al sistema internazionale o, in assenza di convenzioni, ai principi di cui all'art. 705 c.p.p.". Ritiene quindi "fuorviante affrontare il tema guardando ad una sorta di 'diritto di azione' riconosciuto allo Stato estero 'una tantum', un diritto di azione che quindi si consumerebbe con il suo mero esercizio a prescindere dall'effettivamente avvenuta delibazione dei merito della richiesta", posto che "[i]nnanzitutto la norma dell'art. 707 c.p.p. non lo prevede espressamente e, anzi, una tale interpretazione - ove non supportata appunto da specifica e conforme previsione normativa, come non è - si porrebbe in contrasto con il corretto ed efficace adempimento degli obblighi internazionali, che prevedono in particolare la leale collaborazione per il perseguimento di finalità di cooperazione ritenute utili e condivise da norme pattizie". Di specifico e particolare rilievo deve poi ritenersi l'ulteriore passaggio della motivazione secondo cui "[i]n ogni caso, (...) ove si ritenesse che anche la soluzione 'in rito' determini il giudicato allo stato degli atti, per coerenza sistematica occorrerebbe allora dare rilievo anche ai nuovi 'elementi' (ex art. 707 c.p.p.) 'in rito' in ipotesi sopravvenuti, sì che la decisione di reiezione (in rito o nel merito) avrebbe valenza allo stato degli atti, sia quanto al loro contenuto che quanto alla loro stessa materiale e formale esistenza".

1.5. Il Collegio ritiene che anche in tema di mandato di arresto europeo l'art. 707 c.p.p. - applicabile alla consegna europea in virtù dell'art. 39, comma 1, l. n. 69 del 2005 - attribuisca alla sentenza definitiva con la quale sono state dichiarate non sussistenti le condizioni per l'accoglimento di una prima domanda di consegna un effetto preclusivo "allo stato degli atti" e rebus sic stantibus, destinato a venir meno qualora la nuova domanda richieda l'apprezzamento di elementi in precedenza non valutati dall'autorità giudiziaria.

Depone in questo senso il tenore letterale dell'art. 707 c.p.p., che valorizza allo scopo non già la natura - processuale o di merito - delle questioni affrontate dalla prima decisione, bensì il diverso oggetto della valutazione giudiziaria indotta e resa necessaria dalla seconda domanda, quali che siano gli elementi rilevanti ai fini della decisione che non siano già stati valutati nel primo procedimento. Tali nuovi, rilevanti elementi possono dunque consistere anche nell'intervenuta modifica della normativa interna applicabile, sicché nel caso di specie non deve ritenersi preclusa la valutazione del m.a.e. in esame, presentato dallo stesso Stato membro per i medesimi fatti di cui la ricorrente è imputata dinanzi all'autorità giudiziaria croata, dopo che con una prima sentenza, divenuta definitiva in assenza di impugnazione, la competente Corte di appello aveva ritenuto, con decisione sul "merito" della richiesta di consegna, sussistente il motivo di rifiuto al tempo previsto dall'art. 18, lett. p), l. n. 69 del 2005 e poi abrogato dal d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, essendo stato all'epoca accertato che la persona richiesta in consegna sulla base di m.a.e. processuale risultava essere madre di prole di età inferiore ai tre anni, in mancanza di esigenze cautelari di eccezionale gravità.

Deve a tale proposito essere precisato che la preclusione "debole" appena descritta non trova fondamento nella perenzione di un "diritto di azione" riconosciuto "una tantum" allo Stato membro dell'Unione europea in materia di consegna. Già incongrua rispetto al sistema internazionale di consegna penale fondato sullo strumento dell'estradizione (Sez. 6, Balliu, cit.), tale impostazione appare all'evidenza contraria ai principi di mutuo riconoscimento delle decisioni tra Stati membri dell'Unione europea e alla importanza dei relativi meccanismi per la costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e della fiducia reciproca che essi richiedono fra detti Stati, sicché, salva la presenza di motivi ostativi, l'esecuzione del m.a.e. è obbligatoria per l'autorità giudiziaria dell'esecuzione (in questo senso, tra molte, Corte EDU, 17 aprile 2018, Pirozzi c. Belgio, n. 21055/11). Orbene, come si è già visto al precedente punto 1.1 del considerato in diritto, il divieto del ne bis in idem viene in considerazione quale motivo ostativo alla consegna europea solo in relazione alle situazioni disciplinate agli artt. 50 TUE e 54 CAAS, non sussistenti nel caso di specie.

Il primo motivo di ricorso è pertanto infondato e va rigettato.

1.6. Il Collegio rileva peraltro che agli atti del procedimento, ed in particolare al foglio 2 della stessa sentenza impugnata, risulta pacifico che la ricorrente è ancora oggi madre di prole inferiore ai tre anni: nello specifico, di due figli, rispettivamente di un anno e sei mesi e di cinque mesi, diversi dalla primogenita che aveva dato luogo alla più volte richiamata decisione di rifiuto di consegna e che nell'attualità ha compiuto i quattro anni di età.

Pur in presenza del rilevante elemento di novità rispetto alla situazione esaminata e decisa a seguito della presentazione del primo m.a.e., costituito dal diverso parametro normativo ora applicabile, posto che l'art. 14 del d.lgs. n. 10/2021 ha modificato l'art. 18 della l. 22 aprile 2005, n. 69, di tal che attualmente quella causa di rifiuto (madre di prole di età inferiore a tre anni) non è più prevista dalla legge, il Collegio ritiene che l'intervenuta abrogazione del motivo obbligatorio di rifiuto della consegna già previsto dall'art. 18, lett. p), l. n. 69 del 2005, non valga di per sé a ritenere consentita la consegna europea di madre di prole di età inferiore a tre anni.

Infatti, l'art. 2, comma 1, della l. n. 69 del 2005 prevede che, in conformità a quanto stabilito dall'art. 6, paragrafi 1 e 2, del Trattato sull'Unione europea e dal punto 12 dei consideranda della decisione quadro, l'Italia darà esecuzione al mandato di arresto europeo nel rispetto dei diritti e principi stabiliti dai trattati internazionali e dalla Costituzione indicati alle lett. a) e b) della medesima disposizione.

La Corte costituzionale (sentenza n. 17 del 2017), nel rilevare che il comma 4 dell'art. 275 c.p.p. contiene un divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere di carattere generale - che prescinde, cioè, dal titolo di reato - riferito ad alcune categorie di imputati, tra i quali la madre di figli minori infraseienni con lei conviventi, ha ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la ratio del divieto legislativo di applicazione della misura cautelare carceraria, in presenza di minori di età inferiore ai sei anni, risiede nella necessità di salvaguardare la loro integrità psicofisica, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari (entro i limiti precisati dal codice di rito), garantendo così ai figli l'assistenza della madre, in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro crescita e formazione (ex plurimis, Sez. 6, n. 35806 del 23 giugno 2015, Pepe, Rv. 264725; Sez. 6, n. 29355 del 30 aprile 2014, Astuccia, Rv. 259934; Sez. 1, n. 4748 del 12 dicembre 2013, dep. 2014, Alvaro, Rv. 258143).

La stessa Corte costituzionale ha dunque sottolineato a più riprese (sentenze n. 239 del 2014 e n. 177 del 2009; ordinanza n. 145 del 2009) che il divieto in questione è frutto del giudizio di valore operato dal legislatore, il quale stabilisce che, nei termini e nei limiti ricordati, sulla esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria deve prevalere la tutela di un altro interesse di rango costituzionale, quello correlato alla protezione costituzionale dell'infanzia, garantita dall'art. 31 Cost., e che il bilanciamento compiuto dal legislatore tra le esigenze di difesa sociale e l'interesse del minore ha conosciuto, nel tempo, varie modulazioni, caratterizzate dal progressivo ampliamento della tutela accordata a quest'ultimo. La Corte costituzionale ha inoltre posto in evidenza (sentenze n. 17 del 2017, n. 239 del 2014, n. 7 del 2013 e n. 31 del 2012) la speciale rilevanza dell'interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell'ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione, ed ha riconosciuto che tale interesse è complesso ed articolato in diverse situazioni giuridiche, rilevando che queste ultime trovano riconoscimento e tutela sia nell'ordinamento costituzionale interno - che demanda alla Repubblica di proteggere l'infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo (art. 31, secondo comma, Cost.) - sia nell'ordinamento internazionale, ove vengono in particolare considerazione le previsioni dell'art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e dell'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000. I Giudici della Consulta hanno più in particolare rilevato che queste due ultime disposizioni qualificano come «superiore» l'interesse del minore, stabilendo che in tutte le decisioni relative ad esso, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, tale interesse «deve essere considerato "preminente": precetto che assume evidentemente una pregnanza particolare quando si discuta dell'interesse del bambino in tenera età a godere dell'affetto e delle cure materne» (così, in particolare, Corte cost., sentenze n. 17 del 2017 e n. 239 del 2014).

Sicché, in definitiva, l'art. 275, comma 4, c.p.p. rappresenta, per gli effetti di cui all'art. 2 l. n. 69 del 2005, la traduzione di diritti fondamentali e principi stabiliti dai trattati internazionali e dalla Costituzione, ed in particolare dall'art. 31, secondo comma, Cost., dall'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dall'art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo.

L'elevato rango dell'interesse del minore a fruire in modo continuativo dell'affetto e delle cure materne, tuttavia, non lo sottrae in assoluto ad un possibile bilanciamento con interessi contrapposti, pure di rilievo costituzionale, quali sono certamente quelli di difesa sociale, sottesi alle esigenze cautelari, laddove la madre sia imputata di gravi delitti (in senso analogo, si veda ancora Corte cost., sentenza n. 239 del 2014, ulteriormente richiamata nella sentenza n. 17 dei 2017). La stessa disposizione censurata, del resto, fa comunque salve le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza anche in presenza di un figlio minore di sei anni.

Ebbene, nel caso di specie mancano in radice, e non sono mai state nemmeno prefigurate, né tantomeno concretamente allegate, esigenze cautelari siffatte.

Si tratta dunque di questione che attiene all'esecuzione del mandato di arresto europeo nel rispetto delle garanzie costituzionali di cui al primo comma dell'art. 2 della l. 22 aprile 2005, n. 69, come tale rilevabile d'ufficio da questa Corte ai sensi dell'art. 609, comma 2, c.p.p. e che impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con conseguente inefficacia della misura degli arresti domiciliari applicata alla ricorrente e immediata liberazione di quest'ultima, se non detenuta per altra causa.

1.7. Gli ulteriori motivi di ricorso risultano assorbiti nel disposto annullamento.

2. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p. e 22, comma 5, l. n. 69/2005.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e, per l'effetto, dichiara inefficace la misura degli arresti domiciliari disponendo l'immediata liberazione della ricorrente, se non detenuta per altra causa. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p. e 22, comma 5, l. n. 69/2005.

Depositata il 1° luglio 2021.

A. Di Majo

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