Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 16 marzo 2021, n. 27374

Presidente: Di Tomassi - Estensore: Siani

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza in epigrafe, resa il 5 febbraio 2020, il tribunale di sorveglianza di Ancona ha rigettato il reclamo proposto da Andrea P. avverso la revoca dell'approvazione dell'ammissione al lavoro all'esterno emessa dal magistrato di sorveglianza di Ancona il 19 settembre 2019.

Il tribunale, a ragione del provvedimento, ha osservato che la motivazione con la quale il magistrato di sorveglianza aveva revocato la precedente approvazione afferiva al fatto che la prestazione di attività lavorativa da parte del ristretto, consistente nello svolgimento del lavoro quotidiano di badante della madre presso il domicilio della donna, ubicato in Pesaro, aveva evidenziato la criticità determinata dal non potersene controllare l'effettività, con i conseguenti rischi, oltre che dall'assenza del suo impegno in attività risocializzanti, in un ambito in cui era intervenuta la rilevante novità costituita dall'aggiornamento della posizione giuridica di P., che aveva contemplato l'allungamento di ben cinque anni della pena detentiva da espiarsi, così da raggiungere un residuo di pena di circa quattordici anni di reclusione: stato dell'espiazione che si inquadrava in una situazione di fatto per la quale P., detenuto nella casa circondariale di Ancona Montacuto, non era stato trasferito - né aveva chiesto il trasferimento - alla casa circondariale di Pesaro, luogo in cui egli doveva necessariamente recarsi ogni giorno per l'espletamento del lavoro suddetto.

Poste tali coordinate, il tribunale ha ritenuto infondato il reclamo condividendo le linee ermeneutiche alla base del provvedimento di revoca dell'approvazione e reputando valide le ragioni che l'avevano determinato.

2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di P. chiedendone l'annullamento sulla base di due motivi, unitariamente trattati.

2.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 21 ord. pen. e 48 d.P.R. n. 230 del 2000.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia la contraddittorietà della motivazione.

La difesa evidenzia che il decreto del magistrato di sorveglianza di Ancona, di revoca dell'approvazione all'ammissione al lavoro all'esterno, aveva fondato la sua ragion d'essere esclusivamente sulla sopravvenienza del nuovo titolo esecutivo e quindi sull'allungamento del fine pena, dopo aver rivolto all'istituto di pena le note del 9 agosto e del 10 settembre 2019, il cui scopo era di sollecitare la rivalutazione critica della posizione di P., senza che tuttavia la direzione dell'istituto, unica a potersi legittimamente pronunciare in merito, avesse dato inizio all'iter prefissato per addivenire alla revoca.

Di conseguenza, argomenta il ricorrente, il provvedimento era stato emanato sine titulo e anche senza base logica, in quanto le sollecitazioni formulate dal magistrato di sorveglianza non avevano ricevuto la condivisione della direzione dell'istituto e, nonostante ciò, il primo aveva disposto la revoca; a sua volta, il tribunale di sorveglianza - sostiene la difesa - ha finito per legittimare la decisione reclamata, ma lo ha fatto in modo illogico e contraddittorio rispetto alla premessa dallo stesso svolta, lì dove ha collegato la possibilità della revoca al sopraggiungere di nuovi elementi di giudizio o di circostanze prima trascurate, deponenti per la pericolosità del detenuto, o della valutata inopportunità di consentire allo stesso di trascorrere gran parte del tempo al di fuori dal carcere. Inoltre, al tribunale si rimprovera di aver fatto riferimento al pericolo di reiterazione del reato, assente nel decreto reso dal magistrato di sorveglianza, dedicando soltanto in conclusione un cenno alla perplessità circa l'effettività del lavoro svolto dal detenuto presso l'anziana madre, circostanza, però, mai rappresentata da nessuno.

In definitiva, il ricorrente sostiene che l'ordinanza impugnata si sorregge su temi mai affrontati, nemmeno dal magistrato di sorveglianza, il quale aveva poggiato la sua decisione solo sull'allungamento del fine pena, null'altro argomentando: e questa contraddizione determina la crisi della motivazione del provvedimento del tribunale.

3. Con memoria del 15 ottobre 2020 la difesa di P. ha svolto osservazioni integrative deducendo che: il ripensamento alla base della revoca ha svalutato illogicamente l'esito degli approfondimenti compiuti e delle relazioni rassegnate dai servizi sociali, da cui emergeva la funzionalità dell'ammissione del detenuto al lavoro all'esterno, svolto con l'ausilio delle sue sorelle e con il controllo delle forze dell'ordine di Pesaro; le considerazioni circa l'allungamento del fine pena non tenevano conto dell'applicazione della continuazione ai vari reati, in virtù della quale l'attuale fine pena era fissato al 2027; la mancata sua assegnazione alla casa circondariale di Pesaro era dipesa, non da una sua scelta, ma dall'entità della pena da scontare; di conseguenza, nonostante la pena attualmente da espiare fosse inferiore a quella del tempo in cui il magistrato di sorveglianza aveva dato l'approvazione, si era registrata la revoca dell'approvazione del provvedimento ammissivo al lavoro all'esterno; nessuna comparazione era possibile con il disposto dell'art. 51-bis ord. pen.

In conclusione, il ricorrente ha ribadito che il potere del magistrato di sorveglianza si era esaurito nella facoltà di restituire la proposta contenente il piano di trattamento, a lui presentata per l'approvazione, con le osservazioni ritenute necessarie per una riformulazione della proposta di lavoro all'esterno.

4. Con memoria del 28 ottobre 2020 il difensore di P. ha ulteriormente integrato le precedenti deduzioni considerando che il provvedimento di ammissione del lavoro all'esterno ha natura amministrativa e, di conseguenza, essendo limitato il potere del magistrato di sorveglianza all'interlocuzione sulla proposta di ammissione al lavoro all'esterno, ammissione per la quale necessita la sua approvazione, deve ritenersi che tale interlocuzione lo abiliti soltanto a svolgere osservazioni al fine della nuova formulazione di essa.

Da tale presupposto la difesa fa derivare la conclusione che, nel caso concreto - una volta ammesso il detenuto al lavoro all'esterno - il magistrato di sorveglianza non avesse il potere di ritirare la precedente approvazione, mentre non era vero che la direzione della casa circondariale non avesse riscontrato le sollecitazioni del magistrato di sorveglianza.

5. Il Procuratore generale ha prospettato il rigetto dell'impugnazione, osservando, fra l'altro, che: nel caso di specie, il magistrato di sorveglianza aveva revocato l'approvazione dopo aver ripetutamente sollecitato la direzione a prendere posizione sull'obiettiva, mutata situazione del condannato; d'altro canto, al momento di emissione dell'approvazione, il magistrato di sorveglianza deve tenere conto degli indici stabiliti dalla legge (art. 48 d.P.R. n. 230 del 2000), sicché, come è essenziale l'atto di approvazione all'ammissione, così lo è l'approvazione dell'atto di revoca assunto sempre dal direttore del carcere; da tale quadro normativo discende il dovere da parte dello stesso magistrato di sorveglianza di intervenire revocando la propria approvazione qualora - mutate le condizioni - le sue sollecitazioni al riesame della situazione rivolte alla direzione del carcere siano restate senza riscontro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte ritiene che l'impugnazione, pur nell'indubbia peculiarità giuridica della situazione oggetto di esame, non sia fondata.

2. È rilevante prendere atto che il tribunale di sorveglianza nell'ordinanza impugnata ha disatteso il reclamo del detenuto laddove evidenziava che l'art. 48 d.P.R. n. 230 del 2000 conferisce la facoltà di revoca dell'ammissione al lavoro all'esterno agli organi dell'amministrazione penitenziaria obiettando che, in primo luogo, il magistrato di sorveglianza aveva segnalato ripetutamente alla direzione della casa circondariale la situazione - determinata anche dalle sopravvenienze - relativa alla posizione di P., senza ottenere riscontro, e che, in secondo luogo, il provvedimento di revoca emesso dal magistrato di sorveglianza non aveva riguardato l'ammissione al lavoro all'esterno, atto di competenza del direttore del carcere, bensì il precedente decreto di approvazione della proposta: ossia un proprio atto.

Il tribunale specializzato ha argomentato nel senso che, in tale prospettiva, non potrebbe ritenersi escluso dalla sfera delle attribuzioni del magistrato di sorveglianza il potere di addivenire alla suddetta revoca, in quanto, esaminando i presupposti a cui l'art. 48 cit. coordina l'atto di approvazione (ossia il tipo di reato, la durata effettiva o prevista della misura privativa della libertà personale e della parte residua di essa, l'esigenza di prevenire il rischio che l'ammesso al lavoro all'esterno possa commettere ulteriori reati), si trae che, se si negasse al magistrato di sorveglianza la possibilità di revocare la precedente approvazione, egli si vedrebbe privato delle sue prerogative, nonostante la sopravvenienza di circostanze tali da indurlo a modificare il suo precedente avviso, quante volte l'amministrazione penitenziaria non intendesse assumere l'iniziativa in merito.

Siffatto approdo (quello che esclude in assoluto il potere di revoca dell'approvazione da parte del magistrato di sorveglianza) viene considerato contraddittorio nell'ordinanza impugnata, in particolare se coordinato alla situazione disciplinata dall'art. 51-bis ord. pen. relativa alla sopravvenienza di altro titolo esecutivo tale ad accrescere la pena detentiva da espiare e, più in generale, in relazione al ruolo di controllo e vigilanza attribuito al magistrato di sorveglianza dall'ordinamento penitenziario: conseguentemente, anche a voler inquadrare il decreto di approvazione al lavoro all'esterno nell'ambito amministrativo, ha argomentato il tribunale, non potrebbe negarsi il potere di revoca riferito a un atto ad efficacia durevole quale quello in esame.

In concreto, il magistrato di sorveglianza - dopo aver inutilmente sollecitato il direttore della casa circondariale a riesaminare la posizione del detenuto - aveva motivato ampiamente la propria determinazione di revocare l'atto di approvazione, sulla scorta delle indicate circostanze, ivi compreso l'allungamento del periodo detentivo a cui è risultato sottoposto P.

3. Quanto al quadro normativo che disciplina la fattispecie, deve muoversi dall'art. 21 ord. pen., norma che contempla e regola in via primaria il lavoro all'esterno.

Per quanto qui più direttamente interessa, è stabilito che i detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'art. 15.

L'assegnazione non è concedibile senza limiti. Infatti, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, l'assegnazione al lavoro all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni, mentre nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni.

Se i detenuti rivestono la posizione di imputati, essi sono ammessi al lavoro all'esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria. Per il condannato o internato, invece, il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo l'approvazione del magistrato di sorveglianza.

L'istituto è, inoltre, regolato in modo specifico dall'art. 48 d.P.R. 30 giugno 2020, n. 230.

Sempre nei limiti di quanto qui rileva, tale norma precisa, innanzi tutto, che l'ammissione dei condannati e degli internati al lavoro all'esterno è disposta dalle direzioni soltanto quando ne è prevista la possibilità nel programma di trattamento e (si ribadisce) diviene esecutiva solo quando il provvedimento sia stato approvato dal magistrato di sorveglianza. Quanto all'ammissione degli imputati al lavoro all'esterno disposta dalle direzioni su autorizzazione della competente autorità giudiziaria, essa è comunicata al magistrato di sorveglianza.

La direzione dell'istituto deve motivare la richiesta di approvazione del provvedimento o la richiesta di autorizzazione all'ammissione al lavoro all'esterno, anche con riguardo all'opportunità della previsione della scorta, corredandola di tutta la necessaria documentazione.

La norma fissa anche i criteri a cui devono attenersi il magistrato di sorveglianza o l'autorità giudiziaria procedente per determinarsi, rispettivamente, nell'approvare il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno del condannato o internato o nell'autorizzare l'ammissione al lavoro all'esterno dell'imputato: essi devono tenere conto - si sottolinea questo aspetto - del tipo di reato, della durata, effettiva o prevista, della misura privativa della libertà e della residua parte di essa, nonché dell'esigenza di prevenire il pericolo che l'ammesso al lavoro all'esterno commetta altri reati.

Le eventuali modifiche delle prescrizioni e la revoca del provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno sono comunicate al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al provveditore regionale e al magistrato di sorveglianza, per i condannati e gli internati, o alla autorità giudiziaria procedente, per gli imputati.

Quanto alla revoca del provvedimento di ammissione al lavoro esterno, essa diviene esecutiva dopo l'approvazione del magistrato di sorveglianza. Il direttore dell'istituto può disporre, con provvedimento motivato, la sospensione dell'efficacia dell'ammissione al lavoro all'esterno, in attesa della approvazione da parte del magistrato di sorveglianza del provvedimento di revoca.

Alla direzione dell'istituto compete anche lo svolgimento dei controlli diretti a verificare che il detenuto o l'internato osservi le prescrizioni dettategli, oltre che il lavoro si svolga nel pieno rispetto dei diritti e della dignità del lavoratore.

4. Fra i dati peculiari dell'istituto del lavoro all'esterno, che rispetto all'assetto originario ha contemplato l'introduzione di una serie di incisive modificazioni normative (dalla l. 10 ottobre 1986, n. 663, fino al d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 124), emerge il rilievo che l'ammissione al lavoro stesso è subordinata alla sua previsione nel programma trattamentale inerente al detenuto, è disposta dal titolare della direzione dell'istituto di pena e, per quanto riguarda i condannati e gli internati, diviene esecutiva soltanto dopo l'approvazione del provvedimento da parte del magistrato di sorveglianza.

Pare utile evidenziare ulteriormente che per gli imputati assoggettati al regime detentivo, il provvedimento ammissivo, sempre attribuito alla direzione dell'istituto, può essere emesso quando sussista l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria procedente. Anche in tal caso, comunque, l'ammissione è comunicata al magistrato di sorveglianza.

In modo speculare, per quanto concerne la revoca dell'ammissione al lavoro all'esterno, dalla richiamata disciplina di cui all'art. 48 cit. si trae che la sua emissione appartiene alle attribuzioni della direzione dell'istituto, ma anche per tale atto si esige, per il conseguimento dell'esecutività, l'approvazione del magistrato di sorveglianza, salvo il potere del direttore di sospendere interinalmente l'efficacia dell'ammissione.

4.1. Le modalità del procedimento finalizzato al conseguimento dell'atto approvativo, da emettersi dal magistrato di sorveglianza al fine del conseguimento dell'esecutività del provvedimento ammissivo del direttore dell'istituto, paiono stabilite in modo sufficientemente specifico dal suindicato quadro normativo per imporre di desumerne gli effetti con esso coerenti.

In tal senso rileva considerare che, per un verso, il direttore dell'istituto deve motivare la richiesta di approvazione del provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno, anche con riguardo all'opportunità della previsione della scorta, corredandola di tutta la necessaria documentazione e, per altro verso, il magistrato di sorveglianza (per quanto qui più direttamente interessa), nel determinarsi sul se e sul come emettere l'atto di approvazione, deve considerare indicatori non estranei alle valutazioni compiute nel dispiegamento delle attività schiettamente giurisdizionali: il tipo di reato in relazione a cui la pena irrogata è in espiazione; la durata, effettiva o prevista, della misura privativa della libertà e della residua parte di essa; l'esigenza di prevenire il pericolo che l'ammesso al lavoro all'esterno commetta altri reati.

Il complesso della disciplina richiamata, quindi, per un verso, fa emergere il dato per cui l'utilizzazione dell'istituto resta affidata all'iniziativa dell'autorità amministrativa e alla responsabile determinazione della stessa, che, oltre a stabilire se promuovere il lavoro all'esterno, sceglie i soggetti da ammettere ed emette il provvedimento ammissivo, fissa le prescrizioni che ne regolano l'attuazione, le modifica, ove necessario, e revoca l'ammissione. Per altro verso, l'intervento nel procedimento del magistrato di sorveglianza ne ha comportato, per la parte di riferimento, la giurisdizionalizzazione, spettando a questa autorità di dare, o negare, l'approvazione necessaria affinché l'ammissione possa avere esecuzione e dovendo farlo alla stregua dei criteri normativi suindicati, implicanti oltre alla rilevanza del profilo trattamentale, anche il dispiegamento da parte sua di una discrezionalità, di certo coordinata con la sua funzione giurisdizionale, attinente alla verifica, rispetto alla specifica posizione del condannato o internato, della sussistenza dei presupposti, sia in termini di percorso risocializzante e sia in proiezione di tutela preventiva della collettività, per l'utile applicazione del lavoro all'esterno nelle condizioni date.

4.2. La convergenza dei profili che connota l'istituto in esame ha determinato esiti applicativi che hanno dato luogo a soluzioni fra loro non conformi in sede di verifica giurisdizionale.

Così, con specifico riferimento all'atto assunto dal magistrato di sorveglianza, da un lato, si è ritenuto inammissibile il reclamo al tribunale di sorveglianza avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza in tema di ammissione o di revoca al lavoro all'esterno, essendosi annessa a tale atto natura meramente amministrativa, essendo anche il lavoro esterno una specifica modalità trattamentale, per la cui applicazione è necessaria, a monte, la sua previsione nello specifico programma rieducativo, predisposto all'esito dell'osservazione e della valutazione della personalità e degli specifici bisogni del singolo detenuto, approvato dal magistrato di sorveglianza e integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso dell'esecuzione, in relazione a cui non si è reputato configurabile un diritto soggettivo né all'ammissione, né, correlativamente, un diritto alla stabilità e prosecuzione dello stesso, rientrando la revoca dell'ammissione al lavoro nell'attività trattamentale e nelle previste e consentite modifiche del programma rieducativo individuale (Sez. 1, n. 4979 del 10 gennaio 2017, dep. 2018, Cesarano, Rv. 272284-01, anche con richiamo di Sez. 1, n. 33579 del 3 aprile 2002, Montrucchio, Rv. 222224-01, Sez. 1, n. 3063 del 19 maggio 1995, Nistri, Rv. 202083-01).

Dall'altro, si è invece ritenuto ammissibile il reclamo al tribunale di sorveglianza avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza che approvi la revoca dell'ammissione al lavoro all'esterno, sulla scorta del presupposto che si tratta di una decisione idonea a incidere su un diritto fondamentale del detenuto, dovendo considerarsi che il diritto al lavoro costituisce diritto fondamentale e tale deve ritenersi anche per il detenuto, per il quale il lavoro concreta una componente essenziale del trattamento rieducativo, con l'effetto che il detenuto, come ha diritto a far valere in giudizio le pretese nascenti dalla prestazione di attività lavorative, così ha diritto a ottenere un controllo giurisdizionale effettivo con regole processuali adeguate, anche in relazione ai provvedimenti idonei a incidere sul titolo, così da consentire o impedire in concreto l'ammissione al lavoro o la sua prosecuzione (Sez. 1, n. 37368 del 10 luglio 2018, Brandoli, Rv. 273862-01, argomentando anche da Corte cost., sent. n. 526 del 2000, e Corte cost., sent. n. 341 del 2006, nonché con richiamo di Sez. 1, n. 20171 del 10 febbraio 2009, Guttuso, Rv. 244066-01).

4.3. Il collegio ritiene questa seconda linea esegetica quella da preferire e riaffermare.

È fuori discussione che la titolarità dei provvedimenti di ammissione al lavoro all'esterno e di revoca rientra nelle attribuzioni dell'organo apicale dell'istituto in cui il detenuto è ristretto e, dunque, dell'amministrazione penitenziaria. Del pari il carattere trattamentale che il richiamato quadro normativo annette al lavoro all'esterno è assodato.

Però occorre nello stesso tempo considerare che, nel relativo procedimento, l'intervento del magistrato di sorveglianza non si risolve nell'espletamento di una funzione ancillare di natura sostanzialmente amministrativa, ma, sia quando emette l'atto di approvazione del provvedimento di ammissione, sia quando approva il provvedimento di revoca, assume atti che - in modo autonomo e infungibile - sono finalizzati a determinare l'esecutività dei provvedimenti amministrativi a cui accedono e che, in quanto tali, incidono su posizioni di diritto soggettivo e sono suscettibili di essere sottoposti al sindacato giurisdizionale.

In termini conclusivi, dunque, nel momento in cui la disciplina richiamata ne ha subordinato alla sua approvazione il dispiegamento dell'efficacia esecutiva del provvedimento dell'amministrazione di ammissione al lavoro all'esterno, al pari del contrarius actus costituito dalla revoca, la richiamata disciplina ha riconosciuto rilievo giurisdizionale allo stabile intervento, in funzione di controllo, da parte del magistrato di sorveglianza nel procedimento volto all'applicazione della rilevante - per gli effetti che determina nella sfera del destinatario, ma anche nell'articolazione dell'organizzazione penitenziaria - vicenda trattamentale costituita dall'attività lavorativa praticata dal detenuto al di fuori dell'istituto.

4.4. Posto ciò, se resta fermo che, essendo il provvedimento di ammissione e revoca al lavoro esterno del detenuto espressione di un potere rimesso dall'ordinamento all'amministrazione penitenziaria, l'emissione della revoca non può essere adottata direttamente dal magistrato [di] sorveglianza (in tal senso non dissentendosi dal principio affermato da Sez. 1, n. 16379 del 27 marzo 2015, Rega, Rv. 263382-01), diversa questione è verificare se sussista la giuridica possibilità per il magistrato di sorveglianza, quando rilevi la sopravvenienza di elementi nuovi e idonei a mutare il quadro che lo aveva determinato a emettere il decreto di approvazione, di pervenire al ritiro del suo pregresso atto di approvazione, così determinando la cessazione dell'efficacia esecutiva dell'atto di ammissione al lavoro all'esterno, e non la caducazione dell'atto stesso (estranea ai suoi poteri).

Ciò, con l'effetto che il provvedimento di ammissione torna sfornito dall'atto integrativo della sua efficacia, di guisa che l'amministrazione penitenziaria, in particolare il direttore dell'istituto di pena, si trova a doversi necessariamente determinare sul se procedere alla revoca del provvedimento ammissivo oppure riproporre il provvedimento, se del caso emendato o rinnovato, di ammissione del detenuto al lavoro all'esterno, da sottoporre all'approvazione del magistrato di sorveglianza, secondo un assetto che si dimostri idoneo a superare i nodi evidenziati dal magistrato stesso nell'atto di ritiro della pregressa approvazione.

In tal senso, il collegio ritiene che la natura giurisdizionale esecutiva dell'atto integrativo dell'efficacia del provvedimento ammissivo dell'amministrazione propria dell'approvazione emessa dal magistrato di sorveglianza, se, per un verso, comporta che, incidendo sui diritti del destinatario, l'atto è da assoggettarsi al controllo di legalità, per altro verso e coerentemente, implica l'ulteriore effetto che, quando l'atto sia stato di segno positivo, la sua stabilità non possa considerarsi come definitiva e immutabile per l'esaurimento della sua funzione con la produzione degli effetti dell'atto a cui il controllo è acceduto.

Possedendo l'atto di approvazione contenuto e natura giurisdizionali riferiti a una situazione destinata a durare nel tempo, esso, reso in sede esecutiva, deve invece ritenersi assoggettato al principio rebus sic stantibus, tale da consentire la rinnovata valutazione delle condizioni previste dalla legge per la sua emanazione quando siano sopravvenute circostanze tali da mutare in modo determinante le condizioni stesse.

In concreto, il magistrato di sorveglianza può prendere atto che, rispetto all'atto della sua approvazione dell'ammissione al lavoro esterno nei confronti di un determinato detenuto condannato o internato, si sono verificati sensibili mutamenti in peius delle condizioni di ammissione, con riferimento al catalogo di reati in relazione a cui la pena irrogata è in espiazione, alla durata, effettiva o prevista, alla parte di pena da espiare e alle stesse esigenze di prevenzione del pericolo che il destinatario del provvedimento commetta altri reati, vale a dire degli indicatori a cui l'art. 48 cit. riconnette la sua valutazione.

4.5. Del resto, in siffatti casi, è in via ordinaria presumibile l'attivazione del competente organo dell'amministrazione penitenziaria che - ove siano intervenuti rilevanti mutamenti delle condizioni legittimanti il lavoro all'esterno, svolte le opportune verifiche e interlocuzioni - valuterà se sia insorta la maturazione dei presupposti per disporre la revoca dell'ammissione, da sottoporre al magistrato di sorveglianza per la relativa approvazione.

Non può però escludersi che emerga la sola valutazione del magistrato di sorveglianza circa l'intervenuto rilevante mutamento in peius delle condizioni di ammissione al lavoro all'esterno, senza che concorra, per le più varie ragioni, alcun corrispondente atto dell'amministrazione.

Precisato ciò, ritenere che in siffatti casi il magistrato di sorveglianza, pur quando abbia constatato e fatto constatare all'amministrazione il rilevante mutamento delle condizioni a cui aveva riconnesso l'approvazione, non sia titolare del potere di ritiro dell'approvazione stessa, dovendo attendere il necessario impulso da parte della direzione dell'istituto per approvarne l'atto di revoca se e quando l'amministrazione penitenziaria si sarà determinata in tal senso, equivarrebbe necessariamente a concludere che il sistema contempla la concreta possibilità che il lavoro all'esterno prosegua senza l'effettivo controllo dell'autorità a cui l'ordinamento ha affidato la relativa funzione: ciò, finanche quando, per l'emersione di sopravvenienze, l'istituto si riveli essere applicato al di là dei limiti fissati dagli artt. 21 ord. pen. e 48 d.P.R. n. 230 del 2000.

Questa - oggettivamente incongrua - conseguenza non si verifica invece ove si ritenga, nella prospettiva indicata, che alla funzione di perdurante controllo assegnatagli dall'ordinamento si collega in capo al magistrato di sorveglianza il potere di ritiro dell'atto approvativo nei sensi indicati: ciò, ovviamente, con l'emersione del corrispondente titolo del destinatario dell'atto, inciso anche per tale verso dal provvedimento di ritiro (così come lo sarebbe stato dal diniego dell'atto di approvazione), di accedere alla tutela giurisdizionale avverso la sua emanazione.

5. Corollario di queste considerazioni è l'affermazione che il tribunale di sorveglianza ha fondatamente ritenuto che P. fosse legittimato a contestare in sede giurisdizionale il provvedimento di revoca dell'approvazione dell'ammissione del lavoro all'esterno emesso dal magistrato di sorveglianza di Ancona e ha, in pari tempo, congruamente concluso che questo provvedimento non fosse stato reso in carenza di potere.

Quanto, poi, alle ragioni che hanno determinato l'emissione del provvedimento di revoca dell'approvazione nel caso di specie, i giudici di sorveglianza hanno fornito giustificazione adeguata ed esente da fratture logiche, sia in ordine al determinante novum sopravvenuto, essenzialmente per l'incremento di una rilevante quantità di pena da espiare (comportante un allungamento di ben cinque anni del tempo di espiazione), sia in relazione al concreto assetto di svolgimento del lavoro all'esterno, che risulta essersi caratterizzato per il quotidiano trasferimento del detenuto dal luogo di restrizione (Ancona) al luogo di espletamento del lavoro (Pesaro) e ritorno, con i rischi conseguenti, senza la coltivata prospettiva di una collocazione del detenuto in luogo di restrizioni idoneo all'elisione di questo iato.

Le censure mosse dal ricorrente, nell'atto di impugnazione e nelle memorie progressivamente rassegnate, non riescono a contrastare l'obiettivo spessore di questi argomenti che il magistrato di sorveglianza aveva posto alla base del provvedimento di revoca del decreto di approvazione e che il tribunale, pur in un quadro più ampio, ha ritenuto effettivi e fondati.

Anche l'argomento inerente alla susseguente riduzione della misura della pena da espiare per l'addotta applicazione dell'istituto della continuazione fra i reati le cui pene risultano cumulate, costituendo la deduzione di una ulteriore e ancora successiva novità, se del caso, potrà fornire materia a una nuova iniziativa dell'amministrazione penitenziaria, ma non può incidere ai fini della rivalutazione postuma della congrua e non illogica, pertanto incensurabile, valutazione posta a fondamento del provvedimento impugnato.

6. Coerente sbocco di queste considerazioni è il rigetto del ricorso, statuizione a cui segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 15 luglio 2021.