Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
Sezione III
Sentenza 23 agosto 2021, n. 1021

Presidente: Farina - Estensore: Falferi

Con ricorso depositato in data 24 maggio 2021 e munito di istanza cautelare, Iliad s.p.a. ha impugnato il provvedimento negativo Suap del Comune di Torreglia del 4 maggio 2021, i presupposti dinieghi del medesimo Comune del 25 marzo 2021 e del 29 aprile 2021, nonché gli ulteriori atti in epigrafe meglio indicati, con i quali è stata respinta la domanda, presentata ai sensi degli artt. 87 e 88 del d.lgs. n. 259/2003, per il rilascio dell'autorizzazione alla installazione di una nuova Stazione Radio Base (di seguito solo SRB), su un terreno sito in Via San Daniele Torreglia, censito al N.C.T. del Comune di Torreglia, Foglio 8, particella 254.

Il diniego è stato motivato dall'Amministrazione comunale sulla base delle seguenti considerazioni:

- l'intervento ricade in zona territoriale omogen[e]a C2.4 - "prevalentemente residenziale di nuova urbanizzazione", soggetta a piano attuativo (piano particolareggiato) ai sensi dell'art. 4.2.02 delle NTA del PRG - e il sito è destinato dal Piano stesso ad "area attrezzata a parco giochi e sport" la cui realizzazione deve essere concertata con il Comune tramite il piano attuativo; nessun procedimento inerente l'attuazione del piano particolareggiato è stato avviato, quindi è inibito qualunque intervento ad eccezione della mera manutenzione;

- il Regolamento comunale per l'installazione, la modifica e l'adeguamento delle stazioni radio base per la telefonia cellulare (di seguito "Regolamento comunale") consente l'installazione solo su proprietà comunali (artt. 4 e 5);

- la pratica risulta carente di documentazione: copia contratto di locazione; autorizzazione paesaggistica rilasciata dall'ente Parco Regionale Colli Euganei; Vinca ai sensi della DGR Veneto n. 1400/2017; ricevuta versamento diritti Vinca per 130 euro.

La ricorrente, premesso di aver ottenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico l'autorizzazione generale per la fornitura di reti e servizi di comunicazioni elettroniche in qualità di Mobile Network Operator e dopo aver delineato il quadro normativo di riferimento, ha formulato, in sintesi, le seguenti censure: "I) Sull'illegittimità del vincolo ad installare impianti di telefonia solo su immobili comunali, e del corrispondete divieto opposto a Iliad: violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e ss. d.lgs. n. 259/2003 e degli artt. 4 e 8 della l. n. 36/2001. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, per sviamento, irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento. Violazione dei principi di proporzionalità, non discriminazione e concorrenza. Difetto di istruttoria e motivazione. Incompetenza"; gli atti gravati, dando applicazione all'art. 4 del Regolamento comunale, sarebbero illegittimi in quanto inibirebbero, sia in via generalizzata che rispetto all'impianto di Iliad, la realizzazione di impianti di telefonia su aree e immobili che non siano di proprietà comunale, con conseguente violazione della disciplina normativa richiamata; il Regolamento comunale, in sostanza, introdurrebbe un divieto generalizzato di installazione su tutti gli immobili non appartenenti al Comune; "II) Sull'indebito diniego in ragione dell'asserita non conformità rispetto alla disciplina urbanistica del comune di Torreglia: violazione e falsa applicazione degli artt. 86 ss. d.lgs. 259/2003 e degli artt. 4, 18 e 14 l. 36/2001. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, per irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento. Violazione dei principi di proporzionalità, non discriminazione e concorrenza. Difetto di istruttoria e motivazione. Incompetenza"; gli atti gravati sarebbero illegittimi, in relazione alla asserita non compatibilità urbanistica, in quanto, per disposizione normativa, le SRB sono assimilate ad opere di urbanizzazione primaria, compatibili con ogni destinazione urbanistica e, dunque, con qualsiasi zona del territorio comunale; "III. Sul difetto di istruttoria del provvedimento di diniego adottato dal comune e, in particolare, sull'illegittimità e tardività delle richieste documentali: violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990, degli artt. 86 e ss. del d.lgs. 259/2003 e degli artt. 4, 8 e 14 della l. n. 36/2001. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, per ingiustizia manifesta, irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento. Violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, non discriminazione e concorrenza. Difetto di istruttoria e motivazione. Incompetenza"; la documentazione indebitamente richiesta dal Comune - autorizzazione paesaggistica rilasciata dall'Ente Parco Regionale dei Colli Euganei; dichiarazione di non necessità della Vinca ai sensi della DGR n. 1400/2017; atto di assenso del proprietario del terreno oggetto di installazione (peraltro non necessario ai sensi di legge) - era già stata trasmessa con l'istanza e in seguito nuovamente inviata unitamente alle osservazioni a seguito del preavviso di rigetto; in ogni caso, da un lato, l'asserita carenza documentale sarebbe tardiva rispetto al termine perentorio previsto dall'art. 87, comma 5, del d.lgs. n. 259/2003 e comunque non richiesta dalla disciplina di settore (All. 13, mod. A, d.lgs. n. 253/2003), dall'altro, eventuale carenza documentale non avrebbe potuto supportare il diniego dell'autorizzazione; "IV. Sulla mancata indicazione di una localizzazione alternativa dell'impianto da parte del comune: violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990, degli artt. 86 e ss. del d.lgs. n. 259/2003, degli artt. 4, 8 e 14 della l. n. 36/2001. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, per ingiustizia manifesta, irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento. Violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, non discriminazione e concorrenza. Difetto di istruttoria e motivazione. Incompetenza"; infine, gli atti impugnati sarebbero, altresì, illegittimi in quanto l'Amministrazione comunale non avrebbe indicato per l'impianto una localizzazione alternativa a quella scelta dalla ricorrente.

Si è costituita in giudizio l'Amministrazione comunale di Torreglia, contestando puntualmente le censure avversarie ed evidenziando la legittimità degli atti gravati, in quanto conformi alla (legittima) disciplina regolamentare del Comune, nonché alle previsioni urbanistiche.

Alla Camera di consiglio del 7 luglio 2021, il ricorso è stato trattenuto in decisione, come da verbale di causa, potendo essere definito con sentenza in forma semplificata.

Le censure articolate nei motivi di ricorso, che sono suddivise in relazione agli ordini argomentativi posti a base del provvedimento di rigetto dell'istanza presentata dalla ricorrente, possono essere esaminate unitamente, essendo connesse sotto il profilo logico-giuridico.

Occorre tener presente che la normativa applicabile alla materia esprime un particolare favor per la realizzazione di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico.

L'art. 86 del d.lgs. n. 259/2003 prevede, al comma 3, che "Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88 (...) sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia"; il successivo art. 90 dispone, al comma 1, che "Gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, ovvero esercitati dallo Stato, e le opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti impianti hanno carattere di pubblica utilità, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327"; la l. n. 36/2001 - recante "Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici" - distingue le competenze dello Stato, delle Regioni e dei Comuni precisando all'art. 4, per quanto qui rileva, che "Lo Stato esercita le funzioni relative: a) alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall'articolo 3, comma 1, lettera d) numero 2), in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizioni di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'articolo 1"; il successivo art. 8 prevede, al comma 1, tra l'altro, che "Sono di competenza delle Regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché delle modalità e dei criteri fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile (...)"; il successivo comma 2 dispone che "Nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, lettere a) e c), le regioni si attengono ai principi relativi alla tutela della salute pubblica, alla compatibilità ambientale ed alle esigenze di tutela dell'ambiente e del paesaggio"; il comma 4 prevede che "Le regioni, nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province e ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249"; il comma 6, come da ultimo modificato dall'art. 38, comma 6, del d.l. n. 76/2020, dispone, infine, che "I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell'articolo 4".

Dunque, in base all'art. 86 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, tra cui sono ricomprese le stazioni radio base (SRB), sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria; tale assimilazione e la considerazione che gli impianti in questione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità rivestano "carattere di pubblica utilità", postulano la possibilità che gli stessi siano ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (ex multis, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 6 aprile 2019, n. 312; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 6 giugno 2016, n. 1331; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 12 marzo 2015, n. 764; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 1° aprile 2014, n. 951; questo stes[s]o Tribunale, Sez. II, 15 febbraio 2018, n. 188). Il Consiglio di Stato (Sez. IV, 17 aprile 2018, n. 2308) ha rilevato che "secondo la Corte costituzionale, la scelta di inserire le infrastrutture di reti di comunicazione tra le opere di urbanizzazione primaria esprime un principio fondamentale della legislazione urbanistica (Corte cost., n. 336 del 27 luglio 2005)" e che "Anche la giurisprudenza successiva ha concordemente sottolineato la necessità di una capillare distribuzione sul territorio delle reti di telecomunicazione (C.d.S., Sez. III, n. 2455 del 13 maggio 2014) e la loro compatibilità, in linea di principio, con qualsiasi destinazione urbanistica (C.d.S., Sez. III, sentenza n. 119 del 15 gennaio 2014)". Del resto, è stato correttamente ritenuto che l'interesse pubblico perseguito con la suddetta disciplina "è quello di garantire una costante e/o continua ed omogenea erogazione del servizio pubblico di telefonia mobile, in modo da ottenere un'uniforme copertura e/o un dimensionamento ottimale di tale servizio pubblico su tutto il territorio nazionale, capace di collegare con un livello qualitativo accettabile gli utenti in qualsiasi parte del territorio e perciò anche durante il loro movimento ed all'interno degli edifici" (T.A.R. Basilicata, 19 maggio 2018, n. 337).

Giova, altresì, evidenziare, sotto distinto profilo, che l'Amministrazione comunale non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure che costituiscano, nella sostanza, una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare SRB in intere zone territoriali omogenee, ovvero introdurre distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino, poiché tali disposizioni sono funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l'art. 4 della l. n. 36 del 2001 riserva allo Stato attraverso l'individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con d.P.C.M. e il cui rispetto è affidato all'ARPA ex art. 14 della medesima legge (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 15 febbraio 2018, n. 188; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 12 marzo 2015, n. 764).

In coerenza con i principi ripetutamente espressi dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 331/2003, nell'ambito dei quali è stata chiarita la distinzione tra "criteri di localizzazione" e "limitazioni alla localizzazione" e alla luce della giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. III, 5 maggio 2017, n. 2073; 18 giugno 2015, n. 4188; 19 marzo 2014, n. 1361; 14 febbraio 2014, n. 723) sono stati ritenuti legittimi regolamenti comunali che individuavano aree interdette alla installazione degli impianti con riferimento alla distanza da siti sensibili (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 16 ottobre 2017, n. 10354) e sono state censurate previsioni regolamentari che individuavano specificamente solo le aree in cui era ammessa l'installazione degli impianti (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 1768).

Alla luce degli esposti principi, le censure articolate in ricorso sono fondate e quindi vanno accolte.

Sotto un primo profilo, invero, è fondata la doglianza con cui parte ricorrente lamenta l'illegittimità della previsione regolamentare - e, conseguentemente, dell'impugnato diniego che su di essa trova fondamento - che permette la realizzazione di impianti di telefonia esclusivamente sugli immobili di proprietà comunale (art. 4, comma 1, e art. 5, comma 1, n. 2, Regolamento comunale), previsione che, lungi dal limitarsi ad escludere la possibilità di installare gli impianti in questione con riferimento a taluni siti sensibili individuati in modo specifico, determina un divieto generico e generalizzato di installazione degli impianti stessi su immobili e aree che non siano di proprietà comunale, si risolve, in realtà, in un aprioristico divieto di installare siffatti impianti in determinate zone del territorio comunale e appare potenzialmente in grado di impedire la concreta diffusione della rete sull'intero territorio comunale.

Sotto distinto profilo, parimenti fondate sono le doglianze relative alla pretesa impossibilità di installare SRB in zona territoriale omogen[e]a C2.4, in relazione alla necessità di adottare un (futuro) piano attuativo.

A tal proposito, giova ulteriormente ribadire che, anche di recente, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito che "il legislatore statale, nell'inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha espresso un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall'art. 8, comma 6, della l. 22 febbraio 1981, n. 36, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio" (in tal senso, da ultimo, C.d.S., Sez. VI, 11 gennaio 2021, n. 374, che richiama C.d.S., Sez. III, 5 dicembre 2013, n. 687).

Dunque, le opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali, risultano in generale compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, pertanto, con ogni zona del territorio comunale, poiché dall'art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/1993 si desume il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni (C.d.S., n. 347/2021, cit.; C.d.S., Sez. VI, [n.] 3891 del 2017).

Anche sotto tale profilo, pertanto, il divieto opposto dall'Amministrazione comunale è illegittimo.

Quanto alla asserita carenza documentale, pur volendo prescindere dalla (decisiva) considerazione che parte ricorrente aveva prodotto la documentazione richiesta, va rilevato che l'art. 87 del d.lgs. n. 253/2003, al comma 3, dispone che "L'istanza, conforme al modello dell'allegato n. 13, realizzato al fine della sua acquisizione su supporti informatici e destinato alla formazione del catasto nazionale delle sorgenti elettromagnetiche di origine industriale, deve essere corredata della documentazione atta a comprovare il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, relativi alle emissioni elettromagnetiche, di cui alla legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione, attraverso l'utilizzo di modelli predittivi conformi alle prescrizioni della CEI, non appena emanate"; al successivo comma 5 è stabilito che "Il responsabile del procedimento può richiedere, per una sola volta, entro quindici giorni dalla data di ricezione dell'istanza, il rilascio di dichiarazioni e l'integrazione della documentazione prodotta. Il termine di cui al comma 9 riprende a decorrere dal momento dell'avvenuta integrazione documentale"; il comma 9, a sua volta, dispone che "Le istanze di autorizzazione e le denunce di attività di cui al presente articolo, nonché quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione per il dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego o un parere negativo da parte dell'organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36".

Ebbene, a tal proposito, questo Tribunale ha già avuto modo di precisare che "Dalla esposta disciplina emerge, dunque, che ove effettivamente la domanda presentata dalla ricorrente fosse stata carente sotto il profilo documentale, l'Amministrazione comunale avrebbe dovuto richiedere l'integrazione della medesima entro il suddetto termine perentorio di 15 giorni decorrenti dalla presentazione dell'istanza stessa. Ciò è chiaramente connesso alla previsione di un'ipotesi di silenzio significativo, con valore di accoglimento, atteso che appare evidente che reiterate richieste ovvero tardive richieste di integrazione documentale potrebbero eludere la ricordata previsione del silenzio-assenso, giusta l'effetto che la richiesta di integrazione documentale determina sulla decorrenza del termine di cui al comma 9. Pertanto, le censure di parte ricorrente sono fondate, in quanto non può costituire idoneo motivo di rigetto una asserita carenza di documentazione allegata all'istanza" (T.A.R. Veneto, Sez. III, 24 novembre 2020, n. 1111).

Dunque, anche nel caso in esame, ove l'istanza presentata dalla ricorrente fosse stata effettivamente carente, sotto il profilo documentale, nei termini esposti dall'Amministrazione comunale, tale carenza non avrebbe potuto, sic et simp[l]iciter, essere posta a fondamento del rigetto della domanda, ma avrebbe dovuto essere oggetto di idonea richiesta di integrazione, che avrebbe dovuto essere formulata nei termini di cui alla ricordata disciplina normativa.

Anche sotto tale profilo, pertanto, le censure di parte ricorrente sono fondate.

In definitiva, per le ragioni esposte, il ricorso è fondato e va accolto - potendo restare assorbite le ulteriori questioni solevate in ricorso -, con conseguente annullamento del diniego impugnato e dei relativi presupposti normativi costituiti dagli artt. 4, comma 1, e 5, comma 1, n. 2, del Regolamento comunale per l'installazione, la modifica e l'adeguamento delle stazioni radio base per la telefonia cellulare.

Le spese di causa sono liquidate in dispositivo in base alla regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati, come da motivazione.

Condanna il Comune di Torreglia al pagamento delle spese di causa che liquida in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre IVA, CPA ed accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

R. Garofoli

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