Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 14 luglio 2021, n. 33743

Presidente: Iasillo - Estensore: Magi

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa in data 3 dicembre 2020 il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha respinto il reclamo in tema di permesso premio introdotto da M. Gaspare avverso la decisione - reiettiva - emessa dal Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia in data 22 gennaio 2020.

1.1. Giova precisare che la decisione del Magistrato di Sorveglianza, oggetto di reclamo, è nel senso della inammissibilità dell'istanza.

La ragione della inammissibilità, dichiarata in via preliminare, risiede nella condizione giuridica di M. Gaspare (non collaborante, condannato alla pena dell'ergastolo per i delitti di omicidio e associazione di stampo mafioso, compresi nella c.d. prima fascia dell'art. 4-bis ord. pen.) e nella ritenuta assenza di «specifica allegazione» di elementi di prova idonei a dimostrare l'assenza del pericolo di ripristino dei collegamenti con la associazione mafiosa in cui ha militato il M.

2. In particolare, il Tribunale, nel valutare il reclamo, sostiene che:

a) con la decisione n. 253 del 2019 la Corte costituzionale, nel dichiarare illegittima la presunzione assoluta di pericolosità sociale del detenuto non collaborante (per reati ricompresi nella disposizione di cui all'art. 4-bis in prima fascia), ha non soltanto precisato che il novum della pronunzia di incostituzionalità sta nel modo di atteggiarsi della presunzione, di tipo relativo, ma ha anche descritto in modo specifico il parametro "aggiuntivo" di valutazione della domanda di permesso premio, accoglibile solo in ipotesi di avvenuta dimostrazione dell'assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata ed assenza del "pericolo di ripristino" dei medesimi;

b) le allegazioni dell'istante, su entrambe le situazioni di fatto di cui sopra, devono, sempre secondo la lettura della decisione emessa dal giudice delle leggi, essere specifiche e tali da consentire un concreto apprezzamento della insussistenza - in particolare - del pericolo di ripristino di detti collegamenti;

c) in assenza di allegazioni specifiche la domanda è stata correttamente dichiarata inammissibile, senza attivazione del procedimento informativo descritto nelle disposizioni di legge di cui all'art. 4-bis, comma 2, o 30-bis, comma 1, ord. pen.

Si afferma in sintesi che nel caso del M., pur avendo il detenuto rappresentato la regolarità del proprio percorso trattamentale, la partecipazione alle attività rieducative proposte, l'avvenuta concessione di liberazione anticipata, il lungo periodo di detenzione sofferto, l'assenza di trattenimento di missive, l'assenza di carichi pendenti e l'assenza di segnalazioni di polizia, nulla viene detto nella istanza circa il contesto mafioso di appartenenza e nulla viene rappresentato sulla «sorte degli altri sodali» e sulla «eventuale operatività della associazione nel territorio di origine».

2.1. Da tutto quanto sopra ricordato è derivato, pertanto, il rigetto del reclamo, con conferma della inammissibilità della originaria istanza.

3. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - M. Gaspare, deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione, anche in riferimento alla individuazione dei contenuti prescrittivi della decisione n. 253 del 2019 Corte cost.

3.1. Si evidenzia una non corretta interpretazione dei contenuti della pronunzia additiva n. 253 del 2019, nella parte relativa all'onere di allegazione.

Le circostanze di fatto evocate nella domanda, secondo il ricorrente, erano idonee a determinare l'attivazione delle verifiche istruttorie previste dalle disposizioni di legge.

Si ritiene illogica la parte della decisione in cui si richiede l'allegazione di elementi che non rientrano nella sfera cognitiva del richiedente (dopo ben 24 anni di detenzione), come la sorte degli altri sodali o la operatività esterna della organizzazione di stampo mafioso.

La prova dei presupposti di accesso alla fruizione del permesso, si afferma, può essere introdotta dall'interessato solo per indicatori logici e le verifiche sugli aspetti evocati dal Tribunale si dovrebbero realizzare mediante l'acquisizione delle informative da parte dei diversi soggetti pubblici, in fase di istruttoria sulla domanda.

Si contesta, in particolare, la conferma da parte del Tribunale della pronunzia di inammissibilità della domanda, posto che ciò ha determinato la mancata acquisizione delle informative di polizia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono.

1.1. In premessa, vanno evidenziati alcuni aspetti della decisione additiva n. 253 del 2019, Corte cost., il cui dispositivo testualmente recita:

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all'art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti;

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all'art. 416-bis cod. pen. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.

1.2. È esatto sostenere che nella prospettiva seguita dal giudice delle leggi la condizione del ristretto (per reati di cui all'art. 4-bis, comma 1, ord. pen.) non collaborante, ai fini della fruizione del permesso premio, è gravata da una presunzione relativa di perdurante pericolosità (unica compati[b]ile con i principi costituzionali), il che determina uno svantaggio sul terreno degli oneri dimostrativi, rapportato all'ordinario meccanismo di funzionamento delle presunzioni semplici (suscettibili di essere vinte mediante prova contraria).

2. La Corte costituzionale, in particolare, subordina l'esito favorevole della domanda alla avvenuta «acquisizione» di elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.

Si tratta, come già precisato in taluni arresti di questa Corte di legittimità (v. Sez. I, n. 5553 del 28 gennaio 2020, Rv. 279783), di due «temi di prova» diversi.

Il primo è la tradizionale prova di assenza di contatti perduranti (il fatto positivo, rappresentato dal collegamento, integra la condizione ostativa fattuale) tra il detenuto e il contesto associativo di provenienza.

Il secondo tema di prova è costruito - nella stessa pronunzia - in termini di «negazione» di qualcosa che non c'è ma che potrebbe avverarsi, trattandosi di un "pericolo" di ripristino (agevolato dal permesso, il che rende doverosa simile prognosi, secondo i contenuti della decisione) di tali collegamenti.

2.1. Ora, la meccanica procedimentale sposata dal Tribunale di Sorveglianza nella decisione impugnata tende a introdurre un particolare presupposto di ammissibilità della domanda di permesso (inoltrata dal sog[g]etto non collaborante), rappresentato dalla «completezza» delle allegazioni dell'istante sui due temi oggetto di prova, facendo leva sui contenuti argomentativi della decisione n. 253 del 2019, lì dove si afferma:

[...] Di entrambi tali elementi - esclusione sia dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che del pericolo di un loro ripristino - grava sullo stesso condannato che richiede il beneficio l'onere di fare specifica allegazione (come stabilisce la costante giurisprudenza di legittimità maturata sul comma 1-bis dell'art. 4-bis ordin. penit., in tema di collaborazione impossibile o inesigibile: ex plurimis, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 13 agosto 2019, n. 36057, 8 luglio 2019, n. 29869 e 12 ottobre 2017, n. 47044) [...].

2.2. La conclusione tratta dal Tribunale, tuttavia, non è conforme ai contenuti descrittivi della decisione del giudice delle leggi, che si limita a porre un presupposto di "specificità della allegazione", in modo non difforme da quanto tradizionalmente ritenuto da questa Corte di legittimità in casi analoghi (collaborazione impossibile).

Allegazione specifica, in particolare, significa che gli elementi di fatto prospettati nella domanda devono avere una efficacia «indicativa», anche in chiave logica, di quanto occorre a rapportarsi al tema di prova.

Sul tema, tra le molte, Sez. I, n. 4943 del 18 settembre 1997, dep. 7 ottobre 1997, Rv. 208509 ove si è affermato che ai fini dell'ammissione a benefici penitenziari che presuppongano la prova della collaborazione con la giustizia dell'interessato, gli elementi qualificanti tale collaborazione devono essere accertati dal giudice anche d'ufficio, ma alla parte incombe l'onere di allegazione e di prospettazione di circostanze idonee a dimostrare l'impossibilità di un'utile collaborazione ai sensi del combinato disposto [degli] artt. 4-bis e 58-ter della l. 26 luglio 1975, n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario).

In tale direzione, anche la più pertinente delle decisioni di questa Corte citata nella decisione Corte cost. n. 253 (la sentenza numero 29869 del 2019), ove si chiarisce che l'istante ha l'onere di indicare la "prospettazione di massima" delle circostanze suffraganti la sua richiesta, spettando poi al Tribunale la decisione finale, alla stregua dell'esame della documentazione e degli atti.

2.3. Ora, la costruzione di una fattispecie di inammissibilità di una domanda richiede la individuazione di un modello legale della medesima, applicabile in via generale, e non può essere rimessa alla discrezionalità del singolo soggetto giudicante (si veda la interpretazione dominante della previsione di legge di cui all'art. 666, comma 2, c.p.p., ispirata a rigorosa tassatività).

Per tale ragione, allo stato attuale della disciplina, è necessario precisare che l'onere di allegazione imposto al richiedente deve rapportarsi ai due temi di prova prima evocati, anche in chiave meramente logica e non rappresentativa, essendo sufficiente la pertinenzialità.

In particolare, il richiedente è tenuto ad illustrare gli elementi fattuali che abbiano concreta portata «antagonista» sul piano logico rispetto al fondamento della presunzione relativa di pericolosità (ad es. l'assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive, la partecipazione fattiva all'opera rieducativa) ma, a ben vedere, non può essere chiamato a "riferire" (in sede di domanda introduttiva) su circostanze di fatto estranee alla sua esperienza percettiva e, soprattutto, non può fornire - in via diretta - la prova negativa "diretta" di una condizione relazionale, quale è il "pericolo di ripristino" dei contatti.

Il pericolo è, infatti, sempre frutto di un giudizio prognostico - spettante al giudice - su cui la parte può incidere in modo solo relativo, manifestando la correttezza del percorso rieducativo.

2.4. La eccessiva restrizione del presupposto di ammissibilità della domanda - riferibile al caso in esame, data l'esistenza di allegazioni certamente pertinenti ai temi di prova - priva, inoltre il procedimento giurisdizionale delle opportune informazioni provenienti dagli organi territoriali, potenzialmente idonee a confermare il positivo andamento dell'opera rieducativa o a smentirlo (con arricchimento del contraddittorio, come segnalato dalla stessa Corte cost. nella decisione n. 253) e finisce con il porsi in contrasto con i recenti arresti di questa Corte, in tema di estensione dei poteri valutativi del Tribunale. Si veda in particolare Sez. I, n. 21336 del 2020, Rv. 279394, ove si è affermato che in tema di reclamo avverso il provvedimento di diniego della richiesta di permesso premio da parte del magistrato di sorveglianza, il tribunale di sorveglianza non può limitarsi a valutare la situazione esistente al momento dell'adozione del provvedimento censurato, ma deve apprezzarne la permanente legittimità alla luce del contributo argomentativo e documentale offerto dall'interessato in sede di udienza camerale, nonché delle informazioni pervenute o acquisite, anche d'ufficio a norma dell'art. 666, comma 5, c.p.p., richiamato dal successivo art. 678 c.p.p.

2.5. Da ultimo, va rilevato che la decisione in tema di permesso premio ha assunto, dopo le decisioni n. 253 del 2019 e n. 113 del 2020 della Corte costituzionale, un particolare rilievo nella verifica della effettiva progressione trattamentale, il che ha determinato un obiettivo rafforzamento dei caratteri giurisdizionali del reclamo. La contestazione della prima decisione, come ricordato nella seconda pronunzia citata, deve avere caratteri di effettività ed essere orientata al rispetto del contraddittorio in sede di proposizione dei motivi di critica.

In conclusione, ad essere oggetto di inadeguata argomentazione - nella decisione impugnata - è proprio la conferma della pronunzia di inammissibilità della domanda, il che determina l'annullamento con rinvio per nuovo giudizio, come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Bologna per nuovo giudizio.

Depositata il 10 settembre 2021.

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