Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 27 maggio 2021, n. 34002

Presidente: Fumu - Estensore: Cenci

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Messina con ordinanza del 5-20 novembre 2019 ha dichiarato inammissibile la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione che era stata avanzata nell'interesse di Angelo G.

2. In estrema sintesi, Angelo G., condannato per peculato con sentenza della Corte di appello di Bologna del 25 ottobre 2016, irrevocabile il 9 gennaio 2018, è stato destinatario di ordine di carcerazione (n. SIEP 57-2018) emesso dal P.M. il 15 aprile 2019 ed eseguito il 19 aprile 2019 per una pena residua pari a due anni e dieci giorni di reclusione, poi ridotta a seguito di provvedimento del Tribunale di Modena in funzione di giudice dell'esecuzione.

Con ordinanza del 13-14 maggio 2019 il Giudice dell'esecuzione ha dichiarato temporaneamente inefficace l'ordine di carcerazione (n. SIEP 57-2018) del Pubblico Ministero del 15 aprile 2019, che il P.M. aveva ritenuto non sospendibile in base alle regole generali, tenuto conto del quantum di pena da espiare, inferiore ai tre anni di pena detentiva, alla luce delle modifiche introdotte dalla l. n. 3 del 9 gennaio 2019 (art. 1, comma 6, lett. b, che ha modificato l'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario - l. n. 354 del 26 luglio 1975), con interpretazione non condivisa dal Tribunale di Modena che, invece, ha ritenuto che le modifiche di ordinamento penitenziario introdotte dalla novella del 2019 debbano essere applicate solo per il futuro, trattandosi - sì - di norme processuali ma con significativi effetti sostanziali. In conseguenza, il Giudice dell'esecuzione ha ordinato la liberazione dell'interessato, con contestuale avviso ad Angelo G. della possibilità di chiedere entro trenta giorni una misura alternativa alla detenzione (v. all. n. 5 produzione difensiva alla richiesta originaria di riparazione per ingiusta detenzione, richiamata alla p. 8 del ricorso).

3. Avendo la difesa di Angelo G. depositato richiesta ex art. 314 c.p.p., applicabile anche alla detenzione patita a seguito di erroneo ordine di esecuzione, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 310 del 25 luglio 1996, la Corte di appello di Bologna ha ritenuto che l'ordine di carcerazione emesso in applicazione del novellato art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario sia legittimo, poiché emesso in applicazione di legge vigente, e che, in ogni caso, come precisato dalla S.C., «La tardiva sospensione dell'esecuzione della pena legittimamente disposta non determina l'ingiustizia della detenzione sofferta fino all'adozione del provvedimento di sospensione e pertanto non costituisce titolo per la domanda di riparazione» (Sez. 1, n. 28818 del 13 giugno 2018, Cojocari, Rv. 273300).

In conseguenza, ha dichiarato inammissibile la richiesta avanzata ex art. 314 c.p.p.

4. Ricorre per la cassazione del provvedimento, tramite difensore di fiducia, Angelo G., che si affida ad un solo, complessivo, motivo, con il quale denunzia promiscuamente violazione di legge (artt. 314, 568 e 656 c.p.p.) e difetto di motivazione, che sarebbe mancante e manifestamente illogica.

Ripercorso ampiamente l'antefatto, il ricorrente lamenta l'illegittimità e l'ingiustizia del provvedimento impugnato segnalando, tra l'altro, che l'esecuzione a carico di G. era iniziata prima dell'entrata in vigore della novella introdotta dalla l. n. 3 del 2019 e ritenendo che il P.M. abbia errato nel ritenere immediatamente applicabile la novella legislativa per fatti commessi e la cui vicenda processuale si era completamente esaurita prima della modifica in peius dell'ordinamento penitenziario, tanto che il Giudice dell'esecuzione, sul presupposto della non retroattività della novella, ha dichiarato inefficace il provvedimento del P.M., ha liberato il condannato e gli ha consentito di richiedere misure alternative alla detenzione.

Richiama al riguardo sia precedenti di merito e di legittimità intervenuti nel corso dell'anno 2019 e che hanno ritenuto la non retroattività delle modifiche peggiorative introdotte dalla l. n. 3 del 2019 sia la sentenza della Corte costituzionale n. 310 del 18-25 luglio 1996, che ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione».

Rileva, infine, che il precedente di legittimità richiamato dalla Corte di appello di Bologna (Sez. 1, n. 28818 del 13 giugno 2018, Cojocari, Rv. 273300, secondo cui «La tardiva sospensione dell'esecuzione della pena legittimamente disposta non determina l'ingiustizia della detenzione sofferta fino all'adozione del provvedimento di sospensione e pertanto non costituisce titolo per la domanda di riparazione») riguarderebbe fattispecie diversa rispetto a quella che viene in esame nel caso di specie e, dunque, non sarebbe pertinente.

Chiede, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

5. Il Procuratore generale della S.C. nella requisitoria scritta ex art. 611 c.p.p. dell'11 maggio 2021 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.

2. Appare opportuno prendere le mosse dal rilievo che l'orientamento richiamato dalla Corte di appello di Bologna alla p. 2 dell'ordinanza impugnata (Sez. 1, n. 28818 del 13 giugno 2018, Cojocari, Rv. 273300: «La tardiva sospensione dell'esecuzione della pena legittimamente disposta non determina l'ingiustizia della detenzione sofferta fino all'adozione del provvedimento di sospensione e pertanto non costituisce titolo per la domanda di riparazione»), come segnalato dal P.G. nella sua requisitoria, è consolidato.

Infatti:

«La tardiva sospensione dell'esecuzione della pena legittimamente disposta non determina l'ingiustizia della detenzione sofferta fino all'adozione del provvedimento di sospensione e pertanto non costituisce titolo per la domanda di riparazione» (Sez. 4, n. 7091 del 29 gennaio 2009, Camaioni, Rv. 242870);

«Non è qualificabile come ingiusta - e pertanto non dà titolo alla corrispondente riparazione - la detenzione patita per effetto di un legittimo ordine di esecuzione, la cui sospensione, richiesta per il conseguimento di una misura alternativa, sia stata disposta tardivamente (v. Corte cost., 25 luglio 1996, n. 310)» (Sez. 1, n. 42903 del 19 novembre 2002, Pierleoni, Rv. 223070).

3. Ciò posto, il punto centrale della questione è il seguente.

Come accennato dal P.G. nella sua requisitoria (p. 2) e come ben noto, la novella introdotta dalla l. n. 3 del 2019 è stata parzialmente dichiarata incostituzionale dalla Consulta, che, sollecitata sia dalla Corte di cassazione che dai giudici di merito, con la sentenza n. 32 dell'11-26 febbraio 2020 (quindi, successiva non solo al provvedimento impugnato ma anche al deposito del ricorso, che risale al 6 dicembre 2019) ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge n. 354 del 1975, della liberazione condizionale prevista dagli artt. 176 e 177 del codice penale e del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall'art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale».

Ciò posto, lo sforzo ermeneutico della difesa, pur pregevole, trascura un aspetto che ha sicuro rilievo sulla verifica circa l'interesse del ricorrente: nessuna informazione viene fornita circa l'esito della richiesta, eventualmente avanzata da Angelo G., di misure alternative dopo il provvedimento, di cui si è detto, con il quale il Giudice dell'esecuzione, sul presupposto della non retroattività della novella, ha dichiarato inefficace il provvedimento del Pubblico Ministero ed ha liberato il condannato, con avviso allo stesso della facoltà di chiedere entro trenta giorni una misura alternativa alla detenzione.

Il segnalato vuoto informativo, non colmabile da parte della Corte di legittimità, non consente di qualificare la vicenda sottostante il ricorso nel senso auspicato dalla difesa, cioè quale illegittima omissione di sospensione, ipoteticamente doverosa, dell'esecuzione della pena, piuttosto che di tardiva sospensione, situazione quest'ultima che, come si è visto, per consolidato orientamento di legittimità dal quale non vi è ragione per discostarsi, non costituisce titolo legittimante l'equa riparazione.

4. Consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Non ravvisandosi, ex art. 616 c.p.p., assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte costituzionale, sentenza n. 186 del 13 giugno 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese consegue anche quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, che si stima conforme a diritto ed equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.

Depositata il 15 settembre 2021.

F. Caringella

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