Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 8 giugno 2021, n. 35481
Presidente: Marini - Estensore: Socci
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Salerno con decisione del 18 settembre 2019 ha confermato la sentenza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale di Salerno del 26 aprile 2019 che aveva condannato Matteo M. alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 5.000,00 di multa, pena sospesa, ed alla conseguente pena accessoria (di divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive per anni 2 con ulteriore obbligo di presentarsi in Questura mezz'ora dopo l'inizio di ogni partita della squadra presso la quale assume la qualità di giocatore), per il reato di cui agli art. 81 cpv. c.p. e art. 6 l. 401/1989. L'imputato aveva violato il provvedimento del Questore di Salerno del 2 settembre 2014 (DASPO), che faceva divieto di accedere nei luoghi in cui si svolgono tutte le manifestazioni sportive calcistiche della FIGC, per un periodo di anni tre dalla notifica, partecipando, in qualità di giocatore, all'incontro di calcio della squadra dilettantistica Real Aversena contro la squadra di Buccinasco.
2. Propone ricorso in cassazione l'imputato per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.
2.1. Violazione di legge (art. 6 l. 401/1989); carenza e manifesta illogicità della motivazione per avere ritenuto penalmente rilevante la condotta dell'imputato, qualificando erroneamente il contenuto del divieto della norma.
La Corte di Appello di Salerno riteneva legittimo il divieto di accedere allo stadio non solo quale spettatore ma anche in qualità di calciatore, disattendendo in tal modo la ratio della disposizione in questione, volta a prevenire le condotte violente dei tifosi e non ad impedire la partecipazione a qualsivoglia attività sportiva.
2.2. Violazione di legge (art. 131-bis c.p.) e vizio di motivazione. La sentenza impugnata riteneva inapplicabile la causa di non punibilità per il superamento del limite edittale. Per i delitti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, non può essere applicata la punibilità per particolare tenuità del fatto, se si procede per delitti puniti con pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione (art. 131-bis c.p., novellato dal d.l. 2019 n. 53, art. 16); la violazione del DASPO è punita con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 10.000 a 40.000 euro.
Tale ragionamento, invero, non tiene conto che alla data del commesso reato (aprile 2014) non operava la condizione ostativa all'applicazione della causa di non punibilità, entrata in vigore solo a far data dal 15 giugno 2019.
Ha chiesto, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. La Procura generale della Cassazione, Sostituto procuratore generale Paola Mastroberardino, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso risulta infondato e deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese processuali.
5. L'ordinamento considera la violenza legata alle manifestazioni sportive gravissima. La ratio dell'art. 6 l. 401/1989 è prevenire fenomeni di violenza, inibendo ai soggetti che si sono dimostrati violenti o incapaci di controllare i propri stati emotivi e passionali, legati allo sport, l'accesso, a qualunque titolo, anche partecipativo, ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive.
L'interpretazione del divieto di accesso è pertanto da intendersi in via generalizzata.
La sentenza impugnata analizza con motivazione adeguata, immune da contraddizioni e da manifeste illogicità la liceità del DASPO; lo stesso non precludeva il diritto a praticare attività sportiva, ma si limitava a fissare il divieto di accedere, a qualunque titolo, ai luoghi in cui si svolgono le competizioni, nell'ambito delle attività previste dalle federazioni sportive e da enti ed organizzazioni riconosciute del CONI.
Peraltro, le misure volte a prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive sono poste a tutela dell'ordine pubblico. Ne deriva che le condotte di violenza tenute nel corso di manifestazioni sportive dai giocatori tesserati a federazioni sportive non possono essere assoggettabili esclusivamente a sanzioni specifiche (squalificazioni, inibizioni e quant'altro) applicabili dai competenti organi della giustizia sportiva. L'attività sportiva, infatti, non è altro che la mera occasione da cui scaturisce il comportamento violento (Sez. 3, Sentenza n. 33864 dell'8 giugno 2007, dep. 5 settembre 2007, Rv. 237065-01; Sez. 3, Sentenza n. 26907 del 5 maggio 2009, dep. 1° luglio 2009, Rv. 244238-01).
Il provvedimento di divieto del Questore di recarsi nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive per partecipare ad una competizione sportiva dilettantistica deve considerarsi legittimo. Diversamente, quando l'attività sportiva è professionistica, ed in quanto tale retribuita, un ordine amministrativo non può privare un individuo della sua attività lavorativa. Una diversa interpretazione sarebbe incostituzionale in quanto la norma (art. 6 l. 13 dicembre 1989, n. 401) non prevede l'inibizione dell'attività "lavorativa" con il provvedimento del Questore, ma semplicemente "il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive". Trattandosi di una norma che comunque limita le libertà della persona, la stessa non può che interpretarsi in modo restrittivo in relazione a divieti solo nei casi espressamente previsti. Una limitazione dell'attività lavorativa retribuita sarebbe oltremodo punitiva, oltre i casi espressamente previsti dalla norma.
Il DASPO non può, dunque, colpire il professionista nelle sue attività lavorative, dalle quali ricava la retribuzione per le sue esigenze di vita e nelle quali esplica in pieno la sua personalità.
Viceversa, nelle semplici attività ricreative (non retribuite e non riferibili alle attività lavorative del soggetto interessato) il divieto risulta conforme alla legge e diretto ad evitare, comunque, violenze nelle manifestazioni sportive.
Può, pertanto, esprimersi il seguente principio di diritto: "Il provvedimento del Questore ex art. 6 l. n. 401 del 13 dicembre 1989 non può limitare l'attività dello sportivo professionista dalla quale ricava una retribuzione e con la quale estrinseca la sua personalità, mentre può vietare l'accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, anche quale partecipante alle attività sportive, a chi non esercita professionalmente le stesse; una diversa interpretazione della norma, che limitasse lo svolgimento di attività sportiva per professionisti retribuiti, sarebbe palesemente incostituzionale (artt. 1 e 35 della Costituzione)".
5.1. Nel caso in giudizio il ricorrente non era un professionista e non riceveva retribuzioni per la partecipazione alla manifestazione sportiva e, quindi, deve ritenersi integrata la violazione della norma, come ritenuto dalle decisioni di merito. Infatti, il ricorrente non prospetta una tale evenienza limitandosi a ritenere comunque non applicabile ai giocatori il Daspo.
6. L'art. 131-bis c.p. prevede al secondo comma, come novellato dal d.l. 53/2019, art. 16, primo comma, lett. a), pubblicato in G.U. il 15 giugno 2019, la non applicabilità della causa di non punibilità quando si procede per delitti puniti con una pena nel massimo superiore ad anni due e mesi sei di reclusione commessi in occasione di manifestazioni sportive.
Il fatto contestato risale, però, al settembre 2014.
Il rispetto del principio in tema di successioni di leggi del tempo di cui all'art. 2 c.p. risulta ostativo all'applicabilità della nuova disposizione (su questo aspetto la motivazione della sentenza impugnata risulta errata, ma ciò non ha influito, comunque, sulla decisione finale).
Infatti, al di là del superamento del massimo edittale previsto, la tenuità del fatto va valutata tenendo conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza desumibile e dell'entità del pericolo (Sez. un., Sentenza n. 13681 del 25 febbraio 2016, dep. 6 aprile 2016, Rv. 266590-01).
Deve confermarsi la giurisprudenza di questa Corte di cassazione che ritiene desumibile implicitamente l'esclusione della particolare tenuità del fatto dal complesso della motivazione della sentenza di merito: "L'assenza dei presupposti per l'applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto può essere rilevata anche con motivazione implicita" (Sez. 3, Sentenza n. 48317 dell'11 ottobre 2016, dep. 16 novembre 2016, Rv. 268499-01).
Nel caso in giudizio sia la decisione di primo grado e sia la sentenza impugnata qualificano grave il comportamento del ricorrente in considerazione della partecipazione all'incontro di calcio nonostante lo specifico divieto e la risposta negativa ad una sua richiesta presentata tramite il suo Avvocato per la partita in oggetto (rigetto comunicato via PEC e con una telefonata, ritenuto certamente a conoscenza del ricorrente).
Si tratta di una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 27 settembre 2021.