Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 4 ottobre 2021, n. 6631

Presidente: de Francisco - Estensore: Guarracino

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, notificato il 21 marzo 2008 e depositato l'11 aprile 2008, i sigg. Mauro T. e Augusto T., nella rispettiva qualità di nudo proprietario e di usufruttuario dell'unità immobiliare identificata all'interno n. 3 di un edificio di maggior consistenza, costituito da tre unità immobiliari con ingressi distinti, ubicato in Gaeta, alla via Fontana Loc. Pozzo del Diavolo s.n.c., agivano nei confronti del Comune di Gaeta e della sig.ra Carmen C., proprietaria dell'unità immobiliare posta all'interno n. 1, al fine di ottenere, in conformità all'orientamento giurisprudenziale dell'epoca, l'annullamento della D.I.A. del 27 luglio 2007 per variante in corso d'opera della precedente D.I.A. n. 166/2006 del 2 novembre 2006, relativa all'attività edilizia eseguita sull'immobile della sig.ra C., ovvero del consenso implicito o mancato dissenso maturato a seguito dell'inutile decorso del termine per inibire l'avvio o la prosecuzione dei lavori, con condanna al ripristino dello status quo ante e al risarcimento del danno.

Esponevano che l'unità immobiliare della sig. C., già oggetto di una pluralità di interventi edilizi, era stata, da ultimo, interessata da lavori oggetto della D.I.A. del 28 ottobre 2006, n. 166/06, presentata per il risanamento del locale interrato a seguito di infiltrazioni d'acqua piovana e a causa della penetrazione di radici, e lamentavano, a tale riguardo, che la D.I.A. avrebbe presentato molteplici vizi formali e che sarebbero stati eseguiti numerosi interventi in difformità dalla stessa che avevano indotto a ordinare la sospensione dei lavori, con riserva di ulteriori provvedimenti, il Comune di Gaeta, i cui tecnici, tuttavia, non avrebbero colto l'effettiva entità delle difformità.

Sostenevano, in particolare, che, sebbene le opere formalmente denunciate prevedessero la realizzazione di un'intercapedine di isolamento e impermeabilizzazione delle murature perimetrali, in effetti sarebbe stato costruito un nuovo locale, con conseguente aumento di superfici e volume, adoperando cemento armato in carenza della relativa autorizzazione del Genio civile, dando vita a una nuova volumetria non completamente interrata in una zona soggetta a vincolo paesaggistico e a rischio sismico, nonché destinata a verde agricolo con mantenimento delle volumetrie esistenti.

Su queste premesse, poiché la sig. C. aveva presentato il 27 luglio 2007 una variante in corso d'opera attraverso una nuova D.I.A., impugnavano quest'ultima sostenendo che, nonostante la stessa, le opere poste in essere dalla controinteressata permanessero illegittime e dolendosi della protratta sostanziale inerzia della amministrazione nonostante le loro denunzie.

Nel corso del giudizio impugnavano inoltre, con un primo ricorso di motivi aggiunti, la nota del Comune di Gaeta del 22 maggio 2008 recante comunicazione della conclusione del procedimento a carico della sig.ra C. per i lavori edilizi da questa eseguiti e, con un secondo ricorso di motivi aggiunti, la determinazione della Regione Lazio del 20 settembre 2010 recante parere favorevole di compatibilità paesaggistica, ex art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, sui lavori effettuati dalla controinteressata, unitamente ai pareri della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del 28 luglio 2010 e del 16 maggio 2008.

2. Con sentenza n. 346 del 22 aprile 2013 il Tribunale adito dichiarava inammissibili il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti per carenza di interesse ad agire in capo ai ricorrenti e respingeva la domanda di risarcimento del danno.

Respingeva, inoltre, la domanda di condanna dei ricorrenti ex art. 96 c.p.c., proposta dalla controinteressata, e compensava le spese del giudizio tra le parti.

3. La sentenza di primo grado è stata impugnata dagli originari ricorrenti (che, immutato il codice fiscale, hanno proposto il ricorso in appello col cognome T.Z.T.).

4. La controinteressata ha resistito al gravame e proposto appello incidentale.

5. Alla pubblica udienza del 20 aprile 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. È fondato il primo motivo dell'appello principale, col quale gli appellanti denunciano l'errore nel quale è incorso il giudice di prime cure accogliendo l'eccezione di carenza di legittimazione e di interesse ad agire formulata dal Comune di Gaeta e dallo stesso riqualificata, per un verso, in termini di insussistenza di un interesse giuridicamente rilevante in capo ai ricorrenti e, per altro verso, in termini di mancata dimostrazione, da parte dei medesimi, di un qualsivoglia pregiudizio attuale e concreto ad essi cagionato dagli atti e provvedimenti gravati.

Da un lato, il T.A.R. ha escluso che i ricorrenti fossero portatori dell'allegato interesse a non vedere deturpato il territorio ed il paesaggio circostanti: ritenendo incontestabile che la destinazione attuale del manufatto dei ricorrenti fosse quella di sottotetto non abitabile, da ciò ha tratto la conclusione che, vista la non abitabilità del loro sottotetto, i ricorrenti non potessero trarre alcuna utilità dal ricorso in termini di fruizione di una miglior visuale del circostante paesaggio, tanto più che i lavori riguardavano un locale scantinato, al di fuori della visuale frontista percepibile dalla finestra del sottotetto medesimo.

Dall'altro lato, ha negato anche la ricorrenza di un interesse dei ricorrenti alla tutela della stabilità dell'intero edificio, alla luce del certificato della Regione Lazio, facente parte degli elaborati dell'integrazione alla D.I.A. n. 166/06, che attestava la conformità delle opere alla normativa tecnica vigente in materia di costruzioni in zona sismica.

Sennonché, a prescindere dalla controversa questione della destinazione dell'unità immobiliare degli odierni appellanti, è un dato di fatto che, col ricorso di primo grado, essi avessero agito anche per la tutela del loro interesse sostanziale a contrastare un'attività edilizia che, secondo quanto dagli stessi prospettato, sarebbe stata destinata a incidere su beni parzialmente comuni e, quindi, avrebbe richiesto anche il loro consenso, stante il conclamato dissidio tra i comproprietari (pag. 19 s.); sicché occorre rammentare che la legittimazione ad agire spetta al soggetto che afferma di essere titolare della situazione giuridica sostanziale di cui lamenta l'ingiusta lesione, mentre l'interesse al ricorso consiste nel vantaggio pratico e concreto che può derivare al ricorrente da un provvedimento del giudice idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione (per tutti, C.d.S., Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4: "nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato ... dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato").

7. Tuttavia, fondato è pure il motivo d'appello incidentale con cui è stato impugnato il capo della sentenza relativo al rigetto dell'eccezione di tardività del ricorso di primo grado.

Ciò è dirimente per la definizione del punto focale dell'intera controversia.

Infatti, l'accertamento dei presupposti del processo (nell'ordine: giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità e rimessione in termini, contraddittorio, estinzione del giudizio) e delle condizioni dell'azione (interesse ad agire, titolo o legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam) precede l'esame delle altre questioni di rito e di merito (C.d.S., Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5), secondo l'ordine logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e, fra le prime, la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell'azione (C.d.S., Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4).

Ebbene, se per un verso il T.A.R. ha correttamente dato precedenza all'esame della questione di ricevibilità del ricorso sul rilievo che il profilo della tempestività del gravame attiene alla regolarità della costituzione del rapporto processuale, ha errato nel ritenere che non vi fosse prova della pregressa piena conoscenza dei fatti lesivi in capo ai ricorrenti e, in particolare, che la perizia commissionata dal sig. Augusto T. non ne fornisse la dimostrazione, facendo riferimento a quella, datata 22 gennaio 2008, da loro prodotta agli atti del giudizio di primo grado (punto 5.2 della motivazione).

Non vi è dubbio che tutti i ricorrenti fossero a piena conoscenza della D.I.A. n. 166/06 del 2 novembre 2006 almeno dalla data della notifica (25 luglio 2007) dell'atto stragiudiziale di significazione, diffida e messa in mora dagli stessi personalmente sottoscritto, che ne riporta data, protocollo e contenuto.

Quanto alla conoscenza della D.I.A. in variante del 27 luglio 2007, in primo grado la controinteressata aveva sostenuto (nella memoria depositata il 31 marzo 2012 e da ultimo nella memoria conclusiva del 22 dicembre 2012) che la perizia di parte datata 22 gennaio 2008 (doc. 4 parte ricorrente) fosse, in realtà, identica a quella, datata 22 dicembre 2007, già prodotta in un diverso giudizio (copia della quale è stata depositata al T.A.R. il 19 marzo 2012 insieme al frontespizio del fascicolo: doc. 15 della produzione della controinteressata).

La circostanza è rimasta incontestata, avendo i ricorrenti replicato, piuttosto, che la perizia non provava che il sig. Augusto T. avesse accompagnato il perito presso gli uffici comunali e che il sig. Mauro T., comunque, era rimasto estraneo a tali operazioni e avrebbe appreso dell'esistenza della D.I.A. solamente con l'accesso agli atti.

Per condiviso indirizzo giurisprudenziale, tuttavia, la prova della tardività del ricorso può essere data, da chi la eccepisce, anche mediante presunzioni semplici (C.d.S., Sez. IV, 22 novembre 2019, n. 7966; 8 settembre 2016, n. 3825).

Nel caso in esame, i ricorrenti avevano già sottoscritto congiuntamente, insieme all'altra usufruttuaria del cespite, l'atto di diffida del 25 luglio 2007, manifestando in tal modo il comune interesse alla tutela della loro proprietà e dei loro interessi che sarebbero stati pregiudicati dai lavori della controinteressata, e altrettanto congiuntamente hanno promosso le successive azioni giudiziarie finalizzate a contrastarli, nonché intrapreso ulteriori attività.

È da ritenersi del tutto normale che, nell'intervallo tra questi momenti, il sig. Mauro fosse tenuto al corrente dal padre delle iniziative assunte e delle informazioni acquisite e, di converso, completamente inverosimile che, nonostante la comunanza di interessi e il legame familiare, fosse tenuto all'oscuro dell'incarico peritale e del contenuto della relativa relazione, di per sé sufficiente ad acquisire la piena conoscenza della D.I.A. in variante del 27 luglio 2007 senza che occorresse anche che il sig. Augusto accompagnasse personalmente il perito negli uffici comunali.

Costituisce, infatti, massima di comune esperienza che all'interno di un contesto di coesione e di solidarietà familiare, quale certamente è quello nel quale i genitori abbiano donato la nuda proprietà di un bene al figlio conservandone l'usufrutto e si siano poi tutti insieme attivati per preservare le comuni ragioni a fronte di iniziative di terzi, recanti potenziale pregiudizio all'integrità, godimento o valore di quel bene, vi sia un continuo e reciproco scambio di notizie e informazioni tra quegli stessi membri della famiglia.

In difetto di qualsivoglia elemento che possa aver interrotto quel rapporto, non sarebbe affatto normale che il figlio fosse autonomamente venuto a conoscenza della D.I.A. solo il 23 gennaio 2008, con l'accesso agli atti, determinandosi in seguito a riprendere col padre le iniziative di contrasto alle opere edilizie della loro vicina.

Si deve, perciò, ritenere acquisita la prova critica, per via inferenziale, della conoscenza della D.I.A. in epoca anteriore ai sessanta giorni a ritroso dalla data (21 marzo 2008) della notifica del ricorso di primo grado, non solo in capo al sig. Augusto T. (che aveva commissionato e ottenuto la perizia prima della data indicata del 22 gennaio 2008), ma anche in capo al sig. Mauro T.

Da qui la tardività dell'azione di annullamento proposta col ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, che era stato proposto parallelamente ad altro ricorso contro il silenzio serbato dal Comune sulle diffide dei ricorrenti e teso ad ottenere la declaratoria dell'obbligo del Comune medesimo di esercitare i suoi poteri repressivi nei confronti dei denunciati abusi edilizi, il quale è stato dichiarato inammissibile dal T.A.R. Latina con sentenza n. 1205/2008, confermata da questo Consiglio (Sez. IV) con sentenza n. 387 del 26 gennaio 2009.

8. L'acclarata tardività del ricorso di primo grado, con conseguente riforma in parte qua della sentenza impugnata, rende inammissibile la riproposizione nel presente grado del giudizio delle censure concernenti le denunce di inizio attività che correttamente non sono state esaminate dal primo giudice, ancorché per la ritenuta inammissibilità del gravame.

9. Gli appellanti hanno riproposto anche i motivi aggiunti articolati contro la determinazione regionale del 20 settembre 2010 sulla compatibilità paesaggistica delle opere e i pareri favorevoli della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del 28 luglio 2010 e del 16 maggio 2008, che ugualmente non sono stati esaminati dal T.A.R. siccome reputati inammissibili per carenza di interesse ad agire in capo ai ricorrenti.

Ebbene, al pari del ricorso introduttivo, anche quei motivi risultano irricevibili per tardività, come già eccepito dalla controinteressata nel corso del primo grado del giudizio (ma le questioni di tardività, inammissibilità o improcedibilità sono rilevabili di ufficio e sottratte al divieto del c.d. ius novorum in appello: C.d.S., Sez. III, 11 settembre 2017, n. 4282; C.d.S., Sez. III, 13 gennaio 2016, n. 73), essendovi prova agli atti di causa che il sig. Augusto T. avesse chiesto al Comune, in data 1° luglio 2011, copia dell'accertamento di compatibilità paesaggistica del 20 settembre 2010, ottenendola il 2 settembre 2011, giusta attestazione di ritiro in calce alla richiesta (doc. 25 della produzione di primo grado della controinteressata), laddove il secondo ricorso di motivi aggiunti, proposto per impugnare quel provvedimento regionale dal solo sig. Augusto T., è stato notificato il 17 maggio 2012, dopo oltre otto mesi dalla piena conoscenza dell'atto.

10. In conclusione, l'appello incidentale deve essere accolto e, in riforma parziale della sentenza di primo grado, per i motivi che si sono esposti, devono essere dichiarati irricevibili tanto il ricorso introduttivo che i secondi motivi aggiunti del primo grado.

Di conseguenza, l'appello principale deve essere rigettato nei sensi sopra precisati, cioè relativamente alla riproposizione dei motivi di censura non esaminati nel merito dal T.A.R.

11. Sussistono giusti motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese tra le parti, in ragione della peculiarità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie l'appello incidentale, respinge l'appello principale nei sensi di cui in motivazione e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, dichiara irricevibili il ricorso originario e il secondo atto di motivi aggiunti del primo grado del giudizio.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.