Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
Sezione I
Sentenza 12 ottobre 2021, n. 905

Presidente: Salamone - Estensore: Malanetto

FATTO

La ricorrente ha preso parte alla gara per l'affidamento di "servizi per persone con disabilità: centro diurno 'Filigrana' e progetto integrato 'centonove e dintorni'" per il periodo 2020-2022, indetta dal consorzio In.Re.Te.

All'apertura dell'offerta economica l'amministrazione ha rilevato che l'offerta della ricorrente presentava una problematica relativamente al canone offerto complessivo triennale che non risultava corrispondere alla sommatoria delle voci di costo/canone elencate nell'offerta dalla medesima concorrente e complessivamente non coerente con la base d'asta; all'esito del contraddittorio procedimentale l'offerta è stata esclusa per ritenuta indeterminatezza della stessa.

Lamenta parte ricorrente:

1-2) la violazione degli artt. 30, 94, 140 e 142 del d.lgs. n. 50/2016, degli artt. 1, 3, 6, 10 e 10-bis l. n. 241/1990 e degli artt. 1430, 1433 c.c., degli artt. 16, 17.3, 20, 21 del Disciplinare; violazione dei principi di tassatività delle cause di esclusione, proporzionalità, legittimo affidamento, par condicio, non discriminazione, favor partecipationis, imparzialità. Eccesso di potere per carenza motivazionale, difetto di istruttoria e travisamento; nella propria offerta la ricorrente avrebbe quantificato il canone complessivo triennale in euro 906.190,98; tratterebbesi di mero errore materiale in quanto tale importo avrebbe dovuto essere interpretato come annuale, e quindi emendabile nel triplo mediante soccorso istruttorio; in ogni caso le voci di costo non costituiscono in senso stretto componente dell'offerta in quanto, in sede di giustificazione economica dell'offerta, è possibile modificare la singole voci di costo; d'altro canto l'indicazione delle singole voci di costo non era indispensabile per la formulazione dell'offerta;

3) violazione dell'art. 97 Cost., degli artt. 30, 140 e 142 del d.lgs. n. 50/2016, dell'art. 16 del Disciplinare; violazione dei principi di buon andamento, imparzialità, legittimo affidamento, non discriminazione, par condicio competitorum; eccesso di potere; la stazione appaltante, pur non ritenendo riconducibile all'errore materiale la problematica dell'offerta, ha ipotizzato che la moltiplicazione per tre dell'importo proposto comporterebbe una offerta in rialzo rispetto alla base d'asta; ciò da un lato dimostrerebbe come l'offerta fosse ricostruibile sulla scorta di una mera operazione matematica, dall'altro non potrebbe condurre all'esclusione della ricorrente in quanto la legge di gara ammetteva offerte economiche anche in rialzo; quanto alla congruità e sostenibilità dell'offerta la stessa non dovrebbe essere valutata in rapporto alle altre offerte ma tenendo conto che la ricorrente ha conseguito il più alto tra i punteggi attribuiti per l'offerta tecnica;

4) in via subordinata lamenta parte ricorrente la violazione dell'art. 97 Cost. e dell'art. 77 del d.lgs. n. 50/2016; la violazione del principio di buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa e del principio di imparzialità; la presidente della commissione sarebbe stata in posizione di incompatibilità avendo anche predisposto gli atti di gara e svolto la funzione di RUP;

5) in via di ulteriore subordine lamenta la violazione degli artt. 31, 97 d.lgs. n. 50/2016; violazione degli artt. 20 e 21 del disciplinare; violazione delle linee guida ANAC n. 3/2016; violazione del principio di buon andamento; la verifica dell'importo offerto ha in verità affrontato profili attinenti l'anomalia dell'offerta, attività che tuttavia competerebbe al RUP, non alla commissione.

Le ricorrenti hanno quindi chiesto annullarsi la disposta esclusione, con disponibilità a subentrare nel contratto, con vittoria di spese ed onorari di lite.

Si è costituita l'amministrazione resistente, contestando a sua volta in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo.

Con atto depositato in data 23 luglio 2020 parte ricorrente dichiarava di rinunciare all'istanza cautelare.

Si costituiva la controinteressata contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo.

Alla camera di consiglio del 29 luglio 2020 il collegio prendeva atto della rinuncia all'istanza cautelare.

All'udienza del 6 ottobre 2021 la causa veniva discussa e decisa nel merito.

DIRITTO

Il ricorso risulta palesemente infondato.

L'offerta economica della ricorrente, come risulta dal doc. 8 di parte resistente, è stata predisposta sulla modulistica messa a disposizione dalla stazione appaltante. Come si evince dal documento in atti esso presuppone una individuazione delle macro voci di spesa (costo del lavoro diviso per qualifiche, servizio di pulizia, manutenzione, ristorazione, trasporto); per le voci di costo del lavoro si richiedeva l'indicazione del monte ore, del costo orario IVA esclusa e del canone annuo offerto, sempre IVA esclusa; per le altre voci di spesa veniva richiesta l'indicazione del canone complessivo annuo proposto.

In calce alla tabella contenente i suddetti dati era espressamente richiesto di indicare: "totale prezzo complessivo triennale offerto (A+B+C) IVA esclusa", dove A rinviava alla tabella delle voci di spesa contenente il costo del lavoro, B alla tabella relativa ai costi per servizi complementari (pulizia, manutenzione, ristorazione) e C alla tabella relativa ai costi di trasporto e accompagnamento.

Con riferimento al "totale complessivo triennale" la ricorrente ha indicato l'importo di euro 906.190,98, IVA esclusa.

Posto che la base d'asta era pari ad euro 2.469.000,00 e dunque l'offerta si attestava ben al di sotto della metà della base d'asta, la stazione appaltante, dubitando di una non corretta redazione dell'offerta chiedeva alla concorrente di meglio chiarire il contenuto della propria offerta.

Replicava la ricorrente sostenendo che l'importo di euro 906.190,98 fosse da qualificarsi offerta su base annua, indicata come "prezzo triennale" per mero errore materiale, sicché la stazione appaltante avrebbe semplicemente dovuto procedere alla moltiplicazione per tre della somma per ottenere l'offerta corretta.

Rileva il collegio come la disciplina dell'errore materiale ostativo trovi certamente applicazione alle offerte presentate in gara; tale principio deve tuttavia essere applicato tenendo presente quelle che sono le caratteristiche dell'errore ostativo in ambito negoziale (essendo evidentemente l'offerta presentata in gara l'equivalente di una proposta contrattuale), con l'ulteriore esigenza, da parte della stazione appaltante, di una rigorosa applicazione del principio della par condicio dei concorrenti, che impone di non consentire modifiche unilaterali dell'offerta una volta che siano note le offerte degli altri concorrenti. È allora evidente che un errore ostativo di calcolo deve essere direttamente evincibile dai documenti già presentati in gara e non può essere frutto di ipotesi o argomentazioni a posteriori che non trovino riscontro nei documenti originariamente prodotti.

Nel caso di specie è pacifico e documentale che la ricorrente abbia esplicitamente dichiarato che la propria offerta triennale ammontasse ad euro 906.190,98; del tutto ragionevolmente la stazione appaltante ha chiesto chiarimenti trattandosi di importo pari a meno della metà della base d'asta, quindi evidentemente eccentrico rispetto ai valori di gara.

In replica la ricorrente ha sostenuto che tale importo, per mero errore materiale indicato come triennale, avrebbe invece dovuto intendersi come annuale, il che porterebbe l'offerta per il triennio ad euro 2.718.572,94, circa 240.000,00 euro in più della base d'asta.

Evidenzia la ricorrente, nel corpo del ricorso, che il disciplinare ammetteva offerte anche in aumento, sicché questo solo fatto non dimostrerebbe la non accettabilità della rettifica operata dalla ricorrente.

Fermo tale dato resta il problema di stabilire se fosse in qualche modo possibile comprendere dai dati dell'originaria offerta che l'importo di euro 906.190,98 era da intendersi come canone annuo e se dunque, per la comprensione dell'offerta così come rettificata, bastasse, come sostenuto dalla ricorrente, una semplice operazione matematica.

Le pur estese argomentazioni di parte dei primi tre motivi di ricorso non pervengono a dimostrare che l'offerta fosse ricostruibile così come proposto dalla ricorrente, per la semplice ragione che la società, nell'offerta, ha compilato tutte le voci di spesa/canone annuo indicate nel modulo e che la somma aritmetica delle voci ivi indicate non porta all'importo di euro 906.190,98.

Poco o nulla rileva quindi che l'offerta avesse "esattamente" indicato o, come dedotto in ricorso, "cristallizzato" gli importi relativamente alla spesa annua per il costo del lavoro; posto che questa costituisce solo una delle molteplici voci di spesa/canone che compongono l'offerta, resta incomprensibile, dall'originaria formulazione dell'offerta, perché dovrebbe moltiplicarsi per tre la somma di euro 906.190,98 che, sempre seguendo - come necessario - le sole indicazioni contenute nell'offerta, non corrisponde affatto all'insieme delle voci di canone indicate come canoni annui (e pari ad euro 797.190,98) e, d'altro canto e per ammissione della stessa concorrente, è palesemente incongrua se valutata come offerta triennale.

Estranee alla problematica in analisi sono poi le argomentazioni e contestazioni relative alla sostenibilità dell'offerta ed ai criteri per la sua valutazione; la ricorrente non può non comprendere che nessuna valutazione di congruità/sostenibilità dell'offerta è mai stata condotta dalla stazione appaltante, per la semplice ragione che si è, correttamente, ritenuto a priori non comprensibile l'entità dell'offerta economica; la palese esiguità dell'importo, ove inteso come canone triennale, è stata semplicemente l'occasione per sottoporre all'attenzione del concorrente quello che ictu oculi appariva come un errore di formulazione dell'offerta.

Ciò che per contro non appare affatto ictu oculi ricostruibile è l'individuazione dell'importo che la società intendeva effettivamente offrire e che ha solo a posteriori indicato nel triplo della somma inserita nell'apposito modulo; la moltiplicazione per tre della somma è, come detto, un calcolo che non resta giustificato né è precisamente riconciliabile con alcuno dei documenti presentati ex ante in gara.

Né è rilevante che fosse in astratto ammesso dal disciplinare una offerta al rialzo (perché tale sarebbe il risultato della moltiplicazione per tre della somma indicata nell'offerta economica), sempre perché non si tratta di stabilire cosa la ricorrente avrebbe teoricamente potuto offrire ma di prendere atto del fatto che la società non ha correttamente determinato l'importo offerto. D'altro canto trova pacificamente applicazione in gara il principio di autoresponsabilità e clare loqui che impone ad ogni concorrente, per di più soggetto professionale del settore, un preciso onere di diligenza nel predisporre l'offerta.

Tanto rende l'operazione invocata dalla ricorrente inammissibile, in quanto si consentirebbe in tal modo al concorrente, note le altre offerte, di rideterminare la propria massimizzando il risultato per sé utile, in palese violazione della par condicio dei concorrenti.

Ne consegue che correttamente la stazione appaltante ha ritenuto l'offerta economica della ricorrente non determinata (l'importo indicato come complessivo triennale è stato sconfessato dalla stessa concorrente) e non determinabile, in quanto la ricostruzione offerta ex post non è risultata puntualmente riconciliabile con dati a priori evincibili dai documenti prodotti in gara; nessuna attinenza hanno poi con l'operazione tentata dalla stazione appaltante (come detto di riuscire ad evincere, con l'eventuale partecipazione procedimentale della ricorrente, da una complessiva lettura degli atti il corretto importo offerto) la problematiche di anomalia dell'offerta.

Ciò comporta l'infondatezza del primo, secondo e terzo motivo di ricorso, che si fondano tutti sull'indimostrato assunto che la somma dichiarata come offerta corretta fosse evincibile dai documenti presentati in gara; infondato è poi per connessione logica il motivo n. 5, proposto in via subordinata, che addebita alla commissione di avere impropriamente svolto un giudizio di anomalia che non le competerebbe e ciò per la già evidenziata ragione che non è stato condotto alcun giudizio di anomalia/congruità dell'offerta, non avendo quest'ultima superato neppure la fase di ammissione in gara per indeterminatezza della componente economica.

Con il quarto motivo di ricorso dedotto in via subordinata la ricorrente contesta quindi la composizione della commissione di gara, in specifico lamentando che la presidente versava in posizione di incompatibilità in quanto avrebbe redatto gli atti di gara ed avrebbe altresì svolto le funzioni di RUP.

Premesso che, come eccepito da parte controinteressata, ritenuta corretta l'esclusione della ricorrente dalla gara ne consegue la sua carenza di legittimazione a contestarne lo svolgimento, le censure sono comunque infondate nel merito.

Quanto alla redazione degli atti di gara la censura è infondata in fatto.

La presidente della commissione di gara, dott.ssa Mattei, è anche la direttrice del consorzio In.Re.Te., consorzio di 42 comuni del Canavese che ha assunto il ruolo di stazione appaltante; prima di bandire la gara, con delibera del Consiglio di amministrazione n. 26/2019, sono stati impartiti alla stazione appaltante degli "indirizzi di massima" (limitati alla durata del servizio ed al criterio di aggiudicazione) che per la carica e conformemente allo Statuto consortile risultano indirizzati al "Direttore"; senonché poi dalla documentazione in atti si evince che tutta l'attività amministrativa specificamente relativa alla gara è stata curata e sottoscritta dal dott. Callea, responsabile area disabili-anziani; non sussiste quindi alcuna attività specificamente riguardante gli atti di gara predisposta o gestita direttamente dalla dott.ssa Merlo, con conseguente infondatezza in fatto della censura.

Quanto poi alla possibilità che il RUP entri a far parte della commissione giudicatrice, trattasi di ipotesi ammessa dalla normativa e dalla giurisprudenza che non ingenera alcuna incompatibilità a pena di vanificazione dell'intera procedura.

Ne consegue la complessiva infondatezza (oltre che inammissibilità) anche del quarto motivo di ricorso.

Il ricorso deve quindi essere complessivamente respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge il ricorso; condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite, liquidate, in favore di ciascuna delle controparti costituite, in euro 3.000,00 oltre IVA, CPA e rimborso spese generali 15%.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

A. Contrino e al. (curr.)

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