Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 18 ottobre 2021, n. 868
Presidente: De Nictolis - Estensore: Ardizzone
FATTO
1. È stata appellata la sentenza, definita in forma semplificata, in epigrafe indicata con la quale il T.a.r. ha dichiarato inammissibile il ricorso r.g. n. 480/2016, proposto dai sigg. Claudio T. e Massimo T. per l'annullamento:
- dell'ordinanza di demolizione n. 112 del 25 novembre 2015;
- di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale.
I ricorrenti, a cui era stata notificata l'ordinanza di demolizione n. 112/2015 dell'immobile di loro proprietà, ubicato nel Lungomare C. Colombo n. 527 di Carini, ne contestavano la legittimità, articolando vari motivi rubricati nei seguenti cinque distinti titoli:
i) «violazione e falsa applicazione dell'art. 17 l.r. 4/2003 come modificato dall'art. 62 comma 21 l.r. n. 15/2004, integrato dall'art. 26 comma 8 l.r. n. 19/2005»;
ii) «violazione e falsa applicazione della legge n. 47/1985 e della relativa circolare esplicativa del Ministero dei lavori pubblici n. 3356/25 del 30 luglio 1985»;
iii) «violazione e falsa applicazione dell'art. 29 della l. n. 729/191 nonché della l. n. 47/1985 in riferimento alle disposizioni di cui al d.m. n. 1404/1968»;
iv) «violazione e falsa applicazione degli art. 54 e 55 codice della navigazione»;
v) «eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere e dell'ingiustizia manifesta».
2. Il T.a.r. accoglieva l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa del Comune, evidenziando che, effettivamente, alla madre dei ricorrenti (dante causa degli stessi) era stato ritualmente notificato il provvedimento di rigetto (prot. n. 705 del 7 luglio 2003), dell'istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria illo tempore presentata dall'interessata, e che tale provvedimento non era stato impugnato. Né poteva concedersi l'errore scusabile tenuto conto del fatto che al momento della proposizione del ricorso avverso l'ordinanza di demolizione, il diniego di sanatoria era pienamente conosciuto dai ricorrenti in quanto espressamente menzionato nel provvedimento impugnato.
3. Gli appellanti, con l'odierno gravame, chiedono la riforma della sentenza sul presupposto che il Giudice di prime cure sarebbe incorso in errore nel dichiarare inammissibile il ricorso, e, a sostegno di tale tesi, articolano due distinti motivi:
a) «eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere, del travisamento dei fatti e della violazione del principio di ragionevolezza», atteso che nel provvedimento di rigetto dell'istanza di condono, non impugnato, non era stata espressamente indicata la facoltà per la parte destinataria di proporre tale formale impugnazione. Sostengono che, comunque, il provvedimento di diniego era stato impugnato in uno con l'ordinanza di demolizione avendo con l'originario ricorso previsto espressamente l'annullamento, oltre che della citata ordinanza di demolizione, «di ogni altro atto comunque presupposto, conseguente o connesso - tutti da intendersi con il presente ricorso espressamente impugnati - per i motivi superiormente esposti»;
b) «violazione e falsa applicazione dell'art. 37 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104». Secondo gli appellanti andava loro riconosciuto l'errore scusabile poiché nel provvedimento di rigetto dell'istanza di sanatoria, notificato alla madre, non era stata indicata «la facoltà per la parte destinataria di proporre formale impugnazione». Evidenziano, altresì, che la destinataria del provvedimento, avverso tale diniego aveva «presentato al Comune di Carini apposita istanza, in data 14 agosto 2003, protocollata al n. 34144, tesa ad ottenerne l'annullamento».
Gli appellanti, quindi, ripropongono tutti i motivi non esaminati dal T.a.r., stante la contestata declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado.
4. Gli appellanti, con nota del 21 aprile 2021, hanno manifestato la persistenza del loro interesse alla decisione.
5. Il Comune, già costituito con atto di mero stile del 28 maggio 2018, con memoria del 3 giugno 2021, ritualmente depositata ai sensi dell'art. 73 c.p.a., articolando apposite controdeduzioni, ha chiesto il rigetto dell'appello.
6. All'udienza di smaltimento del 6 luglio 2021, svoltasi con collegamento da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. L'appello è infondato.
La pronuncia di declaratoria di inammissibilità del ricorso di prime cure resiste alle censure articolate con il gravame.
8. Il Collegio, in primo luogo, osserva che, per ammissione degli stessi appellanti, è incontestato che il diniego di sanatoria dell'istanza di condono, prot. n. 705 del 7 luglio 2003, ritualmente notificato alla madre, loro dante causa, in data 11 luglio 2003, non è stato autonomamente impugnato.
Sostengono, però, che il diniego sarebbe stato impugnato in uno con l'ordinanza di demolizione n. 112/2015, come evincibile dalle conclusioni dell'originario ricorso, in cui hanno precisato che la loro richiesta di annullamento era riferita all'ordinanza di demolizione n. 112 del 25 novembre 2015, notificata il 30 novembre 2015 e ad «ogni altro atto comunque presupposto, conseguente o connesso - tutti da intendersi con il presente ricorso espressamente impugnati - per i motivi superiormente esposti». Tale tesi è priva di pregio: l'espressione «ogni altro atto [...]» appare più come una clausola di stile, ritualmente apposta a chiusura delle domande di annullamento rivolte al Giudice amministrativo e non come espressione della volontà di impugnare, nel caso di specie, il provvedimento di diniego n. 705/2003, adottato dal Comune di Carini per respingere la domanda di sanatoria edilizia acquisita al protocollo del Comune al n. 6814 del 30 dicembre 1986. Tale interpretazione è coerente con il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui «l'atto amministrativo oggetto di censura deve essere espressamente indicato in ricorso ovvero desumersi quale oggetto di gravame dal contenuto dello stesso, non risultando sufficiente, per pacifica acquisizione giurisprudenziale, il mero riferimento ad "atti prodromici, contestuali, consequenziali...» (C.d.S., Sez. VI, 20 marzo 2018, n. 1795).
8.1. Parimenti infondata è la censura alla sentenza per non avere il Giudice di prime cure concesso l'errore scusabile, ai sensi dell'art. 37 del c.p.a., nonostante, lamentano gli appellanti, nel provvedimento di rigetto fosse stata omessa l'indicazione della «facoltà per la parte destinataria di proporre formale impugnazione». La mancata indicazione dell'autorità cui ricorrere e del limite temporale per azionare la domanda di giustizia non legittima di per sé la remissione in termini, e ciò secondo il principio generale che l'art. 37, nella parte in cui stabilisce che la rimessione in termini per errore scusabile può essere disposta solo in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto, «è una norma di stretta interpretazione, dal momento che un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria che essa presuppone, lungi dal rafforzare l'effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti (art. 2, comma 1, del Codice del processo amministrativo), sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale» (C.d.S., Ad. plen., 2 dicembre 2010, n. 3).
Ed è stato ulteriormente precisato che «la mancanza nel provvedimento impugnato delle specificazioni richieste dall'art. 3 comma 4 della L. 241/90 non solo non è causa autonoma di illegittimità dello stesso - rappresentando una mera irregolarità - ma non giustifica neppure, di per sé, l'automatica concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, dovendo a tal fine verificarsi, caso per caso, che detta mancanza abbia determinato un'obiettiva incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili dall'interessato, atteso che, diversamente opinando, tale inadempimento formale si risolverebbe in una "assoluzione indiscriminata" dal termine di decadenza» (C.d.S., Sez. V, 25 luglio 2014, n. 3964).
Nel caso in esame, nessun dubbio poteva sorgere in ordine al dovere della parte di attivarsi prontamente per far rimuovere l'atto (del quale erano evidenti gli effetti lesivi) in sede giurisdizionale. Quindi, nessuna incertezza emerge dalle circostanze fattuali tale da poter giustificare una remissione in termini per errore scusabile, atteso che il provvedimento di diniego non conteneva determinazioni dubbie, equivoche o contraddittorie, il che imponeva la sua immediata e tempestiva impugnazione negli ordinari termini decadenziali di sessanta o centoventi giorni dalla sua comunicazione, essendo irrilevante la mancanza, nel provvedimento in parola, del termine e dell'autorità cui ricorrere ai sensi del comma 4 dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990. Dal contesto del gravame e dalla allegata documentazione risulta, peraltro, che la dante causa degli appellanti ha inteso optare per la via extragiudiziale per chiedere l'annullamento del provvedimento di rigetto: l'interessata, a seguito della notifica del provvedimento di rigetto della sanatoria, avvenuta l'11 luglio 2003, lo ha prontamente contestato con nota acquisita al protocollo del Comune di Carini n. 4144 del 14 agosto 2003, con la quale ha espressamente chiesto «l'annullamento del dispositivo del 7 luglio 2003 di diniego di concessione edilizia in sanatoria». Questa circostanza è sufficiente, quindi, per escludere la sussistenza dei presupposti che possano giustificare la rimessione in termini come l'oscurità e ambiguità della normativa applicabile, il cambiamento del quadro legislativo, contrasti giurisprudenziali o attività macroscopicamente equivoche o contraddittorie poste in essere dall'amministrazione (C.d.S., Sez. VI, 17 maggio 2018, n. 2984).
9. Ne consegue che l'omessa impugnativa del diniego di rigetto della sanatoria, poiché non sono stati dedotti vizi propri e autonomi dell'impugnata ordinanza di demolizione, acclara definitivamente l'abusività delle opere, e, per tale ragione, esime il Collegio dall'esaminare le relative censure. Infatti, avverso l'ordinanza di demolizione, che è un atto conseguenziale e vincolato, vengono mosse censure che gli appellanti avrebbero dovuto rivolgere nei confronti del provvedimento di diniego di sanatoria, non impugnato. Anche per tali considerazioni il ricorso, surrettiziamente proposto avverso il diniego di sanatoria, deve essere dichiarato inammissibile.
10. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Condanna gli appellanti, in via solidale, al pagamento in favore del Comune di Carini delle spese di lite che liquida complessivamente in euro 2.000,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.