Consiglio di Stato
Sezione III
Ordinanza 26 ottobre 2021, n. 7172

Presidente: Pescatore - Estensore: Ferrari

FATTO

1. L'avvocato Michelina G. ha impugnato dinanzi al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, la nota del 23 luglio 2020, con la quale il Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.) le ha negato il diritto di accesso ai documenti richiesti con istanza del 14 giungo 2020 concernenti i compensi percepiti, di qualsiasi natura, connessi all'assunzione della carica di componente del C.N.F., gli importi di viaggio di servizio e le missioni pagati con i fondi del C.N.F. o delle fondazioni ad esso collegate dal 1° gennaio 2019 alla data della richiesta e i dati relativi all'assunzione di altre cariche all'interno del C.N.F. o delle fondazioni ad esso collegate o presso altri enti pubblici o privati ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti dal C.N.F. dal 1° gennaio 2019 alla data della richiesta, riferiti a 9 Consiglieri.

La richiesta era stata presentata nel contesto di un contenzioso formato da due procedimenti riguardanti l'annullamento dell'elezione dei 9 Consiglieri dinanzi al Tribunale civile di Roma per violazione del limite del doppio mandato consecutivo previsto dall'art. 34 l. n. 247 del 2012, conclusosi con il riconoscimento della illegittimità dell'elezione contestata (successivo alla data della richiesta di accesso ai documenti).

Dopo aver precisato la triplice natura del suo interesse ad ottenere i documenti richiesti (l'interesse alla tutela delle esigenze generali di trasparenza della P.A., l'interesse specifico e concreto, in quanto avvocato, a verificare come i contributi versati dagli iscritti siano gestiti dal proprio organo di rappresentanza e l'interesse qualificato e differenziato connesso al giudizio dinanzi al Tribunale civile di Roma), l'avvocato Michelina G. ha dedotto, tra l'altro, la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. n. 33 del 2013, con riferimento agli artt. 5 e 14, in quanto i dati oggetto della istanza sarebbero soggetti a pubblicazione obbligatoria nella sezione "Amministrazione trasparente" del sito dell'ente Consiglio Nazionale Forense, sezione che invece sarebbe risultata "in fase di aggiornamento" da lungo tempo. Il C.N.F. avrebbe, pertanto, violato la legislazione in tema di trasparenza per un verso ritenendo a sé non applicabile la normativa sulla trasparenza del d.lgs. n. 33 del 2013 e, per altro verso, negando l'accesso ad atti che avrebbe dovuto pubblicare.

2. Con la sentenza n. 13446 del 2020 il T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso sul rilievo che, considerando che ai componenti del C.N.F. possono essere corrisposti solamente i rimborsi spesa e i gettoni di presenza indicati nel regolamento ("Rimborsi spese e gettoni di presenza") approvato nella seduta dell'11 dicembre 2015 e pubblicato sul sito web istituzionale, e che tali informazioni vengono riportate ogni anno sia nel bilancio di previsione che nel conto consuntivo (tempestivamente pubblicati sul sito web) dell'anno di riferimento nella forma di dati aggregati, i principi di trasparenza di cui alla normativa vigente fossero stati correttamente applicati, nel quadro di un "ragionevole bilanciamento tra le esigenze di pubblicità e la tutela della riservatezza (Corte cost. n. 20 del 2019)".

3. La sentenza de[l] T.A.R. Lazio 14 dicembre 2020, n. 13446, mai notificata, è stata impugnata con appello notificato il 4 marzo 2021 e depositato il successivo 6 marzo 2021.

Erroneamente il giudice di primo grado avrebbe fondato gran parte del suo ragionamento sull'assunto che ai componenti del C.N.F. possano essere corrisposti solamente gettoni di presenza e rimborsi spese indicati nel regolamento adottato nella seduta dell'11 dicembre 2015 quando, invece, dai bilanci della fondazione Scuola Superiore dell'Avvocatura Italiana emergerebbe che tali componenti percepiscono ulteriori indennità e rimborsi, provenienti dalle fondazioni sovvenzionate dal C.N.F. e di cui fanno parte. Né i dati aggregati (peraltro parziali) presenti nel bilancio e nel conto consuntivo sarebbero stati tempestivamente pubblicati, dato che, alla data della nota di diniego (23 luglio 2020), su[l] sito del C.N.F. era stato pubblicato solo il bilancio del 2018.

Inoltre, neppure la delibera n. 440 del 2018, adottata dal Consiglio Nazionale Forense (peraltro non determinante ai fini della genesi dei provvedimenti che ne fanno applicazione e quindi non dovendo necessariamente essere impugnata dai destinatari), con la quale il pubblico ente ha determinato che la pubblicazione dei dati aggregati di gettoni di presenza e rimborsi spese fosse sufficiente ad adempiere agli obblighi di trasparenza previsti dall'art. 14 d.lgs. n. 33 del 2013 avrebbe potuto impedire l'accoglimento del ricorso, ponendosi in aperto contrasto con le finalità della normativa in tema di trasparenza.

Ad avviso dell'appellante, inoltre, il giudice di prime cure avrebbe anche omesso di motivare in merito alla richiesta di accesso ai dati relativi ai "compensi percepiti di qualsiasi natura, connessi all'assunzione della carica di componente delle fondazioni collegate al C.N.F.; ... all'assunzione di altre cariche all'interno del C.N.F., delle fondazioni ad esso collegate o presso altri enti pubblici o privati ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti dal C.N.F. dal 1° gennaio 2019" alla data della richiesta, non menzionati nella delibera n. 440 del 2018 o nel regolamento del 2015 per cui, in base al principio devolutivo (di cui all'art. 101, comma 2, c.p.a.), è chiesto al giudice di appello di pronunciarsi anche sui motivi di ricorso non affrontati in primo grado.

Con riguardo all'ambito soggettivo è segnalato il diritto di tutti gli iscritti all'Ordine forense di conoscere separatamente e agevolmente ogni singolo dato "relativo alla indennità di funzione, rimborsi spese nonché cariche e incarichi dei Consiglieri dichiarati ineleggibili e quindi decaduti ex tunc dalla carica assunta nel 2019".

Per quanto attiene, invece, all'ambito oggettivo, solamente la disponibilità dei dati indicati separatamente e specificamente soddisferebbe i criteri stabiliti dall'art. 4-bis d.lgs. n. 33 del 2013.

Infine, l'appellante chiarisce come le linee guida dell'Anac del 28 dicembre 2016 si applicano anche al C.N.F. e che, pertanto, vi sarebbe stato l'obbligo di pubblicazione dei dati indicati dall'art. 14 d.lgs. n. 33 del 2013 o di rilasciarne copia (considerando che i dati aggregati, peraltro parziali e non tempestivamente pubblicati, non avrebbero potuto né potrebbero per la loro natura rispondere alle esigenze di trasparenza tutelate dalla norma) non impedendo l'esercizio del diritto di accesso con la motivazione delle osservazioni pervenute dai controinteressati, delle quali però non viene data contezza.

4. Si è costituito in giudizio il Consiglio Nazionale Forense, affermando l'infondatezza dell'appello.

5. All'udienza del 7 ottobre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, l'avvocato Michelina G. ha presentato istanza di accesso civico, ai sensi dell'art. 5 d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, chiedendo, con riferimento a nove componenti eletti al Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.): a) i compensi percepiti, di qualsiasi natura, connessi all'assunzione della carica di componente del Consiglio Nazionale Forense; gli importi di viaggio di servizio e missioni pagati con fondi del C.N.F. o delle fondazioni ad esso collegate dal 1° gennaio 2019 a tutt'oggi (art. 14, n. 1, lett. c, d.lgs. n. 33 del 2013); b) i dati relativi alla assunzione di altre cariche, all'interno del C.N.F., delle fondazioni ad esso collegate o presso altri enti pubblici o privati, ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti dal C.N.F. [dal] 1° gennaio 2019 a tutt'oggi (art. 14, n. 1, lett. d, d.lgs. n. 33 del 2013).

Giova premettere, per fare chiarezza sulla materia controversa, che nella specie l'accesso civico è stato esercitato ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 5 d.lgs. n. 33 del 2013. Il comma 2 del citato art. 5 prevede che "chiunque", senza alcun onere motivazionale, abbia il diritto di "accedere" ai dati ed ai documenti detenuti dalla P.A., che siano, tuttavia, "ulteriori" rispetto a quelli oggetto di "obbligo di pubblicazione" ai sensi del d.lgs. n. 33 del 2013.

A fronte della richiesta di rilascio della documentazione, presentata dall'avvocato Michelina G. unitamente alla istanza di pubblicazione, sorge la questione se i 9 Consiglieri ai quali si riferiscono i documenti richiesti (ed ai quali era stata comunicata la richiesta di accesso) assumono la veste di controinteressati.

A tale quesito va data risposta affermativa.

Come affermato in un recente arresto (C.d.S., Sez. V, 15 giugno 2021, n. 4644), non può ragionevolmente dubitarsi che anche all'accesso civico di cui all'art. 5 d.lgs. n. 33 del 2013 trovi necessaria applicazione la partecipazione procedimentale degli eventuali soggetti controinteressati, come si ricava dalla specifica previsione del comma 5, a mente del quale "Fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 2, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. A decorrere dalla comunicazione ai controinteressati, il termine di cui al comma 6 [trenta giorni dalla presentazione dell'istanza] è sospeso fino all'eventuale opposizione dei controinteressati. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione".

2. Ciò chiarito, il Collegio deve verificare le conseguenze della mancata estensione del contraddittorio in primo grado, e cioè se essa determini una ipotesi di annullamento con rinvio ex art. 105 c.p.a. o si possa disporre l'integrazione del contraddittorio in appello, considerato l'esito che il giudizio ha avuto dinanzi al T.A.R. Lazio, favorevole nei confronti delle parti non evocate in giudizio.

Il Collegio ben conosce - e condivide pienamente - gli arresti dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (30 luglio 2018, nn. 10 e 11; 5 settembre 2018, n. 14; 28 settembre 2018, n. 15) secondo cui l'esigenza di evitare inutili e defatiganti allungamenti dei tempi del processo (oggi ancor più rilevante alla luce dell'avvenuta costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo) assume un ruolo centrale per evitare interpretazioni dell'art. 105 c.p.a. non consentite dalla sua puntuale portata letterale. "L'enfatico e suggestivo richiamo al doppio grado del giudizio, anche in chiave costituzionale, non risolve, quindi, il problema del rapporto tra la decisione del primo giudice e quella del secondo giudice. Questo rapporto deve trovare soluzione solo in una rigorosa e tassativa analisi dell'art. 105 c.p.a. e delle altre disposizioni, sopra richiamate, in materia di appello. Proprio l'esegesi puntuale dell'art. 105 non consente di includere tra i casi di annullamento con rinvio l'ipotesi oggetto dell'ordinanza di rimessione, in cui il giudice di primo grado abbia erroneamente dichiarato il ricorso inammissibile (ed identiche considerazioni valgono con riferimento all'erronea dichiarazione di irricevibile e di improcedibilità)".

È proprio la richiamata esigenza di economicità del giudizio - peraltro particolarmente avvertita nelle controversie, come quelle in materia di accesso, nelle quali è stato il legislatore a ritenere ancora più necessaria la rapida definizione della causa - che induce, nel caso in esame, a ritenere possibile integrare il contraddittorio nella fase di appello, senza rimandare, annullando la sentenza, di nuovo la questione al T.A.R.

Ed infatti, ancora richiamando l'insegnamento dell'Adunanza plenaria, la "mancanza del contraddittorio" è così essenzialmente riconducibile all'ipotesi in cui doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte: il vizio è, quindi, genetico, nel senso che a causa della mancata integrazione del contraddittorio o della erronea estromissione, una o più parti vengono in radice e sin dall'inizio private della possibilità di partecipare al giudizio-procedimento.

Peraltro, in applicazione del principio della ragione più liquida, l'art. 49, comma 2, c.p.a. consente al giudice di pronunciare anche a contraddittorio non integro quando il ricorso risulti manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato. È evidente in tale previsione la ratio di economia processuale che consente di prescindere da incombenti inutili (l'integrazione del contraddittorio o il rinvio al primo giudice affinché disponga l'integrazione del contraddittorio) quando le risultanze già acquisite consentono di definire il giudizio in senso sfavorevole per la parte ricorrente (C.d.S., Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5; id., Sez. IV, 1° giugno 2016, n. 2316).

Ed invero, opinare diversamente - e cioè ritenere che la mancata integrazione del contraddittorio in primo grado, nel caso in cui il ricorso sia respinto (o dichiarato irricevibile, inammissibile, improcedibile), comporti in ogni caso l'annullamento con rinvio - finirebbe per vanificare la portata acceleratoria del comma 2 dell'art. 49 perché il giudice di primo grado sarebbe portato, prudenzialmente, a disporre sempre l'evocazione in giudizio di tutte le parti, anche se ritenga di dover respingere il ricorso, per evitare il rinvio della causa da parte del giudice di appello.

Giova aggiungere - ed il rilievo assume carattere assorbente di ogni altra considerazione - che se è vero che, nel caso all'esame del Collegio, ai controinteressati pretermessi sarebbe stato tolto un grado di giudizio, è altresì certo che il primo grado si è concluso con una pronuncia favorevole agli stessi, cosicché nessun ulteriore apporto avrebbero potuto portare.

Corollario di tale premessa è che non è configurabile una lesione del diritto di difesa nel caso in cui la causa sia stata definita con una sentenza del tutto conforme alla posizione giuridica della parte non evocata, che non risulta pertanto lesa dalla decisione del T.A.R. A conclusione diversa si deve pervenire, invece, nel caso in cui la sentenza contenga, anche nella motivazione, spunti che possano essere pregiudizievoli alla parte alla quale non è stato consentito di costituirsi in giudizio.

Privilegiando una lettura rigida del principio del doppio grado del giudizio, si onererebbe la parte vittoriosa a tornare avanti al primo giudice, a seguito dell'annullamento con rinvio, per ottenere auspicabilmente una decisione di identico tenore, il tutto in grave spregio del principio di economicità dei mezzi processuali e di ragionevole durata del processo (Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77).

3. Per le ragioni sopra esposte, l'avvocato Michelina G. dovrà evocare in giudizio i soggetto ai quali si riferiscono i documenti di cui chiede l'ostensione, con notifica dell'atto di appello entro trenta giorni dalla notificazione, o se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente ordinanza e deposito della relativa prova entro quindici giorni dall'avvenuto adempimento, pena l'improcedibilità del gravame ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a.

La nuova camera di consiglio per la prosecuzione del presente giudizio sarà fissata dal Presidente della Sezione, con separato decreto, in una udienza camerale del mese di gennaio.

Resta impregiudicata ogni decisione sul rito, il merito e le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dispone l'integrazione del contraddittorio nei termini e nei modi indicati nella parte motiva.

La nuova camera di consiglio per la prosecuzione del presente giudizio sarà fissata dal Presidente della Sezione, con separato decreto, in una udienza camerale del mese di gennaio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

L. Iacobellis

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