Corte di cassazione
Sezione VI civile
Ordinanza 3 novembre 2021, n. 31235

Presidente: Mocci - Relatore: Caprioli

FATTO E DIRITTO

Con l'avviso di accertamento notificato in data 23 gennaio 2013 l'Agenzia delle entrate contestava a Giuseppe L. l'omessa registrazione e dichiarazione di operazioni imponibili per euro 150,00 con relativa IVA di euro 30,00 ed irrogava le relative sanzioni.

Il contribuente impugnava l'atto impositivo per violazione dell'art. 12, comma 7, della l. 212/2000 ritenendo non sussistente il presupposto legittimante l'invio dell'accertamento ante tempus; e contestando il calcolo della base imponibile soggetta a tassazione.

La CTP di Trapani con sentenza n. 1960/2015 accoglieva il ricorso ritenendo che l'ufficio non avesse dimostrato le ragioni d'urgenza poste a base dell'accertamento anticipato.

L'amministrazione finanziaria impugnava la decisione avanti alla CTR della Sicilia la quale con sentenza n. 3537/2019 rigettava l'appello.

La CTR riteneva che in base all'art. 210 c.p.c. il giudice può, su istanza di parte, ordinare alle parti o a terzi l'esibizione di documenti in loro possesso, mentre, con l'applicazione dell'art. 213 c.p.c., il Giudice potrebbe anche d'ufficio acquisire informazioni scritte da quella pubblica amministrazione terza rispetto al processo.

Osservava che era onere dell'ufficio ricercare la documentazione che supportasse le sue ragioni evidenziando che l'appellante neppure in sede di gravame aveva dato prova delle precise condizioni che avevano legittimato l'emissione di un avviso di accertamento ante tempus.

L'ufficio propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a due motivi cui non replica il contribuente che rimane intimato.

Si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12, comma 7, della l. 212/2000 nonché del principio di strumentalità delle forme affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con sentenza del 3 luglio 2014 resa nelle cause riunite C-129/13 e C-130/13, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.

Si sostiene che la CTR avrebbe violato l'orientamento espresso dalla Suprema Corte laddove ha chiarito che nel settore dei tributi armonizzati il mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale rende invalido l'atto purché il contribuente assolva all'onere di indicare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se fosse stato tempestivamente avvisato.

Con un secondo motivo, fatto valere in via subordinata, [s]i denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2627 e 2729 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all'art. 12, comma 7, della l. 212/2000, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.

Si precisa che nel corso del giudizio di primo grado era stato depositata con le controdeduzioni la copia integrale del processo verbale che descriveva l'incapienza del patrimonio obbiettivamente insufficiente a soddisfare il credito erariale per gli anni dal 2006 al 2009.

Si sottolinea che la CTR avrebbe ritenuto a torto che l'ufficio non avesse dimostrato la carenza del patrimonio malgrado la produzione in giudizio dell'allegato n. 5 al processo verbale.

Si osserva che l'omesso vaglio di un documento decisivo di cui non vi sarebbe traccia nella documentazione prodotta è in contrasto con i principi codificati negli artt. 2727 e 2729 c.c. e negli artt. 115 e 116 che impongono al giudice di valutare tutti gli elementi offerti dall'ufficio secondo un prudente apprezzamento.

Il primo motivo è fondato con l'assorbimento del secondo.

L'applicazione della l. n. 212 del 2000, art. 12, è governata dall'autorevole interpretazione datane dalle sentenze delle Sez. un., n. 24823 del 9 dicembre 2015 e n. 18184 del 29 luglio 2013. Il precipitato di tali principi giurisprudenziali è che, escluso un obbligo generalizzato e indiscriminato di contraddittorio endoprocedimentale, «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la l. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (c.d. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, opera una valutazione ex ante in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l'atto impositivo emesso ante tempus, anche nell'ipotesi di tributi "armonizzati", senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di "resistenza", invece necessaria, per i soli tributi "armonizzati", ove la normativa interna non preveda l'obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti c.d. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione ex post sul rispetto del contraddittorio» (Cass. n. 11913/2021; Sez. 5, n. 701 del 15 gennaio 2019, Rv. 652456-01).

In relazione alla ripresa IVA, tributo armonizzato, l'obbligo del contraddittorio in linea di principio sussiste, ma, secondo l'insegnamento della sentenza Sez. un., n. 24823 del 9 dicembre 2015, e Sez. 5, n. 701 del 15 gennaio 2019, la violazione della sua omessa instaurazione e del rispetto del termine dilatorio prima della notifica dell'avviso non comporta l'invalidità dell'atto impositivo in ogni caso, ma solo allorché il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa.

Ciò posto, poiché nel caso di specie la controversia attiene all'IVA, il giudice di appello avrebbe dovuto verificare quali fossero le ragioni che il contribuente intendeva far valere proprio nella fase endoprocedimentale.

Il primo motivo va pertanto accolto con l'assorbimento del secondo e conseguente cassazione della decisione impugnata e rinvio alla CTR della Sicilia per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR della Sicilia per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimità.