Corte di cassazione
Sezione I civile
Ordinanza 22 novembre 2021, n. 35849

Presidente: Scaldaferri - Relatore: Amatore

RILEVATO CHE

1. Con atto di citazione depositato innanzi al Tribunale di Milano B. Anna, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società Atlante s.a.s. di B. Anna, e C. Fabrizio convennero in giudizio F. Antonio e N. Elisa, nonché i loro figli, F. Paolo Adolfo, F. Antonella e F. Carla Maddalena in relazione al contratto di cessione della quota dell'intero capitale sociale della "Atlante s.a.s. di N. Elisa", chiedendo, con accertamento negativo, la non debenza del credito richiesto da F. Antonio relativo a presunte spese sostenute in favore della società ceduta, e comunque il risarcimento del danno per il tentativo di truffa posto in essere dal F. Antonio e dai suoi familiari, nonché il pagamento della somma pari ad euro 285.195,05 per le spese sostenute per la regolarizzazione urbanistica dell'immobile e per il mancato godimento dello stesso, in ragione della garanzia prestata dai soci in sede di cessione delle quote per il minor valore della quota sociale.

2. Il Tribunale, dopo aver preso atto della rinuncia del F. Antonio alla propria richiesta creditoria, ha rigettato la domanda attorea di accertamento negativo del credito per difetto di interesse ad agire, ritenendo peraltro infondate anche le restanti domande attoree e condannando gli attori a rifondere per l'intero le spese di lite a Maddalena e Antonella F. e compensando invece per un terzo le spese poste a carico di Antonio F., N. Elisa e Paolo Adolfo F. e con condanna degli attori alla refusione dei residui due terzi, in considerazione della circostanza che l'esplicita rinuncia alla pretesa di Antonio F. era stata effettuata in corso di causa.

3. Interposto appello da parte di B. Anna, Atlante s.a.s. e C. Maurizio avverso la predetta sentenza emessa dal Tribunale di Milano, con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha rigettato il gravame così proposto, condannando gli appellanti alla rifusione del spese del grado liquidate in complessive euro 13.500 per ciascuna delle parti costituite.

La corte del merito ha ritenuto che: a) la decisione del giudice di prime cure di compensazione delle spese tra gli attori appellanti e Antonio F. era corretta, posto che, in considerazione della circostanza che F. Antonio si era costituito con una unica difesa insieme a N. Elisa e a Paolo Adolfo F., integralmente vittoriosi quest'ultimi rispetto alle altre domande proposte dagli attori, la pronuncia si era conclusa con una decisione globale di compensazione per un terzo e condanna degli attori alla rifusione dei due terzi delle spese, con la conseguenza che di tale compensazione gli attori si erano giovati nei confronti degli altri convenuti per contro integralmente vittoriosi e senza che alcun disequilibrio potesse ravvisarsi nella decisione sulle spese; b) non era fondato neanche il motivo di gravame volto ad ottenere il ristoro risarcitorio in conseguenza della denunciata tentata truffa ad opera del F., in quanto quest'ultimo si era limitato ad avanzare una richiesta stragiudiziale di pagamento delle spese anticipate in favore della società ceduta, senza che ciò integrasse gli estremi del raggiro ovvero degli artifici, elementi indispensabili per l'integrazione del reato di truffa e perché comunque alcun danno avrebbero ricevuto gli attori anche dalla pretestuosa richiesta di pagamento avanzata dal F. in ragione dell'esistenza della garanzia fideiussoria bancaria che avrebbe consentito al garante di agire in via di regresso nei confronti degli altri convenuti, senza contare che, in relazione al reato di concorso nella truffa addebitato ai figli "silenti" del F., non era configurabile il predetto reato sulla base di una condotta omissiva; c) non era fondato neanche il motivo di gravame relativo al diniego della richiesta risarcitoria avanzata in ordine ai presunti danni subiti per le denunciate irregolarità urbanistiche presenti sul bene immobile rappresentante l'unico cespite patrimoniale della società le cui quote erano state cedute in favore degli appellanti, posto che per le predette difformità urbanistiche, già oggetto di domanda di condono prima del contratto di cessione, le relative spese, ammontanti ad euro 25.195,04, erano state sostenute dagli appellati e che l'oggetto della richiesta risarcitoria riguardava non tanto oneri di regolarizzazione quanto piuttosto oneri di costruzione impegnati per ampliare e per rendere più confortevole la villa trasferita unitamente alla quota, con la conseguenza che anche la domanda risarcitoria legata alla mancata disponibilità e al mancato godimento dell'immobile dovesse ritenersi del pari infondata in quanto non direttamente collegata all'oggetto della garanzia pattuita tra le parti nel predetto contratto di cessione e perché invece determinata dalla scelta degli acquirenti di rendere maggiormente godibile il bene immobile così trasferito.

4. La sentenza, pubblicata il 5 maggio 2017, è stata impugnata da B. Anna e C. Maurizio con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi illustrati anche con memoria, cui F. Antonella e F. Carla Maddalena, da un lato, e Paolo Adolfo F., dall'altro, hanno resistito con distinti controricorsi, le prime corredandolo anche da memoria.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. in ordine all'erronea modalità di compensazione delle spese di lite a fronte della dichiarata cessazione della materia del contendere relativa alla domanda di accertamento negativo del credito di F. Antonio.

2. Con il secondo mezzo deducono, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 132, secondo comma, c.p.c., in combinato disposto con l'art. 156, secondo comma, medesimo codice di rito. Denunciano i ricorrenti come apparente la motivazione resa dalla corte distrettuale in relazione al diniego della tutela risarcitoria collegata alla tentata truffa posta in essere da F. Antonio, posto che il giudicante non aveva spiegato perché la pretesa creditoria del F. dovesse considerarsi non integrante gli estremi dell'artificio e del raggiro e perché non potesse rintracciarsi il concorso nella truffa nel comportamento maliziosamente silente dei familiari del F.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 163, 342 e 346 c.p.c., in relazione alla domanda risarcitoria avanzata per le denunciate irregolarità urbanistiche dell'immobile di proprietà della società ceduta. Si evidenzia un'errata valutazione da parte della corte di merito della documentazione allegata sulla cui base il giudice di appello aveva ritenuto che le pratiche di regolarizzazione urbanistica (in relazione alle quali si chiedeva il ristoro risarcitorio) non riguardavano abusi edilizi commessi prima della cessione della quota, ma opere di ristrutturazione e di ampliamento della villa richieste per rendere maggiormente godibile il bene immobile in questione.

4. Il quarto motivo denuncia, sempre in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112, 115, 116, 163, 342 e 346, nonché dell'art. 2697 c.c., in ordine all'accertamento della natura delle opere di risanamento urbanistico in relazione alle quali era stata avanzata la richiesta (negata dalla corte territoriale) di risarcimento per la mancata disponibilità dell'immobile, ciò con riferimento peraltro alla negata prova testimoniale e all'erronea valutazione della prova documentale che erano invece rivolte a dimostrare che la mancata disponibilità dell'immobile era stata determinata dagli abusi edilizi commessi dai cedenti ed in relazione ai quali erano state necessarie le opere di regolarizzazione edilizia.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., il vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., in combinato disposto con l'art. 4, comma 2, d.m. n. 55/2014, in ordine all'erronea modalità di liquidazione delle spese di lite in favore dell'avvocato difensore di più parti aventi la medesima posizione processuale.

6. Il ricorso è fondato limitatamente al quinto motivo di censura.

6.1. Il primo motivo è invece infondato.

6.1.1. I ricorrenti lamentano la violazione del principio della soccombenza virtuale derivante dall'art. 91 c.p.c., posto che - nonostante la cessazione della materia del contendere, dopo la rinuncia del F. Antonio alla pretesa restitutoria azionata in via stragiudiziale, e il conseguente rigetto della domanda di accertamento negativo avanzata dagli odierni ricorrenti per carenza di interesse ad agire - si era addivenuti ad una compensazione delle spese di lite, nella misura sopra ricordata in premessa, senza un'adeguata motivazione sul punto da parte del giudice di primo grado.

6.1.2. Sul punto giova ricordare, in termini generali, che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di spese processuali il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 24502 del 17 ottobre 2017).

6.1.3. Ciò posto, osserva la Corte come, in realtà, il giudice di prime cure si fosse limitato a disporre la compensazione delle spese tra gli odierni ricorrenti ed i convenuti F. Antonio, N. Elisa e Paolo Adolfo F. (nonostante quest'ultimi due fossero stati, invece, integralmente vittoriosi), accertando una soccombenza reciproca intervenuta comunque tra le due parti processuali unitariamente difese e disponendo, pertanto, la compensazione parziale per un terzo delle spese processuali, nel senso sopra ricordato in premessa.

Orbene, non è dato rintracciare alcuna violazione del principio di soccombenza virtuale posto che il giudice di primo grado, nonostante il formale rigetto della domanda di accertamento negativo avanzata dagli attori (oggi ricorrenti) per carenza sopravvenuta di interesse ad agire, ha comunque accertato sul punto una sostanziale soccombenza del F. Antonio rispetto alla predetta domanda in seguito alla sua rinuncia alle pretese creditorie avanzate solo in via stragiudiziale, addivenendo così ad una conseguenziale pronuncia di compensazione delle spese processuali sulla base dei poteri discrezionali riconosciuti al giudice del merito (e sopra ricordati) e sui quali al giudice di legittimità è invece inibito intervenire.

6.2. Il secondo motivo è anch'esso infondato.

6.2.1. Occorre ricordare che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. un., Sentenza n. 22232 del 3 novembre 2016; n. 8053 del 2014; Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 13977 del 23 maggio 2019).

6.2.2. Ciò posto, non è rintracciabile nella motivazione del provvedimento impugnato il denunciato vizio argomentativo, posto che la corte di appello, con motivazione esaustiva e peraltro scevra da criticità argomentative, ha correttamente spiegato, rendendo percepibile l'iter logico-giuridico del suo ragionamento, i motivi che escludevano l'esistenza del reato di tentata truffa a carico del F. Antonio, evidenziando, sul punto qui in esame, con argomentazioni peraltro pienamente condivisibili, che la mera prospettazione di una richiesta creditoria, quantunque pretestuosa, non poteva integrare né gli artifici né i raggiri, elementi indispensabili per la consumazione dell'elemento materiale del reato di truffa.

6.2.3. Sotto altro profilo di riflessione, se è pur vero in termini astratti che, come osservato dai ricorrenti (che tuttavia sul punto neanche hanno articolato un vizio di violazione di legge), in tema di truffa contrattuale, anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l'elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 28791 del 18 giugno 2015; Sez. 6, Sentenza n. 13411 del 5 marzo 2019), tuttavia risulta dirimente la circostanza che, essendo inconfigurabile il reato di truffa a carico del F. Antonio (cui era stata addebitata la condotta truffaldina come autore della stessa), non risulta del pari contestabile il medesimo reato a carico dei presunti concorrenti nel reato.

7. Il terzo motivo è invece inammissibile.

7.1. Si richiede da parte dei ricorrenti una nuova lettura della documentazione allegata nelle fasi di merito - invece, come noto, inibita al giudice di legittimità - per accreditare un diverso apprezzamento dei fatti di causa, volti a dimostrare che le procedure di regolarizzazione urbanistica riguardavano proprio gli abusi edilizi commessi prima della cessione della quota (e come tali rientranti nella clausola di garanzia promessa dai cedenti in sede di cessione della quota sociale), a fronte di una motivazione che, con diverso apprezzamento in fatto, ha invece evidenziato che per le spese di regolarizzazione degli abusi, ammontanti ad euro 25.195,04, erano intervenuti i cedenti (per stessa ammissione attorea), pagando direttamente all'amministrazione competente le spese della pratica di sanatoria, mentre le altre spese sostenute dai cessionari delle quote riguardano oneri di ristrutturazione e di ampliamento della villa collegati alla volontà di rendere maggiormente godibile l'immobile (come tali non rientranti nell'oggetto della garanzia negozialmente pattuita).

8. Il quarto motivo è anch'esso inammissibile per come formulato.

8.1. La censura è inammissibile per le medesime ragioni già sopra evidenziate in relazione al motivo che precede, posto che i ricorrenti di nuovo pretendono un nuovo apprezzamento in fatto da parte di questa Corte di legittimità della documentazione allegata per dimostrare la fondatezza della domanda risarcitoria collegata alla denunciata mancata disponibilità dell'immobile per il periodo di regolarizzazione urbanistica dell'immobile sopra ricordato, domanda invece respinta dai giudici del merito sulla base della preliminare considerazione della non riconducibilità dei lavori di ristrutturazione all'oggetto della garanzia negoziata tra le parti nell'atto di cessione della quota.

Come sopra ricordato, si tratta di un apprezzamento in fatto della documentazione urbanistica allegata nelle fasi di merito che non può essere ripetuto innanzi al giudice di legittimità, se non prospettando il vizio di omesso esame di fatto decisivo di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., qualora ciò sia possibile ai sensi dell'art. 348-ter, quinto comma, medesimo codice di rito.

Né è possibile apprezzare in termini positivi la richiesta di riesame delle prove testimoniali dedotte nei gradi merito e non ammesse dalla corte territoriale, stante la genericità di formulazione della doglianza, che neanche riporta nel motivo i capitoli di prova non ammessi (limitandosi solo ad un richiamo agli allegati) né illustra la decisività dei fatti che si chiedevano di provare.

9. Il quinto motivo è invece fondato.

9.1. Lamenta la parte ricorrente la illegittimità della liquidazione delle spese di lite, perché avvenuta in violazione di quanto disposto dall'art. 4, comma 2, d.m. n. 55/2014, avendo la corte di appello previsto la liquidazione delle spese attraverso la statuizione di condanna di euro 13.500 per ciascuna parte, senza invece considerare che le parti erano difese cumulativamente da due difensori in relazione a soggetti che rivestivano la medesima posizione processuale.

9.2. Sul punto è utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di liquidazione delle spese del giudizio, in caso di difesa di più parti aventi identica posizione processuale e costituite con lo stesso avvocato, è dovuto un compenso unico secondo i criteri fissati dagli artt. 4 e 8 del d.m. n. 55 del 2014 (salva la possibilità di aumento nelle percentuali indicate dalla prima delle disposizioni citate), senza che rilevi la circostanza che il comune difensore abbia presentato distinti atti difensivi (art. 4 del d.m. cit.), né che le predette parti abbiano nominato, ognuna, anche altro (diverso) legale, in quanto la ratio della disposizione di cui all'art. 8, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, è quella di fare carico al soccombente solo delle spese nella misura della più concentrata attività difensiva quanto a numero di avvocati, in conformità con il principio della non debenza delle spese superflue, desumibile dall'art. 92, primo comma, c.p.c. (Sez. 2, Ordinanza n. 8399 del 26 marzo 2019; Sez. 3, Sentenza n. 17215 del 27 agosto 2015).

9.3. Ciò detto, la corte di appello non si è attenuta, nella liquidazione delle spese, ai principi normativi e giurisprudenziali sopra ricordati, addivenendo ad una liquidazione singola per ciascuna parte processuale e non già ad una liquidazione unitaria per ogni parte avente la medesima posizione processuale, così incorrendo nella denunziata violazione di legge.

Si impone pertanto la cassazione della sentenza impugnata limitatamente alla liquidazione delle spese del secondo grado di giudizio, con rinvio alla corte di appello di Milano che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità e su quelle relative alla procedura di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata ex art. 373 c.p.c.

P.Q.M.

accoglie il quinto motivo di ricorso; rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.