Corte di cassazione
Sezione VII penale
Ordinanza 19 novembre 2021, n. 43883

Presidente: Vessichelli - Relatore: Miccoli

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello ha - per quanto ancora qui rileva - confermato la pronunzia di primo grado con la quale C.P. Antonino era stato condannato per i reati di atti persecutori, di lesioni e minacce in danno del socio.

Avverso l'indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, denunziando violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla affermazione di responsabilità, alla valutazione delle prove, all'insussistenza degli eventi tipici di cui all'art. 612-bis c.p. e alla sussistenza del reato di minaccia.

2. È stata depositata memoria a firma del difensore dell'imputato, con la quale è stata richiesta la declaratoria di "improcedibilità", ai sensi dell'art. 344-bis, commi secondo e terzo, c.p.p., introdotto dall'art. 2, comma secondo, l. 134/2021, per essere decorso un anno dai 90 giorni successivi al termine per il deposito della sentenza impugnata.

È stata dunque proposta questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma terzo, l. 134/2021, sostenendo che il nuovo istituto della "improcedibilità" ha natura sostanziale e non processuale, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di prevedibilità della sanzione e retroattività della norma più favorevole al reo. Ciò nonostante, il comma terzo dell'art. 2 citato ha previsto che le disposizioni relative al nuovo istituto "si applicano ai soli procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020". Limitare l'efficacia nel tempo di uno strumento che viene pensato come garanzia di un principio fondamentale, come quello della ragionevole durata del processo, integra - secondo il deducente - una violazione dell'art. 3 Cost., norma dal quale trae fondamento, tra gli altri, il principio di diritto penalistico del favor rei, nonché degli artt. 25 e 111 Cost.

Deduce, infine, la difesa che l'impossibilità di far valere l'improcedibilità, tenuto anche conto che nulla in tal senso è, invece, stato previsto per l'art. 161-bis c.p., che dispone la cessazione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, determina una chiara violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., nonché degli artt. 25 e 111 Cost., realizzando una disparità di trattamento ingiustificata tra soggetti che si trovano nella medesima situazione e disattendendo il principio della retroattività della norma più favorevole al reo.

3. Il ricorso è inammissibile.

I motivi proposti, oltre ad essere versati in fatto e finalizzati alla rivalutazione delle prove, sono del tutto generici e per questo manchevoli dell'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato.

In effetti, tutte le censure risultano pedissequamente reiterative di quelle oggetto dell'atto di appello e su di esse v'è congrua, corretta e non manifestamente illogica motivazione nella sentenza impugnata.

4. Manifestamente infondata è la richiesta di declaratoria di improcedibilità, avanzata con la memoria cui si è fatto sopra riferimento.

4.1. In primo luogo, va rilevato che il principio, invocato dal difensore, di ragionevole durata dei processi non può derogare alle regole che presiedono all'introduzione dei giudizi di impugnazione.

Secondo il consolidato orientamento delle Sezioni unite di questa Corte la proposizione di un ricorso inammissibile, come quello in esame, non consente la costituzione di valido avvio della corrispondente fase processuale e determina la formazione del «giudicato sostanziale», con la conseguenza che il giudice dell'impugnazione, in quanto non investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, non può rilevare eventuali cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (Sez. un., [n.] 12602 del 17 dicembre 2015, Ricci; n. 23428 del 22 marzo 2005, Bracale; n. 32 del 22 novembre 2000, De Luca; n. 15 del 30 giugno 1999, Piepoli; n. 21 dell'11 novembre 1994, Cresci).

I suddetti principi, sebbene riferiti alla prescrizione, sono estensibili all'istituto della "improcedibilità", in quanto la ratio della nuova normativa, certamente finalizzata a garantire la ragionevole durata del processo, implica che tale correlazione teleologica è solo tendenziale, non potendo prestarsi a forme di strumentalizzazione realizzabili attraverso la proposizione di ricorsi inammissibili (si veda quanto precisato in motivazione, in tema di prescrizione, sull'uso pretestuoso dei ricorsi inammissibili da Sez. un., 26 febbraio 2015, Jazouli).

4.2. Nella specie, dunque, la rilevata inammissibilità del ricorso per i motivi sopra indicati osta alla declaratoria di "improcedibili[t]à" e rende irrilevante la questione di illegittimità costituzionale nei termini proposti.

Peraltro, tale irrilevanza è riferibile anche alla circostanza che non è ancora decorso il termine di un anno dal 19 ottobre 2021 per la declaratoria di improcedibilità, come previsto per i giudizi in cassazione dalla normativa transitoria per l'applicazione dell'art. 344-bis c.p.p. Invero, la disciplina contiene delle disposizioni finalizzate a consentire una graduale applicazione della riforma, in modo da assicurare, contemporaneamente, un adeguamento delle strutture degli uffici giudiziari.

Pertanto, solo per i procedimenti di impugnazione nei quali, alla data (19 ottobre 2021) di entrata in vigore della legge, siano già pervenuti alla Corte di cassazione gli atti trasmessi ai sensi dell'art. 590 c.p.p., il comma quarto dell'art. 2 l. 134/2021 prevede che decorrano (dalla stessa data di entrata in vigore della legge) i termini di durata del giudizio di cassazione.

4.3. Va comunque ritenuta la manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale nei termini proposti.

La difesa prospetta la questione della legittimità della previsione nella misura in cui l'improcedibilità, pur risolvendosi nel mero arresto del corso del processo, finisce per assumere effetti sostanziali in quanto preclude la punibilità dei reati contestati.

L'assunto non è condivisibile.

È pur vero che la garanzia del principio di legalità (art. 25, secondo comma, Cost.) nel suo complesso è destinata a coprire anche le implicazioni sostanziali delle norme processuali (in tal senso, Corte cost., n. 278 del 2020). Tuttavia, occorre verificare se queste ultime siano o non coerenti con la funzione assegnata dall'ordinamento all'istituto del quale si tratta e con gli interessi protetti, come affermato da tempo dalla Corte costituzionale, che, per esempio, ritenne legittima la scelta di non sottoporre allo scrutinio di maggiore o minore favore la legge sopravvenuta nei casi di processi pendenti in appello o in Cassazione, dal momento che «l'esclusione dell'applicazione retroattiva della prescrizione più breve non discende dall'eventuale verificarsi di un certo accadimento processuale, ma dal fatto oggettivo e inequivocabile che processi di quel tipo siano in corso ad una certa data» (Corte cost., 28 marzo 2008, n. 72).

Orbene, la modulazione del regime transitorio previsto dalla l. 134/2021 può ben correlarsi non solo all'esigenza di coordinamento con l'impianto delle precedenti riforme (e, in particolare, con le modifiche di cui alla l. n. 3 del 2019, che giustifica la limitata retroattività ai reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020, ovvero il termine previsto per l'entrata in vigore delle disposizioni che hanno disposto la sospensione del termine prescrizionale nei giudizi di impugnazione), ma anche alla necessità di introdurre gradualmente nel sistema processuale un istituto così radicalmente innovativo, sicché ha la sua ragionevolezza la previsione di un periodo finalizzato a consentire un'adeguata organizzazione degli uffici giudiziari.

Né si apprezza la fondatezza dell'ulteriore profilo di disuguaglianza di trattamento denunziato dalla difesa nella parte finale della sua memoria.

L'impossibilità di far valere l'improcedibilità per i reati commessi prima del 1° gennaio 2020 trova il suo ragionevole fondamento nella circostanza che per tali reati non opera la normativa della citata l. n. 3/2019, relativa alla sospensione del termine prescrizionale dopo la sentenza di primo grado, per cui non può ritenersi che vi sia una disparità di trattamento ingiustificata tra soggetti che si trovano nella medesima situazione.

5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in euro 3.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

Depositata il 26 novembre 2021.