Corte di cassazione
Sezioni unite penali
Sentenza 25 novembre 2021, n. 14573

Presidente: Cassano - Estensore: Verga

RITENUTO IN FATTO

1. In data 11 settembre 2020 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Latina che il 28 settembre 2018 aveva condannato A.D.P. per il delitto di cui all'art. 570-bis c.p., così riqualificato il fatto originariamente contestato ai sensi dell'art. 570, secondo comma, n. 2, c.p., per avere, dal gennaio 2011 fino alla data della decisione di primo grado, omesso di corrispondere al coniuge separato ed al figlio minorenne la somma mensile di euro 1.500,00, oltre ad un importo pari al 50% delle spese straordinarie del minore, come stabilito in sede civile dal Tribunale di Latina con provvedimento del 10 gennaio 2011, facendo così mancare loro i mezzi di sussistenza.

2. Avverso la indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, il quale ha rassegnato due motivi di impugnazione.

Nel primo motivo deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 161, comma 4, 179 e 420-bis c.p.p., 111 e 117 Cost., 6 CEDU, per avere la Corte d'appello disatteso l'eccezione difensiva di nullità assoluta degli atti del giudizio di primo grado, per omessa citazione a giudizio. In particolare, lamenta che la notifica del decreto di citazione diretta a giudizio è stata effettuata dall'ufficiale giudiziario al difensore d'ufficio del D.P. a norma dell'art. 161, comma 4, c.p.p., nonostante che nel verbale della tentata notifica l'imputato fosse stato irritualmente dichiarato irreperibile e l'ufficiale notificatore non avesse compiuto ulteriore attività di verifica in loco. Sostiene che l'imputato, giudicato in assenza, non ha mai avuto effettiva conoscenza del procedimento - che deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium - non essendo possibile stabilire dagli atti se l'impossibilità di esecuzione della notificazione al domicilio dichiarato fosse o meno sussistente. Aggiunge che, anche a voler considerare la notifica effettuata al difensore d'ufficio come meramente irregolare, doveva verificarsi se la stessa avesse prodotto gli effetti cui era diretta. La costante assenza del difensore d'ufficio, nominato nel primo grado del merito, che rendeva evidente la mancanza di rapporto professionale tra l'imputato e l'avvocato, non poteva che portare a ritenere la totale e incolpevole mancanza di conoscenza del procedimento da parte del prevenuto.

Con il secondo motivo lamenta violazione di legge, in relazione all'art. 570-bis c.p., e vizio di motivazione per avere la Corte di appello affermato che la riqualificazione del fatto contestato era esente da vizi senza però procedere ad una correzione della pena (era stato condannato a pena congiunta mentre il reato prevede la pena alternativa) e senza considerare che il mancato versamento al coniuge separato era ipotesi non contemplata dall'art. 3 della l. n. 54 del 2000 che individua gli obblighi di natura economica, oggetto di tutela penale, solo in quelli posti a carico di un genitore a favore dei figli, escludendo quindi gli obblighi posti a carico di un coniuge a favore dell'altro.

3. Con ordinanza del 23 settembre 2021 la Sesta Sezione della Corte di cassazione ha rimesso il ricorso medesimo alle Sezioni unite, avendo ravvisato la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito al primo motivo di censura, attinente al rapporto esistente tra la norma dettata dall'art. 161, comma 4, c.p.p., di cui è stata lamentata la violazione, e quella prevista dall'art. 170, comma 3, dello stesso codice che, pur non richiamata espressamente nell'atto di impugnazione, doveva ritenersi evocata in ragione della doglianza difensiva in ordine alle concrete modalità di effettuazione della notificazione nel caso in esame.

3.1. Secondo un primo e maggioritario filone interpretativo (Sez. 5, n. 9320 del 9 febbraio 2021, Pallanza, non mass.; Sez. 2, n. 32239 del 30 ottobre 2020, Russo, non mass.; Sez. 3, n. 37168 del 30 settembre 2020, F., Rv. 280820-01; Sez. 2, n. 57801 del 29 novembre 2018, Nita, Rv. 274892) deve ritenersi affetta da nullità assoluta la notificazione eseguita mediante consegna al difensore, ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p., se, dopo che l'addetto al servizio postale ha accertato l'irreperibilità del destinatario nel domicilio dichiarato o eletto, non siano state attivate le modalità di notifica ordinarie, ai sensi dell'art. 170, comma 3, c.p.p. Secondo tale indirizzo la citata disposizione, nello stabilire che «qualora l'ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario, l'ufficiale giudiziario provvede alla notificazione nei modi ordinari», palesa di non ritenere sufficiente l'attestazione di irreperibilità del destinatario effettuata dall'addetto al recapito mediante raccomandata postale. Essa non può essere equiparata alla irreperibilità accertata dall'ufficiale giudiziario. Questo orientamento si fonda sulla valorizzazione del dato letterale, considerato espressione di una ridotta capacità dimostrativa che, nell'ottica legislativa, avrebbe l'accertamento dell'addetto al recapito postale rispetto a quello che è chiamato a svolgere l'ufficiale giudiziario notificatore.

3.2. Il Collegio rimettente segnala come tale interpretazione è stata disattesa dalla sentenza n. 23880 del 5 maggio 2021, Usai, Rv. 281419, della Prima Sezione che ha ritenuto legittima la notificazione eseguita mediante consegna al difensore, ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p., nel caso in cui l'addetto al servizio postale, incaricato delle notificazioni, ha attestato l'irreperibilità del destinatario nel domicilio dichiarato o eletto, perché, ai fini dell'integrazione del presupposto dell'impossibilità di notificazione in tale domicilio, legittimante la notificazione sostitutiva al difensore, sono sufficienti anche solo la temporanea assenza dell'imputato al momento dell'accesso dell'ufficiale notificatore o la non agevole individuazione dello specifico luogo. Secondo tale diverso orientamento l'art. 170, comma 3, c.p.p., in base al quale, se l'ufficio postale restituisce il piego per irreperibilità del destinatario, l'ufficiale giudiziario deve procedere alle notificazioni nei modi ordinari, troverebbe applicazione unicamente con riguardo alle ipotesi di prima notificazione all'imputato non detenuto.

4. L'ordinanza di rimessione privilegia questo ultimo orientamento sulla base di un'interpretazione logico-sistematica, pur riconoscendo che il dato testuale dell'art. 170, comma 3, c.p.p. potrebbe fare propendere per la soluzione opposta.

Detta preferenza si basa sull'analisi dell'art. 161, comma 4, c.p.p. che prevede che la notificazione sia effettuata presso il difensore quando, pur avendo l'indagato o l'imputato, non detenuto o internato, provveduto a dichiarare o ad eleggere domicilio per le notificazioni, non sia comunque possibile effettuarle nel luogo così specificato, anche per insufficienza o inidoneità delle indicazioni fornite. Norma che la giurisprudenza ha ritenuto applicabile anche qualora il destinatario risulti trasferito o anche solo momentaneamente assente da quel domicilio (ex multis, Sez. 5, n. 51111 del 17 ottobre 2017, Gueye, Rv. 271819) ovvero lo abbia cambiato in modo irrituale (Sez. 7, n. 24515 del 23 gennaio 2018, Pizzichello, Rv. 272824), senza dover ripetere il tentativo presso il luogo già accertato come inidoneo (Sez. 4, n. 3930 del 12 gennaio 2021, Lo Presti, Rv. 280383).

L'accertamento della mera impossibilità di effettuare la notificazione presso il luogo indicato dal prevenuto, che giustifica la legittimità del canale comunicativo processuale sostitutivo rappresentato dal difensore, è nozione fattuale molto più ampia di quella più specifica della irreperibilità, che pure, nella pratica, viene spesso adoperata in dette situazioni.

Secondo la Sezione rimettente tale principio, affermato anche dalle Sezioni unite (Sez. un., n. 58120 del 22 giugno 2017, Tuppi), deve trovare applicazione anche quando il mancato reperimento del destinatario è attestato dall'addetto al servizio postale incaricato. Una diversa interpretazione porterebbe alla paradossale conclusione che, se l'addetto postale attestasse l'irreperibilità del destinatario, non sarebbe legittima la notificazione sostitutiva al difensore, mentre, se attestasse che nel luogo indicato il destinatario risulta sconosciuto, trasferito ovvero che l'indirizzo è inesatto, insufficiente o inesistente, con le formule - previste dall'art. 9 della l. 20 novembre 1982, n. 890, come modificata dalla l. 27 dicembre 2017, n. 205, norma integrativa dell'art. 170 del codice di rito - con le quali si restituisce il plico al mittente, la notificazione sostitutiva al difensore sarebbe, invece, legittima.

Da queste considerazioni giunge alla conclusione che la norma di cui all'art. 170, comma 3, c.p.p., la quale prescrive la necessità di accertamenti più accurati da compiersi con l'intervento diretto di un soggetto più qualificato, qual è l'ufficiale giudiziario, sia riferibile solo ai casi, disciplinati dall'art. 157 c.p.p., di prima notificazione al soggetto, non detenuto, sottoposto al procedimento penale ovvero quando, pur essendo state eseguite accurate ricerche, non si riesca ad effettuare la notificazione all'interessato previa emissione del decreto di irreperibilità ex artt. 159 e 160 c.p.p.; detta procedura non è, invece, applicabile nel caso di domicilio eletto o dichiarato.

5. Il Procuratore generale ha depositato memoria nella quale, esaminati gli opposti orientamenti e richiamata anche la giurisprudenza costituzionale in materia, attraverso una interpretazione sistematica, illustra le ragioni per le quali aderisce al secondo orientamento e ritiene, pertanto, legittima la notificazione eseguita mediante consegna al difensore, ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p. nel caso in cui l'addetto al servizio postale, incaricato della notificazione, abbia in precedenza attestato l'impossibilità di eseguire la notifica presso il domicilio dichiarato o eletto. Ai fini della integrazione di tale presupposto ritiene sufficienti - oltre all'ipotesi dell'irreperibilità del destinatario - anche solo la sua temporanea assenza o la non agevole individuazione dello specifico luogo.

6. Il difensore ha, a sua volta, depositato memoria nella quale ha sottolineato come la disciplina riguardante il regime delle notificazioni sia in stretto rapporto con quella in tema di assenza, che valorizza l'effettività della conoscenza del processo a scapito delle presunzioni legali fondate sul mero rispetto della regolarità formale della procedura di notificazione.

Ha inoltre sottolineato come, secondo il Collegio rimettente, qualsiasi atto successivo al primo - quindi anche il decreto di citazione a giudizio, notificato ex art. 161, comma 4, c.p.p. al difensore e non preceduto da una ricerca dell'imputato ex art. 170, comma 3, c.p.p. - condurrebbe ad una formale regolarità dell'iter notificatorio, sufficiente ai fini della dichiarazione di assenza, ai sensi dell'art. 420-bis c.p.p., e introdurrebbe così nuovamente una presunzione legale disancorata dalle circostanze del caso concreto, stigmatizzata in recenti sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. un., n. 14498 del 26 novembre 2020, dep. 2021, Lovric; n. 23948 del 28 novembre 2019, dep. 2020, Ismail; n. 28912 del 28 febbraio 2019, Innaro; n. 58120 del 22 giugno 2017, Tuppi).

Ritiene, pertanto, che nel caso di specie, in assenza di nomina di difensore di fiducia e trattandosi della notifica del decreto che dispone il giudizio, doveva trovare applicazione l'art. 170, comma 3, c.p.p., essendo ammesso il ricorso alle forme previste dall'art. 161, comma 4, c.p.p.

7. Con decreto del 7 ottobre 2021, il Presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza pubblica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto sottoposta alle Sezioni unite è così riassumibile: «se, attestata dall'addetto al servizio postale, incaricato della notificazione della citazione a giudizio, la irreperibilità dell'imputato presso il domicilio dichiarato o eletto, sia legittima la notificazione successivamente eseguita mediante consegna al difensore a norma dell'art. 161, comma 4, c.p.p., ovvero sia necessaria l'osservanza delle modalità ordinarie ai sensi dell'art. 170, comma 3, c.p.p.».

2. Al fine di meglio delineare la questione controversa, appare utile ricordare i tratti essenziali dell'istituto della notificazione, deputato a fungere da equilibrato momento di raccordo tra l'esigenza di assicurare la conoscenza effettiva dell'atto e quella di stabilire il regime della conoscenza legale come generatrice degli effetti processuali.

La funzione propria della notificazione è quella di portare l'atto a conoscenza del destinatario, al fine di consentire l'instaurazione del contraddittorio e l'effettivo esercizio del diritto di difesa. Compete naturalmente al legislatore - nel bilanciamento tra i diversi interessi - determinare i modi attraverso i quali tale scopo possa realizzarsi e individuare i rimedi per evitare che il diritto di agire in giudizio sia paralizzato da circostanze non pertinenti.

2.1. Tra un sistema "legale" in virtù del quale dal compimento di determinate formalità scaturisce la presunzione che l'interessato abbia avuto o potuto avere notizia dell'atto e quello "reale", per il quale occorre avere la assoluta certezza che l'atto da notificare sia stato effettivamente portato a conoscenza dell'interessato, si collocano situazioni intermedie, oggetto di una disciplina differenziata, modulata sulla base di esigenze diverse: l'agevolazione della conoscenza effettiva dell'atto da parte del destinatario; l'interesse di chi promuove la procedura di notificazione ad assolvere all'onere impostogli dalla legge a prescindere dal comportamento del destinatario.

I modelli di notificazione sono vari e il legislatore, a seconda dei casi, stabilisce quale di essi debba essere adottato, anche in considerazione della maggiore idoneità, dell'uno rispetto all'altro, allo scopo di portare l'atto notificato a conoscenza del destinatario.

Proprio perché le forme stabilite per le notificazioni sono dirette ad assicurare la conoscibilità dell'atto da parte del destinatario, ai sensi degli artt. 171 e 177 c.p.p., la notificazione è nulla quando non siano state osservate le norme processuali indicate nella prima delle disposizioni appena citate. Quando invece tali forme sono state rispettate, la notifica deve ritenersi in sé valida anche se il destinatario non ha avuto effettiva conoscenza dell'atto a lui diretto.

Mentre sotto la vigenza del codice Rocco la «conoscenza legale» assurgeva a «scopo delle notificazioni», ritenendosi «momento perfezionativo della notificazione quello in cui risulta compiutamente realizzata tutta l'attività richiesta dalla legge affinché il soggetto destinatario sia posto in grado di prendere conoscenza dell'atto che gli si vuole notificare, prescindendo dal fatto che tale conoscenza fosse avvenuta realmente», l'assetto normativo scaturito dal nuovo codice di rito, dalla giurisprudenza della Corte europea del diritti dell'uomo e dalle riforme del 2005 (d.l. n. 17 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 60 del 2005) e del 2014 (l. n. 67 del 28 aprile 2014) è caratterizzato dal superamento del dualismo che tradizionalmente separava la conoscenza legale, conseguente al solo rispetto delle forme stabilite dall'ordinamento, da quella effettiva.

2.2. Con specifico riguardo al tema che direttamente ci occupa, e cioè quello della notificazione della citazione a giudizio, il sistema normativo, delineato soprattutto dalla novella del 2014, è teso a garantire l'effettività della conoscenza del processo in capo all'imputato, in linea con i moniti provenienti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che ha messo in luce talune criticità del sistema legale di presunzioni di conoscenza degli atti proprie dell'ordinamento processuale penale italiano.

La Corte europea, già nelle pronunce Brozicek c. Italia del 19 dicembre 1989 e T. c. Italia del 28 agosto 1991, aveva affermato che la situazione di irreperibilità o latitanza dell'imputato non poteva essere interpretata come una sua consapevole rinuncia a comparire in udienza. Nelle successive decisioni Somogyi c. Italia del 18 maggio 2004 e Sejdovic c. Italia del 10 novembre 2004 ha sottolineato come la presenza dell'imputato all'udienza costituisca un elemento d'importanza essenziale per poter considerare equo il processo, nonché condizione irrinunciabile per il rispetto delle garanzie del "giusto processo". È stato così specificato, con le decisioni Kollcaku c. Italia e Pititto c. Italia dell'8 febbraio 2007, che la notifica delle azioni intentate nei confronti del contumace richiede condizioni formali e sostanziali idonee a garantire l'esercizio effettivo dei diritti dell'accusato. Detto diritto non può, però, considerarsi assoluto, potendosi ammettere limitazioni dettate dall'esigenza di salvaguardare la corretta amministrazione della giustizia dall'abuso dei diritti della difesa o dalla volontaria rinuncia di partecipare al processo da parte dell'imputato. Quest'ultima deve consistere in una chiara e inequivoca volontà di non voler presenziare al processo, formulata da parte dell'imputato, a seguito di una corretta e valida vocatio in iudicium. Lo Stato, a sua volta, deve esplicare la massima diligenza nel verificare l'effettività della conoscenza e la volontà di rinuncia a comparire. La CEDU ammette che determinate circostanze siano indicative della conoscenza da parte dell'imputato della natura delle accuse mosse nei suoi confronti e del provvedimento di vocatio in iudicium e, in tale prospettiva, attribuisce rilievo all'assenza dell'imputato, pur regolarmente avvisato, affermando che il suo disinteresse equivale ad una rinuncia a presenziare alle udienze (sentenze Kimmel c. Italia, 2 settembre 2004; Booker c. Italia, 14 settembre 2006; Zaratin c. Italia, 23 novembre 2006).

Il fondamento del sistema, introdotto con la l. n. 67 del 2014, è che la parte sia personalmente informata del contenuto dell'accusa e del giorno e luogo dell'udienza. L'art. 420-bis, comma 2, c.p.p., nell'ottica di una agevolazione del compito del giudice, ha indicato alcuni casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vocatio in iudicium, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell'imputato, quando vi sia comunque prova della conoscenza del procedimento, determinata o dall'essere stato l'imputato l'autore di alcuni determinati atti processuali (la dichiarazione o l'elezione di domicilio ovvero la nomina di un difensore di fiducia) oppure il destinatario di misure restrittive della libertà personale (arresto, fermo, misure cautelari) o, ancora, dall'acquisizione di dati che dimostrino, con certezza, che l'imputato abbia avuto cognizione del procedimento o che si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del medesimo o dei suoi atti. Indici di conoscenza che, come affermato dalle Sezioni unite Ismail (n. 23948 del 28 novembre 2019, dep. 2020, Rv. 279420), non possono però essere interpretati come presunzioni di conoscenza, pena la innaturale regressione al sistema del processo contumaciale anteriore alla riforma del 2005, in violazione delle disposizioni convenzionali, come interpretate dalla Corte Edu. Le Sezioni unite Lovric (n. 14498 del 26 novembre 2020, dep. 2021), nell'affrontare il tema della rescissione del giudicato, hanno affermato che «l'art. 629-bis c.p.p. si pone in stretta correlazione con le previsioni dell'art. 420-bis c.p.p. e offre una forma di tutela all'imputato non presente fisicamente in udienza, mediante la possibilità di proposizione di un mezzo straordinario di impugnazione, che realizza la reazione ripristinatoria del corretto corso del processo per situazioni di mancata partecipazione del soggetto accusato, in dipendenza dell'ignoranza incolpevole della celebrazione del processo stesso, che non siano state intercettate e risolte in precedenza in sede di cognizione, senza instaurare alcun automatismo con riferimento alle condizioni che, ai sensi dell'art. 420-bis c.p.p., autorizzano il giudice della cognizione a procedere in sua assenza». Anche le Sezioni unite Costantino (n. 7635 del 30 settembre 2021, dep. 2022), hanno sottolineato l'importanza attribuita dall'ordinamento alle condizioni di effettività dell'esercizio del diritto a intervenire nel processo, rilevando come la sua corretta instaurazione può basarsi solo sulla eliminazione di qualsiasi ostacolo alla partecipazione che sia in potere del giudice superare, perché solo tale verifica consente di ricondurre la mancata comparizione esclusivamente ad una scelta libera dell'imputato.

Può quindi affermarsi che le Sezioni unite hanno fornito una lettura convenzionalmente orientata dell'art. 420-bis c.p.p. in termini di effettività della conoscenza correlata all'instaurazione del processo, tecnicamente inteso, mediante un formale provvedimento di vocatio in iudicium.

Nel caso in cui non sia acquisita la certezza effettiva della conoscenza il processo deve essere sospeso. Proprio questo è il punto di diversità rispetto al processo in contumacia, che si svolgeva comunque, sulla base della notifica formalmente regolare, riconoscendosi all'imputato inconsapevole il solo diritto all'impugnazione, previa restituzione del termine per impugnare. Diversamente, il processo in assenza ha come presupposto che la notifica sia regolare (la novella del 2014 non ha modificato l'art. 420, comma 2, c.p.p., nella parte in cui prevede che il giudice debba disporre la rinnovazione della citazione di cui accerta e dichiara la nullità) e che si sia proceduto con la certezza sostanziale che l'imputato sia a conoscenza del processo e non si sia presentato per sua libera scelta, conoscendo il contenuto delle accuse, nonché la data e il luogo dell'udienza.

3. In una visione di sintesi, può quindi osservarsi come la tradizionale dicotomia di fondo tra conoscenza legale - conseguente, cioè, al solo rispetto delle forme stabilite dall'ordinamento - e conoscenza effettiva, che ha animato la novella del 2014, così come interpretata dalle Sezioni unite, è stata spostata a vantaggio della seconda. In dichiarata continuità con la introduzione di maggiori garanzie di effettività della partecipazione al processo, si è giunti al definitivo superamento del processo in contumacia con l'introduzione del processo in assenza "volontaria" dell'imputato.

4. Tanto premesso, il quesito cui le Sezioni unite sono chiamate a fornire una risposta - come espressamente messo in luce dalla Sezione rimettente - è quello di verificare se, nel caso in cui la notificazione dell'atto venga effettuata all'imputato con il mezzo della posta - anche laddove questi abbia dichiarato o eletto domicilio, ai sensi dell'art. 161 c.p.p. - l'attestazione di irreperibilità del destinatario effettuata dall'addetto al servizio postale imponga in ogni caso, ai fini del regolare perfezionamento del procedimento di notificazione, la necessità di attivare la notifica con le modalità ordinarie, ai sensi dell'art. 170, comma 3, c.p.p.

Alle Sezioni unite è stata pertanto demandata la questione della corretta interpretazione dell'art. 170, comma 3, c.p.p. nel caso di irreperibilità del destinatario a fronte di dichiarazione o elezione di domicilio.

5. L'art. 148 c.p.p., intitolato "Organi e forme delle notificazioni", prevede che: "Le notificazioni degli atti, salvo che la legge disponga altrimenti, sono eseguite dall'ufficiale giudiziario o da chi ne esercita le funzioni".

In base all'art. 170 c.p.p. le notificazioni possono essere eseguite col mezzo degli uffici postali, nei modi stabiliti dalle relative norme speciali: anche in tali casi la titolarità della funzione non cessa di essere dell'ufficiale giudiziario.

La l. 20 novembre 1982, n. 890, che ha riordinato la disciplina delle notificazioni a mezzo posta, all'art. 1 stabilisce, infatti, che, in materia civile, amministrativa e penale, l'ufficiale giudiziario può "avvalersi" del servizio postale per la notificazione degli atti, con ciò ribadendo che egli resta l'organo della notificazione. L'art. 3 conferma che la posta costituisce un mezzo attraverso cui portare a compimento il procedimento di notificazione e che anche l'attività svolta da un soggetto diverso è riferita all'ufficiale giudiziario che ne assume la paternità: la norma, invero, attribuisce a quest'ultimo la funzione di redigere la relata di notificazione (sull'originale e sulla copia dell'atto), facendo menzione dell'ufficio postale "per mezzo del quale" spedisce la copia al destinatario (in piego raccomandato con avviso di ricevimento).

5.1. In definitiva tutta l'attività dell'ufficiale postale è direttamente riferita all'ufficiale giudiziario di cui il primo è un alter ego. Questi rilievi, che attengono al profilo soggettivo e alla titolarità dell'ufficio, spiegano i loro riflessi sull'attività dell'ufficiale postale oggettivamente considerata che, in quanto ricondotta alla sfera di competenza dell'ufficiale giudiziario, è soggetta alle regole generali che disciplinano le notificazioni e le relative nullità.

La l. n. 890 del 1982 non contiene un autonomo regime e quindi necessariamente rimanda, per quanto interessa il processo penale, alle regole generali poste dagli artt. 171 e 177 c.p.p. Lo stesso art. 1, comma 1, l. cit. prevede solo come mera opzione (per disposizione del giudice o per richiesta di parte) la notificazione a mezzo dell'ufficiale giudiziario rispetto a quella a mezzo posta, con la conseguenza che per il resto, e in particolare per le comminatorie di nullità, è implicita la perfetta equiparazione dei due mezzi.

5.2. La notificazione degli atti a mezzo del servizio postale non è, pertanto, in rapporto di sussidiarietà rispetto a quella ordinaria, potendo sempre essere eseguita dall'organo incaricato nei modi stabiliti dalle relative norme speciali, salvi i limiti, specificamente inerenti al processo penale, derivanti dalla diversa disposizione dell'autorità giudiziaria procedente o dall'esigenza di forme particolari incompatibili con il ricorso al servizio postale (in tal senso: Sez. un., n. 15 dell'8 aprile 1998, Marzaioli, Rv. 210540; Sez. 5, n. 12451 del 23 febbraio 2005, Alfano, Rv. 231692, che richiama Sez. 1, n. 3867 del 30 giugno 1998, Carbonaro).

In particolare, le Sezioni unite, Marzaioli, hanno affermato che la diversità dei procedimenti di notificazione, a seconda che questa avvenga ad opera dell'ufficiale giudiziario personalmente ovvero mediante il ricorso al servizio postale, non comporta diversità di garanzie in ordine alla presunzione legale di conoscenza da parte del destinatario dell'atto e, conseguentemente, diversità del regime di nullità dei due differenti tipi di notificazione.

Il principio è affermato anche nella sentenza della Corte costituzionale n. 211 del 13 maggio 1991 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 170 c.p.p., in relazione all'art. 8, comma 2, l. n. 890 del 1982, con riferimento all'art. 24, secondo comma, e all'art. 3, primo comma, Cost., proprio in quanto non vi sarebbero l'affermata uguaglianza tra cittadini ed il pari diritto di difesa se l'una forma di notificazione fosse meno garantita, anche sotto il profilo delle nullità, rispetto all'altra.

Proprio la perfetta parità, sotto ogni profilo, dei due tipi di notificazioni, ritenuta anche dalla Corte costituzionale, spiega la mancata previsione di nullità afferenti esclusivamente a quelle a mezzo posta.

6. Può quindi affermarsi che la notificazione di atti giudiziari a mezzo posta è del tutto equiparabile alle notificazioni compiute personalmente dall'ufficiale giudiziario che mantiene, comunque, sempre la titolarità della funzione. L'art. 170 c.p.p. e la l. n. 890 del 1982 non pongono limiti alla possibilità per l'ufficiale giudiziario di avvalersi del servizio postale per la notificazione di atti, escludendo le sole ipotesi in cui l'autorità giudiziaria disponga che la notificazione sia eseguita personalmente dal predetto ufficiale giudiziario o in cui il rispetto di determinate forme sia incompatibile con il ricorso al mezzo postale.

7. È evidente, pertanto, che l'utilizzo del mezzo postale è possibile sia in caso di prima notifica all'imputato non detenuto che in caso di domicilio dichiarato o eletto. L'art. 170 c.p.p., posto a chiusura del Titolo V sulle notificazioni, non fa espresso rinvio ad alcuna delle ipotesi ivi specificate, lasciando supporre un'operatività generale della stessa. Le stesse Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale si limitano ad affermare sul punto che detto articolo è una riproduzione del previgente art. 178 c.p.p. del 1930, ritenuta l'opportunità di «mantenere la possibilità di utilizzare il servizio postale quale mezzo di notificazione, non essendo emerse controindicazioni di qualche pregio».

8. Ciò premesso, deve rilevarsi che, come indicato anche dalle Sezioni unite nella sentenza n. 19602 del 27 marzo 2008, Micciullo, Rv. 239396, gli artt. 157 e 161 e ss. c.p.p. descrivono, per quanto attiene alle notificazioni all'imputato non detenuto, un percorso duplice, rafforzato dall'inizio testuale del primo di detti articoli «Salvo quanto previsto dagli articoli 161 e 162».

Si tratta di modalità di notificazioni da considerarsi alternative tra loro.

La prima è consentita nel caso in cui l'imputato non ha ancora avuto un contatto con le autorità indicate nell'art. 161 c.p.p., e impone il rispetto della sequenza procedimentale descritta dall'art. 157 c.p.p. La seconda presuppone il preventivo contatto con l'autorità e l'invito formulato da quest'ultima ad indicare un domicilio ai fini delle notifiche.

8.1. In tal senso si sono pronunciate anche le Sezioni unite, n. 28451 del 28 aprile 2011, Pedicone, e n. 58120 del 22 giugno 2017, Tuppi, che hanno ribadito che il sistema delineato dagli artt. 161, 162, 163 e 164 c.p.p., per le notificazioni da eseguirsi presso il domicilio dichiarato o eletto ovvero mediante consegna dell'atto al domiciliatario, si palesa quale complesso di disposizioni esaustivo, ai fini del perfezionamento della notificazione, e si pone come alternativo a quello previsto dall'art. 157 c.p.p. per la prima notificazione all'imputato non detenuto.

Tale sistema è fondato sul dovere dell'imputato, che ne sia stato adeguatamente edotto, di dichiarare o eleggere domicilio e di comunicare alla autorità giudiziaria ogni successiva variazione ai sensi dell'art. 161, commi 1 e 2, c.p.p. e non può essere contaminato con l'applicazione di disposizioni riguardanti le ipotesi della prima notificazione, con esso incompatibili.

8.2. Le Sezioni unite, Tuppi, hanno precisato che, quando si deve eseguire la prima notificazione all'imputato non detenuto che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dall'art. 157 c.p.p.; una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l'imputato nomina il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore ex art. 157, comma 8-bis, c.p.p. Se invece vi è stata dichiarazione o elezione dl domicilio - e, dunque, vi è stato un primo contatto tra l'imputato e i soggetti indicati nell'art. 161 c.p.p. - devono essere seguite le forme dettate da quest'ultima disposizione del codice di rito e l'art. 157, comma 8-bis, non trova applicazione.

8.3. Le Sezioni unite, Pedicone, a loro volta, hanno chiarito che il rinvio operato dall'art. 163 c.p.p. alle formalità previste dall'art. 157 non ha ad oggetto i luoghi di effettuazione della notifica, chiaramente esplicati nel disposto degli artt. 161 e 162, bensì le persone consegnatarie dell'atto (in particolare conviventi e portiere), oltre a quelle specifiche forme di tutela della riservatezza indicate dall'art. 157, comma 6, c.p.p. Hanno affermato, inoltre, che la impossibilità di procedere alla notifica a mani della persona designata quale domiciliataria, a seguito del rifiuto di ricevere l'atto ovvero del mancato reperimento del domiciliatario o dell'imputato stesso o di altre persone idonee nel luogo di dichiarazione o elezione di domicilio, integra l'ipotesi della impossibilità della notificazione (che legittima il ricorso alle modalità indicate nell'art. 161, comma 4, c.p.p.), sicché non è consentito, in tali casi, procedere con le forme previste dall'art. 157, comma 8, c.p.p.

9. Deve aggiungersi, in linea con quanto indicato dalle Sezioni unite, Tuppi e Pedicone, e dalla giurisprudenza maggioritaria (in questo senso, fra le tante: Sez. 6, n. 24864 del 19 aprile 2017, Ciolan, Rv. 270031; Sez. 6, n. 52174 del 6 ottobre 2017, Martinuzzi, Rv. 271560; Sez. 3, n. 12909 del 20 gennaio 2016, Pinto, Rv. 268158; Sez. 6, n. 42548 del 15 settembre 2016, Corradini, Rv. 268223), che per integrare il presupposto di una "impossibilità" della notifica, a norma dell'art. 161, comma 4, c.p.p., è sufficiente l'attestazione di mancato reperimento dell'imputato nel domicilio dichiarato - o del domiciliatario nel domicilio eletto - non occorrendo alcuna indagine che attesti la irreperibilità dell'imputato, doverosa solo qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall'art. 157, come si desume dall'incipit dell'art. 159 c.p.p. Di conseguenza anche la temporanea assenza dell'imputato o la non agevole individuazione dello specifico luogo indicato come domicilio abilitano l'ufficio preposto alla spedizione dell'atto da notificare a ricorrere alle forme alternative previste dall'art. 161, comma 4, c.p.p.

La dichiarazione e l'elezione di domicilio possono essere ritenute «inidonee», in linea con il comune significato linguistico del vocabolo, non solo quando è praticamente "impossibile" la notificazione nel luogo indicato, ma anche quando, per cause diverse dal caso fortuito e dalla forza maggiore, le stesse non sono "funzionali" ad assicurare il pronto ed efficace esito positivo dell'adempimento comunicativo.

La fattispecie della non reperibilità (per «destinatario sconosciuto, trasferito, irreperibile, deceduto, indirizzo inesatto, indirizzo insufficiente, indirizzo inesistente») trova disciplina anche nell'art. 9 l. n. 890 del 1982, come modificato dall'art. 1, comma 461, della l. 27 dicembre 2017, n. 205, in cui viene disposto che tale circostanza debba essere documentata dall'agente postale con attestazione datata e sottoscritta nell'avviso di ricevimento, cui segue la restituzione del plico al mittente.

10. Sulla scorta delle considerazioni espresse, ribadita la perfetta parità, sotto ogni profilo, delle due notificazioni (a mezzo posta e a mezzo ufficiale giudiziario) tale da fare ritenere valida l'attività di ricerca già svolta dall'agente postale e pienamente fidefacenti le sue attestazioni di merito (sull'argomento Sez. 2, n. 9544 del 19 febbraio 2020, Bianchi; Sez. 2, n. 33870 del 18 giugno 2019, De Martino; Sez. 3, n. 7865 del 12 gennaio 2016, Vecchi), deve ritenersi che l'art. 170, comma 3, c.p.p., nello stabilire che «qualora l'ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario, l'ufficiale provvede alle notificazioni nei modi ordinari», intenda far riferimento all'esigenza che la procedura prosegua secondo le due diverse e fra loro alternative modalità previste dal codice di rito: quella di cui agli artt. 159 e 160 c.p.p., che prevedono nuove ricerche, finalizzate all'adozione del decreto di irreperibilità, nel caso si tratti di prima notifica all'imputato ex art. 157 c.p.p.; quella di cui all'art. 161, comma 4, c.p.p., mediante notifica al difensore, qualora vi sia stata dichiarazione ed elezione di domicilio ex art. 161, salvo che l'imputato, per caso fortuito o forza maggiore, non sia stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, dovendosi in tal caso applicare le disposizioni degli artt. 157 e 159 c.p.p.

Tale soluzione trova conforto nella dizione letterale dell'art. 170, comma 3, c.p.p.

11. Con riguardo al quesito proposto deve dunque enunciarsi il seguente principio di diritto: «nel caso di domicilio dichiarato, eletto o determinato ai sensi dell'art. 161, commi 1, 2 e 3, c.p.p., il tentativo di notificazione col mezzo della posta, demandato all'ufficio postale ai sensi dell'art. 170 c.p.p. e non andato a buon fine per irreperibilità del destinatario, integra, senza necessità di ulteriori adempimenti, l'ipotesi della notificazione divenuta impossibile e/o della dichiarazione mancante o insufficiente o inidonea di cui all'art. 161, comma 4, prima parte, c.p.p. In questo caso, di conseguenza, la notificazione va eseguita da parte dell'ufficiale giudiziario, mediante consegna al difensore, salvo che l'imputato, per caso fortuito o forza maggiore, non sia stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, dovendosi in tal caso applicare le disposizioni degli artt. 157 e 159 c.p.p.».

12. Come già indicato, alla questione rimessa a queste Sezioni unite è però sotteso - siccome espressamente devoluto dal ricorrente - il tema della conoscenza effettiva o legale da parte dell'imputato dell'esistenza del processo penale nei suoi confronti.

Si impone così l'analisi delle ricadute dei principi fin qui affermati in punto di regolarità della notificazione, quando questa abbia ad oggetto uno degli atti che sostanziano la vocatio in iudicium.

Nel caso di specie può affermarsi che sono state osservate le forme stabilite dall'ordinamento per la notificazione della citazione in giudizio di A.D.P.

Dagli atti risulta che l'imputato, in data 8 febbraio 2014, ha dichiarato domicilio in via [omissis]. Non essendo andata a buon fine la notifica della citazione diretta a giudizio per la prima udienza, fissata per il 22 settembre 2016, ne è stata disposta la rinnovazione per l'udienza del 20 febbraio 2017. La notifica per detta udienza è stata effettuata a mezzo del servizio postale, con atto spedito il 3 ottobre 2016 al domicilio dichiarato, e non è andata a buon fine per irreperibilità del destinatario, come attestato dall'ufficiale notificatore in data 6 ottobre 2016. Si è proceduto, pertanto, alla notifica ex art. 161, comma 4, c.p.p. al difensore d'ufficio, avvocato Andrea Gazzillo.

Le regole sul modello da adottare e sulle relative formalità sono state seguite: l'ufficio postale ha restituito il piego per irreperibilità del destinatario e l'ufficiale giudiziario ha provveduto alla notificazione della citazione a giudizio nelle forme ordinarie previste dal codice di rito che, nel caso di specie, sono state correttamente individuate nell'art. 161, comma 4, avendo il D.P. dichiarato domicilio.

A fronte di tale notificazione il processo di primo grado si è svolto in assenza dell'imputato, rappresentato da un difensore d'ufficio, che non si è mai presentato in udienza e che è stato sostituito di volta in volta ex art. 97, comma 4, c.p.p.

13. Occorre, quindi, verificare se la pur valida notifica, ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p., della citazione a giudizio consentiva di procedere in assenza dell'imputato e di ritenere regolare la costituzione del rapporto processuale e volontaria la rinuncia alla partecipazione.

Come già indicato, la disposizione dell'art. 420-bis c.p.p., nella lettura convenzionalmente orientata offerta dalle Sezioni unite nelle sentenze Ismail, Lovric e Costantino, dimostra come il sistema sia incentrato sulla effettività della conoscenza del processo da parte dell'imputato. La ritualità della notifica non è di per sé sufficiente, occorrendo la certezza della conoscenza da parte dell'imputato del contenuto dell'accusa e del giorno e luogo dell'udienza. Di conseguenza non è possibile dichiarare l'assenza, se manca il ragionevole convincimento della conoscenza effettiva del processo da parte dell'imputato. L'art. 420-quater c.p.p., a riprova che il sistema è incentrato sulla effettività della conoscenza, prevede che il giudice, quando non ha la certezza che la mancata partecipazione sia addebitabile a libera determinazione, deve disporre che l'avviso sia notificato «personalmente ad opera della polizia giudiziaria».

Il giudice, al fine di garantire che il processo in assenza sia legittimamente condotto, è, quindi, chiamato a verificare se la mancata comparizione dell'imputato sia riconducibile esclusivamente ad una sua scelta libera che consegue alla conoscenza effettiva del provvedimento di vocatio in iudicium.

La mancata presenza in udienza può, infatti, costituire chiara espressione della abdicazione del diritto a partecipare solo ove possa essere ricondotta univocamente ad una libera rinuncia dell'imputato ad esercitare il suo diritto. Come indicato dalle Sezioni unite, Ismail, «l'art. 420-bis per la difesa dai "finti" inconsapevoli valorizza, quale unica ipotesi in cui possa procedersi oltre, pur se la parte ignori la vocatio in ius, la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento». Si deve trattare all'evidenza di condotte positive, di vicende concrete che hanno impedito la partecipazione al processo, rispetto alle quali è necessario un accertamento in fatto, perché, come già indicato, l'art. 420-bis non "tipizza" e non consente di tipizzare alcuna condotta particolare che possa ritenersi tale, pena il ritorno alle vecchie presunzioni.

14. Nel caso di specie dalla non controversa ricostruzione dei fatti si evince che l'imputato non ha avuto conoscenza della citazione in giudizio e non emerge ragione di una sua volontaria sottrazione alla conoscenza del processo.

Risulta infatti che si è proceduto in assenza a fronte di una notifica ex art. 161, comma 4, al difensore d'ufficio per irreperibilità del destinatario al domicilio dichiarato. È chiaro, inoltre, che non vi è stata un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra l'imputato e il difensore d'ufficio che, disertando tutte le udienze, ha mostrato disinteresse alla difesa con conseguente impossibilità di ritenere realizzate le condizioni di un rapporto di informazione tra il legale e il suo assistito che consenta di ritenere che lo stesso avesse avuto effettiva consapevolezza dell'inizio del processo a suo carico.

Considerata la necessità che la conoscenza da parte del destinatario dell'atto di citazione debba essere effettiva, non può ritenersi sufficiente la notificazione sostitutiva al difensore in mancanza di un reale contatto informativo con l'assistito non solo al momento della nomina, ma per tutto il decorso processuale.

15. Nel momento in cui si è proceduto in assenza dell'imputato non vi era pertanto la prova dell'effettiva conoscenza della vocatio in ius da parte del D.P.

Come fondatamente dedotto dal ricorrente nel primo motivo di ricorso, la Corte di appello avrebbe dovuto annullare la sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 604, comma 5-bis, c.p.p.

La celebrazione del processo, in assenza delle condizioni di cui all'art. 420-bis, commi 1 e 2, c.p.p., determina, in virtù dell'art. 604, comma 5-bis, c.p.p., la nullità della decisione che travolge tutti gli atti successivi e comporta la regressione del procedimento al giudice di primo grado.

16. Ne consegue che la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado devono essere annullate con trasmissione degli atti al Tribunale di Latina in diversa composizione per nuovo giudizio.

17. L'accoglimento del motivo assorbe le ulteriori doglianze.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella del Tribunale di Latina in data 28 settembre 2018 nei confronti di A.D.P. e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Latina per nuovo giudizio.

In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52, comma 3, d.lgs. n. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.

Depositata il 14 aprile 2022.