Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
Sezione VI
Sentenza 31 gennaio 2022, n. 672
Presidente: Passoni - Estensore: Buonauro
FATTO E DIRITTO
Espone parte ricorrente che con il gravame introduttivo del presente giudizio ha impugnato il provvedimento con cui il Comune le ha ingiunto di demolire presunte opere abusive ivi descritte (due manufatti, uno in celloblok della superficie di circa mq. 33, alto 2,90 ed un altro costituito da tubolari metallici e copertura in lamiere zincate occupante una superficie di circa mq. 50, alto circa mt. 1,70).
Col mezzo di gravame veniva evidenziato che per le opere contestate, aventi esclusiva funzione di gazebo e quindi non sanzionabili con la demolizione anche in ragione del possibile spostamento, era stata in ogni caso presentata, dopo la notifica dell'ingiunzione di demolizione, istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. 380/2001.
Si è costituita l'amministrazione comunale concludendo per il rigetto del gravame.
All'udienza di smaltimento del giorno 25 gennaio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
In relazione alla presentazione della riferita richiesta di accertamento di conformità per le opere de quibus, il Collegio osserva che la validità ovvero l'efficacia dell'ordine di demolizione non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di un'istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, posto che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto, sicché, se, da un lato, la presentazione dell'istanza ex art. 36 cit. determina inevitabilmente un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, all'evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell'istanza, la demolizione di un'opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente, dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia dell'atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l'atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza. All'esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell'istanza, l'ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione dell'accertata conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, con conseguente venir meno dell'originario carattere abusivo dell'opera realizzata. Di contro, in caso di rigetto dell'istanza, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia, con la sola precisazione che il termine concesso per l'esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell'interessato, che non può rimanere pregiudicato dall'avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l'accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell'intero termine a lui assegnato per adeguarsi all'ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso (cfr., in questo senso, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 14 settembre 2009, n. 4961, e C.d.S., Sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 849).
La proposizione di un'istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, in tempo successivo all'emissione dell'ordinanza di demolizione, incide, in definitiva, unicamente sulla possibilità dell'Amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione, ma non si riverbera sulla legittimità del precedente provvedimento di demolizione (cfr. T.A.R. Campania, Sez. VI, 24 settembre 2009, n. 5071) e, quindi, sulla procedibilità del gravame giurisdizionale avverso lo stesso.
Deve inoltre soggiungersi, in aderenza ad un diffuso orientamento giurisprudenziale più volte fatto proprio da questo Tribunale, che il silenzio dell'Amministrazione sulla richiesta di concessione in sanatoria (ora sulla richiesta di permesso di costruire in sanatoria) ha un valore legale tipico di rigetto, vale a dire costituisce un'ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2691, 3 aprile 2006, n. 1710, e 14 febbraio 2006, n. 598; Sez. V, 11 febbraio 2003, n. 706; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, sentenze 6 settembre 2010, n. 17306, 15 luglio 2010, n. 16805, 25 maggio 2010, n. 8779, 17 marzo 2008, n. 1364, e 7 settembre 2007, n. 7958; Sez. VII, 24 giugno 2008, n. 6118, e 7 maggio 2008, n. 3501; Sez. VIII, 15 aprile 2010, n. 1981; Salerno, Sez. II, 4 aprile 2008, n. 478; T.A.R. Liguria, Sez. I, 24 giugno 2007, n. 1114; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 21 marzo 2006, n. 642; T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 8 marzo 2006, n. 1173; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 17 ottobre 2005, n. 1723).
Natura provvedimentale che non è smentita dalla qualificazione operata dall'art. 43 della l.r. Campania n. 16 del 2004 in ordine al silenzio serbato dalle amministrazioni comunali (sulle ripetute domande di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001) che "non può riverberare sulla disciplina processuale, di esclusiva competenza statale, posta per la tutela giurisdizionale contro il silenzio della pubblica amministrazione", fermo che "la previsione di cui alla norma regionale si limita, di fatto, a prevedere e disciplinare un rimedio alternativo, meramente amministrativo (attivabile d'ufficio o a cura di parte), avverso la mancata pronuncia delle amministrazioni comunali sulle richieste di accertamento di conformità, senza con ciò interferire sulla qualificazione giuridica del silenzio impugnabile in sede giurisdizionale e sul relativo rito azionabile" (cfr., in tali espliciti sensi, sempre questa Sezione, n. 8779 del 25 maggio 2010 e, per implicito, C.d.S., n. 598 del 2006, cit.).
Pertanto, il silenzio-diniego formatosi a seguito del decorso del termine di 60 giorni può essere impugnato nel prescritto termine decadenziale, senza però la possibilità di dedurre vizi formali propri degli atti, quali difetti di procedura o mancanza di motivazione, non sussistendo l'obbligo di emanare un atto scritto, ripetitivo degli effetti di reiezione della istanza, disposti dal sopra richiamato art. 36.
Il diritto di difesa dell'interessato, tuttavia, non viene ad essere vulnerato dall'anzidetta limitazione all'attività assertiva, ben potendo egli dedurre (e validamente provare) che l'istanza di sanatoria sia meritevole di accoglimento per la sussistenza della prescritta doppia conformità urbanistica delle opere abusivamente realizzate (ciò che il ricorrente risulta aver omesso, non proponendo motivi aggiunti avvero il provvedimento tacito così formatosi, con conseguente ulteriore preclusione allo scrutinio delle relative censure). Sul punto, la Sezione (sent. 3568/2018) di recente ha precisato che "il cattivo esito sulla domanda di sanatoria (sia esso espresso o tacito) postula la sopravvenienza di un provvedimento autoritativo, che presuppone ex se la riconducibilità delle opere abusive al regime edilizio più impegnativo (permesso di costruire), e che accerta l'inesistenza di quei presupposti di c.d. doppia conformità, in difetto dei quali il chiesto permesso in sanatoria non può essere rilasciato. Ne consegue che ove tale provvedimento negativo (espresso o tacito) non venga gravato dal richiedente, diventa ormai incontestabile la qualificazione dell'abuso in termini di opera insanabile, carente di permesso di costruire (e quindi soggetta a misura demolitoria).
Ciò postula altresì che nel caso di precedente ricorso proposto avverso ordinanza di demolizione per abusi di 'nuova costruzione' senza permesso, i sopravvenuti esiti negativi - non impugnati - della domanda di sanatoria ex art. 36 d.P.R. 380/2001 determinano fatalmente il venir meno dell'interesse a coltivare motivi di gravame basati sulla natura giuridica accessoria e pertinenziale delle opere de quibus (natura smentita dai contenuti taciti del silenzio-rigetto)".
Alla luce delle svolte considerazioni il ricorso potrebbe al più presentare profili di improcedibilità per omessa impugnazione del sopravvenuto diniego tacito sulla domanda di sanatoria ex art. 36 t.u. edilizia.
Nel merito, in ogni caso, il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni che seguono, risultando, per un verso, l'impugnato provvedimento sorretto da sufficiente motivazione e congrua istruttoria; e, per altro verso, non emergendo in termini di fondatezza le spiegate censure di carattere formale-procedimentale.
Tutte le suddette opere assumono rilievo edilizio anche in ragione della durevole funzione obiettivamente esplicata, non rivestendo qui rilievo né le dichiarazioni sulla loro valenza precaria né i materiali costruttivi all'uopo utilizzati.
In ogni caso, gli interventi in questione, per il solo fatto di insistere in zona vincolata e di alterare il pregresso stato dei luoghi, risultavano soggetti alla previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, dovendo poi ritenersi inconferenti le ulteriori argomentazioni difensive incentrate sulla pretesa realizzabilità delle opere in contestazione mediante semplice d.i.a., atteso che l'art. 27 cit. non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice d.i.a. in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico (cfr. T.A.R. Campania, Sez. VI, nn. 5516 e 5519 del 4 dicembre 2013; Sez. IV, 5 giugno 2013, n. 2898).
Come condivisibilmente rilevato dalla difesa comunale, a prescindere se le opere oggetto dell'impugnato provvedimento vadano o meno considerate alla stregua di interventi pertinenziali, rileva in senso dirimente la circostanza (incontestata) che gli interventi sanzionati ricadono comunque in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Ne discende, per consolidata giurisprudenza anche della Sezione, che in tale evenienza è legittima la misura demolitoria anche per opere abusive che in astratto, sotto il profilo strettamente edilizio, sfuggirebbero a tale sanzione per i loro connotati accessori e/o pertinenziali atteso che, ex art. 167, comma 1, d.lgs. n. 22 del 2004, la violazione delle disposizioni di cui al Titolo I della Parte Terza del codice, tra le quali quella dell'art. 146 che impone il preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di qualunque tipologia di opere, importa la sanzione della riduzione in pristino. Sussiste pertanto un principio di c.d. indifferenza del titolo edilizio necessario all'esecuzione di interventi in zone vincolate, con conseguente legittimità dell'esercizio del potere repressivo anche in caso di opere di c.d. edilizia minore.
Quanto alle censure di carattere formale-procedimentale, in linea con le conclusioni da ultimo sistematizzate dalla qui in toto condivisa pronuncia dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 9/2017), in merito al lamentato difetto di motivazione dell'ordinanza va ricordato che, come costantemente affermato in giurisprudenza, "... presupposto per l'adozione dell'ordine di demolizione di opere abusive è soltanto la constatata esecuzione di un intervento edilizio in assenza del prescritto titolo abilitativo, con la conseguenza che, essendo tale ordine un atto dovuto, esso è sufficientemente motivato con l'accertamento dell'abuso, e non necessita di una particolare motivazione in ordine all'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso stesso, che è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell'assetto urbanistico violato, e alla possibilità di adottare provvedimenti alternativi" (tra le molte, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 8 aprile 2011, n. 1999).
Quanto alla dedotta violazione e falsa applicazione di legge e di eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza dell'interesse pubblico, s'osserva in senso contrario che, in conformità con molteplici arresti giurisprudenziali consolidati nell'orientamento della Sezione (cfr., da ultimo, T.A.R. Napoli, Sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 106 e giurisprudenza ivi citata), l'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione. In altri termini, nel modello legale di riferimento non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l'esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 26 agosto 2010, n. 17240). Ancora, l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è, poi, in re ipsa anche perché la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa, fermo comunque che, in presenza dell'operata qualificazione delle opere realizzate, bisognevoli dei prescritti titoli abilitativi e non essendo rilasciabile a posteriori - nei casi di incremento di volumi e superfici - l'autorizzazione paesaggistica, alcuno spazio vi è per far luogo alla sola sanzione pecuniaria (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 14 aprile 2010, n. 1975).
Per le stesse ragioni ed ancora in conformità con il consolidato orientamento della Sezione, anche in ragione del carattere vincolato dei provvedimenti de quibus (art. 21-octies l. 241/1990) vanno respinte le doglianze con cui parte ricorrente lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, la cui cura è imposta all'autorità procedente dall'art. 7 e 10-bis della l. 241/1990.
In definitiva il ricorso va respinto siccome infondato.
Nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, tuttavia, in base al combinato disposto di cui agli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., eccezionali ragioni per l'integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.