Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 18 maggio 2022, n. 3936

Presidente: Volpe - Estensore: Poppi

FATTO E DIRITTO

In data 11 gennaio 2021 gli odierni appellati, germani dell'appellante, presentavano una C.I.L.A. in sanatoria per l'esecuzione di un intervento di manutenzione straordinaria all'interno di una unità abitativa della quale i tre fratelli sono comproprietari per la quota di un terzo ciascuno a titolo di nuda proprietà.

La richiesta del titolo edilizio si rendeva necessaria a seguito della sospensione dei lavori disposta dal Comune di Scafati, al quale l'esecuzione dell'intervento, in presunto difetto di titolo, veniva comunicata dall'appellante che dichiarava di essersene avveduta casualmente.

Il Comune, esperiti gli approfondimenti istruttori del caso, con atto del 25 febbraio 2021, annullava la C.I.L.A. ex art. 21-nonies della l. n. 241/1990, rilevando che la dichiarazione di assenso dei terzi proprietari veniva "presentata solo da 2 dei 3 germani P.".

Gli appellati, con nota dell'11 aprile 2021, presentavano istanza di annullamento in autotutela del citato diniego e, stante l'inerzia dell'amministrazione, con ricorso iscritto al n. 668/2021 R.R., impugnavano innanzi al T.A.R. Campania, Sezione staccata di Salerno, tanto il silenzio serbato dal Comune, quanto l'annullamento della C.I.L.A.

Il T.A.R., con sentenza ex art. 60 c.p.a. n. 1389 del 3 giugno 2021, dichiarava inammissibile l'impugnazione del silenzio, affermando l'insussistenza di un obbligo dell'amministrazione di pronunciarsi in ordine ad istanze di autotutela, e accoglieva la domanda di annullamento sul presupposto:

che la presentazione dell'istanza di sanatoria non richieda la sottoscrizione congiunta di tutti i comproprietari;

che la legittimazione a richiedere la sanatoria spetti, ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001, oltre che al proprietario anche a chi "abbia titolo a richiederla" compreso, ai sensi del successivo art. 36, il responsabile dell'abuso;

che, ai sensi dell'art. 1108 c.c., gli atti di straordinaria amministrazione, fra i quali rientra la presentazione dell'istanza di sanatoria, possano essere adottati dalla maggioranza qualificata di due terzi dei comunisti;

che ("per completezza") trova, in ogni caso, applicazione anche al caso di specie il principio affermato dal Consiglio di Stato con decisione n. 1766/2020 relativamente alla comunione legale fra coniugi (alla quale assimila ai presenti fini la comunione ereditaria), per il quale non trova applicazione il "meccanismo del consenso necessitato" di entrambi;

che l'art. 1105 c.c. riconosce al coerede il diritto di agire per l'amministrazione del bene comune;

che, "a chiusura del ragionamento", ai sensi dell'art. 1100 c.c. le decisioni della maggioranza dei comunisti vincolano la minoranza dissenziente.

L'appellante impugnava la sentenza di primo grado con appello depositato l'8 giugno 2021 deducendo:

I. "error in procedendo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 104/2010, 24 Cost.", riconoscendo la sussistenza del vizio di ultrapetizione nei richiami operati dal giudice di prime cure agli artt. 1105, 1108 e 1100 c.c., concernenti profili estranei alla controversia in quanto non evocati in ricorso;

II. "error in iudicando. Violazione degli artt. 1108, 1105 e 1100 del codice civile", lamentando che le iniziative degli appellati in merito alla sorte dell'immobile venivano assunte a propria insaputa e, quindi, in contrasto con quanto prescritto dalle indicate norme;

III. "error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 565 e ss. e 732 codice civile", allegando l'erroneità della affermata assimilazione, ai presenti fini, della comunione legale fra coniugi alla comunione ereditaria;

IV. "error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001", affermando la necessità che l'istanza di sanatoria venisse presentata con il consenso di tutti i comproprietari.

Gli appellati si costituivano in giudizio con controricorso depositato il 14 luglio 2021 eccependo in via pregiudiziale l'inammissibilità dell'appello, sotto un primo profilo, "per palese violazione del principio di sinteticità del gravame" sancito dall'art. 3, comma 2, c.p.a. in quanto caratterizzato da plurime reiterazioni delle medesime argomentazioni, ripetitive delle censure formulate in primo grado; sotto altro profilo, "per difetto di sufficienza e di intelligibilità della censure in esso articolate".

Nel merito, confutavano le avverse censure chiedendo la reiezione dell'appello.

In vista della discussione cautelare, appellati e appellante ribadivano le rispettive posizioni con memorie del 19 e 26 luglio successivo.

Con memoria depositata il 28 luglio 2021, si costituiva in giudizio il Comune di Scafati aderendo alle tesi dell'appellante.

All'esito della camera di consiglio del 29 luglio 2021, con ordinanza n. 4269, veniva accolta l'istanza cautelare.

In data 4 marzo 2022, l'appellante depositava in giudizio l'ordinanza del Tribunale di Nocera n. 881 del 21 gennaio 2022 che accoglieva la propria domanda di reintegrazione e di manutenzione nel possesso dell'immobile proposta ex art. 703 c.p.c.

L'appellante rassegnava le proprie conclusioni in vista della discussione di merito con memoria del 9 marzo 2022.

All'esito della pubblica udienza del 14 aprile 2022, la causa veniva decisa.

Preliminarmente deve rilevarsi la manifesta infondatezza dell'eccezione di inammissibilità per violazione del principio di sinteticità dell'atto di appello e per mancata specificazione dei motivi. Il gravame, infatti, contrariamente a quanto dedotto, contiene una esposizione chiara e sintetica delle ragioni e dei motivi a base dell'impugnazione, risultando semmai ridondante il controricorso depositato dagli appellati.

Quanto al merito dell'appello, con il primo motivo, l'appellante deduce il vizio di ultrapetizione per violazione dell'art. 112 c.p.c., a norma del quale "il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti".

Il profilo viene nel concreto individuato nell'avere, il giudice di primo grado, fondato la propria decisione sui contenuti degli artt. 1105, 1108 e 1100, nonostante il ricorso non contenesse alcuna doglianza a tale riguardo, con ciò violando il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato.

La censura è fondata.

Il T.A.R. definiva il giudizio affermando "la fondatezza del primo motivo di ricorso" sul presupposto che la presentazione dell'istanza di sanatoria non richiedesse "necessariamente la sottoscrizione congiunta dei comproprietari" (punto 8, pag. 6 della sentenza) e definendo espressamente tale "argomento" come "assorbente".

Ciò perimetra l'oggetto della controversia in senso conforme a quanto dedotto dagli appellati in primo grado.

Gli ulteriori profili, affrontati "per completezza" ritenendo la "tematica" del regime comunitario applicabile al caso di specie come meramente "sollecitata dal ricorso", sono pertanto estranei al giudizio.

Ciò consente di prescindere dallo scrutinio del secondo motivo di appello, con il quale viene dedotta la violazione degli artt. 1105, 1108 e 1100 c.c. e del terzo con il quale viene contestata l'assimilazione, ai fini in esame, della comunione coniugale alla comunione ereditaria: tesi affermata dal T.A.R. richiamando la decisione del Consiglio di Stato n. 1766/2020.

In ogni caso, con riferimento a tale ultimo specifico profilo, deve rilevarsi come, nell'invocata sentenza, non siano rinvenibili decisivi elementi a sostegno delle tesi affermate dal T.A.R.

In detta sede, infatti, il Consiglio di Stato richiamava il già enunciato principio per il quale "il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, pertanto l'intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso" non potendosi, invece, riconoscere la legittimazione "al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l'evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest'ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento".

Ritenuto, quindi, che, "in caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio - sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati - dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull'immobile, potendosi ritenere d'altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l'esistenza di una sorta di c.d. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari (cfr., da ultimo, C.d.S., Sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823)", perveniva alla conclusione che deve "ritenersi illegittimo il titolo abilitativo rilasciato in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l'Amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull'immobile ed accertare, altresì, la legittimazione soggettiva di quest'ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell'altro proprietario in regime di comunione" (C.d.S., Sez. II, 12 marzo 2020, n. 1766).

In detta sede veniva affermato, altresì, che gli enunciati "principi non sono applicabili per gli immobili che ricadono in comunione legale tra i coniugi" in ragione delle specificità proprie di quel modello legale, che si determina in via volontaria e che, per tale ragione, consente di presumere una comunanza di interessi fra i coniugi in ordine all'esecuzione di interventi edilizi sul bene comune.

Tale ultima affermazione, tuttavia, è priva di rilievo ai fini della presente decisione.

Diverso è, infatti, il caso della comunione ereditaria che si determina incidentalmente, indipendentemente dalla volontà dei comunisti, nella quale, non potendosi ritenere l'esistenza del pactum fiducie che connota la comunione fra coniugi, assume rilievo l'esigenza del comproprietario di non essere pregiudicato da iniziative riconducibili alla esclusiva volontà dei comproprietari.

In altri termini, affermando l'inapplicabilità al regime della comunione legale fra i coniugi del tradizionale principio secondo il quale, ai fini della richiesta di sanatoria, è necessario il consenso di tutti comproprietari, implicitamente si afferma che, al di fuori di quest'ultima fattispecie, il principio trovi applicazione.

Con il quarto motivo l'appellante deduce la violazione dell'art. 11 del d.P.R. n. 380/2011 confutando le "assorbenti" valutazioni del T.A.R. in merito al primo motivo del ricorso di primo grado, ritenuto decisivo ai fini della definizione del giudizio.

A tal fine evidenzia la contraddittorietà della sentenza laddove afferma "che costituisce ius receptum che l'istanza di rilascio di titolo edilizio, ancorché in sanatoria, non richieda necessariamente la sottoscrizione congiunta dei comproprietari, potendo l'istanza essere presentata anche per conto degli altri aventi causa" riconoscendo, tuttavia, il potere del Comune di "accertare successivamente l'esistenza del consenso (...) prima di rilasciare il titolo".

Il motivo è fondato.

Richiamati i principi enunciati con la sopra illustrata decisione n. 1766/2020, deve ulteriormente rilevarsi come anche la Sezione, pronunciandosi in ordine ad una fattispecie analoga, abbia avuto modo di affermare che "la regola generale, per cui il permesso di costruire è rilasciato salvi i diritti dei terzi, sui quali quindi il Comune non è tenuto a svolgere particolari indagini, trova un limite nei casi in cui, come in quello presente, il Comune stesso sappia che il diritto di chi richiede il titolo abilitativo è contestato; in tal caso, si ritiene che l'ente debba compiere le indagini necessarie per verificare se tali contestazioni siano fondate e denegare il rilascio del titolo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto (in termini, C.d.S., IV, 23 dicembre 2019, n. 6394; vedi anche id., IV, 14 gennaio 2019, n. 310; id., V, 8 novembre 2011, n. 5894)" (C.d.S., Sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745).

Nel caso di specie, come già evidenziato, l'amministrazione era a conoscenza dell'inesistenza di una comune volontà degli eredi, avendo l'appellante rappresentato la propria opposizione al rilascio del titolo abilitante sul bene in comproprietà.

Fondato è, infine, il dedotto profilo di contraddittorietà della sentenza impugnata rilevabile nella parte in cui, pur affermando la legittimità del titolo acquisito senza il previo consenso di tutti i comproprietari, ritiene che l'amministrazione debba comunque "accertare successivamente l'esistenza del consenso (...) prima di rilasciare il titolo".

A conferma della perplessità della sentenza impugnata, deve ulteriormente rilevarsi che la posizione sostenuta dal T.A.R. trova smentita nella stessa giurisprudenza richiamata.

Il T.A.R., infatti, a sostegno della tesi affermata, richiama, sul punto, T.A.R. Napoli, 4 dicembre 2015, n. 5675, secondo cui "alla richiesta di sanatoria e ai relativi adempimenti possono provvedere non solo i soggetti indicati dall'art. 11, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, ossia gli astratti legittimati a richiedere il permesso di costruire, ma anche, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato a conseguire la sanatoria medesima, a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario. Ne consegue l'inammissibilità della sanatoria ove l'abuso sia stato realizzato dal singolo comproprietario o condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa il consenso degli altri comproprietari. A tal fine, l'Amministrazione comunale, in caso di comproprietà, è tenuta a verificare l'esistenza dell'autorizzazione degli altri comproprietari in modo che la piena disponibilità dell'immobile possa essere ricondotta al solo richiedente".

La pronunzia, pur riconoscendo un'estesa legittimazione alla richiesta del titolo in sanatoria, è univoca nell'affermare la necessità, da parte dell'amministrazione, di accertare la sussistenza del consenso di tutti i comproprietari.

Per quanto precede l'appello deve essere accolto.

Le spese del presente grado di giudizio sono in parte poste a carico dell'appellata e in parte compensate nei termini di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento del Comune di Scafati in data 25 febbraio 2021 impugnato in quella sede.

Condanna la parte privata appellata al pagamento, in favore dell'appellante, delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in euro 4.000,00, oltre ad oneri di legge.

Compensa le spese di giudizio nei confronti del Comune di Scafati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.