Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 19 maggio 2022, n. 3972
Presidente: Caringella - Estensore: Santini
FATTO E DIRITTO
1. Si controverte sulla gara per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas nella zona ricompresa tra Rimini, Forlì e Cesena. Durata dell'appalto: 12 anni. Valore dell'appalto: circa 318 milioni di euro. La stazione appaltante è il Comune di Rimini che agisce in nome e per conto di tutti i Comuni ricadenti nelle due ridette province. Il concessionario uscente, in proroga ormai da diversi anni, impugna il bando di gara sotto almeno tre profili, tutti ritenuti infondati in primo grado per le ragioni di seguito sintetizzate:
1.1. il disaccordo iniziale tra stazione appaltante e 9 Comuni dissenzienti (circa l'effettivo regime proprietario di alcuni impianti) non doveva essere riportato nel bando di gara vuoi perché il Comune di Rimini svolge funzioni delegate da tutti i Comuni dell'ambito territoriale minimo (ivi ricompresi i Comuni dissenzienti), vuoi perché il dissenso originariamente formulato, dopo le osservazioni al riguardo svolte dalla medesima stazione appaltante, non è più stato riproposto dai Comuni stessi;
1.2. in merito agli interventi per migliorare l'efficienza energetica, la scelta adottata dalla stazione appaltante circa il versamento, una tantum, di una somma sino ad un massimo di 12,5 milioni di euro invece di obbligare il soggetto aggiudicatario ad acquistare certificati bianchi oppure a realizzare direttamente i suddetti interventi, risulta tutto sommato coerente con la vigente normativa in materia;
1.3. circa gli interventi suppletivi (ossia allacci ulteriori e dunque metri lineari di tubazioni in più) la copertura tariffaria di simili interventi risulterà integrale in caso di domanda di utenti pari all'80% di quanto previsto, laddove sarà proporzionata alle domande effettive in caso di percentuali inferiori. Dunque una certa copertura di simili costi verrà comunque garantita al neo concessionario.
2. Al netto di alcuni aspetti su cui si è formata la cessazione della materia del contendere in primo grado, nel presente giudizio di appello vengono nella sostanza pedissequamente riproposti le restanti censure ossia le tematiche partitamente evidenziate al punto n. 1. Più in particolare si lamenta:
2.1. erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non è stata data opportuna evidenza del "disaccordo" tra gestore uscente ed ente concedente in merito al valore di rimborso di alcune voci (impianti di distribuzione del gas). Violazione in questo senso del diritto di proprietà degli enti locali (originariamente) dissenzienti;
2.2. erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui, riconoscendo la legittimità del pagamento una tantum per gli interventi di efficientamento energetico, non è stata rilevata la violazione di quanto a tal fine previsto dal d.m. n. 226 del 2011;
2.3. erroneità della sentenza nella parte in cui non è stato rilevato che, in caso di mancato raggiungimento della soglia dell'80% delle effettive domande di allacciamento, i relativi interventi suppletivi dovrebbero essere ritenuti facoltativi - e non obbligatori - in capo al concessionario entrante.
3. Si costituiva il Comune di Rimini per chiedere il rigetto dell'appello mediante articolate controdeduzioni che formeranno, più avanti, oggetto di specifica trattazione.
4. Interveniva altresì, ad adiuvandum, il Comune di Macerata Feltria per chiedere l'accoglimento dell'appello del concessionario uscente.
5. Il Comune di Rimini formulava eccezione di inammissibilità con riguardo sia alla carenza di interesse a coltivare il primo motivo di ricorso da parte dell'appellante, sia in merito al predetto intervento giudiziale ad adiuvandum del Comune di Macerata Feltria.
6. Alla pubblica udienza del 24 marzo 2022 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.
7. Tutto ciò premesso va anzitutto accolta l'eccezione di inammissibilità formulata dal Comune di Rimini in merito alla legittimazione del Comune di Macerata Feltria circa la proposizione del suddetto atto di intervento con il quale, in effetti, per la prima volta in appello vengono formulati motivi (violazione del proprio ritenuto diritto di proprietà sulle infrastrutture di distribuzione) che ben potevano essere dedotti in primo grado mediante ricorso autonomo.
Di qui la piana applicazione di quel dato orientamento giurisprudenziale secondo cui è inammissibile l'intervento ad adiuvandum spiegato nel processo amministrativo da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, né una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale, bensì un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi (nel caso di specie: lesione dei propri diritti patrimoniali legati alla ritenuta proprietà di alcuni impianti di distribuzione del gas). Interesse che deve essere azionato, in quanto tale, mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali.
Ne consegue, pertanto, l'inammissibilità dell'intervento adesivo spiegato addirittura in secondo grado da parte dei soggetti legittimati alla proposizione di un ricorso autonomo.
8. Sussiste inoltre il lamentato difetto di interesse, in ordine al primo motivo di ricorso, seppure limitatamente alla invocata lesione dei diritti patrimoniali degli enti locali dissenzienti. Trattasi infatti di prerogative proprie degli enti locali interessati (ritenuto diritto di proprietà su alcune delle reti di distribuzione del gas) che in alcun modo potrebbero sortire un negativo riflesso sulla sfera giuridica soggettiva della società appellante (la quale, anzi, è interessata proprio a non vedere riconosciuto un simile diritto reale dal momento che reputa tali reti di sua esclusiva proprietà). In questa direzione, pertanto, soltanto i singoli enti interessati avrebbero potuto formulare una simile censura, circostanza questa che si è potuta registrare unicamente in capo al Comune di Macerata Feltria ma, come si è appena visto al punto che precede, con modalità in ogni caso ritualmente inammissibili. Di qui il ridetto difetto di interesse su tale parte del primo motivo di appello (ritenuta lesione dei diritti patrimoniali degli enti locali dissenzienti).
9. Sussiste invece l'interesse a coltivare la restante parte del primo motivo di gravame atteso che, come ben messo in evidenza dalla difesa di parte appellante, l'importanza di evidenziare nel bando la discordanza tra (alcuni) enti locali ed il precedente concessionario è in grado di consentire ai singoli partecipanti (tra cui anche l'odierna appellante) di predisporre un'offerta seria, completa e soprattutto consapevole delle variabili che potrebbero incidere, in qualche misura, sul complessivo equilibrio economico del proprio piano industriale. L'eccezione deve dunque essere respinta.
10. Tanto ulteriormente premesso l'appello, nel merito, è comunque infondato per le ragioni che di seguito verranno indicate.
11. Con il primo motivo si lamenta che il bando non avrebbe dato conto del disaccordo tra la stazione appaltante (Comune di Rimini) e 9 dei Comuni interessati circa l'effettivo assetto proprietario di alcune reti di distribuzione (ossia, se appartenenti ai suddetti 9 Comuni oppure al concessionario uscente Adrigas). Si evidenzia in altre parole la mancata rappresentazione nel bando di gara, nei modi prescritti dall'art. 5, comma 16, d.m. n. 226 del 2011, delle situazioni (non risolte) di disaccordo tra 9 Comuni dell'Ambito e il gestore uscente (la stessa appellante) in ordine al riparto della proprietà degli impianti tra Comuni e gestore (e conseguentemente in merito al valore di rimborso spettante a quest'ultimo e posto a carico del gestore subentrante ai sensi dell'art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000 e dell'art. 7 del d.m. n. 226/2011). Più in particolare il tema del disaccordo è il seguente: i nove Comuni originariamente dissenzienti avevano a loro tempo rilasciato concessioni di affidamento del servizio di distribuzione del gas nelle quali era espressamente previsto l'obbligo del concessionario-gestore (ovvero Adrigas) di realizzare, a proprie cure e spese, tutte le future estensioni dell'impianto gestito. In tali concessioni era altresì stabilito che, alla scadenza del rapporto, il gestore avrebbe dovuto cedere le estensioni di rete al Comune concedente dietro pagamento da parte di quest'ultimo di un certo indennizzo. Non essendosi realizzata una simile condizione (pagamento indennizzo) il Comune di Rimini, nella qualità di stazione appaltante della gara d'ambito, riteneva dunque non trasferita la proprietà dei predetti beni in capo agli enti concedenti (i quali, dal canto loro, ritenevano in un primo momento di applicare le normali regole vigenti in tema di "opere di urbanizzazione primaria").
Al riguardo si osserva che è ben vero che l'eventuale disaccordo tra ente concedente e gestore uscente, circa la proprietà e dunque il valore di rimborso degli impianti che dovrà essere corrisposto dal gestore entrante, deve essere evidenziato nel bando di gara (sì da consentire ad ogni partecipante di poter calibrare al meglio la propria offerta), ma è anche vero che un simile "disaccordo" non era formalmente né sostanzialmente e ulteriormente rinvenibile nel caso di specie dal momento che:
11.1. il Comune di Rimini, in base alla convenzione stipulata ai sensi [dell']art. 30 t.u.e.l., era stato delegato a gestire tutta la procedura in nome e per conto di tutti i Comuni interessati. Dunque anche a risolvere tali problematiche che rientrano comunque nella "gestione" di gara e nelle "funzioni" connesse alla gara stessa.
Si condivide sul punto quanto riportato nella sentenza di primo grado laddove si valorizza l'art. 2.2 della suddetta convenzione la quale stabilisce in particolare che: "Le deleghe previste dalla presente convenzione comportano l'esercizio esclusivo, da parte del delegato, in nome e per conto dei delegati, dei compiti e delle funzioni delegate, ivi compresa l'adozione di ogni occorrente decisione, senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive, da parte degli organi dei Comuni deleganti".
Lo spostamento delle competenze, che la difesa di parte appellante intende correttamente ricondurre ad una previsione di carattere normativo (pag. 13 atto di appello), è dunque ricavabile dal combinato disposto dell'art. 30 del t.u.e.l., il cui comma 1 prevede espressamente che i Comuni possano stipulare convenzioni per lo svolgimento coordinato delle rispettive "funzioni", e dell'art. 2 del d.m. n. 226 del 2011, il quale prevede a sua volta che gli enti locali concedenti ed appartenenti a ciascun ambito demandino al Comune capoluogo di provincia il compito di "gestire" la gara (comma 1) sia nella fase di "preparazione" del bando (comma 4) sia in quella di "cura" di ogni rapporto con il gestore (comma 5). Di qui la piena legittimazione ad agire per conto dei suddetti enti locali proprio sulla base di quanto prescritto nella riportata convenzione;
11.2. lo stesso Comune di Rimini, dopo i primi dissensi, aveva prospettato una soluzione a suo dire corretta (la proprietà delle reti era comunque di Adrigas in quanto i Comuni non avevano versato gli indennizzi necessari, secondo quanto previsto dalle rispettive concessioni originarie, per intitolarsi una simile proprietà) sulla quale i 9 Comuni nulla avevano eccepito o comunque si erano espresse (Comune di Macerata Feltria) oltre il termine 30 giorni. Più in particolare: 8 dei 9 Comuni dissenzienti, alla nota in data 18 gennaio 2017 con cui si evidenziava quanto sopra, nulla avevano ulteriormente e formalmente contestato; il Comune di Macerata Feltria, dal canto suo, aveva sollevato nuove obiezioni in data 4 marzo 2020 cui aveva fornito esaustiva risposta il Comune di Rimini con propria nota in data 19 marzo 2020. Nota cui il Comune di Macerata Feltria non aveva ulteriormente risposto.
Di qui la possibilità di fare ricorso all'istituto del silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni, ora espressamente riconosciuto all'art. 17-bis della l. n. 241 del 1990. Ed infatti, come evidenziato dallo stesso Consiglio di Stato, Sez. comm. spec., nel parere 13 luglio 2016, n. 1640: con l'introduzione dell'art. 17-bis, in tutte le ipotesi di decisione pluristrutturata il silenzio dell'amministrazione interpellata non sortisce più l'effetto di precludere l'adozione del provvedimento finale ma, essendo equiparato ope legis ad un atto di assenso, consente all'amministrazione procedente di adottare comunque il procedimento conclusivo. La portata generale del nuovo paradigma consente un'interpretazione estensiva dell'istituto, quale che sia l'amministrazione coinvolta e quale che sia la natura del procedimento pluristrutturato (si veda, in questo stesso senso, anche C.d.S., Sez. VI, 14 luglio 2020, n. 4559).
Anche la giurisprudenza di primo grado ha avuto modo di affermare che l'art. 17-bis della l. n. 241 del 1990 costituisce norma volta ad assicurare stabilità e certezza delle situazioni giuridiche nei rapporti tra le Amministrazioni, al pari di quanto contemplato sul versante dei rapporti "esterni" (o verticali) tra P.A. e privati dall'art. 21-nonies l. n. 241 del 1990; ed infatti il decorso del tempo quale fatto che vale a consumare e precludere l'esercizio del potere va adeguatamente considerato, in questa stessa direzione, anche nei rapporti "interni" (od orizzontali) tra diverse pubbliche amministrazioni (cfr. T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 16 agosto 2021, n. 5503).
Detto in altre parole, il meccanismo del silenzio-assenso è ormai divenuto regola generale anche nei rapporti tra pubbliche amministrazioni per cui comportamenti inerti o dilatori, ad opera di soggetti pubblici che partecipano ma che non sono titolari del procedimento e dunque della emanazione del provvedimento finale, non possono più irrazionalmente e ingiustificatamente impedire il raggiungimento di simili decisioni;
11.3. quanto infine alla ritenuta lesione dei diritti patrimoniali dei Comuni dissenzienti, si opera integrale rinvio a quanto già affermato al punto 7 circa la conclamata assenza di un interesse a ricorrere, sotto tale particolare profilo, ad opera di un soggetto terzo che addirittura riveste una posizione opposta e conflittuale, proprio con riguardo alla effettiva proprietà di taluni impianti, rispetto a quella goduta dalle stesse amministrazioni comunali. Di qui, giova ripetere, l'inammissibilità in parte qua della censura stessa sotto il profilo evidenziato.
11.4. In conclusione il primo motivo di appello deve essere rigettato per tutte le considerazioni sopra partitamente svolte.
12. Quanto al secondo motivo di appello si anticipa, in sintesi, che in merito agli interventi per migliorare l'efficienza energetica la stazione appaltante, invece di obbligare il soggetto aggiudicatario ad acquistare certificati bianchi (o meglio titoli di efficienza energetica) oppure a realizzare direttamente i suddetti interventi, ha previsto il versamento una tantum di una somma sino ad un massimo di 12,5 milioni di euro. Secondo l'appellante ciò sarebbe contrario al d.m. n. 226 del 2011 che disciplina la specifica materia. Il T.A.R. ha invece evidenziato come lo stesso d.m. preveda la possibilità, per le stazioni appaltanti, di derogare a tale regola (acquisto certificati bianchi oppure realizzazione in forma diretta) previa adeguata motivazione qui comunque presente (la soluzione del versamento una tantum appare meglio rispondente a criteri di efficacia ed economicità dell'azione amministrativa, considerato peraltro che è stato istituito un apposito ufficio per gli interventi di miglioramento efficienza energetica). Dunque, riepilogando sul punto:
12.1. la normativa in esame (art. 13 del d.m. n. 226 del 2011) prevede che gli obiettivi di efficienza energetica, in relazione ai quali il bando deve prevedere la assegnazione di max 5 punti, siano raggiunti mediante reperimento di certificati bianchi in misura tale da coprire gli obiettivi assegnati acquistandoli (TEE, ossia titoli di efficienza energetica) ovvero realizzando direttamente progetti idonei a generarli);
12.2. nel sistema delle gare d'ambito per il gas, la quantità di certificati bianchi deve essere reperita in via supplementare nella misura massima del 20% rispetto alla quantità di titoli che dovrebbe obbligatoriamente ottenere un distributore che immetta una quantità di gas come quella vettoriata nell'ambito oggetto di gara. Tale quantità risulta modificabile, nel tempo, al variare degli obiettivi nazionali di efficienza energetica. Si tratta pertanto di parametri mobili e dinamici, destinati ossia a mutare in funzione degli obiettivi di risparmio energetico di volta in volta fissati a livello nazionale (si vedano sul punto le puntuali ricostruzioni della difesa di parte appellante alle pagg. 25 e 26 dell'atto introduttivo);
12.3. stante il descritto sistema generale lo stesso d.m. n. 226 del 2011, all'art. 9, comma 1, prevede ad ogni buon conto la possibilità per le stazioni appaltanti di derogare motivatamente rispetto ai bandi e ai disciplinari-tipo predisposti dall'autorità di settore. Di qui la possibilità di prevedere, anche sul piano degli interventi di efficienza energetica, un sistema alternativo rispetto a quello descritto al punto che precede mediante motivata "nota di scostamento" in base alla quale, per ragioni di maggiore celerità e concentrazione degli interventi, i concorrenti possano una tantum versare una certa somma (sino ad un massimo di circa 12,5 milioni di euro) ad integrale soddisfazione di quanto a tale titolo dovuto;
12.4. si condivide pertanto quanto affermato nella sentenza di primo grado secondo cui, in particolare: «le regole introdotte dal d.m. 226/2011 non sono rigide e inderogabili, in quanto l'art. 9, comma 1, del medesimo statuisce che "La stazione appaltante predispone e pubblica il bando di gara e il disciplinare di gara attenendosi agli schemi e alle indicazioni del bando di gara-tipo e il disciplinare di gara-tipo di cui, rispettivamente, agli allegati 2 e 3", aggiungendo immediatamente dopo che "Eventuali scostamenti dal bando di gara-tipo e dal disciplinare di gara-tipo, nonché la scelta dei punteggi utilizzati nei criteri di valutazione della gara, devono essere giustificati in una apposita nota". Detta previsione, dunque, permette di derogare alle clausole standard, salvo l'obbligo di dare conto delle ragioni della scelta intrapresa. In buona sostanza i documenti-tipo allegati al d.m. 226/2011 non sono totalmente vincolanti, ma adattabili (motivatamente) alle concrete caratteristiche dell'Ambito. [...] Nella tabella degli scostamenti (doc. 1.Q ricorrente) si afferma che "La sostituzione è stata effettuata per garantire maggiormente (rispetto alla situazione alternativa, in cui fosse il nuovo gestore a doverli fare, sulla base della relativa offerta in gara, priva, però, di garanzie di qualunque tipo) l'effettiva attuazione degli investimenti di efficientamento energetico addizionali e, conseguentemente, il raggiungimento degli obiettivi nazionali di risparmio di energia primaria"»;
12.5. soprattutto si condivide la sentenza di primo grado nella parte in cui definisce la predetta soluzione alla stregua di "semplificazione sostanziale" (erogazione di una somma una tantum in luogo dell'impegno a realizzare una serie di interventi a carico del gestore entrante, il tutto accompagnato dalla costituzione di un ufficio pubblico deputato alla realizzazione di siffatti interventi di efficientamento sulla base di determinate somme ottenute con "vincolo di scopo") senza per questo privare il concorrente della possibilità di formulare un'offerta consapevole sulla base della concreta "evoluzione del mercato dell'energia" (punto 2.7 della sentenza di primo grado);
12.6. alcun rilievo può inoltre avere, al riguardo, la disposizione di cui all'art. 1, comma 94, della l. n. 124 del 2017, la quale stabilisce quali limiti inderogabili soltanto i "punteggi massimi" previsti per i criteri e i subcriteri di gara di cui agli artt. 13, 14 e 15 del d.m. n. 226 del 2011, non anche il "contenuto" e dunque l'oggetto di tali criteri e subcriteri. Ed infatti, ove l'intento fosse stato quello da ultimo descritto il legislatore del 2017 avrebbe più semplicemente impedito - mediante abrogazione esplicita - il meccanismo della più generale deroga di cui al citato art. 9, comma 1, del predetto d.m. n. 226 del 2011;
12.7. quanto alla ritenuta impossibilità di sostituire meccanismi "mobili e dinamici" quali quelli descritti dal d.m. n. 226 del 2011 (quantità di titoli aggiuntivi variabili in funzione degli obiettivi nazionali di risparmio energetico) con un meccanismo "fisso e predeterminato" come quello di specie (versamento una tantum di una somma a valere quali obblighi supplementari), osserva il collegio che nulla impedisce ad un operatore qualificato, accorto e prudente quale quello che partecipa a simili complesse gare di valutare ex ante gli andamenti del mercato energetico e di parametrare la propria offerta, sul punto, su quelli che probabilmente si riveleranno gli sviluppi futuri del c.d. risparmio energetico. Dunque non verrebbero a mancare i fondamentali presupposti onde concepire un'offerta di gara seria e soprattutto consapevole (tanto che la difesa di parte appellante non solo non ha dimostrato l'impossibilità di addivenire alla formulazione di un'offerta in termini di razionale calcolo di convenienza tecnico-economica ma ha pure ritenuto che, proprio sulla base di simili andamenti, la cifra attualizzata di tali proiezioni dovrebbe essere pari ad oltre 4 milioni 270 mila euro, cifra che senz'altro potrà essere proposta atteso che la somma di oltre 12,5 milioni indicata nel bando costituisce pur sempre un "limite massimo" per ottenere il punteggio più alto);
12.8. quanto infine alla possibilità che gli operatori, pur di aggiudicarsi il punteggio massimo su tale voce, siano disposti a formulare offerte "in perdita", ciò costituisce libera scelta dei singoli concorrenti, tenuto soprattutto conto che simili meccanismi di appalto sono orientati non solo e non tanto a garantire certi guadagni alle (migliori) imprese del settore ma anche - e soprattutto - a consentire notevoli risparmi e vantaggi (quali quelli legati ad interventi di efficientamento) per gli utenti del servizio in discussione, spesso onerati da notevoli esborsi di denaro. Ed infatti, come affermato da questa stessa Sezione (cfr. sentenza n. 570 del 22 gennaio 2019): "Né è dato ravvisare alcun onere in capo alla stazione appaltante di rendere particolarmente conveniente il contratto per il gestore". Quel che rileva più da vicino è: "assicurare l'efficienza del servizio pubblico di distribuzione del gas e l'interesse al soddisfacimento delle peculiari esigenze dell'ambito territoriale di riferimento". E ciò anche per il "consolidato principio giurisprudenziale in base al quale la remuneratività dell'appalto dipende dal valore complessivo delle voci costituenti il contenuto del rapporto contrattuale, ben potendo la mancata rimuneratività di una parte del suo oggetto essere compensata dal complessivo beneficio ricavabile dallo svolgimento dell'appalto (cfr. ex multiis C.d.S., III, 19 ottobre 2015, n. 4789)". Anticoncorrenziale si rivela semmai l'atteggiamento della parte appellante che, attraverso i motivi di ricorso, intende impedire che la gara si possa svolgere anche sulla base di "chi offre il prezzo più alto" (nella specie, la somma da destinare a simili interventi di efficienza energetica).
12.9. Alla luce di quanto sopra considerato anche il secondo motivo di appello deve dunque essere rigettato.
13. Il terzo motivo di appello riguarda gli interventi suppletivi (ossia le estensioni ulteriori della rete di distribuzione del gas). Il relativo costo verrà caricato al 100% sulla bolletta a condizione che, su tali estensioni, aderiscano almeno l'80% dei potenziali utenti interessati. La società appellante ritiene che, ove non si raggiunga tale percentuale di utenza (80%), l'intervento suppletivo non dovrebbe essere neppure obbligatorio (in quanto non interamente coperto da tariffa). Il punto controverso è dunque il seguente: poiché l'ARERA esige, ai fini del riconoscimento tariffario degli investimenti, l'effettiva attivazione dell'80% delle utenze previste sugli estendimenti di rete proposti, sarebbe necessario nella prospettiva di parte appellante che la Stazione appaltante recepisca questa condizione (posta dall'Autorità ai fini tariffari) anche sul piano degli obblighi contrattuali del gestore e, precisamente, quale condizione per il sorgere dell'obbligo di eseguire l'estendimento proposto.
Come correttamente posto in evidenza dalla difesa della stazione appaltante, tuttavia, la mancata soddisfazione delle condizioni previste da ARERA non preclude al distributore, che in sede di gara si sia volontariamente e liberamente impegnato a realizzare alcuni degli interventi "facoltativi" (così facendoli diventare "obbligatori"), il riconoscimento tariffario in sé ma esclusivamente il "pieno" riconoscimento tariffario. In altri termini il gestore del servizio, i cui interventi non soddisfacessero le condizioni stabilite dall'Autorità, potrebbe comunque contare su un riconoscimento tariffario quantomeno "parziale".
Peraltro, l'analisi costi-benefici elaborata dalla Stazione appaltante ha già ipotizzato una "curva di penetrazione" (ovvero una percentuale di PDR, punti di raccolta, che presumibilmente si allacceranno alle nuove tubature del gas che saranno posate dal gestore entrante) pari all'80% dei PDR massimi potenziali. Ciò implica che, se almeno l'80% dei PDR stimati nell'analisi costi-benefici (ovvero il 64% dei PDR massimi potenziali) si allaccerà effettivamente alle nuove tubature che saranno posate dal gestore entrante, questi potrà ottenere, per l'investimento affrontato, un riconoscimento tariffario integrale (100%). In caso contrario (PDR effettivamente allacciati inferiori all'80% di quelli stimati nell'analisi), il concessionario otterrà un riconoscimento parziale, proporzionale ossia al numero di PDR effettivamente allacciati.
Dunque: qualora gli utenti che si allacceranno non perverranno a detta soglia il gestore sarà remunerato per il numero di utenti effettivamente allacciato alle reti. Ne consegue in definitiva, come puntualmente osservato dalla difesa della stazione appaltante, che gli investimenti saranno in ogni caso remunerati.
La censura non tiene dunque conto che, in caso di mancato raggiungimento dell'80% degli utenti, l'intervento sarà comunque coperto in tariffa in modo proporzionale rispetto al numero di utenti effettivamente aderenti.
In questa direzione il concorrente è così libero di offrire o meno uno o più interventi facoltativi e, ovviamente, la sua offerta costituirà la logica conseguenza di una valutazione ragionevole ed oggettiva circa le possibilità di raggiungimento della soglia. Con la certezza che, anche nell'eventualità negativa, gli sarà comunque assicurato in tariffa un rendimento pari alle utenze effettive.
L'offerente è in altre parole obbligato ad eseguire gli interventi facoltativi dallo stesso proposti a seguito di una libera e ponderata valutazione delle possibilità di raggiungimento della soglia. L'offerta non risulta dunque impossibile o eccessivamente onerosa, e ciò anche in considerazione della presenza di una analisi costi-benefici, svolta dalla stazione appaltante "a monte" del processo, in qualche modo idonea a garantire la "tenuta" dell'offerta stessa.
Del resto, neppure si può penalizzare oltre misura l'utenza che si vorrebbe allacciare mediante i suddetti interventi suppletivi, privandoli di un tale servizio essenziale soltanto per una questione di mero calcolo economico di convenienza del gestore che non può di certo essere considerato, come già evidenziato al punto 11.8, alla stregua di unico fattore da porre alla base della gara in questione.
Anche tale censura deve pertanto essere respinta.
14. In conclusione il ricorso in appello è infondato e deve essere rigettato.
15. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la parte appellante ed il Comune di Macerata Feltria interveniente alla rifusione delle spese di lite, in favore dell'appellato Comune di Rimini, da quantificare nelle rispettive somme di euro 5.000 (cinquemila/00) ed euro 2.000 (duemila/00) oltre IVA e CPA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.