Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 6 luglio 2022, n. 5634
Presidente: Corradino - Estensore: Maiello
FATTO E DIRITTO
1. La Regione Piemonte e la Regione Liguria hanno concluso, nel 2008, un primo accordo per la regolazione del fenomeno della c.d. "mobilità sanitaria", intesa quale fenomeno di "migrazione" degli utenti del SSN verso strutture operanti in una Regione diversa da quella di residenza.
1.1. Le finalità perseguite erano quelle di assicurare - "attraverso la definizione di tetti di attività condivisi funzionali al governo complessivo della domanda" (cfr. Nuovo patto per la salute per gli anni 2010-2012 del 3 dicembre 2009) - effettività alla programmazione, contenere la spesa sanitaria e valorizzare, sulla base del principio di autosufficienza, le strutture di ciascuna Regione rispetto a prestazioni di base che ciascun ente sarebbe in grado di assicurare ai propri cittadini.
Tanto nel solco delle coordinate tracciate dall'art. 8-sexies, comma 8, del d.lgs. del 30 dicembre 1992, n. 502, a mente del quale: "Il Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, con apposito decreto, definisce i criteri generali per la compensazione dell'assistenza prestata a cittadini in regioni diverse da quelle di residenza. Nell'ambito di tali criteri, le regioni possono stabilire specifiche intese e concordare politiche tariffarie, anche al fine di favorire il pieno utilizzo delle strutture e l'autosufficienza di ciascuna regione, nonché l'impiego efficiente delle strutture che esercitano funzioni a valenza interregionale e nazionale".
2. Con d.G.r. n. 1630 del 5 dicembre 2008, la Regione Liguria, e con d.G.r. n. 85-10527 del 29 dicembre 2008, la Regione Piemonte, approvavano, dunque, un primo accordo sperimentale relativo al biennio 2009/2010 in materia di mobilità sanitaria interregionale con il dichiarato obiettivo (cfr. art. 1) di "modulare l'accesso dei cittadini residenti in Liguria verso case di cura private accreditate e contrattate del Piemonte e, del pari, dei cittadini residenti in Piemonte verso case di cura accreditate e contrattate della Liguria" per contrastare "gli effetti della mancata valorizzazione dei principi di autosufficienza di ciascuna Regione e dell'impiego efficiente delle strutture a valenza interregionale".
2.1. In concreto l'intesa, non formalmente sottoscritta, individuava cinque strutture private accreditate del Piemonte ed una della Liguria, per ciascuna delle quali venivano fissati valori limite alla erogazione di prestazioni nei confronti dei pazienti provenienti dalla Regione confinante, oltre i quali le prestazioni in favore dei residenti nella Regione confinante non sarebbero state poste a carico del pertinente fondo sanitario regionale.
Segnatamente, si assumeva il valore soglia del 15% della produzione extraregionale, rilevata nel 2007, rispetto all'intera produzione delle strutture interessate, percentuale aumentata in via transitoria per l'anno 2009. I suddetti valori soglia avrebbero dovuto essere recepiti nei contratti tra la Regione competente e la Casa di cura interessata.
2.2. L'intesa sperimentale, valevole per il biennio 2009-2010, veniva rinnovata con modifiche al valore soglia per un ulteriore biennio e validata dalla Regione Liguria con d.G.r. del 5 febbraio 2010, n. 198/2010 e dalla Regione Piemonte con d.G.r. n. 43-13492 dell'8 marzo 2010.
2.3. Ciò nondimeno, unilateralmente ed in anticipo rispetto alla scadenza dell'accordo (31 dicembre 2012), con d.G.r. n. 10-2420 del 27 luglio 2011, la Regione Piemonte revocava la precedente delibera n. 43-13492 dell'8 marzo 2010, recedendo così dall'accordo.
3. Con il ricorso di primo grado la Regione Liguria adiva il T.A.R. per la Liguria per l'accertamento del diritto al risarcimento dei danni conseguenti all'adozione della deliberazione di revoca della Giunta regionale del Piemonte n. 10-2420 in data 27 luglio 2011.
Con il medesimo mezzo la Regione Liguria proponeva, occorrendo, domanda di annullamento della riferita deliberazione.
4. Il T.A.R. per la Liguria, giusta sentenza n. 1139/2013, dichiarava il proprio difetto di competenza territoriale e la causa veniva riassunta innanzi al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, che, [con] sentenza del 15 marzo 2021, n. 3099, respingeva il ricorso.
4.1. La pronuncia di primo grado riposa su due statuizioni reiettive con le quali il T.A.R. ha, in particolare, opposto, da un lato, la tardività della domanda di annullamento spiegata dalla Regione Liguria e, dall'altro, l'infondatezza della domanda risarcitoria.
Quanto al primo profilo, posto che Regione Liguria ha avuto conoscenza della deliberazione di revoca il 9 agosto 2011, il ricorso sarebbe tardivo siccome spedito in notifica il 16 novembre, laddove avrebbe dovuto essere notificato entro il termine decadenziale previsto dal codice di rito (60 giorni) e, ad avviso del T.A.R., spirato il 30 ottobre 2011, a tali fini considerando il periodo di sospensione feriale dal 1° al 31 agosto.
4.2. In stretta connessione con tale profilo, il T.A.R. soggiunge che la tardività della domanda di annullamento refluisce in negativo anche sull'azionata pretesa risarcitoria nella misura in cui si risolve nella mancata - tempestiva - attivazione degli strumenti a disposizione del creditore per evitare o limitare il danno (art. 30, comma 3, c.p.a.), ricordando che "l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno, evitabile con l'ordinaria diligenza".
4.3. Muovendo da tali premesse, il T.A.R. esclude, dunque, la sussistenza di un danno risarcibile in favore dell'appellante in quanto, sulla base di un giudizio prognostico fondato sul canone del "più probabile che non", "una pronta reazione in sede giudiziale e la proposizione, in quella sede, di una domanda cautelare - possibilmente davanti al Giudice territorialmente competente sin dal 2011, ossia nell'immediatezza della delibera che ha determinato il recesso della Regione subalpina - avrebbero potuto - almeno secondo il detto criterio di causalità ipotetica - condurre all'elisione del danno relativo agli anni 2011 e 2012 e che, a distanza di tempo, la Regione Liguria ha visto quantificare ex post dalla Conferenza Stato Regioni".
5. Con il mezzo qui in rilievo, la Regione Liguria chiede la riforma del suindicato decisum, deducendo a sostegno della spiegata impugnazione i seguenti motivi di gravame:
a) la decisione di primo grado sarebbe, anzitutto, illegittima siccome incisa dal vizio di omessa pronuncia con riferimento all'eccezione di inammissibilità dell'intervento ad opponendum spiegato dalla Casa di cura Villa Igea;
b) la traiettoria argomentativa su cui riposa la sentenza in argomento sarebbe, altresì, segnata da plurime violazioni di legge sia con riferimento alla dichiarazione di tardività della domanda di annullamento che alla statuizione di infondatezza della domanda risarcitoria.
6. Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte spiegando articolate difese ed insistendo per il rigetto dell'appello.
7. All'udienza del 23 giugno 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
8. L'appello, con le precisazioni di seguito svolte, deve ritenersi infondato e, pertanto, va respinto.
9. Con il primo motivo, giusta quanto già anticipato nella narrativa in fatto, l'appellante si duole dell'omessa pronuncia, da parte del T.A.R., sull'eccezione sollevata in prime cure e avente ad oggetto l'inammissibilità dell'intervento ad opponendum spiegato dalla Casa di cura Villa Igea.
9.1. Com'è noto, nel processo amministrativo, ai fini dell'ammissibilità dell'intervento ad opponendum, è sufficiente che l'interveniente vanti un interesse di fatto rispetto alla controversia, che sia avvinto da un nesso di dipendenza o accessorietà rispetto a quello azionato in via principale.
Orbene, l'interesse che reggeva l'iniziativa giurisdizionale qui contestata traeva alimento dall'inclusione del predetto operatore nel perimetro di operatività soggettiva dell'intesa qui in rilievo, tanto che, come riconosciuto nello stesso atto di appello, la Casa di cura Villa Igea aveva autonomamente contestato la detta intesa tra la Regione Piemonte e Regione Liguria, promuovendo autonomo giudizio, tuttora pendente.
Da qui l'interesse, indubbiamente differenziato, alla conferma della delibera di revoca adottata dalla Regione Piemonte.
Nella suddetta prospettiva, non può dunque negarsi che il suddetto operatore - peraltro non costituito nel giudizio di appello - vantasse un interesse al mantenimento dei provvedimenti impugnati, che gli consentisse di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione del ricorso.
Il rivendicato annullamento della delibera di revoca interferisce, infatti, con i volumi di rimborso spettanti negli esercizi qui in rilievo, la cui misura - alla stregua della stessa prospettazione dell'appellante - risulta tuttora controversa, attesa la pendenza del giudizio promosso dalla Casa di cura Villa Igea, ad oggi sospeso.
10. È invece fondato il secondo motivo di appello, con il quale la Regione Liguria denuncia l'erroneità della statuizione del T.A.R. in ordine alla pretesa tardività della domanda di annullamento della delibera regionale di revoca dell'intesa, anche se la condivisione dei rilievi attorei non giova all'appellante dal momento che la domanda, come di seguito evidenziato, va comunque respinta.
10.1. Il T.A.R., individuando come dies ad quem per la notifica del ricorso il 30 ottobre 2011, ha infatti erroneamente ritenuto che la durata della sospensione feriale constasse di 31 giorni, senza però avvedersi che, al tempo della introduzione del presente giudizio, vigeva l'art. 54, comma 2, c.p.a., nella versione anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 132, che, con l'art. 20, comma 1-ter - nel prevedere che "L'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, si interpreta nel senso che si applica anche al processo davanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato" - ha sostituito, all'art. 54, comma 2, dell'Allegato 1 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, le parole: "15 settembre" con le parole: "31 agosto".
10.2. Dal momento [che] la conoscenza dell'atto da parte dell'appellante ricade nel periodo di sospensione feriale e che il ricorso è stato consegnato per la notifica il 15 novembre 2011, la questione interpretativa che si pone, rilevata anche in primo grado dalle parti, riguarda il tema dell'applicabilità o meno dell'art. 155, comma 1, c.p.c. (secondo il quale "Nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l'ora iniziali") al periodo di sospensione feriale, risultando controverso se il dies a quo del termine decadenziale d'impugnazione fosse il 16 o il 17 settembre.
Applicando la regola civilistica anche al periodo di sospensione feriale si avrebbe che il ricorso, notificato il 15 novembre (e non il 16 novembre come erroneamente ritenuto dal T.A.R.), sarebbe tempestivo, essendo stato spedito in notifica l'ultimo giorno utile; diversamente, ove il dies a quo fosse il 16 settembre, il ricorso sarebbe tardivo, essendo spirato il termine il 14 novembre 2011.
10.3. Sul punto, come è noto, è intervenuta l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 18 del 27 luglio 2016 stabilendo che il primo giorno successivo alla scadenza del periodo feriale va computato, e pertanto il termine per l'impugnazione da parte della Regione Liguria è spirato il 14 novembre.
10.4. L'appellante, in primo grado, vista l'eccezione di tardività sollevata dalla parte resistente, chiedeva al T.A.R. di ritenere comunque il ricorso tempestivo, invocando l'errore scusabile determinato dalla evidenziata incertezza sulla regola applicabile, come fatto palese dalla stessa necessità di un intervento dell'Adunanza plenaria.
10.5. Ritiene il Collegio che la prospettazione di parte appellante meriti condivisione.
Come noto, l'errore scusabile assume carattere eccezionale e, pertanto, come rilevato - di recente - da questo Consiglio (Sez. III, 25 gennaio 2018, n. 529; Sez. IV, 28 agosto 2018, n. 5066), "può trovare applicazione solo qualora nel singolo caso sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto poiché, opinando diversamente, tale inadempimento formale si risolverebbe in un'assoluzione indiscriminata dal termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico".
10.6. Nel caso di specie, sussistono gli estremi per la concessione del beneficio in argomento, costituendo il successivo intervento dell'Adunanza plenaria indice sintomatico di quelle incertezze giurisprudenziali che possono giustificare l'errore scusabile rispetto a vicende processuali consumatesi prima dell'intervento nomofilattico di questo Consiglio in composizione plenaria (cfr., nei medesimi termini, C.d.S., Sez. IV, 18 febbraio 2019, n. 1123).
11. La rilevata ammissibilità della domanda di annullamento, in ogni caso, non giova all'appellante, la cui domanda si rivela comunque infondata in virtù delle considerazioni di seguito esposte.
11.1. Introducendo il suddetto tema controverso va, anzitutto, rammentato che il T.A.R. ha ritenuto che neppure una tempestiva azione di annullamento supportata da una misura cautelare avrebbero potuto scongiurare la reiezione della domanda risarcitoria, stante l'assenza del carattere repentino e inaspettato del recesso "ampiamente ventilato da chi aveva intenzione di recedere".
11.2. La Regione appellante, da parte sua, contesta la ricostruzione che sembra aver privilegiato il T.A.R. circa i presupposti di recedibilità dall'accordo, ritenendo legittimo lo scioglimento unilaterale dal vincolo negoziale in mancanza del carattere dell'imprevedibilità della relativa determinazione.
Tale scioglimento, secondo l'appellante, potrebbe invece avvenire solo attraverso lo strumento privatistico del mutuo dissenso. In mancanza, non sarebbe consentito ad una parte contraente di sottrarsi unilateralmente alle obbligazioni contratte, non essendo previsto dall'ordinamento il recesso unilaterale per i vincoli contrattuali nascenti dagli accordi disciplinati, come nel caso in esame, dall'art. 15 della l. n. 241/1990.
11.3. Ad avviso del Collegio la ricostruzione in senso panprivatistico dell'accordo qui in rilievo, propugnata dall'appellante, non può essere accolta.
11.4. Vale premettere che l'accordo di cui è causa rientra nella categoria degli accordi tra pubbliche amministrazioni di cui all'art. 15 della legge generale sul procedimento amministravo il quale dispone, al primo comma, che "Anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune".
Il secondo comma dell'articolo in argomento precisa che "Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall'articolo 11, commi 2 e 3".
A loro volta i commi 2 e 3 dell'art. 11 dispongono che "Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Gli accordi di cui al presente articolo devono essere motivati ai sensi dell'articolo 3.
Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi".
Si tratta, come noto, di accordi c.d. "orizzontali" (in contrapposizione agli accordi verticali di cui all'art. 11 della l. n. 241/1990) finalizzati a stabilire forme di collaborazione tra soggetti pubblici in attuazione del principio di buon andamento di cui all'art. 97, comma 2, Cost.
La dottrina evidenzia come il ricorso a tale strumento permetta di superare la frammentarietà di funzioni e di compiti insita nel pluralismo istituzionale che caratterizza il nostro ordinamento realizzando una reductio ad unitatem dell'Amministrazione in vista della miglior cura dell'interesse pubblico.
11.5. Discussa è la natura giuridica degli accordi in parola.
11.6. Da un lato, vi è un orientamento incline a privilegiare una costruzione privatistica o negoziale dell'intesa e che si fonda sul tenore letterale della norma laddove assegna a tali strumenti la denominazione di "accordi", richiamando per la loro disciplina, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili [si veda in proposito T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 27 luglio 2015, n. 10295, secondo cui "Tale posizione (quella contraria, che assegna agli accordi ex art. 15 natura pubblicistica) oltre a non essere aderente al dettato normativo (non può invero essere derubricata ad una mera dimenticanza il fatto che l'art. 15 della l. n. 241 del 1990 non richiami il comma 4 del precedente art. 11 quando invece rinvia espressamente ai commi 2 e 3 dell'articolo da ultimo citato), è smentita, oltre dagli argomenti sopra esposti, dalle seguenti ulteriori precisazioni:
- l'accordo ex art. 15 della l. n. 241 del 1990 ha natura organizzativa e non costituisce uno strumento idoneo a spostare le competenze in capo alle singole amministrazioni che lo stipulano;
- l'assetto di interessi definito dall'accordo di che trattasi non è disponibile da parte di una sola amministrazione ed è modificabile solo attraverso l'accordo di tutte le amministrazioni coinvolte;
- come peraltro precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 121/2010, seppure in tema di accordi di programma (che costituisce, come noto, una species del genus degli accordi di diritto pubblico di cui all'art. 15 della l. n. 241 del 1990), l'attribuzione ad una parte pubblica di un ruolo preminente 'è incompatibile con il regime dell'intesa, caratterizzata dalla paritaria codeterminazione dell'atto';
- da ciò si ricava che l'esclusione del comma 4 dell'art. 11 della l. n. 241 del 1990 dalla disciplina degli accordi di diritto di pubblico ex art. 15 (non ascrivibile, come detto, a mera dimenticanza) comporta che il recesso ha natura privata (nel senso cioè che sono applicabili gli artt. 1372 e 1373 c.c., in quanto compatibili) e che l'accordo è intangibile"].
11.7. Dall'altro lato, vi è un'opzione esegetica che inquadra in ottica pubblicistica l'istituto, muovendo dalla premessa di fondo che l'accordo è in ogni caso finalizzato ad esercitare una funzione pubblica consistente nel contemperamento degli interessi pubblici affidati alla cura delle singole Amministrazioni.
Si sostiene, in proposito, che il potere esercitato dalle Amministrazione tramite moduli consensuali rappresenta semplicemente un modo di esplicarsi del potere amministrativo funzionalizzato "inconiugabile con la nozione di autonomia privata".
Tale è la conclusione della giurisprudenza amministrativa maggioritaria, dalla quale questo Collegio non intende discostarsi.
È stato infatti osservato che: "Alla luce della consolidata giurisprudenza in materia, gli accordi disciplinati dall'art. 15 l. 241/1990 non sono qualificabili come negozi di diritto privato, bensì come contratti ad oggetto pubblico. Benché ciò avvenga mediante l'adozione di atti bilaterali, si tratta di atti mediante i quali sono esercitate potestà pubbliche, istituzionalmente funzionalizzate al perseguimento degli interessi pubblici di cui sono titolari le Amministrazioni contraenti e, in quanto tali, soggetti alle regole generali dell'attività amministrativa, in parte diverse da quelle che disciplinano l'attività contrattuale privatistica che, infatti, è applicabile solo nei limiti della compatibilità ai sensi dell'art. 11, comma 2, richiamato dall'art. 15, comma 2, l. 241/1990.
«Invero, il potere esercitato dall'amministrazione nella stipula dell'accordo, sebbene non sia espressione in via unilaterale di mera autorità, resta pur sempre funzionalizzato al perseguimento dell'interesse pubblico, come, del resto, dimostrato dalla possibilità di recesso ex art. 11, comma 4, l. n. 241/1990 "per sopravvenuti motivi di pubblico interesse" (cfr. C.d.S., Sez. V, 24 ottobre 2000, n. 5710), istituto che trova fondamento giuridico proprio nella inesauribilità del potere amministrativo» (così C.d.S., Sez. IV, 9 marzo 2021, n. 1948)" (T.A.R. Veneto, Venezia, Sez. II, 3 giugno 2021, n. 738).
Questo Consiglio ha inoltre osservato che "La dottrina interna aveva già intuito questa antiteticità tra accordi e contratti, avendo coniato con riguardo ai primi l'espressione contratti 'ad oggetto pubblico', ponendone quindi in rilievo la differenza rispetto al contratto privatistico ex art. 1321 c.c., del quale contengono solo l'elemento strutturale dato dall'accordo ai sensi del n. 1 della citata disposizione, senza che ad esso si accompagni tuttavia l'ulteriore elemento del carattere patrimoniale del rapporto che con esso si regola.
Come nel contratto, le amministrazioni pubbliche stipulanti partecipano all'accordo ex art. 15 in posizione di equiordinazione, ma non già al fine di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale, bensì di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune. Il quale coordinamento può anche implicare la regolamentazione di profili di carattere economico, ma come necessario riflesso delle attività amministrative che in esso sono interessate" (C.d.S., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3849).
11.8. La ricostruzione in termini pubblicistici o privatistici ha conseguenze sul piano degli strumenti a disposizione delle parti per sciogliersi dal vincolo contratto con la stipula dell'accordo, stante il mancato richiamo dell'art. 15 al comma 4 dell'art. 11 della l. n. 241/1990 che espressamente dispone "Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato".
Secondo i sostenitori della tesi privatistica, il mancato richiamo alla disposizione sul recesso unilaterale confermerebbe la natura privatistica dell'accordo, da ritenersi pertanto intangibile salvo l'intervento del mutuo dissenso.
Per i sostenitori della tesi pubblicistica, il mancato richiamo al comma 4 dell'art. 11 non significa un divieto di recedere unilateralmente, stante l'inesauribilità del potere pubblico. Anche se non espressamente previsto e richiamato, resta comunque attivabile il potere di recedere unilateralmente dall'accordo: "nonostante l'art. 15 comma 2, l. n. 241 del 1990 non menzioni in modo espresso il comma 4 dell'art. 11 - in tema di esercizio del potere di recesso da parte della P.A. dagli accordi - fra le disposizioni applicabili anche agli accordi fra Amministrazioni Pubbliche di cui al successivo art. 15, nondimeno è da ritenersi che l'effettiva sussistenza di tale potere di recesso emerga quale corollario del principio di inesauribilità del potere pubblico, che caratterizza l'esercizio delle funzioni pubbliche. Ovviamente, il provvedimento che sia espressione di tale potere di recesso va adeguatamente motivato" (C.d.S., Sez. VI, 23 novembre 2011, n. 6162, più di recente richiamato in senso adesivo da C.d.S., Sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5346).
Si è chiarito che la ragione per cui il comma 4 dell'art. 11 della l. n. 241 del 1990, a differenza dei commi 2 e 3, non è stato espressamente richiamato nell'art. 15 va rinvenuta non tanto nella volontà del legislatore di imporre un divieto di recesso implicito, atteso che ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, quanto nella scelta di escludere la tutela indennitaria per le amministrazioni che abbiano sottoscritto l'accordo e che abbiano subito il recesso di un'altra amministrazione (T.A.R. L'Aquila, Sez. I, 3 marzo 2021, n. 89).
Sempre di recente il T.A.R. Piemonte ha ritenuto "di dover aderire all'impostazione adottata da altra parte della giurisprudenza (T.A.R. Puglia, Lecce, 20 dicembre 2014, n. 3141; T.A.R. Marche, 19 settembre 2003, n. 1015) per cui il mancato richiamo del comma 4 dell'articolo 11 nell'articolo 15 non significa affatto che il legislatore abbia voluto imporre un divieto implicito di recesso". Ad avviso del giudice piemontese "La lacuna sembra piuttosto derivare dalla consapevolezza del legislatore della inutilità di richiamare la facoltà di recesso unilaterale e le sue conseguenze patrimoniali in una fattispecie in cui il potere generale di revoca, immanente all'azione amministrativa, ancorché esercitata con lo strumento consensuale, non si scontra con il legittimo affidamento del privato e con l'esigenza di tutela derivante dalla sua lesione.
L'immanenza del potere di revoca rende, pertanto, incompatibile con la fattispecie degli accordi tra amministrazioni l'applicazione del principio civilistico della fissità degli effetti del contratto che è destinato a recedere a fronte della inesauribilità del potere finalizzata alla cura dell'interesse pubblico.
Deve dunque ritenersi legittima la facoltà riconosciuta ad una pubblica amministrazione di recedere in via unilaterale dall'accordo sottoscritto con altre amministrazioni, sia che la predetta facoltà sia stata espressamente pattuita nell'accordo, come avvenuto nel caso di specie, sia che l'accordo nulla preveda a tal proposito.
L'esercizio del potere con lo strumento organizzativo consensuale assicura la massima semplificazione dell'azione amministrativa, in quanto previene i possibili conflitti di competenze e realizza la sussidiarietà orizzontale di cui all'articolo 118, comma 4, della Costituzione.
Esso tuttavia non tollera che l'esercizio dell'autonomia collettiva da parte dell'amministrazione ed il vantaggio che ne consegue in termini di maggiore vincolatività dell'accordo rispetto al provvedimento - in realtà attenuata dall'apposizione di limiti più stringenti al potere di autotutela in virtù delle modifiche apportate dalle leggi n. 164 del 2014 e n. 124 del 2015 - possano rappresentare un limite alla piena realizzazione dell'interesse pubblico, di cui il potere di revoca costituisce l'estrema ed irrinunciabile garanzia" (T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 16 maggio 2019, n. 600).
Il Consiglio di Stato sulla stessa linea afferma che "non può negarsi la possibilità di recedere dal predetto accordo, rientrando nella funzione di amministrazione attiva il generale potere di revoca del provvedimento amministrativo, del quale l'accordo ha il contenuto e al quale è sottesa la cura dell'interesse pubblico, per cui è affievolita la forza vincolante di una convenzione sottoscritta da soggetti pubblici ed è reso inapplicabile il principio civilistico per il quale il contratto ha forza di legge tra le parti.
Infatti, il potere di recedere nel pubblico interesse dagli accordi amministrativi, non rappresenta altro se non la particolare configurazione che la potestà di revoca assume quando il potere amministrativo è stato esercitato mediante un accordo iniziale anziché in forma unilaterale (cfr. C.d.S., Sez. IV, 15 luglio 2013, n. 3861)" (C.d.S., Sez. V, 12 settembre 2017, n. 4304).
11.9. La giurisprudenza è, al contempo, concorde nel ritenere che il provvedimento espressivo di un tale potere di recesso debba essere "adeguatamente motivato, tenendo conto delle circostanze avvenute e delle esigenze di spesa (C.d.S., Sez. IV, 4 giugno 2014, n. 2859) e mediante l'indicazione del processo valutativo degli interessi su cui si va ad incidere (C.d.S., Sez. V, 22 marzo 2016, n. 1172)" (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 6 maggio 2022, n. 159).
12. Il Collegio, come già sopra anticipato, in aderenza alla maggioritaria e più recente giurisprudenza di settore, non può che ribadire la particolare dimensione "pubblicistica" di cui all'art. 15 della l. n. 241/1990 con conseguente declinabilità delle tipiche prerogative che connotano il regime dell'azione amministrativa, di cui non può che costituire un predicato necessitato la rilevata riconoscibilità della facoltà del potere dell'Amministrazione di recedere unilateralmente dall'accordo ove sussistano sopravvenuti motivi di pubblico interesse di cui si dia adeguata contezza.
13. Sotto tale distinto motivo, che involge la sufficienza delle ragioni che reggono la statuizione di ritiro, dalla piana lettura del deliberato avversato in prime cure emerge, anzitutto, che, nel luglio 2010, la Regione Piemonte veniva sottoposta a piano di rientro con conseguente affiancamento dei Ministeri della salute [e] dell'economia e finanze.
13.1. In ragione di ciò, con nota prot. 11923 del 26 aprile 2011, l'Assessore all'epoca in carica comunicava alla Regione Liguria l'intenzione di recedere dall'accordo manifestando al contempo l'intenzione di pervenire ad un nuovo accordo di mobilità che tenesse conto delle criticità emerse in ragione di quello vigente.
La d.G.r. 10-2420 fa propri estesamente e sviluppa tutti gli indici di inefficienza ovvero di iniquità che l'accordo aveva generato e già anticipati con la nota assessorile del 26 aprile 2011.
13.2. La Regione Piemonte aveva infatti rilevato come cause determinanti il recesso:
a) il dissesto finanziario del proprio servizio sanitario che nel corso del 2010 le ha imposto di adottare il c.d. "Piano di rientro", con la conseguenza di dover procedere alla riorganizzazione complessiva del servizio.
La nota riferisce infatti che tale piano di rientro "impone a questa Amministrazione una complessiva rivisitazione del Sistema Sanitario. La rivalutazione ad ampio raggio delle scelte antecedenti riguarda naturalmente anche il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale e nel caso in questione l'intesa sottoscritta dalla precedente amministrazione con la Regione Liguria per il quadriennio 2009-2012", e lo stesso deliberato evidenzia che "la vigenza del protocollo contrasta con l'attuazione di manovre di riorganizzazione strutturale dell'assetto dei servizi che la Regione Piemonte deve adottare ai fini dell'attuazione del piano di rientro";
b) i risultati inefficienti dell'accordo per la Regione Piemonte. Si evidenzia, invero, che "la libera scelta del luogo di cura, la circoscritta portata dell'accordo in termini di numero di strutture considerate e la contemporanea assenza di analoghi accordi con altre Regioni limitrofe ben possono inficiare il valore dei limitati risultati raggiunti".
Viene, altresì, precisato dalla Regione Piemonte, nella memoria difensiva del 23 maggio, che dall'esame dei risultati derivanti dell'accordo erano emersi elementi di iniquità per la diversità di trattamento che di fatto si era venuta a creare tra le strutture considerate e quelle escluse, che di fatto se ne sono avvantaggiate incrementando la propria produzione. D'altro canto, nella delibera di revoca una delle ragioni del ritiro impinge giustappunto nella pendenza di ricorsi al T.A.R. incardinati dagli operatori coinvolti.
È, peraltro, ben verosimile che l'applicazione circoscritta del protocollo abbia finito per dirottarne i flussi di prestazioni verso altre strutture limitrofe o, ancora, verso altre Regioni confinanti con cui non erano intercorsi analoghi accordi e tanto, oltre a creare fattori distorsivi nella relativa economia di mercato, oggettivamente incide sulla complessiva coerenza dell'azione complessivamente intrapresa rispetto all'obiettivo atteso.
14. Come è agevole osservare, le ragioni di interesse pubblico a fondamento del recesso sono state chiaramente evidenziate e, nella sostanza, fanno perno non solo sul limitato beneficio che la Regione Piemonte ha tratto dal protocollo d'intesa, sotto molteplici aspetti, ma anche sul contrasto tra gli effetti derivanti dall'architettura dell'accordo e gli obiettivi di risanamento a cui la Regione era oramai vincolata per effetto dell'adozione del piano di rientro.
Alla stregua di una piana lettura dei divisati atti questo Collegio non rileva alcun difetto di istruttoria ovvero di motivazione nel corredo argomentativo degli atti impugnati essendo stati chiaramente identificati dalla Regione Piemonte ragionevoli e condivisibili motivi a fondamento della revoca.
Dev'essere ricordato, in proposito, che i motivi di interesse pubblico a fondamento dello ius poenitendi costituiscono espressione di discrezionalità amministrativa che, come noto, possono essere valutati dal giudice amministrativo nei noti limiti della palese irragionevolezza, manifesta illogicità o da travisamento fattuale. Siffatti indici di sviamento del pubblico potere non rilevano nel caso di specie, apparendo del tutto conforme ai parametri normativi la scelta dell'Amministrazione di recedere da un accordo rivelatosi, per quanto finora esposto, non performante e contrastante con l'interesse pubblico al contenimento della spesa sanitaria regionale e al contestuale efficientamento del servizio sanitario, affidato alle cure dell'ente regionale.
Per tali ragioni tanto la domanda risarcitoria che la domanda demolitoria, pur tempestiva, vanno respinte non ravvisandosi nessuna delle dedotte violazioni di legge, di difetto di istruttoria e/o di motivazione, dovendo l'affidamento della Regione Liguria ritenersi in definitiva recessivo a fronte delle ragioni di interesse pubblico poste alla base della qui avversata delibera di revoca.
Conclusivamente, l'appello, per le ragioni di cui in motivazione, deve essere quindi respinto, in quanto infondato.
Le spese del giudizio, data la peculiarità della vicenda scrutinata, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del presente grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.