Corte di giustizia dell'Unione Europea
Decima Sezione
Sentenza 1° agosto 2022
«Rinvio pregiudiziale - Richiedenti protezione internazionale - Direttiva 2013/33/UE - Articolo 20, paragrafi 4 e 5 - Comportamenti gravemente violenti - Diritto degli Stati membri di stabilire le sanzioni applicabili - Portata - Revoca delle condizioni materiali di accoglienza».
Nella causa C-422/21, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con ordinanza del 30 dicembre 2020, pervenuta in cancelleria il 9 luglio 2021, nel procedimento Ministero dell'Interno contro TO.
[...]
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96).
2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra il Ministero dell'Interno (Italia) e TO in merito ad una domanda di quest'ultimo diretta all'annullamento di una decisione della Prefettura di Firenze (Italia) che l'ha escluso dalla fruizione delle condizioni materiali di accoglienza.
Contesto normativo
Diritto dell'Unione
3. Ai sensi dell'articolo 1, la direttiva 2013/33 ha lo scopo di stabilire norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (in prosieguo: i «richiedenti») negli Stati membri.
4. L'articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
(...)
f) "condizioni di accoglienza": il complesso delle misure garantite dagli Stati membri a favore dei richiedenti ai sensi della presente direttiva;
g) "condizioni materiali di accoglienza": le condizioni di accoglienza che includono alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni, o una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio per le spese giornaliere;
(...)
i) "centro di accoglienza": qualsiasi struttura destinata all'alloggiamento collettivo di richiedenti;
(...)».
5. L'articolo 8 della direttiva 2013/33, intitolato «Trattenimento», al paragrafo 3, prevede quanto segue:
«Un richiedente può essere trattenuto soltanto:
(...)
e) quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;
(...)».
6. L'articolo 17 della medesima direttiva, intitolato «Disposizioni generali relative alle condizioni materiali di accoglienza e all'assistenza sanitaria», così dispone ai paragrafi da 1 a 4:
«1. Gli Stati membri provvedono a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali d'accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale.
2. Gli Stati membri provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza assicurino un'adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la salute fisica e mentale.
Gli Stati membri provvedono a che la qualità di vita sia adeguata alla specifica situazione delle persone vulnerabili, ai sensi dell'articolo 21, nonché alla situazione delle persone che si trovano in stato di trattenimento.
3. Gli Stati membri possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali d'accoglienza e dell'assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento.
4. Gli Stati membri possono obbligare i richiedenti a sostenere o a contribuire a sostenere i costi delle condizioni materiali di accoglienza e dell'assistenza sanitaria previsti nella presente direttiva, ai sensi del paragrafo 3, qualora i richiedenti dispongano di sufficienti risorse, ad esempio qualora siano stati occupati per un ragionevole lasso di tempo.
Qualora emerga che un richiedente disponeva di mezzi sufficienti ad assicurarsi le condizioni materiali di accoglienza e l'assistenza sanitaria all'epoca in cui tali esigenze essenziali sono state soddisfatte, gli Stati membri possono chiedere al richiedente un rimborso».
7. L'articolo 18 della medesima direttiva è intitolato «Modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza» e prevede, al paragrafo 1:
«Nel caso in cui l'alloggio è fornito in natura, esso dovrebbe essere concesso in una delle seguenti forme oppure mediante una combinazione delle stesse:
a) in locali utilizzati per alloggiare i richiedenti durante l'esame della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera o in zone di transito;
b) in centri di accoglienza che garantiscano una qualità di vita adeguata;
c) in case private, appartamenti, alberghi o altre strutture atte a garantire un alloggio per i richiedenti».
8. L'articolo 20 della stessa direttiva, unica disposizione del capo III della stessa, è intitolato «Riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza». Detto articolo è così formulato:
«1. Gli Stati membri possono ridurre o, in casi eccezionali debitamente motivati, revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora il richiedente:
a) lasci il luogo di residenza determinato dall'autorità competente senza informare tali autorità, oppure, ove richiesto, senza permesso; o
b) contravvenga all'obbligo di presentarsi alle autorità o alla richiesta di fornire informazioni o di comparire per un colloquio personale concernente la procedura d'asilo durante un periodo di tempo ragionevole stabilito dal diritto nazionale; o
c) abbia presentato una domanda reiterata quale definita all'articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60)].
In relazione ai casi di cui alle lettere a) e b), se il richiedente viene rintracciato o si presenta volontariamente all'autorità competente, viene adottata una decisione debitamente motivata, basata sulle ragioni della scomparsa, nel ripristino della concessione di tutte le condizioni materiali di accoglienza revocate o ridotte o di una parte di esse.
2. Gli Stati membri possono inoltre ridurre le condizioni materiali di accoglienza quando possono accertare che il richiedente, senza un giustificato motivo, non ha presentato la domanda di protezione internazionale non appena ciò era ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo in tale Stato membro.
3. Gli Stati membri possono ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora un richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal modo indebitamente delle condizioni materiali di accoglienza.
4. Gli Stati membri possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.
5. Le decisioni di ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza o le sanzioni di cui ai paragrafi 1, 2, 3 e 4 del presente articolo, sono adottate in modo individuale, obiettivo e imparziale e sono motivate. Le decisioni sono basate sulla particolare situazione della persona interessata, specialmente per quanto concerne le persone contemplate all'articolo 21, tenendo conto del principio di proporzionalità. Gli Stati membri assicurano in qualsiasi circostanza l'accesso all'assistenza sanitaria ai sensi dell'articolo 19 e garantiscono un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti.
6. Gli Stati membri provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza non siano revocate o ridotte prima che sia adottata una decisione ai sensi del paragrafo 5».
9. A norma dell'articolo 21 della direttiva 2013/33, intitolato «Principio generale», nelle misure nazionali di attuazione della medesima direttiva, gli Stati membri tengono conto della specifica situazione delle persone vulnerabili, in particolare dei minori e dei minori non accompagnati.
Diritto italiano
10. L'articolo 14 del decreto legislativo del 18 agosto 2015, n. 142 - Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GURI n. 214, del 15 settembre 2015), nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 142/2015»), così prevede:
«1. Il richiedente che ha formalizzato la domanda [diretta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria] e che risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso, con i familiari, alle misure di accoglienza del presente decreto.
(...)
3. Al fine di accedere alle misure di accoglienza di cui al presente decreto, il richiedente, al momento della presentazione della domanda, dichiara di essere privo di mezzi sufficienti di sussistenza. La valutazione dell'insufficienza dei mezzi di sussistenza di cui al comma 1 è effettuata dalla prefettura - Ufficio territoriale del Governo con riferimento all'importo annuo dell'assegno sociale.
(...)».
11. L'articolo 23 di detto decreto legislativo così prevede:
«1. Il prefetto della provincia in cui hanno sede le strutture [di prima accoglienza] dispone, con proprio motivato decreto, la revoca delle misure d'accoglienza in caso di:
(...)
e) violazione grave o ripetuta delle regole delle strutture in cui è accolto da parte del richiedente asilo, compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti.
2. Nell'adozione del provvedimento di revoca si tiene conto della situazione del richiedente con particolare riferimento alle condizioni [riguardanti l'accoglienza delle persone portatrici di esigenze particolari].
(...)
4. Nell'ipotesi di cui al comma 1, lettera e), il gestore del centro trasmette alla prefettura - ufficio territoriale del Governo una relazione sui fatti che possono dare luogo all'eventuale revoca, entro tre giorni dal loro verificarsi.
5. Il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza ha effetto dal momento della sua comunicazione (...). Il provvedimento è comunicato altresì al gestore del centro. Avverso il provvedimento di revoca è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente.
(...)».
Procedimento principale e la questione pregiudiziale
12. Nella sua qualità di richiedente protezione internazionale, TO fruiva delle condizioni materiali di accoglienza previste dal decreto legislativo n. 142/2015 ed era ospite presso un centro di accoglienza temporanea.
13. Da una relazione del 28 giugno 2019, trasmessa dalla competente autorità di polizia alla Prefettura di Firenze, risulta che, in una stazione ferroviaria, TO, con un altro richiedente protezione internazionale, ha aggredito verbalmente e fisicamente un dipendente di Trenitalia e due agenti della polizia municipale di Firenze. Questi ultimi tre hanno subito lesioni che hanno richiesto cure dispensate dal servizio locale di pronto soccorso.
14. Dopo aver invitato TO a presentare le proprie osservazioni, ciò che TO ha omesso di fare, la Prefettura di Firenze ha adottato nei confronti di TO, sulla base dell'articolo 14, paragrafo 3, e dell'articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del decreto legislativo n. 142/2015, una decisione di revoca delle condizioni materiali di accoglienza.
15. TO ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (Italia). Detto giudice ha accolto il ricorso, annullando la decisione della Prefettura di Firenze. In sostanza, tale giudice ha ritenuto che l'articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del decreto legislativo n. 142/2015 fosse contrario al diritto dell'Unione, come interpretato dalla Corte nella sua sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956), in quanto la summenzionata disposizione prevede la revoca delle condizioni materiali di accoglienza come unica sanzione possibile in circostanze di fatto come quelle di cui al procedimento principale.
16. Il Ministero dell'Interno ha interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato (Italia) avverso la decisione del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, in quanto quest'ultimo giudice avrebbe erroneamente applicato tanto il diritto nazionale quanto il diritto dell'Unione, come interpretato dalla Corte nella sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956).
17. Il giudice del rinvio mostra di nutrire dubbi riguardo alla lettura della sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956), data dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana.
18. A tal proposito, il giudice del rinvio ricorda che, conformemente all'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, gli Stati membri possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti. Orbene, non vi sarebbe alcun dubbio riguardo al fatto che la nozione di «sanzioni», ai sensi di tale disposizione, comprenda anche, in linea di principio, la revoca e la limitazione delle condizioni materiali di accoglienza, come la Corte avrebbe, del resto, riconosciuto nella sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956).
19. Il giudice del rinvio afferma che l'impossibilità di revocare le condizioni materiali di accoglienza anche nei casi di fatti particolarmente gravi e riprovevoli, che implicano violenze fisiche o spaccio di sostanze stupefacenti, potrebbe dar luogo ad abusi. Per fatti del genere, sanzioni meno severe, come il collocamento della persona interessata in una parte separata del centro di accoglienza, o in un altro alloggio, potrebbero rivelarsi inefficaci.
20. A tal riguardo, il giudice del rinvio rileva che, secondo la normativa italiana vigente, i cittadini stranieri non possono ottenere un permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo se sono stati condannati per reati considerati particolarmente gravi e riprovevoli. Orbene, non sarebbe ragionevole ritenere che gli autori di fatti altrettanto riprovevoli possano sfuggire alle sanzioni più rigorose qualora siano soggetti richiedenti la protezione internazionale che non rientrino, a differenza del ricorrente nel procedimento principale nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956), nella categoria delle persone vulnerabili, di cui all'articolo 21 della direttiva 2013/33. Secondo il giudice del rinvio, infatti, estendere i principi derivanti dalla sentenza suddetta a tali persone equivarrebbe ad applicare un trattamento identico a situazioni diverse.
21. Inoltre, l'interpretazione dell'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, sulla quale si sarebbe fondato il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, non terrebbe conto della considerazione esposta al punto 44 della sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956), secondo la quale, se gli Stati membri hanno la possibilità di adottare misure relative a dette condizioni per tutelarsi da un rischio di abuso del sistema di accoglienza, essi devono, parimenti, avere tale possibilità anche in caso di grave violazione delle regole che disciplinano i centri di accoglienza o di comportamenti particolarmente violenti.
22. Per quanto riguarda il rispetto della dignità umana, sottolineato dalla Corte nella sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956), il giudice del rinvio osserva che esso sembra poter essere garantito con il rispetto delle regole fondamentali del procedimento amministrativo e, in specie, dei principi di completezza dell'istruttoria nonché dell'obbligo di motivazione degli atti amministrativi. Tali garanzie sarebbero destinate a prevenire il rischio, evocato al punto 46 della sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956), che la revoca delle condizioni materiali di accoglienza privi l'interessato della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari - come quelli di nutrirsi, vestirsi, lavarsi e disporre di un alloggio - il che lo metterebbe in uno stato di degrado incompatibile con un livello di vita dignitoso.
23. Infine, il giudice del rinvio si chiede altresì se i «comportamenti gravemente violenti», che sono sanzionabili in forza dell'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, comprendano anche fatti commessi al di fuori di un centro di accoglienza.
24. In tale contesto, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l'articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva [2013/33], osti ad una normativa nazionale che preveda la revoca delle misure di accoglienza a carico del richiedente maggiore di età e non rientrante nella categoria delle "persone vulnerabili", nel caso in cui il richiedente stesso sia ritenuto autore di un comportamento particolarmente violento, posto in essere al di fuori del centro di accoglienza, che si sia tradotto nell'uso della violenza fisica ai danni di pubblici ufficiali e/o incaricati di pubblico servizio, cagionando alle vittime lesioni tali da rendere per le stesse necessario il ricorso alle cure del Pronto Soccorso locale».
Sulla questione pregiudiziale
25. La questione pregiudiziale si divide in due parti, che è opportuno esaminare separatamente.
Sulla prima parte della questione pregiudiziale
26. Con la prima parte della sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 debba essere interpretato nel senso che esso si applica a comportamenti gravemente violenti posti in essere al di fuori di un centro di accoglienza.
27. Occorre ricordare, a tal riguardo, che l'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 autorizza gli Stati membri a «prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti».
28. Conformemente a una costante giurisprudenza della Corte, per interpretare una disposizione del diritto dell'Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte [sentenza del 28 gennaio 2020, Commissione/Italia (Direttiva lotta contro i ritardi di pagamento), C-122/18, EU:C:2020:41, punto 39 e giurisprudenza citata].
29. Per quanto riguarda il tenore letterale dell'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, da esso risulta che le «gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza» e i «comportamenti gravemente violenti» costituiscono due ipotesi distinte, ciascuna delle quali è sufficiente a giustificare l'irrogazione di una sanzione.
30. Orbene, in mancanza, nel testo di detta disposizione, di una limitazione espressa in senso contrario e tenuto conto della necessità di interpretare le disposizioni del diritto dell'Unione in modo da preservare il loro effetto utile (v., in tal senso, sentenza del 21 marzo 2019, Falck Rettungsdienste e Falck, C-465/17, EU:C:2019:234, punto 32 e giurisprudenza ivi citata), si deve ritenere che la nozione di «comportamenti gravemente violenti» comprenda qualsiasi comportamento di tale natura, indipendentemente dal luogo in cui si è manifestato.
31. Se, infatti, l'intenzione del legislatore dell'Unione fosse stata quella di prendere in considerazione, all'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, soltanto i comportamenti gravemente violenti tenuti da un richiedente protezione internazionale in un centro di accoglienza, non sarebbe stato necessario un riferimento specifico all'ipotesi di un comportamento del genere, in quanto un comportamento siffatto, posto in essere all'interno di un centro di accoglienza, costituirebbe certamente una grave violazione della disciplina di tale centro e rientrerebbe, pertanto, nella prima ipotesi prevista da tale disposizione, rendendo superflua la seconda ipotesi.
32. Le considerazioni che precedono sono confermate tanto dal contesto in cui si inserisce l'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 quanto dall'obiettivo perseguito da tale disposizione.
33. Per quanto riguarda il contesto, è sufficiente constatare che i paragrafi da 1 a 3 di detto articolo 20 prevedono ipotesi, idonee a giustificare la limitazione o la revoca, a seconda dei casi, delle condizioni materiali di accoglienza, che non hanno alcun nesso con un comportamento posto in essere all'interno di un centro di accoglienza.
34. Per quanto riguarda l'obiettivo perseguito, poiché l'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 mira ad autorizzare gli Stati membri a sanzionare in modo adeguato i comportamenti particolarmente violenti posti in essere da un richiedente protezione internazionale, tenuto conto del pericolo che tali comportamenti possono rappresentare per l'ordine pubblico e per la sicurezza delle persone e dei beni (v., in tal senso, sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin C-233/18, EU:C:2019:956, punto 44), nulla giustifica la limitazione di tale possibilità ai soli comportamenti particolarmente violenti posti in essere all'interno di un centro di accoglienza.
35. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima parte della questione sollevata dichiarando che l'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che esso si applica a comportamenti gravemente violenti posti in essere al di fuori di un centro di accoglienza.
Sulla seconda parte della questione pregiudiziale
36. Con la seconda parte della sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33 debba essere interpretato nel senso che osta all'irrogazione, a un richiedente protezione internazionale che abbia posto in essere un comportamento gravemente violento nei confronti di pubblici funzionari, di una sanzione consistente nel revocare le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell'articolo 2, lettere f) e g), di tale direttiva.
37. A tal riguardo, è vero che la Corte ha constatato, al punto 44 della sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956), che l'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 non esclude espressamente che una sanzione possa riguardare le condizioni materiali di accoglienza.
38. Nel medesimo punto essa ha aggiunto che, se gli Stati membri hanno la possibilità di adottare misure relative a dette condizioni per tutelarsi da un rischio di abuso del sistema di accoglienza, essi devono, parimenti, avere tale possibilità anche in caso di grave violazione delle regole che disciplinano i centri di accoglienza o di comportamenti particolarmente violenti, atti che, in effetti, possono perturbare l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone e dei beni.
39. La Corte ha tuttavia aggiunto che l'imposizione di una sanzione, sulla sola base di un motivo di cui all'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, consistente nel revocare, seppur temporaneamente, il beneficio di tutte le condizioni materiali di accoglienza o delle condizioni materiali di accoglienza relative all'alloggio, al vitto o al vestiario sarebbe incompatibile con l'obbligo, derivante dall'articolo 20, paragrafo 5, terza frase, della menzionata direttiva, di garantire al richiedente un tenore di vita dignitoso, giacché tale sanzione lo priverebbe della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari, quali nutrirsi, vestirsi, lavarsi e disporre di un alloggio (v. sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin, C-233/18, ECLI:EU:C:2019:956, punto 47).
40. Una sanzione del genere equivarrebbe inoltre a violare il requisito di proporzionalità stabilito all'articolo 20, paragrafo 5, seconda frase, della direttiva 2013/33, in quanto anche le sanzioni più severe intese a contrastare, in ambito penale, le violazioni o i comportamenti di cui all'articolo 20, paragrafo 4, di tale direttiva non possono privare il richiedente della possibilità di provvedere ai suoi bisogni più elementari (sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin, C-233/18, ECLI:EU:C:2019:956, punto 48).
41. Alla luce di tali considerazioni, non può condurre ad una diversa conclusione la circostanza, evocata dal giudice del rinvio, secondo cui il comportamento da sanzionare può presentare un carattere particolarmente grave e riprovevole.
42. Per lo stesso motivo, non si può trarre alcun parallelismo tra la situazione di un richiedente protezione internazionale nell'impossibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari e quella di un cittadino di un paese terzo cui sia negato un permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo.
43. Nondimeno, al punto 52 della sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, ECLI:EU:C:2019:956), la Corte ha sottolineato gli Stati membri possono, nei casi di cui all'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, imporre, a seconda delle circostanze del caso e fatto salvo il rispetto dei requisiti di cui all'articolo 20, paragrafo 5, di tale direttiva, sanzioni che non hanno l'effetto di privare il richiedente delle condizioni materiali di accoglienza, come la sua collocazione in una parte separata del centro di accoglienza, unitamente ad un divieto di contatto con taluni residenti del centro o il suo trasferimento in un altro centro di accoglienza o in un altro alloggio, ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 1, lettera c), di tale direttiva.
44. Allo stesso punto la Corte ha anche rilevato che, analogamente, l'articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33 non osta ad una misura di trattenimento del richiedente ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 3, lettera e), della direttiva in parola, purché siano soddisfatte le condizioni di cui agli articoli da 8 a 11 della stessa direttiva.
45. Per quanto riguarda le garanzie procedurali che, in base al diritto nazionale, accompagnano la decisione di revocare le condizioni materiali di accoglienza adottata nei confronti di un richiedente protezione internazionale autore di comportamenti gravemente violenti, occorre sottolineare che tali garanzie, per quanto importanti, non consentono di escludere il rischio che il richiedente interessato possa, a seguito di tale revoca, trovarsi nell'impossibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari, quali nutrirsi, vestirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, ai quali ha fatto riferimento la Corte al punto 46 della sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin, (C-233/18, ECLI:EU:C:2019:956).
46. Occorre inoltre sottolineare che le considerazioni esposte ai punti da 46 a 52 della sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956) e riprese, in sostanza, ai punti da 39 a 45 della presente sentenza, si applicano, come emerge chiaramente da tali punti e dal tenore stesso delle disposizioni ivi interpretate, a qualsiasi richiedente protezione internazionale e non ai soli richiedenti che sono «persone vulnerabili» ai sensi dell'articolo 21 della direttiva 2013/33, di cui si occupano i punti da 53 a 55 della sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18, EU:C:2019:956).
47. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla seconda parte della questione sollevata dichiarando che l'articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che esso osta all'irrogazione, a un richiedente protezione internazionale che abbia posto in essere comportamenti gravemente violenti nei confronti di funzionari pubblici, di una sanzione consistente nel revocare le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell'articolo 2, lettere f) e g), di tale direttiva, riguardanti l'alloggio, il vitto o il vestiario, qualora ciò abbia l'effetto di privare detto richiedente della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari. L'irrogazione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana.
Sulle spese
48. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M.
la Corte (Decima Sezione) dichiara:
1) L'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, deve essere interpretato nel senso che esso si applica a comportamenti gravemente violenti posti in essere al di fuori di un centro di accoglienza.
2) L'articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che esso osta all'irrogazione, a un richiedente protezione internazionale che abbia posto in essere comportamenti gravemente violenti nei confronti di funzionari pubblici, di una sanzione consistente nel revocare le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell'articolo 2, lettere f) e g), di tale direttiva, riguardanti l'alloggio, il vitto o il vestiario, qualora ciò abbia l'effetto di privare detto richiedente della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari. L'irrogazione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana.