Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione I
Sentenza 26 agosto 2022, n. 1946
Presidente: Giordano - Estensore: Fornataro
FATTO
Cva Energie s.r.l. impugna i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l'illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili e ne chiede l'annullamento.
Si costituisce in giudizio Arera - Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, eccependo l'infondatezza del ricorso avversario, di cui chiede il rigetto.
Con ordinanza n. 1180, depositata in data 4 novembre 2021, il Tribunale ha accolto la domanda cautelare presentata dalla ricorrente.
Le parti producono memorie e documenti.
All'udienza del 6 aprile 2022, la causa viene trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Dalle allegazioni delle parti e dalla documentazione prodotta in giudizio emerge che:
- la ricorrente Cva Energie s.r.l. svolge l'attività di somministrazione di energia elettrica, rivestendo la qualifica di utente del dispacciamento in prelievo;
- con la delibera n. 342/2016/E/eel, Arera ha avviato un procedimento volto all'adozione di misure prescrittive per favorire la concorrenza e il buon funzionamento dei mercati, i cui esiti sono stati posti a fondamento del procedimento sanzionatorio successivamente attivato nei confronti della ricorrente;
- i provvedimenti prescrittivi sono stati adottati con delibera n. 489/2017, in data 28 giugno 2017 e con delibera n. 826/2017, in data 5 dicembre 2017;
- quindi, con determinazione n. DSAI/92/2017/eel del 12 dicembre 2017, l'Autorità ha disposto l'avvio del procedimento sanzionatorio, in ragione dell'accertata violazione (accertamento effettuato con deliberazione n. 489/2017/E/eel) degli obblighi di programmazione diligente, ex art. 14, comma 6, della delibera n. 111/2006;
- le risultanze istruttorie sono state comunicate con atto del 5 maggio 2021 e la sanzione pecuniaria, pari ad euro 1.404.000,00, è stata inflitta con la determinazione n. 340/2021/S/eel, notificata alla ricorrente in data 5 agosto 2021.
2. È fondata e presenta carattere assorbente la censura con la quale la ricorrente lamenta la violazione del termine di durata del procedimento sanzionatorio, in quanto protrattosi, complessivamente, per un tempo maggiore rispetto alla durata massima di 220 giorni, fissata dall'art. 4-bis all. A della deliberazione Arera n. 243/2012/E/com.
La ricorrente evidenzia che Arera ha impiegato più di 41 mesi per concludere l'istruttoria e ha definito il procedimento sanzionatorio con oltre 43 mesi di ritardo, senza neppure disporre la proroga dei termini e senza palesare la sussistenza di specifiche esigenze istruttorie.
Sul punto va evidenziato che l'art. 45, comma 5, del d.lgs. n. 93/2011 fissa in centottanta giorni - derogando all'art. 14, comma 2, della l. 689/1981 - il termine entro il quale debbono essere notificati gli addebiti all'incolpato.
Il successivo capoverso rimette all'autonomia regolamentare dell'Autorità la determinazione della disciplina dei procedimenti sanzionatori di propria competenza e nella materia de qua il potere normativo è stato esercitato da Arera con la deliberazione n. 243/2012/E/com.
Mentre l'art. 4, comma 4, dell'all. A della citata delibera richiama il termine di 180 giorni per la contestazione della violazione (termine avente natura perentoria, ex multis C.d.S., Sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 512; 17 novembre 2020, n. 7153; T.A.R. Lombardia, Sez. I, 27 maggio 2021, n. 1299; Sez. II, 20 agosto 2019, n. 1905; 24 maggio 2019, n. 1181 e n. 1180; 8 maggio 2019, n. 1032 e n. 1031; Sez. III, 4 luglio 2018, n. 1653) stabilito dalla fonte di rango primario (art. 45, comma 5, d.lgs. n. 93/2011), il successivo art. 4-bis determina in duecentoventi giorni il termine di conclusione del procedimento (a partire dalla comunicazione di avvio dello stesso).
In particolare, entro il termine di 120 giorni, decorrenti dalla data di comunicazione dell'avvio del procedimento di cui all'art. 4, il responsabile del procedimento comunica le risultanze istruttorie ai partecipanti e trasmette gli atti al Collegio per l'adozione del provvedimento finale.
Entro i successivi 100 giorni deve essere adottato il provvedimento sanzionatorio.
La norma specifica che il termine complessivo di 220 giorni: a) resta sospeso dalla data della richiesta di informazioni di cui all'art. 10, di accesso, di ispezione, di perizia o di consulenza di cui all'art. 11, nonché della richiesta di informazioni di cui all'art. 22, comma 1, fino alla data di ricevimento delle informazioni, delle relazioni peritali o consulenziali o della conclusione dell'accesso o dell'ispezione; b) è prorogato di 30 (trenta) giorni nel caso di richiesta di audizione finale avanti al Collegio; c) può essere prorogato in presenza di sopravvenute esigenze istruttorie, nonché in caso di estensione soggettiva od oggettiva del procedimento.
Nel caso di specie e in applicazione della disciplina citata, l'Autorità, in sede di comunicazione di avvio del procedimento (determinazione n. DSAI/92/2017/eel), ha ribadito che il procedimento avrebbe avuto una durata massima di 220 giorni, di cui 120 per lo svolgimento dell'istruttoria (decorrenti dal ricevimento della comunicazione di avvio del procedimento) e altri 100 giorni per l'adozione del provvedimento finale (a partire dalla conclusione dell'istruttoria).
Emerge per tabulas che, nella fattispecie di cui si tratta, l'Arera non ha rispettato simili scansioni temporali.
In particolare, non è stato rispettato il termine massimo di 120 giorni che deve intercorrere tra la comunicazione di avvio del procedimento e la comunicazione delle risultanze istruttorie.
Invero, il procedimento è stato avviato in data 12 dicembre 2017 (con determinazione DSAI/92/2017/eel), mentre le risultanze istruttorie sono state comunicate in data 5 maggio 2021.
Dalla violazione del termine indicato è derivato il superamento anche del termine massimo di 220 giorni fissato dall'art. 4-bis, comma 1, dell'all. A della delibera n. 243/2012.
Una volta accertato il superamento dei termini, si tratta di stabilire quali conseguenze ne derivino sul piano giuridico.
Il Tribunale è consapevole dell'orientamento giurisprudenziale non consolidato (C.d.S., Sez. VI, 17 marzo 2021, n. 2308; 19 gennaio 2021, n. 584) che qualifica il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio attivato dall'Arera come perentorio, ma ritiene di non aderire a tale impostazione, come già reiteratamente stabilito (cfr. T.A.R. Lombardia, Sez. I, n. 1299/2021; 16 settembre 2019, n. 1985; 6 settembre 2019, n. 1281), ribadendo la natura ordinatoria del termine in esame.
A sostegno della natura ordinatoria del termine, va evidenziato che nessuna disposizione di legge o di rango secondario prevede una conseguenza decadenziale per la sua inosservanza.
In tal senso, la Corte costituzionale - con sentenza n. 151 del 2021 - ha riconosciuto che il potere sanzionatorio esercitato dalle autorità amministrative indipendenti è soggetto alla l. n. 689/1981, la quale - a differenza di altre leggi speciali (d.lgs. n. 285/1992; d.lgs. n. 472/1997) - non introduce un termine decadenziale incidente sull'esercizio del potere, ma unicamente un termine prescrizionale, spirato il quale si presume la cessazione dell'interesse all'attuazione della pretesa sanzionatoria.
Sul punto va ricordato (cfr. C.d.S., Ad. plen., n. 5 del 2018) che la perentorietà del termine di conclusione del procedimento dev'essere espressamente stabilita dal legislatore, dovendo altrimenti qualificarsi il termine come meramente ordinatorio. E questo nonostante tale natura del termine collochi l'Autorità in una posizione di vantaggio rispetto al privato e sia astrattamente idonea a porre un problema di compatibilità con gli artt. 24 e 97 Cost.
A sostegno dell'eccezionalità della natura perentoria del termine di conclusione si pone, a ben vedere, un'ulteriore considerazione concernente il diritto di difesa: anche in assenza della consumazione del potere a causa di un effetto decadenziale, il privato non risulta soggetto in maniera indeterminata al potere dell'Amministrazione.
Egli, infatti, può - da un lato - attivare il rimedio avverso il silenzio e - dall'altro - giovarsi del termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 della l. n. 689/1981 (in tal senso, C.d.S., Sez. VI, 9 novembre 2020, n. 6888).
Inoltre, la possibilità riconosciuta dall'art. 4-bis, comma 5, della deliberazione n. 243/2012/E/com di prorogare il termine di conclusione dell'istruttoria costituisce un indice della natura non perentoria di detto termine.
Sotto altro profilo, la decadenza dal potere sanzionatorio per mero decorso del termine non garantirebbe l'effetto deterrente che vi è sotteso, il quale potrebbe essere vanificato dalla necessità di attuare un contraddittorio rafforzato, imposto dalla direttiva 2009/72/CE sulle norme comuni al mercato dell'energia elettrica, attuata dal d.lgs. n. 93 del 2011, oltre che dall'intrinseca complessità dell'istruttoria (cfr. T.A.R. Lombardia, Sez. I, 9 dicembre 2021, n. 2770).
Ne consegue che il decorso del termine di cui all'art. 4-bis cit. non comporta ex se l'illegittimità del provvedimento applicativo di una sanzione adottato tardivamente, in quanto non provoca la decadenza dal potere sanzionatorio.
Da ciò non può, tuttavia, ricavarsi una presunzione assoluta di legittimità del provvedimento sanzionatorio tardivo (T.A.R. Lombardia, Sez. II, 31 ottobre 2018, n. 2456).
Invero, appare fondamentale - per ragioni sistematiche di certezza del diritto, di salvaguardia della libertà d'impresa e di efficienza dell'amministrazione - verificare se il superamento del termine possa trovare giustificazione nella necessità di approfondire l'attività istruttoria, ovvero se il decorso del termine sia dipeso da mera negligenza.
Nel caso di cui trattasi, deve anzitutto rilevarsi come l'Autorità, pur non avendo rispettato il termine di centoventi giorni, non abbia disposto alcuna proroga del termine di cui all'art. 4-bis, comma 5, del c.d. regolamento sanzioni per sopravvenute esigenze istruttorie, che non sono state neppure palesate dall'amministrazione.
Del resto, seppure la ricorrente ha depositato una memoria di replica alle risultanze istruttorie, va osservato, da un lato, che la memoria si colloca nella fase procedimentale successiva al marcato superamento dei termini di cui all'art. 4-bis, comma 2, cit., dall'altro, che non vi sono elementi per ritenere che tale memoria abbia determinato ulteriori attività istruttorie da parte di Arera.
Inoltre, l'esame del provvedimento gravato non permette di apprezzare lo svolgimento di un'istruttoria connotata da notevole complessità; ciò tanto più se si considera che l'Autorità poteva avvalersi del compendio istruttorio già elaborato in seno al c.d. procedimento prescrittivo.
Non è condivisibile la tesi difensiva secondo la quale il notevole prolungamento della fase istruttoria sarebbe stato imposto dall'opportunità di attendere l'esito del giudizio avente ad oggetto il provvedimento prescrittivo fondato sui medesimi fatti oggetto del procedimento sanzionatorio.
Sul punto va osservato, in primo luogo, che non sussiste un rapporto di presupposizione in senso stretto tra il provvedimento prescrittivo e il provvedimento sanzionatorio, né può predicarsi l'automatica interruzione o la sospensione del termine di conclusione del procedimento sanzionatorio durante la pendenza del giudizio concernente il provvedimento prescrittivo.
Del resto, Arera non ha disposto né la sospensione, né la proroga del termine procedimentale in ragione della pendenza del contenzioso sul provvedimento prescrittivo, sicché la mera pendenza del giudizio non vale a giustificare il superamento del termine procedimentale, specie considerando che elementari esigenze di certezza non tollerano che il procedimento subisca una mera stasi di durata non prevedibile.
In ogni caso, la definizione del giudizio di primo grado inerente al provvedimento prescrittivo si è avuta con la sentenza del Tribunale n. 1906 del 20 agosto 2020, mentre la conclusione della fase istruttoria del procedimento sanzionatorio si è verificata soltanto il 5 maggio 2021, sicché, anche ponendosi nella prospettiva di Arera, il ritardo rimane consistente e ingiustificato.
Va, pertanto, ribadita la fondatezza della censura in esame, che, travolgendo radicalmente il provvedimento gravato, conduce alla piena soddisfazione della pretesa azionata dalla ricorrente e consente di ritenere assorbite le ulteriori censure proposte.
3. In definitiva, il ricorso è fondato e deve essere accolto.
L'ampia articolazione della vicenda complessiva, anche in sede processuale, consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando:
1) accoglie il ricorso e per l'effetto annulla il provvedimento sanzionatorio impugnato;
2) compensa tra le parti le spese della lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.