Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 7 luglio 2022, n. 29678

Presidente: Di Stefano - Estensore: Aprile

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bologna riformava parzialmente la pronuncia di primo grado - assolvendo, tra l'altro, Giorgio D. e Andrea P. da alcuni specifici episodi di peculato; riconoscendo a Luca B. l'attenuante di cui all'art. 62, primo comma, n. 4, c.p.; rideterminando la pena per quest'ultimo e riducendo la pena accessoria per tutti gli imputati e la confisca per due di loro - e confermava nel resto la medesima pronuncia del 10 dicembre 2019 con la quale il Tribunale di Bologna aveva condannato:

- Luigi Giuseppe V. in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, e 314 c.p., per essersi, nella sua qualità di capogruppo consiliare del Popolo delle Libertà presso l'assemblea regionale dell'Emilia-Romagna nel corso della IX legislatura (tra il maggio 2010 e il dicembre 2011), appropriato della somma complessiva di euro 819,00, di cui aveva il possesso o comunque la disponibilità in quanto denaro attribuito al predetto gruppo per le finalità di cui alla legge regionale n. 32 del 1997, giustificando tali spese come inerenti all'attività consiliare laddove le stesse riguardavano costi sostenuti per la partecipazione ad attività di partito al di fuori dell'ambito regionale ovvero spese esclusivamente personali, in violazione dell'art. 7 della predetta legge regionale che vietava l'utilizzazione di quei contributi "neppure parzialmente per finanziare organi centrali o periferici dei partiti, loro articolazioni politiche-organizzative o altri raggruppamenti interni ai partiti medesimi" (capo d'imputazione A) del procedimento recante l'iscrizione rgnr n. 11639/13);

- Gianguido Ba. in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, e 314 c.p., per essersi, nella sua qualità di consigliere componente del gruppo consiliare del Popolo delle Libertà presso l'assemblea regionale dell'Emilia-Romagna nel corso della IX legislatura (tra il maggio 2010 e il dicembre 2011), appropriato della somma complessiva di euro 3.584,59, di cui aveva il possesso o comunque la disponibilità in quanto denaro attribuito al predetto gruppo per le finalità di cui alla legge regionale n. 32 del 1997, giustificando tali spese come inerenti all'attività consiliare laddove le stesse riguardavano costi sostenuti per la partecipazione ad attività di partito al di fuori dell'ambito regionale ovvero spese esclusivamente personali, in violazione dell'art. 7 della predetta legge regionale che vietava l'utilizzazione di quei contributi "neppure parzialmente per finanziare organi centrali o periferici dei partiti, loro articolazioni politiche-organizzative o altri raggruppamenti interni ai partiti medesimi" (capo d'imputazione D) del procedimento recante l'iscrizione rgnr n. 11639/13);

- Andrea P. in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, e 314 c.p., per essersi, nella sua qualità di consigliere componente del gruppo consiliare del Popolo delle Libertà presso l'assemblea regionale dell'Emilia-Romagna nel corso della IX legislatura (tra il maggio 2010 e il dicembre 2011), appropriato della somma complessiva di euro 1.577,06, di cui aveva il possesso o comunque la disponibilità in quanto denaro attribuito al predetto gruppo per le finalità di cui alla legge regionale n. 32 del 1997, giustificando tali spese come inerenti all'attività consiliare laddove le stesse riguardavano costi sostenuti per la partecipazione ad attività di partito al di fuori dell'ambito regionale ovvero spese esclusivamente personali, in violazione dell'art. 7 della predetta legge regionale che vietava l'utilizzazione di quei contributi "neppure parzialmente per finanziare organi centrali o periferici dei partiti, loro articolazioni politiche-organizzative o altri raggruppamenti interni ai partiti medesimi" (capo d'imputazione I) del procedimento recante l'iscrizione rgnr n. 11639/13);

- Giorgio D. in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, e 314 c.p., per essersi, nella sua qualità di capogruppo consiliare di Forza Italia-Popolo delle Libertà presso l'assemblea regionale dell'Emilia-Romagna nel corso della VIII legislatura (tra il 10 gennaio 2009 e il 9 maggio 2010) [, appropriato] della somma complessiva di euro 2.681,56, di cui aveva il possesso o comunque la disponibilità in quanto denaro attribuito al predetto gruppo per le finalità di cui agli artt. 1 e 6 della legge regionale n. 32 del 1997, giustificando tali spese come inerenti all'attività consiliare laddove le stesse riguardavano costi sostenuti per la partecipazione ad attività di partito al di fuori dell'ambito regionale ovvero spese esclusivamente personali, in violazione dell'art. 7 della predetta legge regionale che vietava l'utilizzazione di quei contributi "neppure parzialmente per finanziare organi centrali o periferici dei partiti, loro articolazioni politiche-organizzative o altri raggruppamenti interni ai partiti medesimi" (capo d'imputazione A) del procedimento recante l'iscrizione rgnr n. 5702/16);

- Luca B. in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, e 314 c.p., per essersi, nella sua qualità di consigliere componente del gruppo consiliare del Popolo delle Libertà presso l'assemblea regionale dell'Emilia-Romagna nel corso della IX legislatura (tra il maggio 2010 e il dicembre 2011), appropriato della somma complessiva di euro 2.123,44, di cui aveva il possesso o comunque la disponibilità in quanto denaro attribuito al predetto gruppo per le finalità di cui alla legge regionale n. 32 del 1997, giustificando tali spese come inerenti all'attività consiliare laddove le stesse riguardavano costi sostenuti per la partecipazione ad attività di partito al di fuori dell'ambito regionale ovvero spese esclusivamente personali, in violazione dell'art. 7 della predetta legge regionale che vietava l'utilizzazione di quei contributi "neppure parzialmente per finanziare organi centrali o periferici dei partiti, loro articolazioni politiche-organizzative o altri raggruppamenti interni ai partiti medesimi" (capo d'imputazione C) del procedimento recante l'iscrizione rgnr n. 11639/13);

- Marco L. in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, e 314 c.p., per essersi, nella sua qualità di consigliere componente del gruppo consiliare di Forza Italia-Popolo della Libertà presso l'assemblea regionale dell'Emilia-Romagna nel corso della VIII legislatura (tra il gennaio 2009 e il maggio 2010), ed ancora nella medesima qualità con riferimento al gruppo consiliare del Popolo della Libertà nel corso della IX legislatura (tra il maggio 2010 e il dicembre 2011), appropriato della somma complessiva di euro 8.227,82, di cui aveva il possesso o comunque la disponibilità in quanto denaro attribuito ai predetti gruppi per le finalità di cui agli artt. 1 e 6 della legge regionale n. 32 del 1997, giustificando tali spese come inerenti all'attività consiliare laddove le stesse riguardavano costi sostenuti per la partecipazione ad attività di partito al di fuori dell'ambito regionale ovvero spese esclusivamente personali, in violazione dell'art. 7 della predetta legge regionale che vietava l'utilizzazione di quei contributi "neppure parzialmente per finanziare organi centrali o periferici dei partiti, loro articolazioni politiche-organizzative o altri raggruppamenti interni ai partiti medesimi" (capi d'imputazione E) e H), il secondo del procedimento recante l'iscrizione rgnr n. 11639/13).

Rilevava la Corte territoriale come le somme oggetto di appropriazione dovessero considerarsi nella disponibilità non solo dei capigruppo, che avevano la custodia del denaro e il potere diretto di disporne, ma anche dei consiglieri componenti di ciascun gruppo, dato che gli stessi avevano ottenuto il rimborso delle spese sostenute sulla base di una mera richiesta con allegata documentazione, senza che il presidente del gruppo effettuasse alcun controllo formale o sostanziale; come la disciplina regionale di riferimento consentisse di affermare che il rimborso delle spese sostenute anche dal singolo consigliere sarebbe stato legittimo solo [se] connesse alle funzioni istituzionali dei rispettivi gruppi di appartenenza o aventi uno scopo di rappresentanza promozionale dell'ente (venendo dunque esclusa la possibilità di rimborso, oltre che di quelle strettamente private, delle spese connesse solo all'attività politica dei partiti, alla promozione della attività politica del singolo consigliere svolta in maniera scissa da iniziative del gruppo consigliare); come l'onere di dimostrare la non riferibilità delle spese rimborsate a quelle finalità spettasse alla pubblica accusa, potendosi a tale scopo valorizzare anche l'esistenza di plurimi e convergenti indizi, la cui valenza dimostrativa la difesa di ciascun imputato avrebbe avuto l'onere di contrastare; e come il danno procurato in termini di immagine per l'ente regionale da condotte valutate nel loro complesso non potesse considerarsi trascurabile e che tanto era di ostacolo al riconoscimento della attenuante della particolare tenuità di cui all'art. 323-bis c.p.

Alla luce di tali criteri, la Corte distrettuale riteneva dimostrata la colpevolezza:

- del V., in qualità di capogruppo, con riferimento alle spese per pasti in ristoranti che erano state "duplicate" (in una situazione in cui era impossibile che l'imputato si fosse trovato per cene in luoghi diversi) o che erano state sostenute mentre il prevenuto era in compagnia di Francesca G., con la quale aveva all'epoca una relazione sentimentale: pranzi talora indicati con più coperti o con la menzione della sola qualifica della commensale per impedirne la identificazione, consumati in contesti in cui aveva in realtà prevalso l'aspetto privatistico;

- quella del Ba., in qualità di consigliere, in relazione alle spese di buffet e di viaggio in auto effettuato nell'ottobre 2010 a Palermo, perché non collegate alle iniziative del gruppo regionale, ma finalizzate alla ricerca di consenso personale, e concernenti un viaggio in auto verosimilmente costituente una "gita di piacere" in Sicilia, avendo gli altri partecipanti viaggiato in aereo; alle spese di utilizzo con un accompagnatore di stanze di hotel, prenotate in occasione di viaggi istituzionali a Roma; alle spese concernenti due viaggi a Roma in occasione dei quali il costo di consumazioni di bar presso stazioni ferroviarie erano risultate incompatibili con quelle contemporanee sostenute nel viaggio in auto;

- quella del P., in qualità di consigliere, in relazione alle spese per alberghi, perché riguardanti la partecipazione ad eventi non attinenti alla funzione politica né autorizzati dal gruppo consiliare, fatti pure passare, in parte, in un caso come spese per il pernotto di un sottosegretario e in un altro per il pernotto di un deputato del Popolo delle Libertà, in luogo dell'effettivo pernotto e consumo pasti dell'imputato con la moglie e la figlia; e in relazione alle spese di trasporto, calcolate in ragione dei 0,81 euro per chilometro anziché per 0,61 come previsto, con riferimento ad un viaggio a Brisighella (incompatibile con le richieste di rimborso spese per un pranzo e una cena effettuate lo stesso giorno, ma in località diverse e incompatibili); ad un viaggio a Roma, con riferimento alle spese per noleggio di un'auto con conducente da Piacenza a Bologna e tragitto al contrario, con duplicazione di rimborsi per avere già ottenuto in uno dei due giorni il rimborso forfettario per il tragitto da casa presso la sede del consiglio regionale; e ad un viaggio a Milano, per la partecipazione ad un convegno, in un giorno in cui l'imputato era stato impegnato nei lavori in una commissione regionale;

- quella del D., in qualità di capogruppo, in relazione al rimborso di spese per una serie di viaggi (a Milano o a Napoli) che il prevenuto non aveva potuto effettuare perché documentalmente impegnato in altri luoghi; o (a Napoli) perché concernente un lungo viaggio effettuato in auto, anziché con il più comodo mezzo del treno, senza la contestuale richiesta di rimborso dei pedaggi autostradali o dei pasti; o (a Roma) per un viaggio in auto che irragionevolmente il predetto avrebbe potuto fare in treno, anziché tornare da Modena a Ferrara per poi prendere l'auto per recarsi a Roma; o ancora (a Milano) per un viaggio fatto risultare come effettuato in auto, mentre era stato fatto in treno;

- quella del B., in qualità di consigliere, in relazione alle spese per rimborsi chilometrici o per pernotto alberghiero, in occasione di un viaggio per il quale era stata duplicata la richiesta di rimborso e addebitato all'ente regionale il pernotto della moglie (così per una trasferta a Roma); di altro viaggio (a Roma) in cui era stato falsamente attestato un incontro dell'imputato con un ministro, mentre le spese alberghiere avevano riguardato il pernotto di una sua collaboratrice con il fidanzato; di altro viaggio (a San Piero in Bagno) fatto risultare come compiuto in un giorno in cui il B. si trovava in tutt'altra località, Taranto, per le cui spese di trasferta era stata avanzata altra richiesta di rimborso, senza che peraltro fosse stata provata la relativa presenza ad un convegno organizzato dal partito politico e non anche dal gruppo consiliare regionale, considerato che l'imputato aveva fatto risultare le spese per un pranzo a Forlì; oppure di un ulteriore viaggio (a Civitella di Romagna) per la partecipazione ad un convegno organizzato dalla massoneria;

- e quella del L., in qualità di consigliere, in relazione alle spese per trasferte effettuate con auto privata, nello stesso giorno in località incompatibili tra loro perché molto lontane una dall'altra, oppure con richieste di rimborso duplicate o giustificate dall'incontro con uomini politici che in quei giorni non erano presenti nella città indicata oppure già rimborsate direttamente dalla Regione; alle spese alberghiere riguardanti anche la presenza ingiustificata della moglie o alle spese per una cena effettuata con la moglie e i due figli; alle spese pubblicitarie, per un importo per il quale, nonostante fosse stato pagato dal gruppo consiliare, l'imputato aveva chiesto e ottenuto il rimborso personale, oppure per la realizzazione di manifesti di sostegno alla campagna elettorale personale; o alle spese per un contributo effettuato in favore di una fondazione per l'organizzazione di un convegno che era risultato non si fosse mai svolto, importo che in realtà era stato erogato per sostenere la campagna elettorale di candidato sindaco della zona.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il V., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto, con quattro distinti punti, i motivi come di seguito sinteticamente riportati.

2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125 e 192 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte di appello confermato, in ordine a taluni specifici episodi, la pronuncia di condanna di primo grado limitandosi a riproporre gli argomenti contenuti in quella prima sentenza, omettendo di confutare le censure che erano state formulate dalla difesa con l'atto di impugnazione: in particolare, con riferimento alle spese di ristorazione concernenti pasti consumati dal V. con Francesca G., senza considerare che la predetta aveva all'epoca varie vesti politico-istituzionali (presidente di un consiglio di un comune emiliano di Fidenza, coordinatore del locale partito del Popolo della Libertà e vice-coordinatore di quel partito nel comune), sicché gli incontri che aveva avuto con l'imputato, tutti precedenti al dicembre 2011, momento di inizio della loro relazione sentimentale, avevano avuto una rilevanza politico-istituzionale e non "certamente e nettamente privata", come asserito nella sentenza impugnata (non potendo altrimenti valorizzare una cena "a tre" dell'agosto 2010 e un episodico e molto precedente pernottamento nell'ottobre 2011); mentre con riferimento alle spese di ristorazione duplicate in due occasioni, i giudici di merito non avevano fornito argomenti per superare la spiegazione, tutt'altro che generica, data dal V. che aveva ricordato come fosse frequente la sua partecipazione (anche ciascuna limitata nel tempo) nella sua veste di capogruppo, dunque in rappresentanza dell'intero gruppo consiliare, ad una pluralità di eventi nella medesima giornata che si svolgevano a pochi chilometri di distanza l'uno dall'altro.

2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 314 c.p., per avere la Corte territoriale confermato la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di peculato, senza considerare che il capogruppo ha una disponibilità giuridica solo "provvisoria" delle somme stanziate in favore del gruppo dall'ufficio di presidenza del Consiglio e la materia[le] apprensione delle stesse avviene solo dopo aver presentato una richiesta di rimborso con allegata documentazione giustificativa, che doveva essere esaminata da una comitato tecnico, che configurerebbe al più una forma di artificio o raggiro in danno dell'ente regionale erogante.

2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 323-bis e 62, n. 4, c.p., benché la valutazione del solo danno da considerare, quello patrimoniale, pari a circa 800 euro, ben poteva giustificare il riconoscimento della attenuante generica o di quella speciale previste dalle citate disposizioni.

3. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il Ba., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto due motivi.

3.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 314 c.p. e alla l.r. Emilia-Romagna n. 32 del 1997, per avere la Corte di appello erroneamente qualificato come peculato la condotta ascritta al Ba., benché la Cassazione nella sentenza Bernardini del 2021 avesse chiarito, in relazione ad una posizione analoga di altro consigliere di quella stessa Regione, che il singolo consigliere regionale non ha la disponibilità giuridica delle somme assegnate in dotazione a ciascun gruppo consiliare; non potendo, a tal fine, essere valorizzati i dati normativi riferibili ad altri enti regionali che prevedono meccanismi di rimborso spese diversi da quello vigente per la Regione Emilia-Romagna.

3.2. Vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado con riferimento alle vicende indicate nei nn. 2, 14-15, 19 e 23 dell'imputazione, essendo stata sminuita la valenza dimostrativa delle prove a discarico e utilizzate massime di esperienza di discutibile rigore logico: come quella (concernente il viaggio in Sicilia di imprenditori ravennati dell'ottobre 2010) che per un viaggio dall'Emilia a Palermo non fosse ragionevole l'impiego della propria vettura invece che dell'aereo, utilizzato da tutti gli altri cittadini ravennati che si erano recati in Sicilia; che l'uso dell'auto in tale trasferta era incerto, non essendo stato chiesto il rimborso di pedaggi autostradali o del traghetto; che era ingiustificata la spesa per un pasto offerto dal consigliere agli imprenditori ravennati, non trattandosi di un iniziativa istituzionale; o come quella (concernente due pernotti a Roma del gennaio e dell'aprile 2010) che l'uso di una stanza doppia in presenza di un accompagnatore comporti sempre un incremento di spesa; ovvero come quella (concernente due viaggi a Roma per incontri con altrettanti ministri del gennaio e dell'aprile 2011) che una consumazione effettuata al bar di una stazione ferroviaria fosse incompatibile con una successiva trasferta in auto a Roma effettuata lo stesso giorno.

4. Contro la sentenza ha presentato ricorso il P., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto, con tredici distinti punti, i motivi sintetizzabili come segue.

4.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 516, 517, 518 e 604 c.p.p., e vizio di motivazione, per contraddittorietà, illogicità e/o insufficienza, per avere la Corte di appello disatteso l'eccezione difensiva concernente un difetto di correlazione tra fatto contestato e fatto deciso ed una connessa lesione del diritto di difesa, ritenendo il P. responsabile della commissione di un reato monosoggettivo nonostante gli fosse stato contestato un concorso nella commissione di un reato da parte del capogruppo consiliare, con contributi causali diversi di ciascun concorrente e con indicazione in capo al solo capogruppo della disponibilità diretta del denaro oggetto di asserita appropriazione.

4.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314 c.p. e l.r. Emilia-Romagna n. 32 del 1997, e vizio di motivazione, per contraddittorietà, illogicità e/o insufficienza, per avere la Corte territoriale erroneamente qualificato come peculato la condotta ascritta al P., benché la Cassazione nella sentenza Bernardini del 2021 avesse chiarito, in relazione ad una posizione analoga di altro consigliere di quella stessa Regione, che il singolo consigliere regionale non ha la disponibilità giuridica delle somme assegnate in dotazione a ciascun gruppo consiliare; non potendo, a tal fine, essere valorizzati i dati normativi riferibili alla Regione Piemonte che prevede un meccanismo di rimborso spese diverso da quello vigente per la Regione Emilia-Romagna; con la conseguenza che le condotte accertate potrebbero integrare gli estremi di altri meno gravi reati, tutti oramai estinti per prescrizione.

4.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 587 c.p., 3 e 27 Cost., e vizio di motivazione, per contraddittorietà, illogicità e/o insufficienza, per avere la Corte distrettuale confermato la pronuncia di condanna di primo grado in una situazione sostanzialmente assimilabile a quella decisa dalla Cassazione nel caso del consigliere Bernardini, i cui effetti, dunque, vanno estesi anche al P.

4.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 314 c.p., e vizio di motivazione, per contraddittorietà, illogicità e/o insufficienza, per avere la Corte di merito ritenuto ingiustificatamente infondata la censura difensiva con la quale si era sostenuto che le condotte ascritte al P. non potevano considerarsi sorrette dall'elemento psicologico richiesto per la configurabilità del delitto di peculato.

4.5. Violazione di legge, in relazione agli artt. 530 e 533 c.p.p., e vizio di motivazione, per contraddittorietà, illogicità e/o insufficienza, per avere la Corte bolognese disatteso il rispetto del principio dell'onere della prova gravante sulla accusa e il principio della differenza tra regole di valutazione dell'illecito penale e regole di valutazione dell'illecito contabile: criteri che la giurisprudenza della Cassazione prescrive come necessari anche nei processi riguardanti presunte forme di appropriazione di denaro pubblico.

4.6. Violazione di legge, in relazione agli artt. 323-bis e 62, n. 4, c.p., e mancanza di motivazione, per avere la Corte di appello rigettato la richiesta difensiva di riconoscimento delle attenuanti previste da tali articoli, tenuto conto della tenuità dei fatti valutati nel loro complesso o, quanto meno, della esiguità del danno patrimoniale.

4.7. Violazione di legge, per avere la Corte territoriale confermato la statuizione in ordine all'applicazione della misura della confisca, che va pertanto revocata.

4.8. Con nota trasmessa il 21 giugno 2022 il difensore del P. ha formulato motivi nuovi, tornando a lamentare la inosservanza o la mancata applicazione degli artt. 323-bis e 62, primo comma, n. 4, c.p., per avere la Corte di appello tautologicamente escluso il riconoscimento delle due attenuanti, benché sia stata drasticamente ridotta la somma che sarebbe stata indebitamente percepita, portata a limiti modesti, senza considerare le prassi applicative operanti in quella Regione e il disinteresse dell'imputato all'esito delle pratiche di rimborso; nonché per avere il 15 giugno 2022 provveduto a restituire alla Regione l'importo indicato come oggetto di appropriazione.

5. Contro la stessa sentenza ha presentato ricorso il D., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto quattro motivi.

5.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314 c.p. e 27 Cost., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di condanna di primo grado sulla base di una "insinuazione congetturale" che si è chiesto all'imputato di fugare, utilizzando massime di esperienza in contrasto con il testo dell'imputazione e invertendo l'onere della prova che grava sulla pubblica accusa: in particolare, per avere valorizzato, in generale, la circostanza che il D. non avesse mai richiesto il rimborso dei pedaggi autostradali per i suoi viaggi in auto, cosa che non aveva mai fatto durante tutto il suo mandato consiliare; oppure circostanze inconferenti (viaggio in treno del giorno precedente e noleggio di auto per recarsi in stazione, per il viaggio Ferrara-Milano del 7 maggio 2009; convocazione di una riunione a Ferrara, senza certezze che si fosse svolta o che vi avesse partecipato il D., incompatibile con gli orari del viaggio in auto a Napoli e ritorno del 14 febbraio 2009); la partecipazione ad un pranzo a Modena nel primo caso, a Ferrara nel secondo, il giorno stesso delle trasferte da Ferrara a Roma del 21 aprile 2009 e a Napoli del 23 aprile 2009; mero errore di computo del giorno per il viaggio a Milano del 4 dicembre 2008).

5.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314 e 49, secondo comma, c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di considerare che la condotta accertata con riferimento ai cinque episodi verificati aveva avuto una radicale inoffensività, in una ipotesi di "peculato compensato": tenuto conto che, a fronte della limitatezza dei fondi a disposizione, il D. aveva scelto di viaggiare sempre in seconda classe, di non chiedere mai il rimborso del pedaggio autostradale e di non usufruire del rimborso chilometrico secondo le tabelle Aci, avendo effettuato i calcoli sulla base di una vettura di cilindrata media e non anche della sua auto di 5.000 c.c.; con la conseguenza che le sue iniziative non avevano comportato alcuna lesione dell'interesse protetto, avendo l'imputato ottenuto rimborsi in misura inferiore a quella che gli sarebbe dovuta spettare.

5.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 81 e 323-bis c.p., per avere la Corte distrettuale disatteso il principio enunciato dalle Sezioni unite secondo il quale la valutazione del riconoscimento o meno di una circostanza attenuante va effettuata sempre con riferimento ai singoli reati posti in continuazione e non anche in relazione al reato continuato considerato unitariamente; nonché per avere fatto riferimento a pregiudizi per la pubblica amministrazione, attinenti al tutela del patrimonio e dell'immagine, che non sono beni giuridicamente tutelati dall'art. 314 c.p.

5.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 81, secondo comma, 132 c.p., 597 c.p.p., e 27 Cost., per avere la Corte di merito omesso di indicare gli aumenti di pena previsti per ciascuno dei reati-satellite posti in continuazione; nonché per avere violato il principio del divieto di reformatio in peius, tenuto conto che, nel ridurre la pena in ragione dell'intervenuta assoluzione per alcuni episodi contestati, i giudici di secondo grado non hanno effettuato una riduzione della pena per i reati-satellite derivante dalla proporzione, determinata dal giudice di primo grado, tra la misura totale degli aumenti di pena e numero dei reati-satellite posti in continu[a]zione.

6. Hanno proposto ricorso anche il B. e il L., con atto sottoscritto dai loro difensori, i quali ha dedotto cinque motivi.

6.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314 c.p., 1-7 della l.r. Emilia-Romagna n. 32 del 1997, e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello erroneamente qualificato come peculato la condotta ascritta al P., benché la Cassazione nella sentenza Bernardini del 2021 avesse chiarito, in relazione ad una posizione analoga di altro consigliere di quella stessa Regione, che il singolo consigliere regionale non ha la disponibilità giuridica delle somme assegnate in dotazione a ciascun gruppo consiliare; non potendo, a tal fine, essere valorizzati i dati normativi riferibili alla Regione Piemonte che prevede un meccanismo di rimborso spese diverso da quello vigente per la Regione Emilia-Romagna; con la conseguenza che le condotte accertate potrebbero al più integrare gli estremi di altri meno gravi reati, tutti oramai estinti per prescrizione.

6.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314, 640 e 316-ter c.p., 192 c.p.p., 1-7 della l.r. Emilia-Romagna n. 32 del 1997, e vizio di motivazione, per mancanza, apparenza, manifesta illogicità e travisamento della prova, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado, valorizzando regole di giudizio errate o meramente congetturali (così per la partecipazione del B. ad un convegno sulla massoneria, ritenuto argomento avulso da qualsivoglia contesto istituzionale; o per un viaggio del L. a Milano dell'ottobre 2010; o per i contributi dati ad una fondazione per l'organizzazione di convegni, che non è sicuro che non si siano poi svolti), oppure omettendo di valutare le giustificazioni date dagli imputati in ordine alla loro buona fede ovvero alla mancata incidenza di talune circostanze (come la presenza della moglie del consigliere B. in un viaggio o della moglie del consigliere L. in altro viaggio fuori Regione, con cena consumata con i loro due figli) sulla effettiva offensività della condotta; senza considerare gli elementi di prova addotti dalla difesa in ordine alla delega di compiti istituzionali affidati a propri collaboratori (ad esempio, per un viaggio a Roma di un collaboratore del B. per incontrare un ministro); alla probabile esistenza di errori materiali o di condotte caratterizzate da assenza di dolo di locupletazione (così per la partecipazione del B. ad un concerto gospel, per richieste di rimborso trasferte in auto del maggio 2009 e dell'aprile 2011 per L.; per l'asserita presenza della moglie del L. per le spese di pernotto della moglie dei figli del L.; o per il rimborso di spese per spot pubblicitari o per pubblicità su una radio sempre per il L.); alla differente valutazione riservata a situazioni analoghe che avevano caratterizzato la vicenda di un coimputato (così per le spese alberghiere di viaggi a Roma ai quali aveva partecipato anche la moglie del L., e per le spese per manifesti e spazi pubblicitari sostenute sempre dal L.); alla omessa considerazione delle indicazioni fornite da un testimone (così per un viaggio in auto del L.); o anche alla incerta e alternativa ricostruzione degli eventi (così per il viaggio del B. a Taranto).

6.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314, 640 e 316-ter c.p., 192 c.p.p., 1-7 della l.r. Emilia-Romagna n. 32 del 1997, e vizio di motivazione, per mancanza, apparenza, manifesta illogicità e travisamento della prova, per avere la Corte distrettuale ritenuto la sussistenza dell'elemento psicologico del reato contestato, benché fosse stato dimostrato che i due imputati non avessero la consapevolezza di essere pubblici ufficiali ovvero che avessero la disponibilità giuridica delle somme erogate al gruppo consiliare; senza tenere conto che la normativa in materia era complessa e di difficile comprensione e interpretazione, tanto da aver generato contrasti giurisprudenziali; che non vi erano prassi contrarie né erano state date ai consiglieri indicazioni dagli organi di partito; che le richieste di rimborso presentate a molta distanza di tempo potevano recare errori o incompletezze.

6.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314 e 323-bis c.p., 192 c.p.p., 1-7 della l.r. Emilia-Romagna n. 32 del 1997, e vizio di motivazione, per mancanza, apparenza, manifesta illogicità e travisamento della prova, per avere la Corte di merito disatteso la richiesta difensiva di concessione dell'attenuante speciale.

6.5. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314, 640, 640-bis, 316-ter e 62, n. 4, c.p., 192 c.p.p., 1-7 della l.r. Emilia-Romagna n. 32 del 1997, e vizio di motivazione, per mancanza, apparenza, manifesta illogicità e travisamento della prova, per avere la Corte di merito disatteso la richiesta difensiva di concessione dell'attenuante generica.

7. All'odierna udienza il Collegio ha disposto la riunione del procedimento rgn 17792/2022 a carico del B. e il L. al procedimento rgn 15203/2022 a carico degli altri quattro imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di Luigi Giuseppe V. sia inammissibile.

1.1. Il primo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità in parte perché manifestamente infondato e in parte perché presentato [per] fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.

1.1.1. La denunciata violazione di legge è manifestamente infondata, in quanto è pacifico che la mancata osservanza dell'art. 192 c.p.p., anche se richiamata in relazione a regole di valutazione probatoria, non è assistita da alcuna specifica sanzione processuale e, dunque, non rileva in quanto tale, ma refluisce nell'eventuale deduzione di vizi del percorso argomentativo della sentenza (così, ex multis, Sez. un., n. 29541 del 16 luglio 2020, Filardo, Rv. 280027).

1.1.2. Il ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivo della sua impugnazione, il vizio di manifesta illogicità della motivazione della decisione gravata, non avendo prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né essendo stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.

Invero, il ricorrente si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Bologna aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante l'istruttoria dibattimentale di primo grado. Tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un "travisamento delle prove", vale a dire una incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, sia stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di "travisamento dei fatti" oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale d'indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.

La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità, avendo la Corte territoriale spiegato, dando una risposta a tutti i rilievi contenuti nell'atto di appello, come la relazione sentimentale tra il V. e la G. fosse sorta in epoca anteriore al dicembre 2011, essendovi stata anche una richiesta di rimborso spese per un pernotto comune dei due di oltre un anno prima, del quale nel ricorso significativamente non si parla; nonché di spese di ristorazione con fatture nelle quali era stato indicato genericamente la commensale con la qualifica, senza dati identificati, evidentemente per non permetterne un più diretto collegamento come la compagna dell'imputato: contesto nel quale era stata convincentemente giudicata irrilevante la circostanza che la G. in quel periodo ricoprisse taluni incarichi politici e istituzionali, di certo non compatibili con la natura delle spese rimborsate.

Inoltre, per le spese di ristorazione duplicate le doglianze difensive risultano aspecifiche, perché la difesa si è concentrata sull'aspetto relativo alla compatibilità della partecipazione a più cene in luoghi diversi, per ciascuna per un limitato arco temporale, ma non si è confrontata con la motivazione della sentenza gravata che mette l'accento sul fatto che il rimborso non riguardava solo la spesa della cena del consigliere, ma le spese per tutti i commensali e per tutti i pasti anche se cronologicamente incompatibili tra loro (v. pag. 104 sent. impugn.).

1.2. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.

Non coglie nel segno il riferimento al principio di diritto enunciato nella sentenza Bernardini 2021, con la quale questa Corte di cassazione si è occupata di una vicenda analoga riguardante un consigliere dell'assemblea regionale della Emilia-Romagna, in quanto - come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo della motivazione (v. infra i punti 3.1.1 e 3.1.2), cui si fa rinvio - quella regula iuris non è riferibile alla figura del capogruppo consiliare, qual era il V.

Per il resto i rilievi formulati dalla difesa sono inammissibili perché si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, per altro, v'è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte territoriale; oppure perché aventi ad oggetto una questione, quella della disponibilità c.d. "provvisoria" da parte del capogruppo delle somme stanziate in favore del relativo gruppo consiliare, che è stata dedotta per la prima volta solo con il ricorso per cassazione e che, dunque, non è ammissibile, giusta la previsione dell'art. 606, comma 3, c.p.p.

Al riguardo è sufficiente sottolineare come la legislazione della Regione Emilia-Romagna prevedesse, all'epoca dei fatti, che ciascun gruppo consiliare riceveva dall'ufficio della presidenza regionale contributi annuali erogati per il funzionamento dello stesso gruppo: fondi accreditati su un conto la cui gestione e operatività era affidata direttamente ai rispettivi capigruppo i quali dovevano, perciò, considerarsi titolari di una disponibilità giuridica diretta dei relativi importi, intesa come facoltà di esercitare sul denaro un potere giuridicamente rilevante: situazione esattamente corrispondente a quella del possesso ovvero a quella disponibilità dell'agente per ragioni del servizio o dell'ufficio, che costituisce elemento costitutivo della fattispecie di peculato.

1.3. Anche il terzo motivo del ricorso è inammissibile.

1.3.1. La violazione dell'art. 62, primo comma, n. 4, c.p. è stata denunciata per la prima volta solo con il ricorso per cassazione.

L'art. 606, comma 3, c.p.p. prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.

1.3.2. Priva di pregio è la censura difensiva riguardante la mancata applicazione dell'art. 323-bis c.p.

La decisione della Corte di appello di Bologna di negare, nonostante l'entità ridotta del danno economico direttamente collegabile alla liquidazione di rimborsi per spese non dovuti, la configurabilità dell'attenuante speciale in ragione di una valutazione complessiva della vicenda, che aveva fatto emergere un danno all'immagine per l'ente Regione Emilia-Romagna di entità di certo non trascurabile (v. pag. 105 sent. impugn.), si pone esattamente in linea con l'interpretazione frutto di un oramai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità: per la quale, in tema di reati contro la pubblica amministrazione, l'attenuante speciale prevista dall'art. 323-bis c.p. per i fatti di particolare tenuità, diversamente da quella comune di cui all'art. 62, primo comma, n. 4, c.p., ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato (Sez. 6, n. 8295 del 9 novembre 2018, dep. 2019, Santimone, Rv. 275091-01; Sez. 6, n. 14825 del 26 febbraio 2014, Di Marzio, Rv. 259501; Sez. 6, n. 199 del 19 dicembre 2011, dep. 2012, Lia, Rv. 251567).

1.4. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.

2. Anche il ricorso presentato nell'interesse di Giorgio D. è inammissibile.

2.1. Il primo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità.

Manifestamente infondate sono le doglianze difensive afferenti all'impiego, nella ricostruzione dei fatti di causa, di asserite "insinuazioni congetturali" ovvero di fallici massime di esperienza, nonché alla inversione dell'onere della prova gravante sulla pubblica accusa.

Sul punto questa Corte di cassazione, con un indirizzo esegetico consolidato, ha chiarito che, in tema di peculato, grava sulla pubblica accusa l'onere di provare il carattere indebito di spese pubbliche non riferibili ai fini istituzionali dell'ente, di cui sia stato richiesto il rimborso, non potendosi confondere i piani, tra loro distinti, della responsabilità contabile per danno erariale e della responsabilità penale (così, tra le molte, Sez. 6, n. 40595 del 2 marzo 2021, Bernardini, Rv. 282742-02; Sez. 6, n. 21166 del 9 aprile 2019, Marino, Rv. 276067; Sez. 6, n. 38245 del 3 luglio 2019, De Luca, Rv. 276712-01; Sez. 6, n. 35683 del 1° giugno 2017, Adamo, Rv. 270549-01).

In dettaglio, proprio con riferimento ad una fattispecie di peculato mediante appropriazione di fondi assegnati ai gruppi consiliari, si è puntualizzato che la prova dell'appropriazione può essere desunta anche da elementi indiziari lì dove, a fronte di documentazione giustificativa generica e di per sé non indicante il tipo di attività cui la spesa inerisce, emergano profili da cui desumere l'estraneità della spesa all'esercizio della funzione, quali l'accertata presenza del pubblico ufficiale in luoghi diversi da quelli indicati sul documento contabile, l'allegazione di una molteplicità di scontrini che, per frequenza e sistematicità, rivelano spese non collegate ad iniziative del gruppo, l'effettuazione di spese in luoghi e giorni incompatibili con lo svolgimento di attività istituzionale, l'effettuazione di prelievi, dal fondo assegnato al gruppo, anticipati e temporalmente distanti rispetto alla data della documentazione presentata per il rimborso (Sez. 6, n. 16765 del 18 novembre 2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-08).

Di tali regulae iuris la Corte di appello di Bologna ha fatto buon governo, scegliendo di selezionare tra le centinaia di richieste di rimborso spese avanzate dal D. solamente quelle per le quali gli elementi di prova indiziaria avevano permesso di affermare, con un adeguato grado di certezza, che il prevenuto aveva beneficato di rimborsi per spese non effettuate ovvero per spese finalizzate a soddisfare esigenze personali e non anche collegabili alla funzionalità del gruppo consiliare da lui diretto. In tal senso è significativo della rigorosa selezione operata dai giudici di secondo grado come, a fronte di un originario addebito concernente una supposta appropriazione di 120.418,50 euro, denaro attributo al gruppo consiliare da lui diretto, il D. sia stato giudicato responsabile del reato di peculato con riferimento alla limitata somma complessiva di 2.681,56 euro.

La Corte territoriale si è sostanzialmente uniformata a quelle opzioni ermeneutiche, chiarendo di aver effettuato una valutazione rigorosa e di aver riconosciuto la responsabilità penale del D. solo per le condotte in relazione alle quali erano stati acquisiti indicatori di forte valenza dimostrativa, come la totale incompatibilità spaziale e temporale tra due spese, l'accertata presenza dell'interessato in un luogo diverso da quello menzionato nella istanza di rimborso ovvero la dimostrata illogicità di viaggi in auto lunghi e faticosi, a fronte della possibilità di utilizzare altri mezzi di trasporto, peraltro ampiamente impiegati dall'imputato.

In un siffatto contesto probatorio - nel quale la circostanza che il D. non avesse mai richiesto il rimborso dei pedaggi autostradali per i suoi viaggi in auto, lungi dal costituire la prova della colpevolezza per singole condotte, è un dato indiziario valorizzato solo ad abundantiam - i giudici di merito hanno convincentemente spiegato come la falsa allegazione di documentazione di spese avesse riguardato:

- il viaggio da Ferrara a Milano del 7 maggio 2009, in quanto era umanamente inconcepibile che il D. nello stesso giorno si fosse recato a Milano partendo in treno da Bologna nel pomeriggio, alle 15,40, per poi tornare in serata a Ferrara ed effettuare un nuovo viaggio in auto verso e da Milano asseritamente per un impegno politico istituzionale fissato nella serata;

- la partecipazione ad una riunione politica a Ferrara, senza che fosse stata acquisita la prova che la stessa non si fosse poi realmente svolta o che non vi avesse partecipato il D., in orari incompatibili con il viaggio in auto a Napoli e ritorno asseritamente effettuato dal prevenuto nella stessa giornata del 14 febbraio 2009;

- la partecipazione ad un pranzo a Modena nel primo caso e a Ferrara nel secondo, il giorno stesso delle trasferte da Ferrara a Roma del 21 aprile 2009 e a Napoli del 23 aprile 2009; essendo contraria alla logica umana la ricostruzione difensiva secondo cui, nel primo di quei giorni, dopo il pranzo a Modena, il D. fosse tornato in treno fino a Ferrara per poi partire in auto a Roma e rientrare a Ferrara in giornata; ovvero secondo cui, nel secondo, dopo aver pranzato a Ferrara, egli avesse affrontato un viaggio in auto di andata a Roma e di ritorno in giornata;

- il viaggio a Milano del 4 dicembre 2008, per il quale era stata esclusa la possibilità di un mero errore nella formulazione della richiesta di rimborso, dato che in quello stesso giorno era stata formulata una istanza di rimborso per le spese di un viaggio a Roma, con presenza la sera a Terni, laddove era stato accertato che il viaggio a Milano non poteva essere stato effettuato, come la difesa aveva cercato di sostenere, il giorno prima o quello successivo, dato che sia il 3 sia il 5 dicembre il D. era stato a Bologna.

Le censure difensive hanno finito così per riproporre questioni di fatto che erano state portate all'attenzione della Corte di appello, alle quali nella sentenza impugnata si era risposto con argomenti nei quali non è riconoscibile alcun vizio di manifesta illogicità.

2.2. Il secondo motivo (nella parte in cui è stata prospettata l'inoffensività di condotte connesse a spese "compensate" con altre di cui era stato asseritamente domandato un rimborso in misura inferiore a quanto sarebbe stato lecito chiedere), il terzo motivo (nella parte in cui è stato evidenziato un particolare problema attinente alla mancata applicazione dell'art. 323-bis c.p.) e il quarto motivo (nella parte in cui è stata denunciata la omessa quantificazione della pena per ciascuno dei reati satellite posti in continuazione) sono inammissibili perché, nei termini indicati, aventi ad oggetto questioni che non erano state dedotte con l'atto di appello.

2.3. Il quarto motivo del ricorso, nella parte in cui è stata denunciata dalla difesa la violazione del divieto di reformatio in peius, è manifestamente infondato in quanto, in assenza di determinazione della pena per ciascuno dei reati posti in continuazione, è arbitraria la scelta della difesa di ritenere che il giudice di primo grado avesse considerato la pena di giorni "13,33" per ciascuno dei nove reati-satellite posti in continuazione, in relazione ai quali era stata poi determinata la pena finale totale in aumento di mesi quattro di reclusione. È vero, invece, che in conseguenza dell'intervenuto proscioglimento dell'imputato per taluni di quegli episodi, la Corte di appello, pur senza determinare la pena per ciascuno dei residui reati di cui era stata confermata la sussistenza, ha ridotto la pena totale in aumento per la continuazione da mesi quattro a mesi due [e] giorni venti di reclusione, così rispettando il principio fissato dall'art. 597 c.p.p.

La decisione si pone, dunque, esattamente in linea con l'insegnamento di questa Corte di cassazione secondo il quale, in tema di divieto di reformatio in peius in appello, l'omessa specificazione dei singoli aumenti di pena disposti in primo grado in relazione a plurimi reati continuati non consente di presumere che l'aumento sia stato operato in misura eguale per ciascuno di essi, sicché ben può il giudice del gravame, dichiarato il proscioglimento per alcuni reati, rideterminare la pena applicando un aumento per la continuazione che non sia proporzionalmente ridotto, purché la pena finale risulti inferiore rispetto a quella irrogata dal primo giudice (Sez. 6, Sentenza n. 30164 del 2 aprile 2019, D'Antuono, Rv. 276229).

2.4. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.

3. I ricorsi dei restanti quattro imputati vanno, invece, accolti per le ragioni e con gli effetti di seguito precisati.

3.1. Esaminati in via logicamente pregiudiziale, risultano fondati il primo motivo del ricorso del Ba., il secondo motivo del ricorso del P. e il primo motivo dell'atto di impugnazione del B. e del L.

3.1.1. Questo Collegio non ha ragione per discostarsi dall'impostazione interpretativa di recente seguita dalla Cassazione con la sentenza con la quale si è affermato che non integra il delitto di peculato la condotta del consigliere regionale che, senza avere la disponibilità di fondi per il funzionamento del gruppo consiliare (fondi per la cui gestione la legislazione regionale prevede l'attribuzione della relativa gestione ai soli capigruppo), ottenga rimborsi gravanti sul fondo del gruppo di appartenenza per spese non rimborsabili, potendo configurare il reato ex art. 314 c.p. solo la condotta appropriativa di denaro di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità diretta (in questo senso Sez. 6, n. 40595 del 2 marzo 2021, Bernardini, Rv. 282742-01).

Tale decisione, adottata nei riguardi di un consigliere appartenente alla medesima consiliatura regionale della quale avevano fatto parte, negli anni oggetto di addebito, i quattro odierni ricorrenti Ba., P., B. e L., si fonda sull'esame della disciplina contenuta nella l.r. Emilia-Romagna n. 32 del 1997, all'epoca vigente, dunque applicabile anche nei casi di specie: normativa che stabiliva che «il Consiglio regionale [...] assicura ai gruppi consiliari, e per loro tramite ai consiglieri, [...] la disponibilità [...] dei mezzi necessari all'assolvimento delle loro funzioni», sottolineando che spetta al Consiglio regionale il controllo sulla gestione dei contributi in denaro, in particolare il compito di «verificare che i contributi assegnati ai gruppi non siano devoluti a fini diversi dal funzionamento e dalla attività istituzionale dei gruppi stessi» (art. 1); che tali fondi venivano liquidati dall'«Ufficio di Presidenza del Consiglio [che] ne autorizza il pagamento in rate bimestrali anticipate [... fondi che...] sono riscossi dal presidente del gruppo» o comunque da altra singola persona individuata dal regolamento o delegata, cui ne veniva affidata la gestione (art. 5); e che «Le spese impegnate dal gruppo entro la data delle elezioni per il rinnovo del Consiglio e non pagate entro il termine per la presentazione del rendiconto restano a carico del Presidente del gruppo che le ha decise [...]. L'eventuale disavanzo risultante dal rendiconto [...] rimane a carico del Presidente del gruppo che ha sottoscritto il rendiconto» (art. 6).

I dati informativi acquisiti nel presente processo non contraddicono ma anzi confermano che l'impostazione accusatoria aveva seguito la traccia dettata in maniera così netta dalla legislazione regionale di riferimento. In tale ottica è significativo come il Pubblico Ministero avesse originariamente contestato le condotte tenute dai quattro predetti consiglieri regionali, oggi ricorrenti, in concorso con quelle dei rispettivi capigruppo, nella convinzione che solo la presenza di questi ultimi, quali soggetti che avevano offerto un contributo causale determinante, avrebbe potuto legittimare la qualificazione giuridica dei fatti in termini di peculato. Ed invece, il Tribunale di Bologna ha mandato assolti i capigruppo dai reati loro addebitati per il rimborso delle spese sostenute dai consiglieri componenti dei rispettivi gruppi, avendo verificato la totale assenza di prova circa l'esistenza di un loro previo concerto ovvero di una loro consapevole volontà di contribuire alla realizzazione dell'evento appropriativo (v. pagg. 167-168 sent. primo grado).

In tale contesto, preso atto che nella fattispecie è stata affermata la responsabilità dei singoli consiglieri in relazione ad illeciti monosoggettivi, deve escludersi che i fatti accertati avessero integrato gli estremi del peculato.

Tale delitto contro la pubblica amministrazione sanziona, come noto, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che si appropria di denaro o di altra cosa mobile altrui di cui abbia il possesso o la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio: occorre, dunque, un collegamento diretto, materiale o giuridico, tra il bene oggetto della condotta e il pubblico agente, e deve escludersi, per quanto innanzi esposto riguardo la disciplina regionale all'epoca vigente, che gli imputati Ba., P., B. e L. avessero la disponibilità giuridica diretta (ovvero il potere di gestione e di trasferimento diretto) dei fondi dei gruppi regionali, la cui gestione quella normativa affidava in via esclusiva e diretta ai soli capigruppo.

In altri termini, i quattro consiglieri non avevano il potere di disporre giuridicamente ovvero di impiegare i fondi erogati anticipatamente ai gruppi di appartenenza, attingendo direttamente dai relativi conti correnti, perché non avevano alcun potere di firma individuale o di altra forma di delega idonea ad abilitarli alla gestione e disposizione degli anzidetti contributi: somme che rimanevano nell'esclusiva titolarità giuridica dei rispettivi capigruppo. La procedura di rimborso prevedeva che i quattro prevenuti potessero fare fronte alle spese mediante l'anticipato impiego di denaro personale: all'acquisto del bene o alla fruizione del servizio seguivano, secondo scansioni variamente disciplinate dai singoli gruppi consiliari, la presentazione del titolo giustificativo, contabile o fiscale, della spesa e la formalizzazione di una domanda di rimborso, sulle quali era previsto dovesse provvedere, con un provvedimento autorizzatorio del rimborso, il capogruppo di ciascun gruppo consiliare.

3.1.2. Non convince il tentativo fatto dalla Corte di appello di Bologna di valorizzare altri precedenti giurisprudenziali che, invero, non si pongono affatto in contrasto con il principio di diritto la cui validità in questa sede si è inteso ribadire. Si tratta di precedenti afferenti realtà regionali nelle quali la relativa disciplina di settore riconosceva a ciascun consigliere regionale il potere di disporre giuridicamente in maniera diretta dei fondi mes[s]i a disposizione di ciascun gruppo regionale, con meccanismi di allegazione di documentazione di spesa che prevedevano il coinvolgimento dei singoli capigruppo esclusivamente ai fini della rendicontazione finale da portare, in una fase successiva, all'attenzione degli organi istituzionali regionali ai fini di ulteriori verifiche e dell'eventuale restituzione degli importi non utilizzati.

È in tale ottica che va letta l'affermazione secondo cui integra il reato di peculato e non quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche, aggravato dall'abuso delle qualità del pubblico ufficiale, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. l), l. 9 gennaio 2019, n. 3, la richiesta di rimborso avanzata dal consigliere regionale, relativa a spese sostenute per finalità estranee all'esercizio del mandato, da imputare al fondo pubblico assegnato al proprio gruppo consiliare, poiché in tal caso la disponibilità giuridica del danaro - intesa quale possibilità di disporne con proprio atto - è un antecedente della condotta e la falsa rappresentazione della realtà (attraverso la produzione di giustificativi di spesa volti ad accreditare la legittimità del rimborso) è diretta a mascherare l'interversione del possesso, laddove nel reato di cui all'art. 316-ter c.p. l'impossessamento del bene o del danaro costituisce l'effetto della condotta decettiva, necessariamente susseguente ad essa (Sez. 6, n. 16765 del 18 novembre 2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-10, con riferimento alla gestione dei fondi dei consigli regionali della Regione Piemonte).

Analogamente, con riferimento ad altro consiglio regionale (Liguria), la responsabilità a titolo di peculato è stata riconosciuta in capo a ciascun consigliere regionale perché la relativa disciplina (art. 3 della l. n. 38 del 1990) stabiliva che «i contributi venivano erogati in anticipo a rate dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale al Presidente di ciascun gruppo consiliare e, quindi, ripartiti fra i vari componenti del gruppo. Entro il 31 gennaio di ogni anno, i Presidenti dei gruppi consiliari erano tenuti a presentare all'Ufficio di Presidenza del Consiglio un rendiconto articolato circa l'utilizzazione dei fondi erogati nell'anno precedente in relazione alle categorie di spesa previste dal citato comma 3 dell'art. 4, rendiconto complessivo preventivamente approvato dal Gruppo consiliare e di cui il Presidente si assumeva la responsabilità. Il rendiconto delle spese veniva pertanto predisposto ex post, successivamente rispetto all'erogazione ed all'impiego dei contributi consiliari, sulla base delle pezze giustificative fornite dai singoli consiglieri in relazione alle somme da loro percepite e non restituite a fine anno» (così Sez. 6, n. 53331 del 19 settembre 2017, Piredda, in motivazione).

Alla medesima logica si inscrive anche il principio per cui integra il reato di peculato e non quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato la condotta del consigliere regionale che utilizza, per finalità estranee all'esercizio del mandato, fondi pubblici assegnati al proprio gruppo consiliare, dal momento che il predetto, avendo la giuridica disponibilità di tali fondi, senza necessità di compiere alcuna attività per conseguirla, se ne appropria illecitamente con il mero ordine di spesa (Fattispecie relativa all'erogazione di contributi ai gruppi consiliari della Regione Lombardia sulla base della legge regionale n. 17 del 7 maggio 1992, che prevede la presentazione, da parte dei consiglieri, di documentazione giustificativa della spesa già sostenuta e riserva ai presidenti dei gruppi consiliari la sola rendicontazione annuale) (Sez. 6, n. 49990 dell'11 luglio 2018, Spreafico, Rv. 274227, con riferimento al Consiglio regionale della Lombardia; conf. Sez. 6, n. 11001 del 15 novembre 2019, dep. 2020, Valenti, Rv. 278809-01, con riferimento al Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia).

Non conduce a differenti conclusioni il principio enunciato dalla Cassazione in relazione a situazioni nelle quali, per la mancata osservanza di regole da parte di terzi soggetti, di fatto il pubblico agente si venga a trovare nella disponibilità di beni dei quali poi si appropria. È vero che, con riferimento a tali circostanze, si è sostenuto che il possesso qualificato dalla ragione d'ufficio o di servizio non è solo quello rientrante nella specifica competenza funzionale dell'agente, ma anche quello derivante da prassi e consuetudini invalse nell'ufficio che permettono di maneggiare o avere la disponibilità materiale del bene, e che, dunque, trova nella funzione o nel servizio l'occasione del suo verificarsi (così, da ultimo, Sez. 6, n. 19424 del 3 maggio 2022, Grasso, Rv. 283161): si tratta, però, di regula iuris inapplicabile al caso di specie, nel quale i quattro consiglieri, che - come già anticipato - non era[no] titolari di alcun potere di disponibilità giuridica diretta delle somme in questione, non erano neppure propriamente entrati nella disponibilità materiale del denaro in occasione dell'esercizio delle loro funzioni, avendone, invece, ottenuto la consegna a titolo di rimborso esclusivamente in conseguenza di una loro iniziativa decettiva.

3.1.3. I fatti accertati a carico degli imputati Ba., P., B. e L., nei quali sono riconoscibili gli estremi della creazione di artifici e raggiri idonei a trarre in inganno i destinatari delle richieste di rimborso spese, vanno perciò più correttamente qualificati in termini di truffe, aggravate ai sensi dell'art. 61, n. 9, c.p.

Bisogna prendere atto come i reati così riconosciuti, indicati nei capi di imputazione come rispettivamente commessi tra il gennaio 2009 e il dicembre 2011, si sono estinti per intervenuta prescrizione. Non sono riscontrabili, nella sentenza della Corte distrettuale, le condizioni per un proscioglimento degli interessati ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., ovvero l'esistenza di elementi di giudizio idonei a riconoscere la prova evidente dell'innocenza dei quattro imputati, né, in generale, l'incontrovertibile insussistenza dei fatti o non attribuibilità dei medesimi fatti ai quattro prevenuti.

3.2. Nella riconosciuta fondatezza del primo motivo del ricorso del Ba. resta assorbito l'esame del secondo motivo di quello stesso atto di impugnazione, in quanto è pacifico come, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. un., n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, Rv. 244275).

3.3. Nella riconosciuta fondatezza del secondo motivo del ricorso del P. resta assorbito l'esame delle restanti doglianze dedotte dalla difesa con gli altri punti del ricorso e con la memoria contenente motivi nuovi.

E ciò vale anche con riferimento alle denunciate nullità asseritamente verificatesi nel corso del giudizio, in quanto è consolidato il principio secondo il quale la regola della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, sancita dall'art. 129 c.p.p., impone che nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, sia data prevalenza alla prima, salvo che l'operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito (Sez. un., n. 17179 del 27 febbraio 2002, Conti, Rv. 221403).

3.4. Nella riconosciuta fondatezza del primo motivo dei ricorsi del B. e del L. resta assorbito - per le ragioni esposte nei punti che precedono - l'esame delle restanti doglianze dedotte dalla difesa con l'atto comune di impugnazione.

3.5. Le disposte confische vanno confermate in quanto, con riferimento alle relative statuizioni, l'unico ricorso che ha avanzato censure è quello del P., con la formulazione di doglianze che - in presenza di una confisca disposta in via diretta - risultano inammissibili per l'assoluta genericità del loro contenuto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio nei confronti di Ba. Gianguido, P. Andrea, B. Luca e L. Marco la sentenza impugnata perché, qualificati i fatti accertati come reati di truffa aggravata, gli stessi sono estinti per prescrizione.

Conferma la disposta confisca.

Dichiara inammissibili i ricorsi di D. Giorgio e V. Luigi Giuseppe e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Depositata il 25 luglio 2022.