Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 24 ottobre 2022, n. 9049

Presidente: Luttazi - Estensore: Guarracino

FATTO E DIRITTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n.r.g. 5768/2020, proposto ai sensi dell'art. 117 c.p.a., la Agri Po s.r.l. esponeva di aver acquistato, in forza di decreto di trasferimento del 15 novembre 2016 emesso dal Tribunale fallimentare di Milano, il complesso dei beni aziendali relativo alla produzione di pellets della fallita società Italiana Pellets s.p.a., responsabile di un impianto termoelettrico a biomasse, ubicato in Corana (PV), avente accesso agli incentivi nella forma della c.d. tariffa fissa omnicomprensiva a norma dell'art. 16 del d.m. 18 dicembre 2008, e di essere quindi subentrata alla fallita società nella titolarità della convenzione TO101116 relativa al predetto impianto, giusta comunicazione del Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. (d'ora innanzi GSE) del 22 gennaio 2019.

Invocando, quindi, un'aspettativa qualificata di diritto soggettivo al pagamento in suo favore dei corrispettivi maturati per la cessione al GSE dell'energia prodotta per le annualità 2017 e 2018 per l'importo complessivo di euro 558.097,15, sulla scorta di dati di produzione accertati e accettati dallo stesso GSE, e lamentando l'inadempimento contrattuale di quest'ultimo rispetto all'obbligo di pagamento dei corrispettivi nei termini stabiliti dall'art. 8 della convenzione predetta, si doleva che il GSE non avesse riscontrato la sua richiesta di pagamento da ultimo avanzata con diffida in data 29 maggio 2020.

A questo proposito sosteneva che ciò sarebbe dipeso dal fatto che il GSE avrebbe indebitamente considerato quella somma come un acconto sul credito da esso vantato, per una sorte capitale di 1.884.062,75, a titolo di restituzione di somme indebitamente erogate come tariffa incentivante per il ritiro dell'energia prodotta dalla suddetta centrale termoelettrica della Italiana Pellets s.p.a., a seguito della riqualificazione, ora per allora, della tariffa applicata successivamente all'esito del procedimento di controllo sull'impianto: credito per il quale il GSE stato ammesso allo stato passivo del fallimento e altresì ottenuto decreto ingiuntivo n. 167 del 2018 dal T.A.R. Lazio nei confronti di Banca Intesa San Paolo s.p.a., cessionaria dal 2013 dei debiti e dei crediti della Italiana Pellets in bonis.

Denunciando per queste ragioni l'illegittimità del silenzio serbato dal GSE sulla predetta diffida del 29 maggio 2020 - per contrasto con gli artt. 2 e 2, comma 2-bis, della l. n. 241/1990 e coi principi di leale collaborazione e buona fede nell'esecuzione del contratto e per abuso del diritto e di posizione dominante ed elusione delle disposizioni della legge fallimentare sul concorso dei creditori e sugli effetti della domanda di ammissione allo stato passivo, nonché indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. - la ricorrente chiedeva al T.A.R. che, accertata l'inerzia sulla istanza del 22 maggio 2020 e la fondatezza della pretesa della ricorrente, ordinasse al GSE di riscontrare l'istanza dando corso al relativo pagamento nel termine assegnato dallo stesso giudice, con nomina di un commissario ad acta per il caso di ulteriore ritardo, e in ogni caso condannasse GSE al pagamento della somma di euro 558.097,15 maturata dalla ricorrente per le annualità 2017-2018.

Con sentenza del 26 ottobre 2020, n. 10917, prescindendo dall'esame delle eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dal GSE, il T.A.R. respingeva il ricorso con la motivazione che il GSE non avesse l'obbligo di provvedere sulla diffida del 29 maggio 2020 poiché questa si sarebbe sostanziata in una richiesta di riesame delle precedenti determinazioni con cui il GSE aveva già deciso di trattenere gli importi incentivanti (maturati e maturandi, ivi compresi quelli relativi agli anni 2017 e 2018) a tutela del proprio credito, conformemente all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui non può configurarsi silenzio inadempimento a fronte di istanze volte a sollecitare interventi in autotutela o costituenti riproposizione di precedente richiesta respinta.

Avverso la decisione di primo grado la Agri Po s.r.l. ha interposto appello.

Con un primo motivo l'appellante ha censurato il travisamento dei fatti nei quali sarebbe incorso il T.A.R., che non si sarebbe avveduto che non si era al cospetto di una mera reiterazione dell'istanza diretta al riesame delle precedenti determinazioni con le quali il GSE aveva già deciso di trattenere gli importi incentivanti, bensì di una domanda tesa a ottenere un riscontro di elementi che non solo questi non avrebbe mai valutato ma, addirittura, scientemente sottaciuto.

Con un secondo motivo ha denunciato l'omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio circa l'obbligo del GSE di corrispondere alla ricorrente la somma di euro 558.097,15, chiedendo che, per l'effetto devolutivo dell'appello, la domanda sia esaminata e decisa in questa sede, previa eventuale conversione del rito da camerale a ordinario.

Il GSE si è costituito in giudizio per resistere al gravame.

Con successiva memoria ha eccepito la mancanza di specificità del motivo di appello sul capo della sentenza relativo all'insussistenza di un obbligo del GSE di provvedere sull'istanza avanzata con la nota del 29 maggio 2020 e, comunque, difeso la piena legittimità del proprio operato.

Ha sostenuto, inoltre, che difettino i presupposti perché il giudice possa pronunciarsi, ai sensi dell'art. 31, comma 3, c.p.a., sulla fondatezza della pretesa, che il rito del silenzio non può essere attivato per la tutela di una posizione di diritto soggettivo allo scopo di ottenere l'adempimento di un preteso obbligo convenzionale e che non sarebbe possibile procedere alla conversione dell'azione ex art. 32 c.p.a. per esaminare la diversa domanda di condanna e si è soffermato, infine, sulle ragioni per le quali, in ultima istanza, la pretesa avanzata dalla società appellante sarebbe priva di fondamento.

Nelle more, con sentenza di questa Sezione del 10 giugno 2022, n. 4752 il surricordato decreto ingiuntivo è stato annullato per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

All'udienza camerale del 13 settembre 2022, sull'istanza congiunta delle parti di passaggio in decisione senza discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione.

Nell'ordine logico delle questioni, deve scrutinarsi in primo luogo la riproposta eccezione d'inammissibilità del ricorso di primo grado (formulata in origine dal GSE al punto 31-34 della memoria difensiva al T.A.R.) in relazione alla dedotta incompatibilità col giudizio avverso il silenzio inadempimento delle pretese aventi per oggetto l'accertamento di diritti di fonte contrattuale e l'adempimento di pretese creditorie irriducibili a posizioni di interesse legittimo.

L'eccezione è fondata.

Le diffide del 7 febbraio 2019 e del 29 maggio 2020 erano finalizzate a vedersi concretamente riconosciuto il diritto a percepire la tariffa come da convenzione TO101116 relativa all'impianto termoelettrico in questione, sulla premessa che a fronte di una produzione e immissione in rete di 2.039.048 Kwh di energia (prodotta negli anni 2017 e 2018) il GSE aveva già riconosciuto dovuta ad Agro Po la somma di euro 558.097,15 come da progetti di fattura predisposti dal Gestore sul portale dedicato.

Perciò la società aveva intimato al GSE di «procedere allo sblocco della fatturazione ... e a pagare la somma di euro 558.097,15 come da progetti di fattura predisposti dal Gestore sul portale dedicato».

La questione verte pertanto su un semplice pagamento di una somma di denaro, relativo alla corresponsione di quanto dovuto alla società produttrice di energia a titolo di incentivo alla produzione di energie rinnovabili, il cui pagamento è stato richiesto sulla base della convenzione conclusa col GSE e in relazione al quale, come più volte ribadito dalla Corte regolatrice, il privato vanta una posizione sostanziale di diritto soggettivo, ove non è in discussione alcun profilo autoritativo, la cui tutela appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario (cfr. da ultimo Cass., Sez. un., ord. 14 luglio 2022, n. 22204, sulla giurisdizione nella controversia tra il gestore del servizio energetico e il mandatario all'incasso dei benefici riconosciuti a titolo di incentivi).

Ebbene la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che con la procedura ex artt. 31 e 117 c.p.a. sono tutelabili unicamente controversie relative alla mancata adozione di un provvedimento espresso richiesto dall'ordinamento per la regolazione di interessi che rientrino in materia devoluta alla giurisdizione amministrativa, col corollario che il rimedio contro il silenzio serbato dall'Amministrazione sull'istanza del privato non è esperibile nel caso in cui il giudice amministrativo, in ordine al rapporto sostanziale, sia privo di giurisdizione, mancando sia la natura di provvedimento amministrativo autoritativo dell'atto, sia la posizione sostanziale d'interesse legittimo da parte del ricorrente (C.d.S., Sez. III, 11 maggio 2021, n. 3697).

La condizione di proponibilità di un'azione avverso il silenzio amministrativo, infatti, è che vi sia un obbligo giuridico di provvedere in capo alla P.A. (art. 2, comma 1, l. n. 241 del 1990), ossia il dovere di emettere un provvedimento in esplicazione di una pubblica funzione, sicché il rito speciale avverso il silenzio non ha lo scopo di tutelare, come rimedio di carattere generale, la posizione del privato di fronte a qualsiasi tipo di inerzia comportamentale della P.A., bensì quello di apprestare una garanzia avverso il mancato esercizio di potestà pubbliche (C.d.S., Sez. V, 19 luglio 2022, n. 6238); né la giurisdizione del giudice amministrativo in tema di silenzio deriva dall'art. 117 c.p.a., che è norma sul rito, bensì dai consueti criteri di riparto (ibidem).

In definitiva, la consistenza della posizione soggettiva tutelata col rito speciale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. non è compatibile con le controversie che non implicano l'esercizio di poteri autoritativi, bensì una attività riconducibile all'ambito dei rapporti di natura paritetica, nelle quali, al di là della qualificazione attribuitagli dall'istante, l'azione si risolve in un'azione di accertamento di pretese patrimoniali e non di sindacato sulla funzione amministrativa (cfr. C.d.S., Sez. IV, 1° luglio 2021, n. 5037).

Pertanto l'appello non può essere accolto e va conseguentemente respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono regolate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento, in favore della parte appellata, delle spese del grado del giudizio, che liquida nella somma complessiva di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.