Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 7 luglio 2022, n. 37288

Presidente: Zaza - Estensore: Bifulco

RITENUTO IN FATTO

1. È oggetto di ricorso la sentenza della Corte d'appello di Roma, che, in riforma della decisione del Tribunale della medesima città, ha rideterminato la pena nei confronti di T. Aldo in anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 800 di multa; l'odierno ricorrente è stato condannato per furto aggravato ai sensi dell'art. 625, primo comma, n. 7, c.p., per essersi impossessato di un ciclomotore, parcheggiato su pubblica via, le cui chiavi erano state lasciate inserite nel motore d'accensione.

2. Ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore, Avv. Gabriele D'Urso, articolando le proprie censure in due motivi di ricorso.

2.1. Col primo motivo si eccepisce violazione dell'art. 606, lett. b) ed e), del codice di rito, in relazione all'erronea interpretazione dell'aggravante di cui all'art. 625, primo comma, n. 7, c.p. A tal proposito, la difesa osserva che, nel caso di specie (vale a dire un caso di furto di ciclomotore lasciato sulla pubblica via con chiavi legate al quadro d'accensione), la riconosciuta aggravante della «esposizione a pubblica fede per necessità o consuetudine», vada esclusa in considerazione del comportamento negligente del proprietario dello scooter. Richiamando talune sentenze della Corte di cassazione, la difesa rileva inoltre come, in tema di furto aggravato di cose esposte alla pubblica fede, l'esposizione «per necessità» richieda il puntuale accertamento della sussistenza di una situazione determinata da impellenti esigenze che abbiano impedito alla persona offesa di custodire più adeguatamente la res furtiva. Posto che nessuna di tali impellenti esigenze ha spinto il proprietario a lasciare su pubblica strada lo scooter, peraltro per tre giorni e con le chiavi inserite, risulterebbe illegittimamente applicata l'aggravante in parola.

2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), del codice di rito in relazione all'art. 62-bis c.p., per avere la Corte territoriale escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non considerando, da un lato, il buon comportamento processuale dell'imputato, e, anzi, destituendo tale dato di qualsivoglia rilievo, e, dall'altro, enfatizzando i precedenti penali dell'imputato. Questi ultimi, osserva la difesa, non sono di per sé ostativi al riconoscimento delle attenuanti generiche, soprattutto laddove, come nel caso di specie, vi siano elementi da valorizzare, quali la confessione dell'imputato e l'adesione al programma di recupero da tossicodipendenza, elementi che confermerebbero la volontà di emenda. In particolare, la motivazione sarebbe illogica nel punto in cui esclude rilevanza alla confessione, resa per iscritto dall'odierno ricorrente e inviata al giudice per l'udienza preliminare, posto che anche laddove, come nel caso di specie, i fatti vengano accertati dagli operanti, la confessione ha un rilevo in tema di concessione delle attenuanti generiche.

3. Si dà atto che la difesa ha richiesto la trattazione orale del presente ricorso e ha allegato copia del verbale di denuncia del furto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo è infondato. La contestazione e l'applicazione, al caso di specie, dell'aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, c.p. risultano immuni da censure, non essendo dirimente la circostanza che il proprietario del ciclomotore abbia lasciato, per dimenticanza, le chiavi inserite nel motociclo parcheggiato sulla pubblica via. Ne discende, ancora, come ulteriore corollario, che, anche in assenza di querela, il reato contestato, non degradando a furto semplice, è comunque perseguibile d'ufficio.

Tale conclusione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte, che, in un caso pressoché identico ricordato dagli stessi Giudici d'appello, ha stabilito che sussiste l'aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, c.p. nel caso in cui si verifichi il furto di un ciclomotore parcheggiato sulla pubblica via con le chiavi inserite, il quale deve intendersi esposto per consuetudine alla pubblica fede (Sez. 5, n. 2555 del 13 dicembre 2016, dep. 2017, Piredda, Rv. 269051-01). Tale posizione è stata ribadita anche più recentemente (Sez. 7, n. 27262 del 17 maggio 2022, Di Giambattista); cosicché può dirsi ormai acquisita, nel diritto vivente, l'opinione secondo cui, in caso di furto di motoveicolo lasciato incustodito sulla pubblica via, la circostanza aggravante della esposizione per consuetudine alla pubblica fede, non presupponendo la predisposizione di un qualsiasi mezzo di difesa avverso eventuali azioni criminose, sussiste anche se il motoveicolo sia stato lasciato con gli sportelli aperti e con le chiavi inserite nel cruscotto (cfr., Sez. 5, n. 1803 del 16 novembre 2021, dep. 2022, Bevilacqua; Sez. 5, n. 22194 del 6 dicembre 2016, B., Rv. 270122-01; Sez. 4, n. 41561 del 26 ottobre 2010, Taamam, Rv. 248455-01; Sez. 3, n. 35872 dell'8 maggio 2007, Alia, Rv. 237286-01; Sez. 2, n. 10192 del 2 marzo 1977, Santini, Rv. 136633-01).

Che detto orientamento sia acquisito non significa anche dire che esso sia del tutto indiscusso. Come osservato dalla difesa, vi sono pronunce della Corte di cassazione in cui si è sostenuto che soltanto una contingente necessità valga a escludere l'applicazione della aggravante in parola (da ultimo: Sez. 7, n. 28924 del 5 luglio 2022, De Maio, in cui si afferma - sulla traccia indicata da Sez. 4, n. 12196 dell'11 gennaio 2017, Cuomo, Rv. 269393-01 - che sussiste l'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede, ai sensi dell'art. 625, comma primo, n. 7, c.p., quando si accerti che il conducente si sia determinato a lascare il mezzo in sosta sulla pubblica via e con le chiavi inserite nel quadro di accensione a causa di una contingente necessità e non per mera comodità o trascuratezza).

Ma due rilievi vanno chiariti a tal proposito: da un lato, occorre porre attenzione al mero tenore letterale della disposizione (625, comma primo, n. 7, c.p.) che pone in termini alternativi le varie ipotesi di cose esposte alla pubblica fede: necessità o consuetudine o destinazione. Quel che dunque rileva, ai fini dell'applicabilità dell'aggravante in parola, è che ricorra anche soltanto uno dei casi previsti dall'art. 625, comma primo, n. 7, c.p., vale a dire la necessità, o la consuetudine o la destinazione.

La necessità va valutata in rapporto alle circostanze del caso concreto e può certo trovare il proprio limite in concetti come agio o comodità (e, infatti, nel caso di specie esaminato dalla già citata sentenza di Sez. 4, n. 12196 dell'11 gennaio 2017 l'imputato aveva lasciato l'auto in sosta sulla pubblica via, aperta e con le chiavi inserite nel quadro di accensione, per il tempo necessario per entrare in una tabaccheria). Nel caso in oggetto, da quel che è dato comprendere dalla lettura degli atti, non veniva in rilievo la necessità, bensì la consuetudine (di parcheggiare il proprio veicolo sulla pubblica via).

Il secondo rilievo attiene alla ratio della maggior tutela riservata alle cose esposte alla pubblica fede: invero, anche nelle pronunce dissonanti rispetto all'indirizzo qui seguito, si sottolinea come quella ratio sia da ricercare nel fatto che le cose esposte alla pubblica fede «sono prive della custodia da parte del proprietario, sicché la proprietà o anche il mero possesso di esse ha come presidio soltanto il senso del rispetto da parte di terzi. Dunque, per "pubblica fede" deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui, sul quale ripone la propria fiducia colui in quale deve lasciare la cosa, anche solo temporaneamente, incustodita» (Sez. 4, n. 12196 del 2017, cit., corsivo nostro).

L'orientamento tradizionale, invocato in apertura, è incentrato, appunto, sulla tutela di detta ratio.

Ed è sulla base di tale ratio, incentrata su quel «senso del rispetto da parte di terzi» e sul «senso di affidamento verso la proprietà altrui», che questo Collegio ritiene condivisibile l'opzione ermeneutica della Corte territoriale, la quale, nell'applicare al caso di specie l'aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, c.p., si è evidentemente riferita a una nozione di consuetudine - rilevante per il caso di specie - corrispondente «alla pratica di fatto, rientrante negli usi e nelle abitudini sociali di un determinato luogo, di lasciare incustodite certe cose in determinate circostanze» (Sez. 2, n. 12014 del 21 aprile 1976, Rv. 134784-01); una nozione che è stata forgiata dalla giurisprudenza di legittimità a partire da pronunce anche molto risalenti nel tempo (nella sentenza appena citata, fu ritenuta la sussistenza della aggravante nel caso di un ciclomotore posteggiato nella strada nonostante nella piazza adiacente esistesse un parcheggio custodito di cui la persona offesa si sarebbe potuta servire).

In virtù del rilievo attribuito al concetto di «pubblica fede» secondo l'interpretazione qui privilegiata e già illustrata, va infine osservato che, quanto al dato delle chiavi lasciate dalla p.o. nel quadro d'accensione (per dimenticanza o trascuratezza, poco importa), appare invero indifendibile l'assunto difensivo secondo cui «la scelta di impossessarsi di un bene lasciato a disposizione di chiunque sarebbe quasi "giustificata", posta la tendenza della natura umana ad ottenere il massimo beneficio». Tale assunto potrebbe condividersi soltanto ritenendo che l'attuale sistema penalistico debba immaginarsi ispirato alla tesi hobbesiana dell'homo homini lupus (di gran pregio e interesse, ma significativa nel contesto - le guerre secentesche di religione - in cui fu pensata).

3. Il secondo motivo è, del pari, infondato. Generico è il rilievo difensivo secondo cui la Corte territoriale avrebbe mancato di considerare elementi utili a confermare la volontà di emenda, quali la confessione dell'imputato e l'adesione al programma di recupero da tossicodipendenza. Nell'escludere la rilevanza di detti elementi, la Corte d'appello ha avuto cura di puntualizzare che «l'ammissione dei fatti - unica circostanza dedotta dall'appellante - non ha alcun rilievo posto che si è trattato di un fatto accertato de visu dagli operanti... e proprio i precedenti dell'imputato sono, ex art. 133 c.p., sufficienti per escludere il beneficio richiesto». In ciò, la parte motiva dell'impugnata sentenza è coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui «in tema di circostanze, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall'interessato» (Sez. 3, Sentenza n. 2233 del 17 giugno 2021, dep. 2022, Bianchi, Rv. 282693-01).

Considerato, infine, che la Corte territoriale, nel rideterminare la pena, ha escluso la contestata recidiva, la decisione impugnata appare altresì coerente con quella giurisprudenza di legittimità secondo cui «l'esistenza di precedenti penali specifici può rilevare ai fini del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e dei benefici di legge anche quando il giudice, sulla base di una valutazione complessiva del fatto oggetto del giudizio e della personalità dell'imputato, esclude che la reiterazione delle condotte denoti la presenza di uno spessore criminologico tale da giustificare l'applicazione della recidiva (Sez. 3, n. 34947 del 3 novembre 2020, Molino, Rv. 280444-01)».

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato; al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 3 ottobre 2022.