Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 12 dicembre 2022, n. 10851

Presidente: Contessa - Estensore: Franconiero

FATTO

1. Il signor Nicola D., proprietario di un appartamento al primo piano dell'edificio sito in Salandra, via Agesilao Milano 16, censito a catasto al foglio 35, part. 402, sub. 7, propone appello contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata indicata in epigrafe, che in accoglimento del ricorso del proprietario confinante signor Vittorio Antonio M. ha annullato il permesso in sanatoria rilasciato dal Comune di Salandra a favore dell'appellante (con provvedimento in data 4 febbraio 2013, n. 2) per la realizzazione in assenza di titolo edilizio di una veranda chiusa dell'estensione di mq 15,40, con copertura in legno e vetrate, sul terrazzo di copertura del piano primo, sovrastante l'androne comune alle due proprietà, ed in appoggio a quella del ricorrente, per la quale era già stata disposta la demolizione (ordinanza comunale in data 9 dicembre 2010, n. 40).

2. Respinta l'eccezione di irricevibilità del ricorso, sollevata dal Comune di Salandra, la sentenza ha giudicato fondata la censura del ricorrente signor M. di tardività della domanda di sanatoria del controinteressato, perché presentata oltre il termine perentorio di 90 giorni decorrente dall'ingiunzione di demolizione, ai sensi degli artt. 36, comma 1, e 31, comma 3, testo unico dell'edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380); ed inoltre per mancanza del consenso del ricorrente, in ragione del fatto che la veranda era stata realizzata sulla scalinata e il vano di accesso in comune.

3. Con il proprio appello, in resistenza del quale si è costituito l'originario ricorrente, il signor D. ripropone l'eccezione di irricevibilità del ricorso e censura nel merito la statuizione di annullamento del permesso di costruire in sanatoria della pensilina di copertura.

DIRITTO

1. L'eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado, notificato il 30 ottobre 2015, si fonda sul duplice presupposto della conoscibilità del titolo in sanatoria impugnato, derivante dalla sua affissione all'albo pretorio on-line del Comune di Salandra fino al 19 febbraio 2013, come attestato dal relativo certificato prodotto in giudizio; e della conoscenza effettiva sin dall'8 maggio 2015, data del sollecito del signor M. al Comune di Salandra a demolire le opere abusive o a trasmettere notizie su eventuale richiesta di sanatoria.

2. Con distinta censura si deduce l'erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha affermato che la domanda di sanatoria è stata presentata tardivamente. In contrario si oppone che in difetto di una comminatoria di perentorietà dei termini previsti dal citato art. 36 del testo unico dell'edilizia la sanatoria potrebbe essere richiesta finché la demolizione non sia materialmente eseguita.

3. Con riguardo alla necessità del consenso del comproprietario l'appello deduce ulteriormente che la comunione sulla scalinata e sul vano di accesso non si estenderebbe all'area sovrastante su cui è stata realizzata la veranda, la quale rientra invece nella proprietà esclusiva del signor D.

4. Le censure così sintetizzate sono infondate.

5. L'eccezione di irricevibilità del ricorso va disattesa sulla base della consolidata giurisprudenza amministrativa secondo cui la decorrenza del termine per impugnare un titolo edilizio in sanatoria va individuata nella conoscenza da parte dell'interessato del rilascio dell'atto per un'opera abusiva esistente (da ultimo in questo senso: C.d.S., VI, 28 ottobre 2022, n. 9299; 23 agosto 2021, n. 5987; 13 gennaio 2020, n. 314). Nessuna delle due circostanze addotte a fondamento dell'eccezione rientra infatti nell'ipotesi elaborata dalla giurisprudenza in materia. A questo riguardo è innanzitutto palesemente inidonea la pubblicazione del permesso in sanatoria nell'albo pretorio on-line dell'amministrazione comunale, rispetto alla cui consultazione non è evidentemente predicabile alcun obbligo da parte di potenziali interessati. Né in secondo luogo può avere rilievo nel caso di specie il sollecito a dare esecuzione all'ordine di demolizione, posto che da esso non è possibile inferire il rilascio di un titolo in sanatoria, che avrebbe l'opposto effetto di impedire l'invocata esecuzione dell'ordine stesso, e che infatti viene solo ipotizzato.

6. Nel merito deve essere confermato l'annullamento del permesso in sanatoria impugnato perché chiesto tardivamente. La statuizione si fonda su una corretta interpretazione dei sopra citati artt. 31, comma 3, e 36, comma 1, del testo unico dell'edilizia, dal cui combinato si ricava che gli interventi edilizi realizzati in assenza di permesso di costruire, per i quali sia stata conseguentemente ordinata la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi «nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione», possono nondimeno essere sanati, in presenza della doppia conformità urbanistica ed edilizia tanto al momento della relativa realizzazione quanto al momento della presentazione della domanda di sanatoria, «fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1».

7. Come statuito dalla sentenza di primo grado, la tesi della scadenza del termine per la domanda di sanatoria fino alla concreta esecuzione dell'ordine di demolizione, sostenuta con l'appello, non ha alcun fondamento in base all'interpretazione letterale delle pertinenti disposizioni di legge. La medesima tesi è peraltro da respingere anche sul piano sistematico, poiché perviene alla conseguenza, evidentemente insostenibile, di lasciare incerta per un tempo indeterminato la situazione conseguente all'accertamento di un abuso edilizio e all'attivazione del relativo potere repressivo.

8. La conferma sotto il profilo ora esaminato della statuizione di annullamento del permesso di costruire in sanatoria impugnato nel presente giudizio rende superfluo l'esame dell'ulteriore censura svolta in appello e relativa all'asserita proprietà esclusiva del signor D. del terrazzo su cui lo stesso ha abusivamente realizzato la veranda oggetto di controversia con il ricorrente signor M., e che peraltro si fonda su un'affermazione generica e priva di puntuali riscontri documentali, al di là della nota di trascrizione del titolo di proprietà dell'appellante, dalla quale non è possibile ricavarne la relativa consistenza.

9. L'appello deve pertanto essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Le spese di causa sono regolate secondo soccombenza e liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado.

Condanna l'appellante Nicola D. a rifondere all'appellato Vittorio Antonio M. le spese di causa, liquidate in euro 3.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.