Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 9 novembre 2022, n. 10578

Presidente: Mogini - Estensore: Magi

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con decreto emesso in data 12 aprile 2022 la Corte di appello di Napoli - in procedura di prevenzione - ha respinto l'appello introdotto da P. Angelo (quale legale rappresentante della EDIL P&P s.a.s.), relativo al diniego di applicazione del controllo giudiziario su domanda di parte (art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011), confermando la decisione emessa dal Tribunale.

1.1. In motivazione si evidenzia, in sintesi, che:

a) il Tribunale ha respinto la domanda di accesso al controllo giudiziario ravvisando una ipotesi di "stabile condizionamento" dell'attività di impresa in favore della associazione di stampo mafioso operante in Sant'Antimo;

b) la tesi dell'appellante, in prima battuta, è quella della assenza di alcun condizionamento, ma ciò porterebbe al medesimo risultato del diniego del controllo giudiziario;

c) in subordine, l'appellante prospetta la occasionalità del condizionamento e tale prospettazione può essere oggetto di valutazione;

d) tuttavia, si rileva che l'azienda è stata già destinataria di una prima interdittiva prefettizia nel 2018 e le successive misure di self-cleaning adottate non appaiono idonee a determinare la trasformazione del rapporto (in quella sede accertato) con l'organizzazione criminale esterna da "stabile" a "occasionale". Ciò perché la ragione del pericolo di infiltrazione sta nel rapporto familiare che, inevitabilmente, lega (e continua a legare) anche gli attuali soci (P. Angelo e P. Antimo, pur incensurati) ad esponenti del clan camorristico (un cugino).

2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - P. Angelo (quale legale rappresentante della EDIL P&P s.a.s.), con le deduzioni che seguono.

2.1. Al primo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione di legge ed apparenza di motivazione.

Secondo il ricorrente l'ammissione al controllo giudiziario su domanda, in presenza di interdittiva prefettizia, è doverosa anche nella ipotesi in cui - secondo la valutazione del giudice della prevenzione - non vi sia alcuna forma di agevolazione di una associazione criminale, non potendosi - su tale punto - sindacare il provvedimento emesso dalla autorità amministrativa (si citano precedenti arresti di questa Corte di legittimità). Ciò che rileva è esclusivamente la prognosi favorevole in punto di "riallineamento" dell'attività di impresa a condizioni di legalità, aspetto che la Corte di merito ha finito con il non valutare.

2.2. Al secondo motivo si deduce ulteriore profilo di violazione di legge ed apparenza di motivazione.

La Corte di merito ha ritenuto che, in ogni caso, ad essere ostativa all'accesso al controllo giudiziario è la sussistenza di una agevolazione "strutturale" correlata alle relazioni familiari, fatto che sarebbe già stato accertato nel 2018 in sede amministrativa.

Ma in tal modo è stata eccessivamente valorizzata la precedente sottoposizione a misura interdittiva, basata sul "pericolo" di infiltrazione e non su un accertamento di una comunanza di interessi tra l'impresa ed il clan camorristico.

Con l'atto di appello si era, per converso, dimostrata la sostanziale estraneità dell'azienda a dinamiche relazionali con il contesto criminale, il che doveva condurre ad una valutazione di occasionalità della agevolazione, superabile attraverso l'ammissione alla vigilanza prescrittiva del controllo giudiziario.

Anche in tal caso, pertanto, la Corte si appello avrebbe sostanzialmente eluso il tema della "prognosi di bonificabilità".

2.3. Al terzo motivo si deduce ulteriore profilo di violazione di legge ed apparenza di motivazione.

Si rileva che la valutazione espressa nella decisione impugnata - tesa a riconoscere lo stabile condizionamento - si basa esclusivamente sulla relazione familiare ma non evidenzia l'esistenza di evidenze probatorie (richieste, in casi analoghi, dall'art. 67 d.lgs. n. 159/2011) tali da determinare l'ingerenza dei soggetti esterni nelle scelte ed indirizzi societari, con apparenza di motivazione.

2.4. Al quarto motivo si deduce ulteriore profilo di violazione di legge ed apparenza di motivazione.

Si replicano i contenuti delle produzioni di parte e si imputa alla Corte territoriale la omessa valutazione dei medesimi.

3. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono.

3.1. In premessa va rilevato che il primo motivo di ricorso non è fondato.

La Corte di appello, nell'affermare che in assenza di evidenze circa l'esistenza di una "relazione di agevolazione" tra l'impresa (pur destinataria di informazione antimafia interdittiva) e i soggetti "esterni" portatori di pericolosità non si possa applicare il controllo giudiziario su domanda, interpreta - ad avviso del Collegio - correttamente la disciplina di legge, anche alla luce del contenuti interpretativi di Sez. un. 2019, Ricchiuto.

Per quanto il tema non sia - nel caso in esame - decisivo per l'accoglimento del ricorso, occorre realizzare sul punto una precisazione, nei termini che seguono.

3.2. Va premesso che il Tribunale delle misure di prevenzione è stato individuato dal legislatore come organo giurisdizionale cui spetta l'adozione - nelle diverse forme previste dalle disposizioni regolatrici - di provvedimenti tesi all'accertamento (momento cognitivo) ed al contrasto (momento dispositivo) di diverse situazioni di fatto correlate alla pericolosità sociale. L'apprezzamento della pericolosità (attuale o pregressa) è l'in sé della misura di prevenzione.

La pericolosità è in primis considerata come condizione soggettiva, inerente alla persona fisica (artt. 1 e 4 d.lgs. n. 159), lì dove le condotte pregresse tenute da un determinato individuo siano «inquadrabili» in una delle ipotesi tipiche (previste dalla legge e costituzionalmente valide perché rispondenti al parametro della tassatività descrittiva, come affermato nella decisione n. 24 del 2019 Corte cost.) e possano in tal senso essere poste a base di una prognosi di pericolosità soggettiva attuale.

Ma la pericolosità è anche inquadrata come una forma di relazione tra una o più condotte individuali (contra legem) ed i beni patrimoniali riferibili ad un soggetto, o nel senso della avvenuta accumulazione, in forza delle ricadute di condotte vietate, di beni in capo al soggetto pericoloso (con neutralizzazione di simile relazione attraverso le tradizionali misure del sequestro e della confisca) o nel senso della strumentalizzazione di realtà economico/aziendali a fini di incremento o mantenimento di una condizione di potere ed influenza «di mercato» riconducibile alle finalità perseguite da gruppi criminali organizzati (in particolare di stampo mafioso, nel cui ambito la proiezione economica dell'agire rappresenta una delle finalità tipizzate nella previsione incriminatrice di cui all'art. 416-bis c.p.).

Le necessità di contrasto alla pericolosità economica, in un sistema giuridico che ricollega le limitazioni di diritti (costituzionalmente protetti) ad una base legale appropriata ed a momenti cognitivi giurisdizionali, hanno dunque condotto il legislatore del 2017 (l. n. 161) ad incrementare, in sede di misure di prevenzione, la potenzialità applicativa degli strumenti rappresentati - in campo patrimoniale - dalla amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche (art. 34) e dal controllo giudiziario delle aziende (art. 34-bis), visti come modalità di intervento potenzialmente alternativo rispetto all'ordinario binomio sequestro/confisca dei beni del soggetto portatore di pericolosità.

In tal senso, va ribadito che le disposizioni contenute nell'art. 34 e nell'art. 34-bis del d.lgs. n. 159 del 2011 vanno "lette insieme" in quanto rappresentano - nelle intenzioni del legislatore - un sistema con pretese di omogeneità, basato sulla necessità di diversificazione della risposta giudiziaria prevenzionale al fenomeno della «contaminazione» dell'attività di impresa da parte della criminalità organizzata.

La conferma della volontà del legislatore di creare forme di intervento diversificate - sulla base di valutazioni relative alla preliminare qualificazione del tipo di relazione intercorsa tra l'ente imprenditoriale, i suoi gestori ed il gruppo criminale - la si ricava, a parere del Collegio, dal testo dell'art. 20 del d.lgs. n. 159 del 2011, in tema di sequestro, per come anch'esso risulta novellato ai sensi dell'art. 5 l. n. 161 del 2017.

In sede di proposta di sequestro - il che presuppone l'individuazione, da parte del soggetto pubblico proponente, di un soggetto portatore di pericolosità e di una relazione tra tale soggetto e uno o più beni - il Tribunale può ritenere sussistenti non già i presupposti tipici della misura richiesta (disponibilità dei beni in capo al portatore di pericolosità + sproporzione con il reddito di costui o relazione diretta tra attività illecita e beni sub specie frutto o reimpiego), ma, in alternativa, proprio quelli della amministrazione giudiziaria (art. 34) o del controllo giudiziario delle aziende (art. 34-bis), in tal senso «conformando ex officio» l'esito della richiesta. Da ciò non soltanto si desume che le misure "alternative" della amministrazione o del controllo risultano affidate al prudente apprezzamento del giudice di prevenzione investito da una domanda di sequestro, ma soprattutto che lo sforzo richiesto al Tribunale della prevenzione è quello di realizzare - sia pure in prima approssimazione - una calibrata qualificazione della «relazione» intercorrente tra i beni in questione ed il soggetto indicato come portatore di pericolosità tipica.

A tal fine, lì dove non ci si trovi in presenza di una relazione definibile in termini di "avvenuto investimento" da parte del soggetto pericoloso (del profitto delle condotte illecite nei beni) o di una strumentalizzazione funzionale di una azienda al fine di consentire l'esercizio di attività economica da parte del soggetto appartenente al gruppo criminale (casi tipici di adozione del sequestro in vista della confisca), risulta possibile applicare le misure della amministrazione o del controllo, con graduazione della intensità dell'intervento giudiziario, in chiave di potenziale «recupero» dell'ente economico ad una diversa condizione operativa, ove si sia constatata l'esistenza:

a) di una coartazione di volontà o di una agevolazione stabile (non propriamente dolosa e/o frutto della coartazione) realizzata dall'azienda verso persone portatrici di pericolosità qualificata (qui va disposta l'amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per lo svolgimento della attività economica, ai sensi dell'art. 34, con modalità gestionali affini a quelle del sequestro tipico);

b) di un semplice pericolo di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa (l'agevolazione è occasionale, dunque "non perdurante") con applicazione in tal caso del controllo giudiziario di cui all'art. 34-bis, consistente in una sorta di "vigilanza prescrittiva", nelle forme e con le modalità di cui al comma 2 della medesima disposizione (obblighi di comunicazione di determinate attività o, in alternativa, nomina di un amministratore giudiziario con funzioni [di] controllo ed eventuali prescrizioni).

3.3. Dunque la qualificazione preliminare della relazione esistente tra persona e beni organizzati in azienda determina la scelta della tipologia di misura in funzione, essenzialmente, dei diversi scopi assegnati dal legislatore alle medesime.

È evidente, infatti, che mentre l'amministrazione ed il controllo mirano - essenzialmente - ad un ripristino funzionale dell'attività di impresa - una volta ridotta l'ingerenza dei soggetti portatori di pericolosità - il sequestro deriva da una constatazione di pericolosità del soggetto che gestisce l'attività economica e mira alla recisione del nesso tra persona pericolosa e beni.

Ed è anche necessario evidenziare che, una volta adottate le misure del controllo o della amministrazione giudiziaria, il Tribunale della prevenzione, anche in esito alle verifiche disposte nel corso di tali misure, può mutare la prima qualificazione e transitare in una tipologia prevenzionale diversa, adottando la misura più adeguata.

Ciò posto, la particolare misura di prevenzione del controllo delle aziende «su domanda» ai sensi dell'art. 34-bis, comma 6, cod. ant. realizza - in tale ambito - una ulteriore sottopartizione con caratteri peculiari.

In presenza di un primo accertamento, a fini amministrativi, del «tentativo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa» (art. 84 cod. ant.), è data all'impresa (che pure contesta il fondamento fattuale della interdittiva) la possibilità di adottare un percorso emendativo ricorrendo alla applicazione del controllo giudiziario su domanda.

Si configura in tal modo una alternativa rappresentata dalla «consegna» dell'impresa al Tribunale delle misure di prevenzione, il che comporta l'applicazione di penetranti strumenti di controllo della gestione, di verifica dei flussi di finanziamento, di comunicazione di situazioni di fatto rilevanti, nonché con eventuale obbligo di adottare misure organizzative idonee a prevenire il rischio di infiltrazione mafiosa [secondo il modello normativo di cui all'art. 34-bis, comma 2, lett. b), unico applicabile al controllo volontario].

In simile contesto, va anche detto che non appare conforme al complessivo assetto legale dell'istituto - introdotto con l. n. 161 del 17 ottobre 2017 - ritenere che il controllo giudiziario su richiesta si configuri come un "beneficio" per il solo effetto legale di sospensione delle inibizioni derivanti dalla informazione antimafia interdittiva, trattandosi di una «alternativa» che realizza un diverso assetto di interessi (rispetto alla mera inibizione all'esercizio di determinate attivi[t]à economiche) e che mira a recuperare, ove possibile, i profili di competitività "non inquinata" della realtà aziendale ed a favorire un intervento del Tribunale della prevenzione asseverato da migliori conoscenze delle condizioni operative della singola impresa.

3.4. Da quanto sinora detto deriva che ad essere ostativa all'accoglimento della domanda di controllo "volontario" è, da un lato, la constatazione (da parte del Tribunale della prevenzione) della esistenza di una condizione di agevolazione «perdurante» dell'impresa a vantaggio di realtà organizzate, inquadrabili come realtà associative di stampo mafioso, se ed in quanto tale condizione - al momento della domanda di ammissione - renda negativa la prognosi di "riallineamento" dell'impresa a condizioni operative di legalità e competitività.

Al contempo, è ostativa all'ammissione la constatazione di "assenza della relazione" (anche pregressa) tra azienda ed organizzazione criminale esterna.

Tale assetto interpretativo deriva dai contenuti espressi dalla Sezioni unite nel noto arresto ric. Ricchiuto del 2019 (sent. n. 46898/2019), secondo cui la verifica della condizione di fatto in cui si trova l'impresa richiedente va realizzata (sulla base delle fonti di conoscenza già emerse o allegate dalle parti in sede di udienza camerale) essenzialmente in chiave prognostica, nel senso della utilità o meno dello strumento oggetto di richiesta.

Ed invero la citata decisione Sez. un. Ricchiuto così precisa la direzione della verifica giurisdizionale: «... con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario, tale accertamento - e in ciò la motivazione della citata sentenza n. 29487 della Prima Sezione promuove prospettive non del tutto sovrapponibili alle conclusioni qui prese - non scolora del tutto, dovendo pur sempre il tribunale adito accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l'accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l'accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa. La peculiarità dell'accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata. L'accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non può, cioè, essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l'iter che la misura alternativa comporta...».

3.5. È evidente pertanto che dopo le precisazioni espresse dalle Sezioni unite di questa Corte nel citato arresto, la valutazione «autonoma» del Tribunale della prevenzione ai fini di cui all'art. 34-bis, comma 6, pur basandosi sui contenuti della informazione prefettizia (e su eventuali allegazioni di parte) deve necessariamente individuare i presupposti fattuali cui l'art. 34-bis, comma 1, àncora l'applicazione dell'istituto: a) l'esistenza di una relazione tra l'impresa ed i soggetti portatori di pericolosità qualificata; b) l'occasionalità delle forme di agevolazione tra la prima e l'attività dei secondi; c) la prognosi favorevole in termini di "efficacia" del controllo a scongiurare il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose.

In tale momento la «giurisdizionalità piena» del sistema della prevenzione esclude che il Tribunale possa considerare - sul punto della esistenza o meno della relazione sub a) - intangibili le valutazioni espresse dall'organo di prevenzione amministrativa, fermo restando che la decisione emessa in sede di prevenzione (in tal caso reiettiva) non "tocca" l'esistenza della informazione interdittiva prefettizia.

Vero è che in alcune pronunzie di questa Corte - che hanno ritenuto ammissibile la domanda di controllo anche nelle ipotesi in cui secondo il Tribunale della prevenzione non vi era alcuna agevolazione - il provvedimento amministrativo rappresenterebbe un "substrato intangibile" della domanda dell'impresa (in tale direzione v. Sez. II, n. 9122 del 28 gennaio 2021; Sez. VI, n. 30168 del 7 luglio 2021); ma tale opzione interpretativa (peraltro non univoca, v. Sez. II, n. 22083 del 20 maggio 2021; Sez. II, n. 899 del 16 novembre 2022, dep. 2023) non appare, secondo il Collegio, in linea con i contenuti di Sez. un. Ricchiuto, finendo con imporre l'applicazione di una misura di prevenzione (il controllo giudiziario) anche nelle ipotesi in cui l'autorità giurisdizionale - nel suo proprio momento cognitivo - non ravvisi la primaria condizione fattuale del pericolo di condizionamento della attività di impresa.

4. Tutto ciò precisato, la motivazione espressa dalla Corte di appello è da ritenersi apparente quanto alla individuazione - nel caso in esame - dello stabile condizionamento della attività di impresa, con fondatezza del secondo e terzo motivo di ricorso.

Ciò perché in tale "corno motivazionale" la Corte di merito richiama, al di là della esistenza di una precedente interdittiva (aspetto che evidenzia al più la occasionalità della relazione) il solo dato obiettivo della "relazione parentale" esistente tra gli attuali soci e un cugino raggiunto da titolo cautelare per il delitto di partecipazione al clan P., aspetto che non può essere ritenuto decisivo, per le ragioni che seguono.

4.1. Come già osservato in un precedente arresto (Sez. I, n. 31831 del 22 aprile 2021; v. anche Sez. VI, n. 18265 del 31 marzo 2022), il condizionamento stabile della attività di impresa, in caso di familiari non conviventi ritenuti portatori di pericolosità, non può essere affidato alla presunzione semplice derivante dalla contiguità familiare.

Ed invero, in tema di ricostruzione di un fatto, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d'esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti (tra le molte, Sez. VI, n. 5905 del 29 novembre 2011, Rv. 252066). Si è ulteriormente precisato che è affetta dal vizio di illogicità e di carenza della motivazione la decisione del giudice di merito che, in luogo di fondare la sua decisione su massime di esperienza - che sono caratterizzate da generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dalla esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione - utilizzi semplici congetture, cioè ipotesi fondate su mere possibilità, non verificate in base all'id quod plerumque accidit ed insuscettibili, quindi, di verifica empirica (v. Sez. VI, n. 6582 del 13 novembre 2012, Rv. 254572; Sez. I, n. 18118 dell'11 febbraio 2014, Rv. 261992).

4.2. È evidente, dunque, che l'equazione tra rapporto famil[i]are e comunanza degli interessi economici, in assenza di indicatori di conferma, ammette deroghe e finisce con il risultare meramente congetturale.

La pretesa massima di esperienza non è tale e non è dunque idonea a sostenere una valutazione di "rapporto di contaminazione perdurante".

Sul piano giuridico, oltre ad essere violata la fondamentale esigenza per cui una "conseguenza negativa" (diniego di una domanda) derivante da un apprezzamento di fatto impone un sostegno dimostrativo adeguato a ciò che si afferma in ambito giurisdizionale, occorre riflettere sulla ragnatela normativa dei divieti derivanti dalla applicazione di una misura di prevenzione, allo scopo di apprezzare l'equilibrio legislativo che governa l'accertamento della condizione di pericolosità parentale.

Possono trarsi, in particolare, utili riferimenti interpretativi dal testo dell'art. 67 cod. ant., disposizione che stabilisce le "ricadute legali" delle misure di prevenzione.

In particolare, va rilevato che nel corpo dell'art. 67, comma 4, si afferma che «... i divieti e le decadenze (tra cui le inibizioni a svolgere determinate attività di impresa) operano anche nei confronti di conviventi o di imprese di cui la persona sottoposta alla misura di prevenzione... determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi».

È prevista - a fini di accertamento della condizione di influenza - una apposita procedura in contraddittorio ai sensi dell'art. 68 cod. ant.

Da tale assetto normativo può agevolmente dedursi che, esclusa la ipotesi della convivenza, le ricadute inibitorie dell'avvenuta applicazione di una misura di prevenzione (verso soggetti legati da relazioni al portatore di pericolosità) è correlata alla verifica in concreto della "influenza" del soggetto pericoloso sulla attività economica, nell'ambito di una procedura basata su fonti cognitive necessariamente specifiche.

Occorre pertanto la emersione di dati concretamente rappresentativi della esistenza di simile influenza, dal soggetto pericoloso verso l'impresa. Tale aspetto finisce con essere eluso nella decisione impugnata, il che determina l'annullamento con rinvio per nuovo giudizio.

4.3. Va altresì precisato (v. Sez. I, n. 17817 del 2021) che, in caso di accoglimento della impugnazione con ammissione della parte privata al controllo, la misura di prevenzione dovrà essere applicata, ad avviso del Collegio, dal giudice di primo grado, cui andrebbero - in detta ipotesi - rimessi gli atti.

Non potrebbe, infatti, ammettersi una applicazione dello strumento del controllo giudiziario direttamente in secondo grado, posto che la costruzione legislativa della particolare misura di prevenzione di cui si parla è ispirata ad un principio di flessibilità e costante valutazione dei risultati della attività di «vigilanza prescrittiva», come emerge proprio dai contenuti dell'art. 34-bis, comma 6, cod. ant., lì dove si prevede - anche sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario - tanto la possibile revoca del controllo che il transito in «altre» misure di prevenzione patrimoniali.

Si trae dal sistema complessivo una competenza funzionale del Tribunale alla gestione dei profili dinamici di tale misura, anche in chiave di sua possibile variazione peggiorativa (o eliminazione, una volta raggiunti i risultati di neutralizzazione del pericolo di deviazioni gestionali tese a recare vantaggio a soggetti portatori di pericolosità), il che porta a ritenere «oggetto» del giudizio di impugnazione, in caso di diniego, il solo provvedimento, con natura rescindente della eventuale pronunzia di accoglimento dell'appello.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.

Depositata il 13 marzo 2023.