Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
Sezione I
Sentenza 5 gennaio 2023, n. 18

Presidente: Prosperi - Estensore: Risso

FATTO

Con il gravame indicato in epigrafe, il ricorrente impugna il provvedimento del Questore di Torino mediante il quale viene revocato il permesso di soggiorno per lavoro autonomo.

Avverso il provvedimento impugnato il ricorrente ha dedotto l'illegittimità per: 1) violazione di legge, con riferimento agli artt. 9, comma 10, del d.l. 76/2013, convertito in l. n. 99/2013, d.lgs. n. 109/2012, di attuazione della direttiva 2009/52/CE e circolare 35/13 del Ministero dell'interno; 2) eccesso di potere per difetto d'istruttoria, sviamento dei fatti, manifesta ingiustizia e contraddittorietà della motivazione, mancanza di idonei parametri di riferimento e contrasto con l'art. 13 della Costituzione.

Si è costituita in giudizio la Questura di Torino, depositando documentazione a supporto del provvedimento impugnato.

Con ordinanza n. 476 del 25 novembre 2021 questo Tribunale ha respinto l'istanza cautelare, evidenziando che, allo stato, non sussistevano i presupposti di fondatezza del ricorso, avuto riguardo alla condanna per grave reato riportata dal ricorrente.

All'udienza pubblica del 9 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorrente, in sintesi, sostiene genericamente che, per quanto attiene la condanna in Lussemburgo, emessa dal Tribunale di Primo Grado, la stessa sarebbe stata ritenuta definitiva, pur non essendo state rispettate le garanzie previste dalla normativa per il riconoscimento delle sentenze penali pronunciate all'estero, richiamando l'art. 730 e seguenti c.p.p., che non risultava che la procedura di riconoscimento fosse mai stata attivata e che la sentenza a carico del ricorrente non risultava essere stata riconosciuta sul territorio dello Stato.

Inoltre, nel gravame, altrettanto genericamente, si afferma che la decisione dell'Amministrazione trarrebbe la motivazione da considerazioni di carattere economico, ignorando completamente i risvolti della vicenda umana del ricorrente, il quale sarebbe persona impegnata in una fattiva ricerca, in un Paese straniero, di inserimento sociale tramite lavoro sia subordinato, sia autonomo.

Il ricorrente lamenta un'asserita carenza di istruttoria, in quanto, a suo dire, il provvedimento non sembrerebbe accentrare l'attenzione su alcuni elementi specifici della vicenda.

Infine, per quanto riguarda il contrasto con l'art. 13 della Costituzione, nel ricorso si afferma, sempre genericamente, che il diniego costituisce l'antecedente logico-giuridico per l'adozione del provvedimento di espulsione e che esso pertanto rappresenterebbe un provvedimento restrittivo della libertà personale con la necessità, a pena di illegittimità, di norme precise e dettagliate che ne configurino la sussistenza e lo scenario di operatività.

Il Collegio, a prescindere dalla genericità delle censure dedotte, si limita ad osservare che la motivazione principale del provvedimento impugnato è concentrata sulla condanna da parte del Tribunale di Primo Grado del Lussemburgo, divisione Arlon (Belgio), alla pena di anni tre di reclusione per reati inerenti gli stupefacenti, in considerazione del fatto che tale provvedimento sarebbe ostativo alla permanenza in area Schengen ai sensi degli artt. 71 e 96 della Convenzione Schengen, ratificata con l. 30 settembre 1993, n. 388 e che l'art. 4 del d.lgs. n. 286 del 1998 cita espressamente, e alla contestuale assenza del reddito minimo richiesto per la regolare permanenza sul territorio nazionale pari all'importo annuo dell'assegno sociale.

Per quanto riguarda la prima parte della motivazione, l'Avvocatura dello Stato ha evidenziato che a maggio 2021 era pervenuta alla Questura di Torino la nota del Ministero dell'interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere che segnalava che lo straniero era stato condannato dal Tribunale di Arlon (Lussemburgo) per la violazione della normativa sugli stupefacenti ed era ivi ristretto in carcere, condanna inserita nel sistema Schengen per la non ammissione sul territorio, depositando in giudizio la sentenza di che trattasi.

Per quanto riguarda la seconda parte della motivazione, l'Avvocatura dello Stato ha evidenziato che il ricorrente risultava irreperibile alla banca dati dell'Agenzia delle entrate e, soprattutto, che il ricorrente risultava privo di reddito, depositando in giudizio documentazione INPS a supporto di tale affermazione.

In via preliminare, il Collegio evidenzia che la Convenzione di Schengen istituisce, all'art. 92, il Sistema d'Informazione Schengen (SIS) "... costituito da una sezione nazionale presso ciascuna Parte contraente e da un'unità di supporto tecnico. Il Sistema d'informazione Schengen consente alle autorità designate dalle Parti contraenti, per mezzo di una procedura d'interrogazione automatizzata, di disporre di segnalazioni di persone e di oggetti, in occasione di controlli alle frontiere, di verifiche e di altri controlli di polizia e doganali effettuati all'interno del paese conformemente al diritto nazionale nonché, per la sola categoria di segnalazioni di cui all'articolo 96, ai fini della procedura di rilascio di visti, del rilascio dei documenti di soggiorno e dell'amministrazione degli stranieri in applicazione delle disposizioni contenute nella presente Convenzione in materia di circolazione delle persone".

L'art. 5 della Convezione recita: "1. Per un soggiorno non superiore a tre mesi, l'ingresso nel territorio delle Parti contraenti può essere concesso allo straniero che soddisfi le condizioni seguenti: ... d) non essere segnalato ai fini della non ammissione... 2. L'ingresso nel territorio delle Parti contraenti deve essere rifiutato allo straniero che non soddisfi tutte queste condizioni, a meno che una Parte contraente ritenga necessario derogare a detto principio per motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero in virtù di obblighi internazionali. In tale caso, l'ammissione sarà limitata al territorio della Parte contraente interessata che dovrà avvertirne le altre Parti contraenti".

Il successivo art. 25, sotto il Capitolo rubricato "Titoli di soggiorno e segnalazioni ai fini della non ammissione", recita: "1. Qualora una Parte contraente preveda di accordare un titolo di soggiorno ad uno straniero segnalato ai fini della non ammissione, essa consulta preliminarmente la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione e tiene conto degli interessi di quest'ultima; il titolo di soggiorno sarà accordato soltanto per motivi seri, in particolare umanitari o in conseguenza di obblighi internazionali. Se il titolo di soggiorno viene rilasciato, la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest'ultima ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel proprio elenco delle persone segnalate. 2. Qualora risulti che uno straniero titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato da una delle Parti contraenti è segnalato ai fini della non ammissione, la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione consulta la Parte che ha rilasciato il titolo di soggiorno per stabilire se vi sono motivi sufficienti per ritirare il titolo stesso. Se il documento di soggiorno non viene ritirato, la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest'ultima, ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel proprio elenco nazionale delle persone segnalate".

L'art. 96 che disciplina la segnalazione dello straniero nel SIS ai fini della non ammissione nei paesi aderenti, recita: "I dati relativi agli stranieri segnalati ai fini della non ammissione sono inseriti in base ad una segnalazione nazionale risultante da decisioni prese nel rispetto delle norme procedurali previste dalla legislazione nazionale, dalle autorità amministrative o dai competenti organi giurisdizionali. 2. Le decisioni possono essere fondate sulla circostanza che la presenza di uno straniero nel territorio nazionale costituisce una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale. In particolare ciò può verificarsi nel caso: a) di uno straniero condannato per un reato passibile di una pena privativa della libertà di almeno un anno; b) di uno straniero nei cui confronti vi sono seri motivi di ritenere che abbia commesso fatti punibili gravi, inclusi quelli di cui all'articolo 71, o nei cui confronti esistano indizi reali che intenda commettere fatti simili nel territorio di una Parte contraente. 3. Le decisioni possono inoltre essere fondate sul fatto che lo straniero è stato oggetto di una misura di allontanamento, di respingimento o di espulsione non revocata né sospesa che comporti o sia accompagnata da un divieto d'ingresso o eventualmente di soggiorno, fondata sulla non osservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri".

Infine, l'art. 71, comma 1, recita: "Le Parti contraenti si impegnano, relativamente alla cessione diretta o indiretta di stupefacenti e di sostanze psicotrope di qualsiasi natura, compresa la cannabis, nonché alla detenzione di detti prodotti e sostanze allo scopo di cederli o di esportarli, ad adottare, conformemente alle vigenti convenzioni delle Nazioni Unite tutte le misure necessarie a prevenire ed a reprimere il traffico illecito degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope".

A livello nazionale, l'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 recita: "Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4, l'Italia, in armonia con gli obblighi assunti con l'adesione a specifici accordi internazionali, consentirà l'ingresso nel proprio territorio allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza. I mezzi di sussistenza sono definiti con apposita direttiva emanata dal Ministro dell'interno, sulla base dei criteri indicati nel documento di programmazione di cui all'articolo 3, comma 1. Non è ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite. Impedisce l'ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale, nonché dall'articolo 1 del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e dall'articolo 24 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Lo straniero per il quale è richiesto il ricongiungimento familiare, ai sensi dell'articolo 29, non è ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone".

La norma pertanto prevede, tra l'altro, che non sia ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi i requisiti ivi indicati o che "sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone".

Il Consiglio di Stato, in merito all'interpretazione delle disposizioni contenute nella convenzione Schengen, ha precisato che: "Dall'insieme di queste disposizioni pattizie si ricava che la segnalazione Schengen, se non propriamente vincolante in senso assoluto, è comunque semi-vincolante, nel senso che lo Stato che riceve la segnalazione, se intende ciò nonostante rilasciare un permesso di soggiorno non può farlo a propria piena discrezione ma «soltanto per motivi seri, in particolare umanitari o in conseguenza di obblighi internazionali» vale a dire che debbono esservi gravi ragioni oggettivamente apprezzabili anche sul piano internazionale; e quand'anche tali ragioni vi siano, esso deve esperire un'apposita procedura di consultazione con lo Stato da cui proviene la segnalazione" (C.d.S., Sez. III, 8 luglio 2015, n. 3427; sul punto, più di recente, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 28 agosto 2017, n. 1072) e che «La giurisprudenza di questa Sezione si è da tempo consolidata sul principio della "non sindacabilità" nel merito, salvi i casi eccezionali dell'errore materiale e/o del disguido burocratico, dei provvedimenti di non ammissione dello straniero, emessi da ciascun Stato aderente all'accordo di Schengen, in quanto l'appartenenza a tale accordo impone di evitare o ridurre al minimo le ipotesi in cui la valutazione compiuta da uno Stato estero possa essere vanificata o diversamente valutata da un altro Stato (C.d.S., Sez. III, n. 5735/2015, n. 4601/2014, n. 3573/2013 e n. 2978/2013). Si tratta, qui, di applicare una regola europea che costituisce pilastro dello spazio comune di libera circolazione, all'interno del quale ciascun Paese membro ha il dovere di applicare segnalazioni o richieste provenienti da altro Paese membro. Diversamente opinando, le disposizioni del trattato sarebbero violate» (C.d.S., Sez. III, 11 luglio 2017, n. 3421).

Alla luce di tutto quanto sopra esposto sul piano normativo e giurisprudenziale, le contestazioni sollevate dal ricorrente circa il mancato rispetto delle procedure di cui all'art. 730 e seguenti del c.p.p. risultano essere irrilevanti.

La censura pertanto è priva di pregio.

Per quanto riguarda l'assenza di reddito, invece, ci si limita a richiamare quanto osservato dal Consiglio di Stato: "Secondo la costante giurisprudenza della Sezione, il possesso di un reddito minimo idoneo al sostentamento proprio e del nucleo familiare costituisce condizione soggettiva non eludibile, ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. 25.7.1998, n. 286, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno perché attiene alla sostenibilità dell'ingresso e della permanenza dello straniero nella comunità nazionale, in quanto garantisce che egli contribuisca al progresso anche materiale della società e non si dedichi ad attività illecite".

Anche in merito a tale motivazione nulla viene specificatamente contestato dal ricorrente, limitandosi quest'ultimo ad affermare che la decisione dell'Amministrazione trarrebbe la motivazione da considerazioni di carattere economico, ignorando completamente i risvolti della vicenda umana del ricorrente, il quale sarebbe persona impegnata in una fattiva ricerca, in un Paese straniero, di inserimento sociale tramite lavoro sia subordinato, sia autonomo.

Anche tale censura pertanto è priva di pregio.

Infine, per quanto riguarda l'asserita carenza di istruttoria, in quanto, a dire del ricorrente, il provvedimento non sembrerebbe accentrare l'attenzione su alcuni elementi specifici della vicenda, ci si limita ad osservare che il ricorrente non indica quali sarebbero in concreto tali specifici elementi. Pertanto tale censura risulta inammissibile per genericità.

Anche la censura relativa al contrasto con l'art. 13 della Costituzione risulta essere inammissibile per genericità.

Invero, come recentemente evidenziato dal T.A.R. Reggio Calabria, con la sentenza del 17 giugno 2021, n. 538, che richiama sul punto C.d.S., Sez. III, 4 settembre 2020, n. 5256: "nel giudizio amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio, ma bisogna precisare il profilo sotto il quale il vizio viene dedotto e, ancora, indicare tutte quelle circostanze dalle quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussiste, pena l'inammissibilità per genericità della censura proposta" (in merito anche la sentenza di questo Tribunale, Sez. I, 6 febbraio 2014, n. 232).

Ebbene, alla luce di tutto quanto sopra esposto in fatto e in diritto, il ricorrente non ha introdotto in giudizio elementi idonei a dimostrare l'illegittimità del provvedimento impugnato.

In conclusione, il ricorso è in parte da respingere perché infondato e in parte inammissibile perché generico.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della Questura di Torino, liquidate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), più accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.