Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 3 gennaio 2023, n. 82

Presidente ed Estensore: Tarantino

FATTO E DIRITTO

1. Con l'appello in esame MA.CA. s.r.l. invoca la riforma della sentenza indicata in epigrafe con la quale è stata dichiarata l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione proposto per l'annullamento di alcune note dell'O.A.N.O.S.I.

2. Con ordinanza n. 2883/2012 la Sezione sospendeva il presente giudizio, avendo le parti evidenziato la pendenza, innanzi l'autorità giudiziaria ordinaria, di una vicenda relativa a una questione pregiudiziale rispetto a quella su cui si controverte e la cui soluzione poteva avere influenza decisiva sull'esito del presente giudizio.

3. Con decreto presidenziale 904/2022 ai sensi dell'art. 80, comma 3-bis, c.p.a. si disponeva istruttoria, al fine di verificare la persistenza, o meno, delle ragioni di sospensione del presente giudizio, onerando le parti di fornire informazioni in ordine allo sviluppo della vicenda sostanziale e processuale da cui origina la presente controversia, accertando l'eventuale definizione del contenzioso, con efficacia di giudicato, pendente presso l'autorità giudiziaria.

4. In data 8 agosto 2022 l'appellata evidenziava con nota la definitiva conclusione del pregiudiziale giudizio civile e depositava la correlata sentenza resa dal Tribunale civile di Perugia n. 2089/2016.

5. Tanto premesso, il presente giudizio deve essere dichiarato estinto ai sensi dell'art. 35, comma 2, lett. a), c.p.a. per mancata tempestiva riassunzione del giudizio nel termine di 90 giorni previsto dall'art. 80, comma 1, c.p.a.

Al riguardo occorre osservare che il primo comma dell'art. 80 del c.p.a. non qualifica espressamente come perentorio il termine di 90 giorni entro il quale presentare l'istanza di fissazione di udienza per la prosecuzione del giudizio già sospeso, mentre nella diversa ipotesi di interruzione il terzo comma indica il termine di 90 giorni per la riassunzione quale "perentorio".

Ciò premesso, deve essere evidenziato che sulla natura (perentoria o ordinatoria) del termine di cui al primo comma della norma si sono registrati nel tempo opposti orientamenti giurisprudenziali.

Un primo orientamento (cfr. C.d.S., IV, 25 agosto 2015, n. 3985) ha sottolineato che il primo comma dell'art. 80 non prevede alcuna sanzione per l'omesso rispetto del termine ivi previsto, con la conseguenza che la mancata indicazione del termine quale perentorio, tanto più a fronte di una contraria indicazione di perentorietà nel successivo terzo comma, milita per la sua ordinarietà.

È stata, in proposito, richiamata la regola secondo cui i termini sono ordinatori, salva espressa indicazione della loro perentorietà, onde, anche per tale ragione, non sarebbe possibile una "forzatura" del comma 1 nel senso di qualificare per via interpretativa quale perentorio il termine ivi indicato.

Né si rischierebbe la permanente pendenza sine die di processi già sospesi e non tempestivamente riassunti, giacché l'ordinamento processuale amministrativo prevede istituti, in particolare la perenzione ordinaria, soggetti a stringenti termini, atti a determinare comunque la estinzione dei processi per i quali non venga posto in essere alcun atto di procedura.

Su tale solco interpretativo si colloca l'ordinanza della IV Sezione n. 2320 dell'1 giugno 2016, la quale ha rilevato che la disciplina dell'istituto della riassunzione in caso di sospensione del giudizio amministrativo non deve essere ricercata nel rito civile perché essa è espressamente disciplinata dal comma 1 dell'art. 80, affermando che l'istanza di fissazione dell'udienza deve essere presentata entro 90 giorni, termine non previsto come perentorio.

A tale iniziale posizione della giurisprudenza, relativa al carattere ordinatorio del termine per la prosecuzione del giudizio sospeso, è seguito il progressivo consolidamento di un indirizzo ermeneutico di segno opposto - che il Collegio condivide e al quale si intende dare continuità - che ritiene la natura perentoria del suddetto termine.

Giova in proposito richiamare in primo luogo le statuizioni dell'Adunanza plenaria rese nell'ordinanza 15 ottobre 2014, n. 28.

Questa ha osservato che "rimane inteso che il termine per la prosecuzione del giudizio è quello innovativamente sancito dall'art. 80, comma 1, c.p.a. per tutte le ipotesi di sospensione del processo amministrativo", evidenziando, peraltro, che "deve ritenersi ragionevole, ai fini della tempestiva prosecuzione del processo sospeso per la pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa a seguito di questione sollevata da altro giudice, che il termine decorra dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla Gazzetta ufficiale - che integra un idoneo sistema di pubblicità legale per la conoscenza delle sorti del processo costituzionale - e non dalla notificazione operata dal soggetto interessato alle controparti a fini sollecitatori, in quanto tale meccanismo, rimesso alla mera volontà delle parti, non è compatibile con il principio di ragionevole durata del processo essendo suscettibile di provocare una quiescenza sine die del processo (cfr. Cass. civ., Sez. I, 26 marzo 2013, n. 7580; C.d.S., Sez. IV, ord. 11 luglio 2002, n. 3926)".

Dunque, la affermata necessità di evitare, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo, una quiescenza sine die del giudizio presuppone logicamente che il termine fissato dalla norma per la prosecuzione dello stesso abbia natura perentoria, non risultando conciliabile con la valenza solo ordinatoria dello stesso.

Di poi, il carattere perentorio del termine è stato ritenuto dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana con la sentenza n. 47 del 2018, nella quale si legge quanto segue: «Vero è, inoltre, che l'art. 152 c.p.c. detta il noto principio per cui "I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la stessa legge li dichiari espressamente perentori"; e altrettanto vero è che l'art. 80, comma 1, c.p.a. non qualifica espressamente come perentorio il termine dettato per la prosecuzione del giudizio sospeso, diversamente da quanto fa il comma 3 dello stesso articolo per il termine di riassunzione di quello interrotto. Nondimeno, a monte, l'art. 35, comma 2, dello stesso c.p.a. dispone che "Il giudice dichiara estinto il giudizio... se, nei casi previsti dal presente codice, non viene proseguito o riassunto nel termine perentorio fissato dalla legge o assegnato dal giudice", con il che viene espressamente fissata già una volta per tutte la perentorietà dei termini legali di prosecuzione o riassunzione del giudizio recati dallo stesso codice. La natura perentoria del termine in discussione si manifesta essenziale, del resto, affinché l'art. 80, comma 1, possa soddisfare la propria trasparente ratio. La stessa natura trova, infine, un pieno riscontro anche nella disciplina del processo civile (art. 297, comma 1, c.p.c.), al quale ineriscono esigenze di "ragionevole durata" non maggiori di quelle ravvisabili rispetto al giudizio amministrativo».

Da ultimo, la natura perentoria del termine è stata affermata da questa Sezione con sentenza n. 381 del 15 gennaio 2019 e con sentenza n. 5188 del 23 luglio 2019, osservandosi condivisibilmente che, altrimenti opinando, ci si troverebbe di fronte alla evidente irrazionalità e contraddittorietà di un sistema processuale che preveda meccanismi di riattivazione di un processo quiescente diversi, a seconda che si tratti di sospensione o di interruzione del giudizio.

Osserva, inoltre, il Collegio che le esigenze di ragionevole durata del processo, giustificative del carattere perentorio del termine di cui al richiamato art. 80, comma 1, del c.p.a., si manifestano come preminenti in ogni ipotesi di sospensione del giudizio, al fine di evitare il pericolo di una quiescenza sine die dello stesso, a prescindere dalla causa di sospensione.

Il termine di 90 giorni per la prosecuzione è, dunque, perentorio tanto nell'ipotesi in cui la sospensione sia stata disposta in relazione ad un incidente di costituzionalità o di pregiudizialità europea quanto nell'ipotesi in cui la sospensione derivi - come nella fattispecie in esame - dalla circostanza che altro giudice debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipenda la decisione della causa.

Non risulta, inoltre, condivisibile - al fine di ritenere la natura ordinatoria del termine ed il rispetto comunque del principio di ragionevole durata del processo - il richiamo, operato da parte appellante, all'istituto della perenzione quinquennale di cui all'art. 82 c.p.a., il quale fornirebbe "un chiaro ed invalicabile limite alla durata del processo amministrativo il quale è dichiarato perento in ogni caso dopo cinque anni dal suo inizio".

Va, invero, considerato che la perenzione riguarda giudizi in corso per i quali alcun ostacolo vi è al loro ordinario svolgimento.

Nell'ipotesi di sospensione, invece, il giudizio si trova in uno stato di quiescenza che ne impedisce lo svolgimento e la definizione, atteso che durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento e la sospensione interrompe i termini in corso (v. art. 298 c.p.c.).

Trattandosi di situazione eccezionale, discendente dalla necessità della previa definizione di altro giudizio, risulta necessario che l'ordinario corso del processo amministrativo venga ripristinato entro uno spazio temporale ragionevolmente breve dalla cessazione della causa di sospensione.

Pertanto, il rispetto del principio di ragionevole durata del processo assume, in ipotesi di sospensione del processo, una connotazione diversa e più stringente rispetto alla fattispecie ordinaria del giudizio in corso, giustificando il carattere perentorio del termine assegnato dalla norma per la prosecuzione dello stesso e l'insufficienza, ai fini dell'osservanza del richiamato principio, dell'invocato istituto della perenzione.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve, pertanto, ritenersi che il termine di 90 giorni previsto dall'art. 80, comma 1, del c.p.a. abbia natura perentoria.

Quanto, invece, all'individuazione del termine di 90 giorni per la presentazione della nuova domanda di fissazione di udienza può al riguardo farsi riferimento alla pubblicazione della sentenza del Tribunale ordinario ed al suo passaggio in giudicato e tanto per le ragioni che di seguito si svolgono.

L'art. 80, comma 1, del codice del processo amministrativo dispone che "In caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro 90 giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione".

In proposito, è stato osservato (cfr. C.d.S., V, ord. 2193/2015 del 30 aprile 2015) che nel nuovo codice del processo amministrativo la disciplina della estinzione, della prosecuzione e della riassunzione del giudizio ha acquisito carattere di autonomia, avendo trovato nell'art. 80 del codice unitaria e compiuta regolamentazione, in coerenza con le esigenze di celerità che lo caratterizzano stante la tutela degli interessi pubblici coinvolti, come da principi espressi dal Consiglio di Stato con le decisioni dell'Adunanza plenaria n. 3 del 2010 e n. 28 del 2014. Si è, pertanto, ritenuta non più applicabile al processo amministrativo la disciplina degli istituti della prosecuzione e della riassunzione stabilita dal codice di procedura civile, tenuto conto che l'art. 39 del c.p.a. stabilisce che le disposizioni del codice di procedura civile si applicano solo per quanto non disciplinato dal c.p.a. ed inoltre in quanto compatibili o espressione di principi generali.

Osserva, peraltro, il Collegio che l'autonomia e la compiutezza del sistema delineato dal codice del processo amministrativo non escludono che la decorrenza del termine per la presentazione di istanza di fissazione di udienza ai fini della prosecuzione del processo sospeso sia sempre e comunque collegata, quale dies a quo, alla formale comunicazione individuale dell'atto che fa venire meno la causa della sospensione.

Invero, la espressa previsione della "comunicazione" risponde all'esigenza che il soggetto che deve attivarsi per la prosecuzione abbia una conoscenza "certa" e "legale" dell'atto che determina il venir meno della causa di sospensione.

In ossequio a tale ratio ed al principio di ragionevole durata del processo, il termine "comunicazione" va inteso in senso ampio, non limitato ad un atto individuale portato alla diretta conoscenza del destinatario, ma esteso, altresì, ad ogni forma di "conoscenza legale" dell'atto che ha fatto venir meno la causa di sospensione.

D'altra parte, la norma non parla di "comunicazione individuale", ma genericamente di "comunicazione", con la conseguenza che risultano idonee alla decorrenza del termine di cui al richiamato comma 1 dell'art. 80 tutte quelle forme di pubblicazione della cessazione della causa di sospensione che determinino "conoscenza legale" della stessa.

In tale contesto, pertanto, deve ritenersi che la pubblicazione della sentenza che decide la causa pregiudiziale dinanzi al giudice ordinario costituisca per i soggetti che sono stati parti di tale giudizio forma di "comunicazione" idonea a determinare la decorrenza del termine perentorio di 90 giorni per la presentazione dell'istanza di fissazione di udienza ai fini della prosecuzione del processo dinanzi al giudice amministrativo.

Invero, la pubblicazione della sentenza ne determina la conoscenza legale in capo a qualsiasi soggetto ad essa interessato, trattandosi di un evento accertabile in concreto con l'uso dell'ordinaria diligenza (cfr. Corte dei conti, Sez. giur. Lazio, 15 novembre 2013, n. 768; Cass. civ., Sez. lav., 2 maggio 1996, n. 3960).

6. Il presente giudizio deve, dunque, essere dichiarato estinto. Sussistono eccezionali motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara estinto.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.