Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 9 gennaio 2023, n. 237

Presidente: Lipari - Estensore: Fratamico

FATTO E DIRITTO

L'odierno appellante proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania per l'annullamento della determina dirigenziale n. 147 del 30 aprile 2010, con la quale il dirigente del Servizio antiabusivismo edilizio del Comune di Napoli aveva ordinato, ai sensi dell'art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, la demolizione delle opere illegittimamente eseguite in Napoli, alla via Timavo n. 49 (costituite dalla realizzazione "sul terrazzo a livello di un piano attico, di tettoia a struttura in legno di m. 6,40 x 3,20 di altezza variabile m. 2,90-2,60, completa di copertura in tavolato in legno e guina impermeabilizzata; tettoia a struttura in ferro di m. 7,00 x 4,60 di altezza variabile m. 2,90-2,60, completa di copertura in pannelli in policarbonato") e di tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenziali.

Tale ricorso veniva rigettato dal T.A.R. con la sentenza n. 5747/2017 che è oggetto del presente appello dinanzi al Consiglio di Stato.

A sostegno della sua impugnazione l'appellante ha dedotto i seguenti motivi: 1) error in iudicando in relazione alla sua estraneità all'esecuzione delle opere abusive; 2) error in iudicando in rapporto alla possibilità di qualificare le opere realizzare come interventi di manutenzione straordinaria; 3) error in iudicando in quanto il T.A.R. nella pronuncia in questione sarebbe andato "al di là dello stesso provvedimento impugnato".

Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, chiedendo il rigetto dell'appello, in quanto infondato.

All'udienza straordinaria del 2 dicembre 2022 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

L'appellante ha lamentato, in primo luogo, l'erroneità della pronuncia impugnata, nella quale il T.A.R. non avrebbe adeguatamente valorizzato il fatto che lui non potesse essere qualificato "responsabile degli abusi", avendo ricevuto in donazione dalla madre l'immobile in questione, già comprensivo dei due gazebi realizzati senza titolo sul terrazzo.

Tali manufatti, aperti su tre lati, avrebbero, inoltre, costituito meri arredi esterni con funzione ornamentale, non necessitanti di permesso di costruire, ma, eventualmente, di semplice S.C.I.A. anche se ricadenti in zona vincolata e sarebbero stati erroneamente equiparati dal T.A.R. a delle tettoie.

Tali censure sono infondate e devono essere respinte.

La prima doglianza, svolta dall'appellante circa l'impossibilità per l'Amministrazione di indicarlo validamente come "responsabile dell'abuso", essendo egli mero proprietario dell'immobile su cui sorgono le opere edificate senza titolo, si rivela in verità - come osservato dai giudici di prime cure - del tutto formalistica poiché, per giurisprudenza costante, la demolizione deve essere posta a carico di chi abbia con il bene una relazione materiale che lo ponga nella condizione di eseguire il provvedimento che ha natura ripristinatoria e reale.

Come, infatti, evidenziato in numerose pronunce da questo Consiglio e come riconosciuto anche dall'Adunanza plenaria, la demolizione di un abuso edilizio va ingiunta all'attuale proprietario dell'immobile non a titolo di responsabilità effettiva, ma proprio per il suo rapporto materiale con l'immobile abusivo, poiché mira a colpire una situazione di fatto obiettivamente antigiuridica, consistente nell'avvenuta realizzazione di opere edilizie in contrasto con la disciplina urbanistica ed ha lo scopo di ripristinare l'ordine urbanistico violato. Essendo l'abusività una connotazione di natura reale, che segue l'immobile anche nei suoi successivi trasferimenti, la demolizione è, di regola, atto dovuto e prescinde dall'attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell'abuso edilizio (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VI, 20 giugno 2022, n. 5031; Ad. plen., n. 9/2017).

La sentenza di rigetto del ricorso proposto in primo grado risulta, inoltre, adeguatamente motivata anche nella parte in cui evidenzia le dimensioni notevoli dei manufatti de quibus, tali da renderli non meri arredi o semplici opere pertinenziali, come sostenuto dall'appellante, ma costruzioni vere e proprie, che necessitavano di titolo edilizio, nonché di autorizzazione paesaggistica, essendo state realizzate in zona sottoposta a vincolo.

Sul punto può precisarsi che interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni siano di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.

L'art. 27 d.P.R. n. 380/2001, in presenza di un manufatto realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, rende, poi, doverosa la demolizione d'ufficio di tutti gli interventi realizzati sine titulo e non solamente degli interventi realizzati senza permesso di costruire. L'ordinanza di demolizione precisa al riguardo che l'intervento ricade in zona vincolata e perciò anche da tale punto di vista la sentenza del T.A.R. appare condivisibile, senza alcuno "sconfinamento" di valutazione da parte dell'organo giudicante nell'ambito riservato all'amministrazione.

Alla luce delle argomentazioni che precedono, l'appello deve essere, dunque, come anticipato, integralmente respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:

- lo rigetta;

- condanna l'appellante alla rifusione in favore dell'amministrazione comunale delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.