Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 16 gennaio 2023, n. 479

Presidente: Montedoro - Estensore: Maggio

FATTO E DIRITTO

Con ordinanza 9 febbraio 2017, n. 2179, il Comune di Scafati ha ingiunto, ai sig.ri Rosa B., Antonia B., Michele B., Antonio C., Luigia C., Maria Serena C. e Pasquale B., la demolizione di un'opera abusiva.

Constatato che la detta ordinanza non era stata eseguita, il Comune ha adottato l'atto 18 luglio 2017, n. 33939, con cui ha accertato la mancata ottemperanza al provvedimento di ripristino e ha disposto l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale del bene, dell'area di sedime e di quella pertinenziale.

Ritenendo tale ultimo atto illegittimo i summenzionati sig.ri B. e C. lo anno impugnato con ricorso al T.A.R. Campania, Salerno, il quale, con sentenza 27 maggio 2019, n. 846, lo ha dichiarato inammissibile, in considerazione, tra l'altro, della rilevata violazione del principio di alternatività (di cui all'art. 8 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199), discendente dal fatto che i ricorrenti avevano già precedentemente impugnato l'ordine di demolizione, con ricorso straordinario al Capo dello Stato.

Avverso la sentenza hanno proposto appello i sig.ri B. e C.

Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio l'amministrazione comunale appellata.

Con istanza depositata in data 9 dicembre 2021 la sig.ra Rosa B. ha dichiarato di rinunciare all'appello.

Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2022, la causa è passata in decisione.

In via preliminare va dichiarata l'estinzione del processo in relazione alla sig.ra Rosa B. avendo la stessa dichiarato, con atto ritualmente depositato in giudizio, di rinunciare all'appello.

In relazione ai restanti appellanti il gravame va, invece, esaminato nel merito.

Ha carattere assorbente l'esame del secondo motivo, con cui si denuncia l'errore commesso dal Tribunale nel dichiarare inammissibile il ricorso in conseguenza della ravvisata violazione del principio di alternatività fra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario al Capo dello Stato, posto dall'art. 8 del d.P.R. n. 1199/1971, norma ritenuta insuscettibile di applicazione analogica.

Infatti, a seguito del provvedimento di ripristino, sarebbe stata presenta[ta] istanza di accertamento di conformità dell'opera da demolire, per cui il ricorso straordinario sarebbe divenuto improcedibile, e, conseguentemente, non sarebbe più configurabile alcuna violazione del principio di alternatività.

Quest'ultimo, in ogni caso, potrebbe operare solo laddove l'impugnazione nelle due sedi riguardi lo stesso atto, mentre, nella fattispecie, gli atti gravati con i due rimedi alternativi sarebbero differenti.

Il giudice di prime cure, inoltre, non avrebbe tenuto conto dell'assoluta diversità di petitum che caratterizzerebbe i due ricorsi.

La doglianza è infondata.

In base a un orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, ormai assolutamente maggioritario: «la regola dell'alternatività del ricorso straordinario al Capo dello Stato rispetto al ricorso giurisdizionale, fissata dall'art. 8 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, risponde ad una ratio di tutela non già dei privati, bensì della giurisdizione, avendo lo scopo di evitare il rischio di due decisioni contrastanti sulla medesima controversia (divieto del ne bis in idem) e trova applicazione, pertanto, non solo quando si tratta della medesima domanda o dell'impugnazione dello stesso atto, ovvero vi è identità del bene della vita oggetto del rimedio giustiziale esperito, ma anche nel caso di due impugnative rivolte dal medesimo soggetto avverso punti diversi dello stesso atto oppure quando si tratta di atti distinti, ma legati tra loro da un nesso di presupposizione; in sostanza la regola dell'alternatività tra il ricorso straordinario al Capo dello Stato e quello giurisdizionale deve sempre ritenersi operante nei casi nei quali le due diverse impugnative siano sostanzialmente caratterizzate dall'identità del contendere e della relativa ratio» (C.d.S., Sez. VII, 11 novembre 2022, n. 9937; 27 aprile 2022, n. 3296; 19 aprile 2022, n. 2958; Sez. II, 22 luglio 2022, n. 6471; Sez. III, 7 gennaio 2020, n. 112; Sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3696).

Nel caso di specie, come più sopra precisato, la parte appellante ha impugnato in sede giurisdizionale l'atto di acquisizione gratuita, dopo aver proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato contro l'ordinanza di demolizione, che costituisce atto presupposto di quello acquisitivo, così incorrendo, sulla base della citata giurisprudenza, in un'evidente violazione del richiamato principio di alternatività (electa una via non datur recursus ad alteram).

Occorre ulteriormente rilevare che, diversamente da quanto parte appellante sostiene, l'invocata presentazione dell'istanza di accertamento di conformità dell'opera oggetto del provvedimento di demolizione è del tutto ininfluente sulla riscontrata violazione del principio fissato dall'art. 8 del menzionato d.P.R. n. 1199/1971.

Infatti, per un verso, la presentazione della domanda di accertamento di conformità, ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non comporta la sopravvenuta inefficacia dei provvedimenti sanzionatori pregressi, determinando, unicamente, la temporanea sospensione della loro concreta esecuzione (C.d.S., Sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 1432; 18 agosto 2021, n. 5922; 22 gennaio 2021, n. 666; 15 gennaio 2021, n. 488; 28 settembre 2020, n. 5669; 4 gennaio 2021, n. 43; 6 giugno 2018, n. 3417; Sez. II, 6 maggio 2021, n. 3545). Per altro verso, ove anche la presentazione della detta istanza di sanatoria possedesse gli effetti auspicati dagli appellanti, la stessa non sarebbe, comunque, idonea a escludere la violazione del principio di alternatività, dato che la lesione del detto principio si verifica per il solo fatto che i due atti, legati tra loro da rapporto di presupposizione, siano impugnati con i due diversi rimedi.

L'appello va, in definitiva, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell'amministrazione appellata, liquidandole, forfettariamente, in complessivi euro 3.000,00 (tremila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.