Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 20 gennaio 2023, n. 710

Presidente ed Estensore: Contessa

FATTO

Con ricorso rubricato al n. R.G. 372/2008 proposto dinanzi il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria - Reggio Calabria il sig. C. Gianfranco impugnava per l'annullamento: a) il provvedimento in data 1° febbraio 2008 del Capo Settore Urbanistica del Comune di Palmi, con cui era stata ordinata al ricorrente la sospensione dei lavori e la demolizione delle opere illegittimamente realizzate; b) il verbale n. 17/2008 della Polizia Municipale del 5 luglio 2008. Con successivi motivi aggiunti, il ricorrente impugnava per l'annullamento l'atto n. 12600 del 29 aprile 2008, con cui il Comune aveva respinto l'istanza di accertamento di conformità proposta ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 380 del 2001.

Con la sentenza n. 56/2018 del 5 febbraio 2018, il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria - Sezione staccata di Reggio Calabria ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse a seguito della presentazione di un'istanza di sanatoria e respinto i motivi aggiunti per infondatezza.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal sig. C. Gianfranco che ha chiesto di accogliere il presente appello e, per l'effetto, annullare e/o riformare l'impugnata sentenza con tutte le conseguenze di legge anche in ordine a spese e competenze del doppio grado di giudizio.

Si è costituito in giudizio il Comune di Palmi, chiedendo di respingere l'appello in quanto infondato in fatto e diritto.

Con l'atto di appello l'odierno ricorrente lamenta "l'erroneità, la contraddittorietà, l'illogicità e l'insufficienza della motivazione della stessa".

Con il primo motivo di impugnazione, in particolare, contesta la decisione gravata nella parte in cui il T.A.R. ha ritenuto che gli interventi edilizi posti in essere dal ricorrente contrastino con la convenzione urbanistica prevista dall'art. 132 del regolamento edilizio e determinino una modifica della destinazione d'uso dell'immobile. Ed ancora, censura la statuizione del Giudice secondo cui non risulta la conformità delle opere realizzate alle vigenti norme urbanistiche.

Osserva al riguardo l'appellante che gli interventi realizzati non comportano una destinazione dell'immobile nuova e diversa rispetto a quella stabilita nella convenzione urbanistica stipulata ai sensi dell'art. 132 del regolamento edilizio. Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale amministrativo regionale, si sostiene che le opere realizzate in variante rispetto a quelle assentite con permesso di costruire n. 34/2003 erano annoverabili tra quelle indicate dall'art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Si afferma, poi, che l'edificio interessato dai contestati lavori presenta identica volumetria e sagoma rispetto a quello assentito. In altri termini, si sostiene che le opere realizzate hanno comportato modificazioni esclusivamente interne, mentre l'edificio è rimasto inalterato nelle sue componenti essenziali dal punto di vista della consistenza, dimensione e sagoma del fabbricato

In via preliminare, il Comune appellato controdeduce l'inammissibilità delle censure proposte perché si riferiscono all'ordinanza di demolizione n. 30/2008, impugnata con il ricorso principale.

Nel merito, l'Amministrazione evidenzia che il permesso di costruire vietava espressamente la realizzazione di tramezzature nel sottotetto e prescriveva la non abitabilità dell'ambiente a pena di decadenza della concessione. Si afferma, pertanto, che la violazione del predetto divieto si configura come una variazione essenziale e giustifica il rigetto dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria.

Fermo quanto sopra, evidenzia altresì il Comune che il progetto presentato ai sensi dell'art. 36 del t.u. n. 380 del 2001 contrastava la convenzione urbanistica ai sensi dell'art. 132 del regolamento edilizio stipulata in data 5 giugno 2003. Con la predetta convenzione, invero, l'odierno appellante si era impegnato nei confronti del Comune di Palmi a non modificare la destinazione d'uso del bene assentito, pena l'acquisizione del manufatto al patrimonio comunale.

Con il secondo motivo di impugnazione, l'appellante evidenzia che non esiste una categoria edilizia "deposito/magazzino" e osserva che gli interventi edilizi realizzati sono chiaramente consentiti dall'art. 57 l.r. n. 7 del 2002 e dall'art. 132 del regolamento edilizio comunale per cui il cambio d'uso urbanisticamente rilevante è solo quello che comporta il passaggio ad una diversa e funzionalmente autonoma categoria fra quelle indicate dalla legge. In conclusione, deduce il carattere sproporzionato della sanzione della demolizione che la legge prevede solo per opere eseguite senza permesso di costruire e non per quelle realizzabili con d.i.a. (in seguito: s.c.i.a.), come possono ritenersi gli interventi edilizi posti in essere.

In proposito, l'Amministrazione ritiene corretta la statuizione del Tribunale che ha rigettato l'istanza di sanatoria a seguito dell'omessa dimostrazione della doppia conformità, così come previsto dall'art. 36 del t.u. n. 380 del 2001. Si sottolinea, infine, che l'appellante non avrebbe potuto in alcun modo modificare la destinazione d'uso ai sensi del permesso di costruire n. 34/2003 e della convenzione urbanistica ex art. 132 del regolamento edilizio stipulata in data 5 giugno 2003.

All'udienza di smaltimento del 13 gennaio 2023 il ricorso in epigrafe è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal signor C. avverso la sentenza n. 56/2018 resa dal Tribunale Amministrativo per la Calabria - Reggio Calabria con cui è stato in parte dichiarato improcedibile e in parte respinto il ricorso proposto avverso gli atti con cui il comune di Palmi aveva censurato la realizzazione di alcuni interventi abusivi su un immobile di proprietà dell'appellante ubicato in Contrada Monteterzo di quel comune.

2. Va premesso che la sentenza in epigrafe non è stata appellata per la parte in cui ha dichiarato improcedibile il ricorso originariamente proposto avverso l'ordine comunale di rimessione in pristino in data 1° febbraio 2008.

Su questa parte della sentenza si è dunque formata la cosa giudicata.

La controversia prosegue, invece, in relazione al provvedimento comunale in data 29 aprile 2008 con il quale è stata respinta l'istanza di accertamento di conformità presentata dall'odierno appellante in relazione agli interventi realizzati sull'immobile per cui è causa.

3. Va altresì premesso che lo stesso appellante non contesta che il balcone realizzato lungo i lati nord ed ovest del fabbricato presentasse un'oggettiva conformità rispetto al titolo e alle destinazioni d'uso ammesse nell'area per cu[i] è causa.

In relazione a tale intervento, quindi, deve essere confermata l'insussistenza delle condizioni affinché potesse essere ammesso l'accertamento di conformità.

Tanto premesso in via generale, è ora possibile passare all'esame dei singoli motivi di appello.

4. Con il primo motivo di appello, più analiticamente descritto in narrativa, il signor C. lamenta che erroneamente il primo giudice abbia dichiarato l'insussistenza delle condizioni per ammettere l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 380 del 2001.

4.1. Il motivo è nel complesso fondato.

4.1.1. Va premesso che è infondata l'eccezione di inammissibilità formulata dal Comune. Ed infatti, diversamente da quanto sostenuto dall'amministrazione appellata, non può affermarsi che il ricorso fondi i motivi di censura sul solo provvedimento in data 1° febbraio 2008 (oggetto dell'originario ricorso di primo grado), risultando lo stesso adeguatamente incentrato sul contenuto del successivo provvedimento del rigetto della sanatoria in data 29 aprile 2008.

4.1.2. Va inoltre premesso che non vi è contestazione circa il fatto che gli interventi realizzati dall'appellante non abbiano inciso sulla consistenza, sulla dimensione e sulla sagoma del fabbricato (fermo restando quanto rilevato retro, sub 3 per quanto riguarda il balcone).

Va anche premesso che l'impugnato provvedimento in data 29 aprile 2008 abbia fondato il diniego qui impugnato essenzialmente su due ragioni:

- in primo luogo, per la ritenuta violazione della convenzione urbanistica in data 5 giugno 2006, stipulata ai sensi dell'art. 132 del regolamento edilizio comunale (tale convenzione impediva all'appellante di mutare la destinazione d'uso del manufatto);

- in secondo luogo, perché il permesso di costruire n. 34/03 prescriveva che il piano sottotetto (rectius: il secondo piano, sopra il quale insiste il tetto del fabbricato) fosse privo di tramezzature.

Va infine premesso (sia pure, ai limitati fini che qui rilevano) che con sentenza n. 973/2012 l'appellante è stato assolto dai reati edilizi a lui contestati, atteso che "gli interventi edilizi realizzati dall'imputato non hanno comportato alcun ampliamento del perimetro esterno del manufatto, né elevazione delle rispettive altezze (...)".

4.1.3. Quanto al merito delle doglianze dell'appellante si osserva in primo luogo che non è di per sé il contrasto con il titolo edilizio (permesso di costruire n. 34/03) a poter determinare il rigetto dell'istanza di sanatoria ai sensi dell'art. 36, cit. (in ragione del divieto, espressamente posto dal titolo, di realizzare tramezzatura al secondo piano - "sottotetto" -).

La difformità rispetto al titolo, a ben vedere, rappresenta il presupposto stesso per la presentazione di una domanda di sanatoria e non certo la ragione per disporne il rigetto.

Al contrario, ciò che potrebbe impedire il rilascio di tale sanatoria è, ai sensi del richiamato art. 36, la carenza della c.d. "doppia conformità" (ed infatti tale disposizione, al comma 1, stabilisce che l'accertamento di conformità può essere rilasciato a condizione che "l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda").

Occorre quindi domandarsi se gli interventi realizzati dall'appellante si ponessero in sostanziale contrasto con la pertinente disciplina urbanistica ed edilizia.

Il Collegio osserva che al quesito debba fornirsi risposta in senso negativo, in quanto:

- la destinazione d'uso prevista era quella di "deposito per attrezzature di cantiere";

- la realizzazione di tramezzature al secondo piano (per quanto non ammessa dal titolo) non risultava di per sé idonea a comportare una modifica della destinazione d'uso (e, in via diretta, una violazione dei parametri urbanistici ed edilizi);

- la realizzazione di vani potenzialmente idonei alla presenza di persone ed operatori non è, a propria volta, in radice incompatibile con la richiamata destinazione d'uso, essendo comunque compatibile con tale destinazione la presenza saltuaria di persone per ragioni strettamente connesse alla destinazione d'uso sostanziale dell'immobile;

- il Comune si è limitato al riguardo a contestare una generica violazione delle previsioni della convenzione urbanistica annessa alla concessione edilizia n. 34/03 ma non ha motivato in ordine alle ragioni per cui la difformità si ponesse in radicale ed insanabile contrasto con la prevista destinazione d'uso;

- ai sensi dell'art. 23-ter del d.P.R. 380 del 2001, non qualunque forma di utilizzo dell'immobile diversa da quella originariamente prevista costituisce un "mutamento rilevante della destinazione d'uso", ma soltanto un tipo di utilizzo il quale comporti che l'unità immobiliare risulti destinata - a seguito della difformità - a una diversa categoria funzionale fra quelle elencate al medesimo art. 23-bis;

- ebbene, nel caso in esame, appare che gli interventi realizzati non fossero ascrivibili a una categoria funzionale diversa da quella inizialmente prevista per l'immobile [si tratta della categoria "c) - commerciale"], essendosi realizzati vani comunque destinati al perseguimento degli scopi e delle attività tipiche della categoria iniziale;

- in ogni caso, nell'impugnato provvedimento in data 29 aprile 2009 il Comune non ha fornito alcuna motivazione effettiva a supporto dell'esistenza di una difformità urbanistica ed edilizia idonea a far venire meno il requisito della c.d. "doppia conformità".

4.2. Il richiamato provvedimento comunale deve quindi essere annullato in relazione ai rilevati profili di difetto di istruttoria e di motivazione, fatta salva l'adozione di ogni nuovo e ulteriore provvedimento da parte del Comune appellato.

5. Per ragioni connesse a quelle appena esposte deve altresì essere accolto il secondo motivo di appello, con cui il sig. C. ha lamentato - e sotto diverso profilo - l'erroneità della sentenza in epigrafe in ordine alla contestata conformità fra le opere per cui è causa e le pertinenti regole urbanistiche.

5.1. Al riguardo (nel richiamare quanto rilevato retro, sub 4.1.3) si osserva che:

- la prevista destinazione a "deposito per attrezzature di cantiere" non impediva in radice qualunque presenza umana nell'immobile, in particolare se limitata nel tempo e del tutto accessoria rispetto all'esercizio dell'attività principale;

- il Comune appellato non ha indicato per quali ragioni la realizzazione dei vani dinanzi descritti sarebbe stata idonea ad imprimere al manufatto nel suo complesso (ovvero ai soli vani in parola) una destinazione del tutto nuova, diversa, incompatibile con quella originaria e riferibile a una diversa categoria funzionale fra quelle previste dall'art. 23-ter del d.P.R. 380 del 2001;

- la legge della Regione Calabria n. 19 del 2002, nell'individuare le categorie funzionali omogenee rilevanti sul territorio comunale ai fini dei cui al più volte richiamato art. 23-ter, ha puntualmente richiamato quella dell'uso "commerciale", certamente applicabile al caso in esame.

5.2. Concludendo sul punto, deve essere qui richiamato il condiviso orientamento secondo cui il cambio di destinazione d'uso di un preesistente manufatto non richiede alcun titolo abilitativo nel solo caso in cui si realizzi fra categorie edilizie omogenee; viceversa, il cambio di destinazione d'uso che interviene tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra, quindi, una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, soggetta a permesso di costruire (sul punto, ex multis: C.d.S., VI, 7 ottobre 2022, n. 8613; 26 settembre 2022, n. 8256; II, 12 novembre 2020, n. 6948).

Ma il punto è che nel caso in esame, per le ragioni dinanzi esposte, le pur sussistenti difformità rispetto al titolo non avevano comunque determinato un effettivo e dimostrato mutamento dell'originaria destinazione d'uso, con passaggio a una diversa categoria funzionale.

6. Per le ragioni esposte l'appello in epigrafe deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione, fatto salvo ogni ulteriore provvedimento del Comune.

Sussistono giusti ed eccezionali motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione, fatto salvo ogni ulteriore provvedimento del Comune.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.