Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 10 febbraio 2023, n. 1469

Presidente: Montedoro - Estensore: Cordì

FATTO E DIRITTO

1. Il Ministero della cultura ricorreva in appello avverso la sentenza n. 219 del 2017, con la quale il T.A.R. per la Sardegna ha accolto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dai signori Maurizio S. e Sabrina Sa. avverso:

i) il provvedimento ministeriale prot. n. 4091/Class. 34.19.09/19.1 del 24 marzo 2016, contenente parere contrario al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di un progetto di demolizione e ricostruzione ex art. 5 della l.r. della Sardegna n. 4/2004 di un fabbricato ubicato nel territorio del Comune di Quartu Sant'Elena;

ii) la determinazione della Regione autonoma della Sardegna (Assessorato degli enti locali, finanze e urbanistica, Direzione generale della pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia, Servizio tutela del paesaggio e vigilanza province di Cagliari e Carbonia-Iglesias) n. 942, prot. 18754 TP/CA-CI del 10 maggio 2016 di diniego dell'autorizzazione paesaggistica per l'intervento indicato alla precedente lettera.

2. In punto di fatto si osserva che:

i) in data 27 marzo 2015, gli odierni appellati richiedevano l'accertamento di compatibilità paesaggistica in relazione ad un intervento di demolizione e ricostruzione di un fabbricato sito nel Comune di Quartu Sant'Elena (via Boccherini, n. 38), in zona B, sottozona B2 del relativo P.U.C., tutelata ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 42/2004, in quanto ricadente all'interno della fascia di tutela dei 100 metri dal bene storico-archeologico denominato "stazione viale Colombo" (codice bene 10054, consistente in una cisterna sotterranea di epoca romana);

ii) l'Amministrazione comunale riteneva il progetto conforme alle prescrizioni urbanistiche relative all'area e lo inoltrava alla Soprintendenza per il parere di competenza;

iii) la Soprintendenza comunicava i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza in data 6 agosto 2015, evidenziando come l'intervento non fosse autorizzabile ai sensi della previsione di cui all'art. 49, comma 6, delle N.T.A. del Piano paesaggistico regionale della Sardegna;

iv) con nota del 24 marzo 2015 la Soprintendenza esprimeva parere negativo confermando il contrasto dell'intervento con la previsione indicata alla lettera che precede.

2.1. I signori S. e Sa. impugnavano il parere della Soprintendenza deducendo:

i) l'illegittimità della valutazione espressa dall'Amministrazione statale in quanto fondata sulla sola circostanza che l'edificio ricade nella fascia dei 100 metri da un bene identitario, omettendo, tuttavia, ogni valutazione in ordine alla concreta lesione del bene tutelato;

ii) la disparità di trattamento rispetto alle determinazioni assunte dall'Amministrazione in relazione a situazioni di fatto analoghe;

iii) il difetto di motivazione del parere.

2.2. In data 10 maggio 2016 la Regione Sardegna adottava la determinazione n. 942 con la quale negava l'autorizzazione paesaggistica, mutuando i rilievi contenuti nel parere della Soprintendenza. Gli odierni appellati impugnavano tale determinazione con ricorso per motivi aggiunti, sorretto dalle medesime censure contenute nel ricorso introduttivo e dall'ulteriore doglianza costituita dal dedotto acritico recepimento del parere ministeriale.

3. Il T.A.R. per la Sardegna accoglieva il ricorso, come integrato da motivi aggiunti, ritenendo, in radice, insussistente l'esigenza di tutela del bene protetto, costituito, nella specie, da una cisterna sotterranea di epoca romana visivamente separata dal fabbricato dei ricorrenti da un'intensa attività edilizia. Inoltre, secondo il Giudice di primo grado i provvedimenti non indicavano le ragioni concrete per le quali l'intervento doveva ritenersi precluso.

4. Avverso tale sentenza il Ministero della cultura proponeva ricorso in appello affidato ad un unico motivo con il quale si evidenziava come:

i) la previsione di cui all'art. 49 delle N.T.A. del Piano paesaggistico regionale dovesse interpretarsi come volta a precludere qualsiasi intervento in fascia di rispetto senza necessità di articolare peculiari motivazioni da parte della Soprintendenza;

ii) l'istanza dei privati avesse ad oggetto la demolizione e successiva ricostruzione del manufatto (con bonus volumetrico del 30%), comportando l'edificazione di un fabbricato del tutto differente per forma e dimensioni e, quindi, di un'opera preclusa dalle regole del Piano paesaggistico.

5. Si costituivano in giudizio i signori S. e Sa. deducendo, in primo luogo, la cessazione della materia del contendere o, comunque, l'improcedibilità del ricorso in appello atteso che la Regione annullava in autotutela la determinazione n. 942 e che il Comune rilasciava il titolo edilizio richiesto in data 22 maggio 2017. In forza di tali provvedimenti parte appellata procedeva alla demolizione dello stabile preesistente (dandone comunicazione alla Soprintendenza) e alla realizzazione del nuovo edificio. Inoltre, parte appellata deduceva l'infondatezza nel merito del ricorso in appello.

6. Con ordinanza n. 5359/2017 la Sezione respingeva l'istanza cautelare articolata dall'Amministrazione della cultura.

7. In vista dell'udienza pubblica del 2 febbraio 2023 la sola parte appellata depositava memoria difensiva finale ribadendo le argomentazioni già esposte nel precedente scritto difensivo. All'udienza del 2 febbraio 2023 la causa era trattenuta in decisione.

8. Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione con la quale parte appellata deduce la cessazione della materia del contendere o la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione di merito sul ricorso in appello.

9. In termini generali il Collegio osserva come l'inesauribilità del potere amministrativo, persistente in capo alla parte pubblica anche in pendenza del giudizio, pone l'Amministrazione in condizione di riesaminare i provvedimenti censurati in sede giurisdizionale, pervenendo ad una rinnovata regolazione del rapporto sostanziale. Al fine di ricostruire il regime giuridico delle determinazioni sopravvenute e di verificare gli effetti che tali atti sono suscettibili di produrre sul giudizio pendente, occorre distinguere a seconda che il riesame in sede amministrativa:

i) si concluda con un atto favorevole al privato, in quanto idoneo a realizzare l'interesse sostanziale sotteso alla proposizione del ricorso, ovvero dia luogo ad un atto sfavorevole, perché ostativo al conseguimento del bene della vita ambito con l'azione giudiziaria;

ii) sia imposto da un ordine giudiziale ovvero sia il risultato di una decisione autonomamente assunta dall'Amministrazione procedente.

10. In ordine al primo profilo si osserva come, di regola, i provvedimenti assunti in corso di giudizio sono idonei a determinare la cessata materia del contendere soltanto ove, autonomamente assunti dall'Amministrazione, determinino la realizzazione piena dell'interesse sostanziale sotteso alla proposizione dell'azione giudiziaria, permettendo al ricorrente in primo grado di ottenere in via amministrativa il bene della vita atteso, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo (C.d.S., Sez. V, 13 agosto 2020, n. 5031). I provvedimenti sopravvenuti determinano, invece, l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, qualora attuino un assetto di interesse inoppugnabile, ostativo alla realizzazione dell'interesse sostanziale sotteso al ricorso, anche in tale caso rendendo inutile la prosecuzione del giudizio - anziché per l'ottenimento - per l'impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente.

10.1. Questo Consiglio precisa che l'inutilità di una pronuncia di merito sulla domanda articolata dalla parte può affermarsi solo all'esito di una indagine "condotta con il massimo rigore, onde evitare che la declaratoria in oggetto si risolva in un'ipotesi di denegata giustizia e quindi nella violazione di un diritto costituzionalmente garantito" (C.d.S., Sez. VII, 10 agosto 2022, n. 7076; Sez. VI, 12 settembre 2022, n. 7895). In particolare, "la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse presuppone che, per eventi successivi alla instaurazione del giudizio, debba essere esclusa l'utilità dell'atto impugnato, ancorché meramente strumentale o morale, ovvero che sia chiara e certa l'inutilità di una pronuncia di annullamento dell'atto impugnato" (C.G.A.R.S., 3 luglio 2020, n. 536).

10.2. La cessata materia del contendere e l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse trovano, dunque, giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato amministrativo, bensì tende a tutelare la posizione giuridica del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione autoritativa oggetto di censura. Adendo la sede giurisdizionale, la parte ricorrente fa valere una pretesa sostanziale, avente ad oggetto la conservazione di un bene della vita già compreso nel proprio patrimonio individuale, pregiudicato dall'esercizio del potere amministrativo, ovvero l'acquisizione (o comunque la chance di acquisizione) di un bene della vita soggetto a pubblica intermediazione. Come precisato dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio, «nel nostro sistema di giurisdizione soggettiva, la verifica della legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati non va compiuta nell'astratto interesse generale, ma è finalizzata all'accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere, ritualmente, dalla parte attrice. Poiché il ricorso non è mera "occasione" del sindacato giurisdizionale sull'azione amministrativa, il controllo della legittimazione al ricorso assume sempre carattere pregiudiziale rispetto all'esame del merito della domanda, in coerenza con i principi della giurisdizione soggettiva e dell'impulso di parte» (C.d.S., Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4). La pronuncia giudiziaria risulta utile qualora, nel riscontrare l'illegittimità dell'azione amministrativa, consenta la realizzazione dell'interesse sostanziale di cui è portatrice la parte ricorrente, impedendo la sottrazione o garantendo l'acquisizione (o chance di acquisizione) di utilità giuridicamente rilevanti e salvaguardando, per l'effetto, la sfera giuridica individuale da azioni autoritative difformi dal paradigma normativo di riferimento. Qualora, invece, tale interesse sia stato già realizzato ovvero non possa più essere soddisfatto, il giudizio non può concludersi con l'esame, nel merito, delle censure svolte nell'atto di parte, la cui fondatezza non potrebbe, comunque, arrecare alcuna utilità concreta in capo al ricorrente.

11. Un ulteriore approfondimento deve, invece, effettuarsi in ordine al rapporto tra provvedimento sopravvenuto ed acquiescenza alla decisione giudiziale. Infatti, non ogni provvedimento emesso a seguito di una pronuncia (cautelare o di merito) del Giudice amministrativo può ritenersi integrare acquiescenza al dictum giudiziale. Lo evidenzia la giurisprudenza della Sezione osservando come l'acquiescenza non può desumersi, ex se, dall'esecuzione del dictum giudiziale che è doverosa per l'Amministrazione soccombente, a meno che nell'ambito dell'esecuzione così intrapresa quest'ultima dichiari in modo espresso di accettare la decisione o comunque tale accettazione sia inequivocabilmente evincibile dal complessivo comportamento tenuto: "occorre cioè - per ritenere superati gli atti impugnati - che le statuizioni giudiziali siano a tal punto condivise e fatte proprie dall'Amministrazione stessa da configurare la conseguente attività da essa posta in essere non come mera esecuzione della sentenza medesima, ma come autonoma manifestazione del potere di autotutela all'Amministrazione pur sempre spettante in ordine ai suoi precedenti atti"; "in mancanza di ciò, il segmento conformativo dell'azione amministrativa riveste una rilevanza del tutto provvisoria e condizionata all'esito del giudizio nel merito" (C.d.S., Sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 10624).

12. Operate tali precisazioni generali occorre declinare i principi al caso di specie.

12.1. A tal fine si osserva, in primo luogo, come i nuovi provvedimenti adottati dalla Regione Sardegna e dal Comune di Quartu Sant'Elena elidano l'interesse del Ministero alla decisione sul merito del ricorso in appello. Infatti, l'adozione di una autorizzazione paesaggistica da parte della Regione e il rilascio del permesso di costruire da parte del Comune realizzano un nuovo assetto di interessi sul piano sostanziale che supera le precedenti determinazioni e regolano, allo stato, il rapporto amministrativo. In particolare, la determinazione regionale n. 517/2017 non si limita a dare esecuzione alla sentenza del T.A.R. per la Sardegna ma svolge una diversa valutazione ravvisando un autonomo e differente presupposto per l'esercizio del potere regionale consistente nella natura non vincolante del parere della Soprintendenza. In sostanza, la decisione regionale non può ritenersi mera esecuzione della sentenza di primo grado che, del resto, avrebbe imposto, in primo luogo, l'emanazione di un nuovo parere da parte della Soprintendenza (stante anche le ragioni a fondamento dell'annullamento pronunciato dal T.A.R.), con il successivo seguito del procedimento. La determinazione regionale evidenzia, invece, come il parere della Soprintendenza (successivamente annullato dal T.A.R. per la Sardegna) risultava tardivo, individuando, in tal modo, una ragione di illegittimità della prima decisione regionale che si fondava sulla tempestività del parere e sul carattere vincolante dello stesso. Secondo la Regione, invece, il mancato rispetto del termine di emanazione del parere determinava il venir meno del carattere vincolante dello stesso consentendo all'Amministrazione di provvedere autonomamente e di verificare i presupposti per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.

12.2. In sostanza, la determinazione regionale del 2017 "supera" (in modo autonomo e non vincolato dalla portata conformativa della sentenza) il precedente assetto di interessi realizzato con i provvedimenti impugnati dagli odierni appellati. I nuovi provvedimenti erano comunicati alla Soprintendenza che, tuttavia, ometteva di impugnarli lasciando, quindi, consolidare il nuovo assetto regolatore della situazione sostanziale oggetto del giudizio.

12.3. In questa situazione il ricorso in appello del Ministero deve ritenersi privo di interesse non potendo l'Amministrazione ritrarre alcuna utilità dalla pronuncia. Infatti, la situazione sostanziale risulterebbe, comunque, regolata dai nuovi provvedimenti la cui legittimità non può essere conosciuta dal Collegio in difetto di ipotesi di nullità degli stessi, non dedotte dal Ministero della cultura (che nulla ha osservato in ordine a quanto eccepito da parte appellata) e, comunque, non ravvisate officiosamente da parte di questo Giudice.

12.4. Alla luce di quanto esposto il ricorso in appello del Ministero deve, quindi, dichiararsi improcedibile.

13. Le spese di lite del presente grado di giudizio possono eccezionalmente compensarsi tra le parti costituite avuto riguardo all'epilogo della vicenda contenziosa che preclude la disamina di merito del ricorso in appello dell'Amministrazione statale. Non si provvede, invece, alla regolazione delle spese tra il Ministero e la Regione Sardegna, non costituita in giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione di merito. Compensa tra le parti costituite le spese di lite del presente grado di giudizio. Nulla sulle spese della Regione Sardegna, non costituita in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.