Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 17 febbraio 2023, n. 1684

Presidente: Carbone - Estensore: Lamberti

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso avanti il T.A.R. per il Lazio notificato nel corso del mese di novembre 2012, la società odierna appellante ha impugnato il decreto del 12 ottobre 2012, con cui, nell'ambito del procedimento di espropriazione per la realizzazione del tratto Tarquinia-Civitavecchia dell'autostrada A12 (il cui progetto definitivo, con valenza di apposizione di vincolo preordinato all'esproprio e dichiarazione di pubblica utilità, era stato approvato con delibera CIPE del 5 maggio 2011), la società SAT Lavori le ha ingiunto la rimozione "delle opere e delle strutture insistenti nelle aree [già] oggetto di occupazione" in virtù del decreto di occupazione d'urgenza n. 1293 del 29 agosto 2011, tra cui, in particolare, un chiosco per la vendita di prodotti caseari di loro produzione, insistente su una fascia di terreno "di proprietà del Comune di Tarquinia, poi trasferita alla Comunione delle ASL del Lazio" ("e per conto di questa gestito dalla società Gepra Lazio"), prospiciente l'intersezione fra la SS1 Aurelia e l'autostrada A12.

1.1. In fatto, la società ha sostenuto che:

- avrebbe usucapito tale terreno, occupato nel 1990 e su cui nel 1993 sarebbe stato realizzato il chiosco;

- per l'accertamento dell'usucapione penderebbe giudizio civile avanti il Tribunale di Civitavecchia, radicato nel novembre 2011;

- non avrebbe ricevuto alcuna comunicazione della procedura espropriativa (in particolare, del cennato decreto del 29 agosto 2011), se non relativamente ad altro adiacente ma distinto fondo condotto in affitto rustico, con riguardo al quale avrebbe ricevuto in data 10 luglio 2012 comunicazione recante l'offerta dell'indennità di esproprio;

- il primo atto della procedura espropriativa afferente (anche) al terreno su cui insiste il chiosco comunicato all'esponente sarebbe, appunto, il decreto impugnato, con il quale viene formulato l'invito a rimuovere "le opere e le strutture" ivi insistenti, con avviso, per il caso contrario, della facoltà di procedere ad esecuzione coattiva in danno.

1.2. In diritto, la società ha formulato le seguenti censure:

I) sarebbe stato violato l'art. 22-bis d.P.R. n. 327 del 2001, non essendo stata previamente determinata (né, tanto meno, comunicata), con riferimento al terreno su cui insiste il chiosco, l'indennità di espropriazione, cui l'esponente avrebbe avuto diritto come proprietaria effettiva del bene (pur se non ancora accertata giudizialmente), situazione di fatto per il cui accertamento, peraltro, non sarebbero stati necessari particolari approfondimenti istruttori da parte dell'espropriante; in subordine, viene formulata questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, d.P.R. n. 327 del 2001, ai sensi del quale "Tutti gli atti della procedura espropriativa, ivi incluse le comunicazioni ed il decreto di esproprio, sono disposti nei confronti del soggetto che risulti proprietario secondo i registri catastali";

II) il decreto impugnato non potrebbe essere coattivamente eseguito, difettando l'apposita previsione di legge richiesta dall'art. 21-ter l. n. 241 del 1990;

III) inoltre, tale decreto avrebbe dovuto essere motivato in punto di anticipata immissione in possesso.

1.3. Con successivi motivi aggiunti notificati nel corso del mese di dicembre 2012, la società ha impugnato la "convenzione unica" fra ANAS e SAT dell'11 marzo 2009, recante la concessione a quest'ultima della progettazione, costruzione e gestione dell'autostrada Livorno-Civitavecchia e, dunque, anche la delega dei connessi poteri espropriativi, in tesi anti-comunitaria in quanto disposta senza gara, così come il contratto a valle di affidamento a contraente generale per la progettazione esecutiva e la realizzazione dei lavori de quibus stipulato tra SAT e SAT Lavori.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.A.R. (dopo aver rigettato l'istanza cautelare svolta dalla società, con pronuncia confermata in sede di appello cautelare) ha così deciso:

- in rito:

i) ha affermato la giurisdizione del Giudice amministrativo;

ii) ha affermato la legittimazione e l'interesse a ricorrere della società, sostenendo che - benché nel giudizio civile azionato avanti il Tribunale di Civitavecchia la domanda di accertamento dell'usucapione fosse stata respinta con sentenza n. 876 del 26 ottobre 2018, non ancora passata in giudicato - comunque la posizione della società sarebbe differenziata in virtù della detenzione qualificata del terreno de quo, giacché "non è possibile escludere, allo stato, che i Fratelli Podda conducano il terreno a scopo agricolo, risultando dalla redazione dello stato di consistenza un terreno seminato e arato, vale a dire con essenze proprie di una coltivazione agricola";

iii) ha affermato la tempestività del ricorso introduttivo, difettando una prova "rigorosa" dell'eccezione di tardività formulata ex adverso;

- nel merito, ha rigettato il ricorso introduttivo, perché:

I) la legge non imporrebbe all'espropriante alcuna ricerca circa il proprietario "effettivo" del terreno espropriando, ma si riferirebbe al solo proprietario "catastale"; specularmente, la giurisprudenza «ha chiarito che, ai sensi dell'art. 3, comma 2, cit., la comunicazione non già al proprietario "catastale" (secondo la regola generale) ma a quello "effettivo" deve essere interpretata nel senso che costui deve essere comunque conosciuto, o comunque desunto, da un qualsivoglia atto che, in tempi ed in procedimenti diversi, sia ad ogni modo pervenuto alla pubblica Amministrazione»; sarebbe, poi, manifestamente infondata la relativa questione di legittimità costituzionale, perché il rapporto di fatto con un bene non troverebbe copertura costituzionale; parimenti, non sussisterebbe una violazione del parametro interposto rappresentato dalla CEDU, che limiterebbe la tutela convenzionale alla sola proprietà;

II) "una volta effettuata l'immissione nel possesso (perfezionatasi nel caso di specie il 24 novembre 2011), i soggetti (non proprietari) che continuano l'occupazione, non avendone alcun titolo, sono come tali passibili di sgombero coattivo in forza dei principi generali dell'ordinamento";

III) la motivazione dell'anticipata immissione in possesso sarebbe insita nella natura "strategica" dell'opera realizzanda ai sensi della l. n. 443 del 2001;

- ha rigettato i motivi aggiunti, specificando che:

i) "la società ricorrente non risulta proprietaria del terreno e non è soggetto passivo della procedura stessa, azionata in virtù di Convenzione unica" fra ANAS e SAT, "a sua volta legificata ai sensi dell'art. 8-duodecies d.l. n. 59/2008, come convertito"; ne conseguirebbe l'irrilevanza della "questione di legittimità/conformità comunitaria prospettata dalla parte ricorrente", oltretutto "generica nella sua formulazione";

ii) il contratto di affidamento a contraente generale stipulato tra SAT e SAT Lavori non sarebbe nullo, sia perché SAT Lavori "risulta essere un'impresa collegata a SAT, su cui la medesima SAT esercitava un'influenza dominante, potendo nominare, tra l'altro, la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione", sia, comunque, perché "non si riscontra alcuna violazione di norme imperative che possa comportare la dichiarazione di nullità del contratto di affidamento stipulato tra SAT e SAT Lavori il 30 marzo 2012, tra l'altro di dubbia giurisdizione di questo Tribunale";

- ha compensato le spese.

3. La società soccombente ha interposto appello, rappresentando preliminarmente che, già nel corso del giudizio di prime cure ed a seguito dell'esito sfavorevole della fase cautelare, il chiosco sarebbe stato autoritativamente abbattuto.

3.1. La società ha contestato esclusivamente la reiezione delle censure svolte avanti il T.A.R. con ricorso per motivi aggiunti, premettendo che:

- sarebbe stata "possessore in senso tecnico del fondo sul quale insisteva il chiosco ... a decorrere dall'anno 2008", allorché la proprietà del fondo sarebbe transitata in capo alla Regione Lazio, che, "a differenza del Comune" di Tarquinia, non avrebbe mai "posto in essere un qualsivoglia e benché minimo atto di tolleranza né, tantomeno, di opposizione": "tali circostanze rinvengono conferma, sia pur implicitamente, ma in maniera chiara, nella stessa sentenza del Tribunale di Civitavecchia";

- pertanto, avrebbe avuto la "piena legittimazione ed il pieno interesse a contestare la validità degli atti impugnati", ivi inclusi quelli gravati con motivi aggiunti, dato che sul terreno espropriando "conduceva un'azienda agricola", i cui prodotti venivano poi venduti avvalendosi del chiosco, come del resto evincibile dall'apposita autorizzazione comunale per "attività di vendita esercitata dagli agricoltori ai sensi della l. n. 59 del 1963";

- la reiezione delle censure svolte avverso la citata "convenzione unica" fra ANAS e SAT, pertanto, sarebbe contraddittoria, perché se la società ha titolo, come riconosciuto dal T.A.R., ad impugnare atti della procedura espropriativa, lo avrebbe anche per contestare gli atti che, come la citata convenzione, costituirebbero a monte la fonte del potere espropriativo.

3.2. La società, quindi, ha riproposto il secondo motivo di ricorso contenuto nei motivi aggiunti, con cui ha censurato la citata "convenzione unica", formulando altresì in primis richiesta di disapplicazione dell'art. 8-duodecies, comma 2, del d.l. n. 59 del 2008, ove interpretato come forma di legificazione di tale convenzione, ovvero, in subordine, di rimessione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'UE: la società ha, in proposito, specificato che "visto che ormai il chiosco dei fratelli Podda è stato demolito e che l'infrastruttura è stata realizzata, l'accertamento della invalidità degli atti impugnati si richiede al solo ed unico scopo di poter poi successivamente pretendere un congruo risarcimento per il danno subito".

3.3. Si sono costituiti in resistenza ANAS e Presidenza del Consiglio dei ministri.

3.4. Si è altresì costituita SAT, che:

- ha riproposto le eccezioni formulate in prime cure con riferimento alla censura ex adverso riproposta, ossia:

i) l'irricevibilità, perché l'esistenza della convenzione sarebbe stata nota alla società appellante a far data dalla conoscenza del decreto motivato di occupazione d'urgenza, avvenuta in data 24 novembre 2011, in occasione della redazione dello stato di consistenza delle aree da occupare, ovvero, a tutto concedere, dalla ricezione (occorsa in data 13 luglio 2012) della lettera del 10 luglio 2012 recante l'offerta dell'indennità di esproprio per l'attiguo fondo condotto in affitto rustico, nelle cui premesse "sono espressamente citate sia la data di sottoscrizione della convenzione unica, sia la data in cui la stessa è divenuta efficace";

ii) l'inammissibilità per carenza di interesse, posto che "in ogni caso SAT ha esercitato un potere che le è stato delegato dal concedente ANAS e che, indipendentemente dal destino della convenzione unica, il potere espropriativo non svanirebbe, ma tornerebbe in capo al concedente, che sarebbe comunque interessato alla realizzazione dell'opera (tanto che ne ha fatto l'oggetto della concessione)";

- ha svolto appello incidentale, con cui ha contestato la reiezione, da parte del T.A.R., dell'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio di prime cure per difetto di legittimazione attiva in capo alla società, giacché questa non avrebbe avuto alcuno "specifico e qualificato titolo giuridico" sul terreno, del quale sarebbe stata mero occupante sine titulo.

3.5. Il ricorso è stato trattato alla pubblica udienza del 2 febbraio 2023, in vista della quale le parti hanno depositato memorie scritte.

4. Il Collegio prende le mosse dall'appello incidentale, che risulta fondato ed assorbente.

5. Invero, in termini generali la contestazione in giudizio di atti espropriativi (e, prima ancora, il diritto di partecipare al relativo procedimento, mediante la debita comunicazione degli atti rilevanti) compete soltanto ai soggetti che abbiano un qualificato titolo giuridico rispetto alla res, in primis i titolari di diritti reali.

5.1. Valorizzando la ratio sottesa all'art. 17 l. n. 865 del 1971, la giurisprudenza di questo Consiglio ha esteso questa facoltà anche a quanti coltivino un fondo in virtù di specifici vincoli contrattuali (mezzadria, colonia parziaria, soccida, affitto di fondo rustico).

5.2. Deve, invece, escludersi che il mero possessore del fondo, quand'anche ivi eserciti un'attività agricola, sia legittimato all'impugnazione (ed alla partecipazione procedimentale), proprio in quanto difetta un vincolo giuridico con la res, sussistendo di contro un mero rapporto materiale.

5.3. Tale rapporto è, ai fini in discorso, privo di rilievo: poiché l'espropriazione incide autoritativamente sullo statuto dominicale del bene (e, solo come conseguenza, sul relativo possesso materiale), è evidente che legittimati (e, prima ancora, de jure interessati) alla contestazione giudiziale dei relativi atti sono solo quei soggetti che hanno un qualificato e differenziato vincolo giuridico con il bene, destinato ad essere travolto o, comunque, coinvolto dalla spendita del potere ablativo dell'Amministrazione (cfr., da ultimo, C.d.S., Sez. IV, 4 novembre 2022, n. 9667).

5.4. Non è, dunque, sufficiente il possesso non altrimenti qualificato (ossia il c.d. jus possessionis), né, a fortiori, la mera detenzione di fatto, proprio in quanto situazioni prive di formale qualificazione giuridica e connotate da (recte, esistenti in) una dimensione esclusivamente materiale.

5.5. Specularmente, l'Autorità espropriante non ha il dovere di svolgere alcuna indagine circa l'effettivo uso del fondo espropriando e, in particolare, circa l'esistenza di soggetti che abbiano con esso un rapporto materiale, proprio per la strutturale irrilevanza di tale tipologia di rapporti nell'ambito dei procedimenti espropriativi, che si collocano in una prospettiva dominicale (o, comunque, giuridica), non meramente ed esclusivamente fattuale.

6. Orbene, nella specie consta che:

- la società appellante ha visto respinta, con sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 876 del 26 ottobre 2018, la propria domanda di accertamento dell'avvenuta usucapione, svolta ai sensi tanto dell'art. 1158 c.c., quanto dell'art. 1159-bis c.c.;

- nella sentenza, in particolare, si sostiene che:

a) «la disponibilità del compendio oggetto di causa è avvenuta con il consenso o, quanto meno, per quel che rileva per la valutazione della domanda giudiziale in discussione, con la "tolleranza" del Comune di Tarquinia, Ente proprietario della consistenza per cui è causa dal 1980 al 2008»;

b) conseguentemente, a prescindere da ogni altra considerazione, il periodo successivo al 2008 (anno in cui il bene in discussione è passato nella titolarità della Regione Lazio) non avrebbe comunque durata sufficiente ad usucapionem, neppure nella forma abbreviata di cui all'art. 1159-bis c.c.;

- la sentenza è passata in giudicato (cfr. memoria dell'appellante depositata in data 4 marzo 2020) e accerta pertanto ad ogni effetto, nei confronti dell'appellante società, il dato giuridico dell'assenza di un acquisto a titolo originario del terreno;

- a tutto concedere, l'assunta sussistenza di un possesso ad usucapionem nel periodo successivo al 2008 che la sentenza avrebbe, secondo l'appellante, implicitamente affermato:

a) in primis, è sfornita di prova, posto che nel citato giudizio civile la Regione Lazio, succeduta nella proprietà del cespite appunto dal 2008, lungi dal restare inerte o dal riconoscere il buon diritto dell'attrice, ha "contestato le difese attoree e concluso per il rigetto della domanda giudiziale", sollevando altresì "eccezioni in via preliminare" (cfr. pagine 3 e 5 della sentenza), peraltro assorbite dalla citata decisione "alla luce del principio della ragione più liquida";

b) è comunque inconferente, in considerazione da un lato dell'estensione temporale di tale (allegato) incontestato possesso, insufficiente a determinare l'acquisto per usucapione, dall'altro della strutturale inidoneità delle situazioni di mero possesso, già in termini generali, a legittimare all'impugnazione degli atti della procedura espropriativa.

7. In riforma dell'impugnata sentenza, quindi, il ricorso introduttivo del giudizio di prime cure va dichiarato ab imis inammissibile. Ne consegue che è superfluo l'esame dell'appello principale, con cui si ripropongono censure veicolate con motivi aggiunti nell'ambito di un giudizio di primo grado ab initio ed ab ovo inammissibile.

8. Il Collegio rileva, per doverosa completezza motivazionale, che i motivi aggiunti in prime cure qui riproposti erano comunque irricevibili, perché della "convenzione unica" fra ANAS e SAT era data espressa e puntuale indicazione nella citata lettera del 10 luglio 2012 (la società appellante precisa, nella successiva lettera del 23 luglio 2012, che la lettera del 10 luglio 2012 era stata ricevuta in data 13 luglio 2012) ed i motivi aggiunti sono stati proposti soltanto nel dicembre 2012.

9. La particolarità della vicenda e la relativa novità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello e sull'appello incidentale, come in epigrafe proposti, dispone come segue:

- accoglie l'appello incidentale e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado, ai sensi di cui in motivazione.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.