Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 20 febbraio 2023, n. 1731
Presidente: Caputo - Estensore: Lamberti
FATTO E DIRITTO
1. L'appellante ha impugnato avanti il T.A.R. per la Campania il provvedimento n. 13840 del 14 aprile 2015 con cui il Comune di Acerra ha respinto l'istanza di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 380/2001 presentata dal ricorrente il 16 gennaio 2013 (prot. n. 2478) per opere realizzate in difformità dalla licenza edilizia n. 3634 del 1974 su un immobile identificato in catasto al fg. 42, p.lla 1723, sub 1.
2. Il provvedimento impugnato è motivato con riferimento alle ragioni ostative esposte nella comunicazione di preavviso di diniego del 18 giugno 2014, con cui l'amministrazione ha opposto che: i) non è rispettata l'altezza massima degli opifici, stabilita in mt. 4,5 dalle N.T.A. del P.I.P.; ii) non è rispettata la distanza di mt. 6 dal confine, con riferimento al confine sud con la p.lla 2340, stabilita dalle N.T.A. del P.R.G. vigente; iii) non è consentito un accertamento di conformità limitato a una parte soltanto degli immobili abusivi, né esso può essere subordinato all'esecuzione di opere ulteriori, poiché la doppia conformità deve essere verificata con riferimento allo stato di fatto, occorrendo, pertanto, la previa riduzione in pristino delle difformità non compatibili.
3. A sostegno del ricorso, l'appellante aveva dedotto che:
- non sussiste alcun contrasto con le N.T.A. del P.I.P. relativamente all'altezza massima dell'edificio e con le N.T.A. del P.R.G., per quel che attiene al distacco minimo dei volumi dei singoli lotti, poiché il P.I.P. in questione, impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, è stato annullato con d.P.R. 8 settembre 2004, con conseguente, integrale caducazione di tutte le previsioni dello stesso piano;
- l'opera realizzata è conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia, essendo privo di ogni rilievo il P.I.P. in quanto atto ormai caducato;
- il provvedimento è carente d'istruttoria e, prima ancora, dei presupposti di fatto e di diritto, come dimostra l'assoluta mancanza di valutazione concreta dell'intervento edilizio, che presenta una difformità solo parziale rispetto alla licenza edilizia ed irrilevante sul piano urbanistico ed edilizio (l'immobile assentito con la licenza edilizia n. 3634 del 1974 ha pianta di mt. 60 x 20 ed un'altezza massima fuori terra di mt. 13,90; il capannone nello stato di fatto occupa una superficie di mt. 50,5 x 20 e raggiunge un'altezza di mt. 12,18);
- l'amministrazione ha completamente omesso l'esame delle osservazioni e dei documenti inviati a seguito del preavviso di diniego e nel diniego definitivo si è limitata, ancor prima dello spirare del termine assegnato, ad una semplice ed immotivata reiterazione delle ragioni ostative ivi esposte.
4. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.A.R. adito ha respinto il ricorso.
L'appellante contesta la sentenza impugnata, rilevando che questa non ha considerato il mezzo di ricorso con il quale si rilevava che il primo titolo edilizio in forza del quale è stato realizzato il capannone per cui è causa è stato rilasciato nel 1974, sicché, anche a voler seguire l'iter logico dell'amministrazione comunale nel provvedimento di rigetto, si perverrebbe all'apodittica conclusione secondo cui: non è possibile rilasciare il titolo in sanatoria per la violazione delle distanze dai confini; il ricorrente è obbligato al ripristino del fabbricato secondo quanto indicato nella licenza del 1974 e nella concessione del 1987; tale ripristino, tuttavia, non modificherebbe in alcun modo la distanza del capannone dai confini.
Secondo l'appellante, il T.A.R. avrebbe errato anche nel considerare gli abusi nella loro unitaria consistenza, non valutando l'oggetto della istanza di sanatoria che individuava precisamente le opere investite dalla sanatoria e che non includeva, invece, la parte oggetto della S.C.I.A. del 25 luglio 2014 avente ad oggetto la demolizione della porzione ove erano ubicati i due bagni.
4.1. Nello specifico, con il primo motivo, l'appellante lamenta l'omesso esame da parte del T.A.R. del contenuto della richiesta di sanatoria, deducendo che, rispetto a tale questione, le precisazioni successive contenute nella memoria non notificata non potevano considerarsi inammissibili, come ingiustamente ritenuto dal T.A.R.
Da un altro punto di vista, la sentenza traviserebbe la portata delle censure formulate nel ricorso in primo grado, non avendo alcun rilievo il problema delle distanze così come illustrato nella sentenza; inoltre, la relazione di parte richiamata al terzo motivo di ricorso individuava in tutta precisione le differenze del realizzato da quanto assentito con la licenza edilizia 3634 del 1974 e con la concessione n. 284 del 1987; veniva precisato e non contestato che le difformità erano limitate a minime differenze che si concretizzano in "bucature esterne sul prospetto laterale dove sono presenti i due ingressi e dalla superficie di 6 mq. in più".
Secondo l'appellante, il T.A.R. non avrebbe valutato che l'edificio nel suo complesso era stato assentito con la richiamata licenza edilizia del 1974; per l'effetto, il provvedimento sarebbe errato, avendo negato la sanatoria per l'irrilevante questione del contrasto dell'edificio con le distanze previste dal P.R.G.
4.2. Con il secondo motivo, l'appellante contesta le seguenti affermazioni contenute nella sentenza impugnata:
- la S.C.I.A. del 25 luglio 2014 avente ad oggetto l'eliminazione dei due bagni e rimasta priva di interventi interdittivi del Comune sarebbe inidonea a dimostrare la demolizione;
- l'istanza di sanatoria non riguardava la totalità delle opere abusive e occorreva investire la titolarità delle stesse.
4.3. Con il terzo motivo, l'appellante lamenta che il Giudice di primo grado non avrebbe colto la violazione delle garanzie partecipative e l'evidente difetto di motivazione che inficiano il provvedimento impugnato.
5. L'appello è fondato nei termini di seguito precisati.
Il Comune di Acerra, con licenza edilizia 3634/1974, ha autorizzato la realizzazione di un capannone su area in catasto al foglio 42, p.lla 1723, sub 1. Il capannone, tuttavia, è stato realizzato in difformità rispetto a quanto assentito, con una diversa lunghezza (ml. 50,00 in luogo di 60) ed altezza (ml. 12,18 in luogo di 13,90).
L'appellante, in data 16 gennaio 2013, ha presentato istanza di accertamento di conformità (n. 2478), ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380/2001, previo abbattimento di altro corpo di fabbrica a ridosso del confine nord del lotto per rispettare le distanze minime dai confini (mt. 6,00) prescritte dal P.R.G., medio tempore approvato.
Il Comune di Acerra, con provvedimento n. 13840 del 14 aprile 2015, ha negato la sanatoria per carenza del requisito della doppia conformità in quanto: a) non è rispettata l'altezza massima (mt. 4,5) prescritta dal P.I.P.; b) non è rispettata la distanza di mt. 6 prevista dal P.R.G. vigente rispetto al confine; c) la doppia conformità deve essere verificata con riferimento allo stato di fatto e non può essere subordinata alla eliminazione di opere ulteriori.
L'immobile oggetto dell'istanza di sanatoria, come illustrato nella relazione tecnica allegata alla domanda di accertamento di conformità del 16 gennaio 2013, fa parte di un complesso industriale realizzato in difformità dalla licenza edilizia rilasciata in data 8 maggio 1974, prot. n. 3634; nella relazione si afferma che "l'immobile in questione, allo stato attuale è costituito da due corpi di fabbrica, uno rappresentato dal capannone di forma rettangolare (50,20 x 20,00), l'altro rappresentato dai servizi (bagni e spogliatoi), anch'esso di forma pressoché rettangolare (11,70 x 9,20). Inoltre in adiacenza al capannone, precisamente sul confine nord-ovest è ubicata una struttura in ferro costituita da lamiere in evidente stato di ossidazione, quest'ultima sarà rimossa definitivamente all'atto del rilascio di tutte le autorizzazioni del caso"; le difformità da sanare, tutte relative al capannone, sono indicate nella minore superficie realizzata ("mq. 1.111,64 contro i mq. 1.200,00 indicati nel progetto per una differenza di mq. 88,36") e nel sistema di copertura utilizzato ("Il sistema di copertura progettato e assentito prevedeva la realizzazione di un tetto ad arco (le lamiere appoggiate su una struttura in ferro, aveva una forma a Serra) con una altezza massima fuori terra di mt. 13,90 ed una minima di mt. 8,00, mentre quello realizzato presenta un tetto con falde inclinate sempre con lamiere poggiate su una struttura in ferro (capriate)".
5.1. Alla luce del contenuto dell'istanza di sanatoria, deve in primo luogo rilevarsi come, in assenza di specifici accertamenti sull'effettivo stato dei luoghi, non appare affatto scontato il presupposto dal quale muove la sentenza impugnata, ovvero che l'abuso andrebbe considerato unitariamente e non sarebbe possibile scinderne una parte per sanarla e demolire la restante, dal momento che, per quel che consta, si tratta di due corpi di fabbrica distinti astrattamente suscettibili di fruizione autonoma.
Fermo il principio per cui non è ammissibile il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria subordinato alla esecuzione di ulteriori opere edilizie, anche se tali interventi sono finalizzati a ricondurre il manufatto nell'alveo della legalità (cfr. C.d.S., Sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4176), la verosimile autonomia ed indipendenza strutturale dei due edifici ben può consentire di scinderne le sorti, non potendosi per l'effetto escludere la sanabilità di un corpo di fabbrica solo perché ci si propone di demolire l'altro, la cui effettiva intenzione appare comprovata dalla S.C.I.A. del 25 luglio 2014.
Per altro, parte appellante pare aver manifestato la volontà di demolire parte delle opere abusive, ma senza condizionare a ciò il rilascio dell'accertamento in conformità per le restanti parti.
5.2. La considerazione che precede priva di sostanziale rilevanza la questione relativa alla già avvenuta demolizione o meno delle opere in virtù di S.C.I.A. del 25 luglio 2014, in mancanza della quale l'amministrazione dovrebbe adottare un autonomo e diverso provvedimento per ordinare la demolizione mancata.
In ogni caso, non appare corretta l'affermata inammissibilità da parte del T.A.R. di tale deduzione (siccome introdurrebbe un ulteriore profilo di critica del provvedimento che non è contenuto nel ricorso introduttivo) dal momento che, già nel ricorso introduttivo, l'appellante aveva riferito che "Da ultimo, in data 25.07.2014, assunta al prot. n. 29365, è stata presentata S.C.I.A. per la demolizione e rimozione delle opere realizzate in difformità della licenza edilizia, in modo da rispettare le distanze minime dai confini (pari a mt. 6,00) così come indicate dai regolamenti comunali. Effettuati (ed ultimati) tutti i lavori così come indicati nella S.C.I.A., in data 15.09.2014, prot. n. 34002, è stato presentato nuovo P.d.C. in sanatoria, su cui l'Amministrazione ancora deve pronunciarsi con provvedimento espresso", ben potendosi considerare l'affermazione del ricorrente contenuta nella memoria conclusiva, secondo cui quelle opere già erano state demolite, in virtù di S.C.I.A. del 25 luglio 2014, al momento dell'adozione del provvedimento definitivo di diniego, quale una mera precisazione di quanto già dedotto.
5.3. Il rilievo che precede si riflette anche sul tema delle distanze, il quale verrebbe se del caso a rilevare per il capannone principale (50,20 x 20,00), la cui collocazione spaziale non può dirsi abusiva, risultando conforme alla licenza edilizia che ne aveva assentito l'edificazione. Invero, rispetto a quest'ultimo la difformità da sanare attiene ad altri aspetti e consiste in una minore superficie realizzata ("mq. 1.111,64 contro i mq. 1.200,00 indicati nel progetto per una differenza di mq. 88,36") e nel sistema di copertura utilizzato.
5.4. I ragionevoli dubbi che caratterizzano la tenuta dei motivi sub b) e c) del provvedimento impugnato non sembrano immediatamente superabili dal primo motivo concernente il mancato rispettato dell'altezza massima (mt. 4,5) prescritta dal P.I.P., avendo l'appellante allegato che il P.I.P. è stata annullato con il d.P.R. 8 settembre 2004.
Deve inoltre ribadirsi che, non riguardando l'istanza di sanatoria la violazione delle distanze, non viene immediatamente in rilievo il problema afferente alla mancanza della doppia conformità dell'immobile, che avrebbe imposto di tener conto della sopravvenienza del P.R.G. non esistente all'epoca della licenza edilizia del 1974 e della variante del 1987 e che imponeva il rispetto delle distanze.
5.5. In ordine alle eccezioni sollevate dal Comune, in punto di rito, l'appello non può dirsi improcedibile stante l'avvenuta rimozione dei manufatti abusivi da parte dell'appellante, non ostando ciò all'ottenimento della sanatoria domandata per abusi diversi da quelli rimossi e non avendo l'appellante trasformato lo stato dei luoghi oggetto di istanza di sanatoria.
Quanto all'incidenza della successiva istanza di sanatoria del 15 settembre 2014, benché quest'ultima pare riferirsi ai medesimi interventi oggetto della precedente istanza del 16 gennaio 2013 - come si evince dalla circostanza che entrambe sono riferite a "opere realizzate in difformità alla licenza edilizia nr 3634/1974" rispetto all'immobile sito in Acerra, alla Via Ponte di Napoli, identificato in catasto al foglio n. 42, mappale n. 1723, sub 1, cat. D/7 - il provvedimento di diniego impugnato nel presente giudizio è comunque successivo (n. 13840 del 14 aprile 2015) alla presentazione della seconda istanza ed al silenzio-rigetto che sulla stessa in ipotesi si sia concretizzato, non potendo per l'effetto ritenersi superato, proprio per la condotta dello stesso Comune, consistente nell'adozione del provvedimento espresso poi impugnato nel presente giudizio idoneo a superare il silenzio-rigetto in ipotesi formatosi.
6. In definitiva, la peculiarità della situazione di fatto, nonché la pertinenza dei rilievi dell'appellante, il cui pieno accertamento implicava una analisi in fatto ed una valutazione tecnica che il provvedimento oblitera completamente, comportano l'accoglimento del terzo motivo di appello con il quale l'appellante deduce che la sentenza di primo grado non ha colto la violazione delle garanzie partecipative e l'evidente difetto di motivazione che inficiano il provvedimento impugnato in primo grado.
Invero, a fronte delle precise e circostanziate osservazioni dell'appellante rese a seguito del preavviso di rigetto, le più significative delle quali sono state oggetto dei motivi di ricorso innanzi esaminati, l'amministrazione non poteva limitarsi ad affermare che "le deduzioni non sono accoglibili, perché non possono ritenersi superati i motivi che ostavano all'accoglimento della domanda", essendo invece esigibile, a fronte di specifici rilievi, un maggior sforzo motivazionale.
Infatti, seppure l'onere di spiegare le ragioni per le quali non si è tenuto conto delle osservazioni presentate dai privati non deve essere inteso in senso formalistico, nel caso in esame ciò si è risolto in una evidente carenza di motivazione del provvedimento e in una sostanziale vanificazione del contradditorio procedimentale, astrattamente suscettibili di portare ad un differente esito del procedimento.
Deve anche ricordarsi che la violazione del contraddittorio procedimentale è idonea ad inficiare la legittimità del provvedimento anche nei procedimenti vincolati, quale quello di sanatoria, "quando il contraddittorio procedimentale con il privato interessato avrebbe potuto fornire all'Amministrazione elementi utili ai fini della decisione, ad esempio in ordine alla ricostruzione dei fatti o all'esatta interpretazione delle norme da applicare" (cfr. C.d.S., Sez. VI, 15 marzo 2010, n. 1476).
7. Per le ragioni esposte l'appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve trovare accoglimento il ricorso di primo grado sotto il profilo della carenza di motivazione e di istruttoria per l'omesso esame delle osservazioni e dei documenti inviati dalla parte a seguito del preavviso di diniego.
7.1. Ad una valutazione complessiva della vicenda le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.