Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 26 gennaio 2023, n. 8962

Presidente: Ricciarelli - Estensore: De Amicis

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12 ottobre 2022 la Corte d'appello di Catanzaro, a scioglimento della riserva assunta con ordinanza emessa il 15 settembre 2022 ai sensi dell'art. 42, comma 2, c.p.p., con la quale veniva accolta la dichiarazione di ricusazione proposta da Luigi M. nei confronti dei giudici Brigida C. e Gilda Danila R., ha dichiarato l'efficacia, nei confronti del predetto, dell'attività compiuta dal Tribunale di Vibo Valentia nell'ambito del procedimento n. 2239/14 r.g.n.r. sino all'udienza del 14 settembre 2022.

2. Nell'interesse del M. ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, che ha impugnato la richiamata ordinanza del 12 ottobre 2022 deducendo, con unico motivo, la violazione degli artt. 42 e 37 c.p.p., con riferimento a due distinti profili: a) il primo, relativo all'individuazione del momento in cui si sarebbe realizzata la condizione di incompatibilità dei due componenti il collegio giudicante, che l'ordinanza impugnata ha erroneamente ricollegato all'atto del deposito della motivazione della sentenza; b) il secondo, relativo all'apprezzamento in concreto della eventuale inefficacia o nullità degli atti processuali adottati in ragione della intervenuta declaratoria di incompatibilità dei giudici.

Assume a tale riguardo il ricorrente: a) che il momento in cui si determina la condizione di incompatibilità deve individuarsi in quello in cui il giudice esprime il proprio convincimento circa la posizione pregiudicata, ovvero nel momento della pronuncia del dispositivo, in quanto preceduto dal percorso logico che egli ha dovuto seguire per addivenire al giudizio di responsabilità, e non solo nel momento in cui tale giudizio si manifesta con la motivazione del provvedimento, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale; b) che l'elemento pregiudicante la terzietà del giudice, anche sulla base dei principî elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, deriva dalla valutazione effettivamente espressa, non certo dalla sua manifestazione, dovendosi pertanto distinguere tra il momento dell'assunzione del convincimento e quello della sua esplicitazione, che non rappresenta altro che l'esito di un percorso logico-giuridico seguito dal giudice per addivenire alla espressione del giudizio di responsabilità; c) che in relazione al disposto di cui all'art. 42, primo e secondo comma, cit. il provvedimento impugnato è incorso in un errore di diritto, là dove ha ritenuto di dover sottoporre a valutazione solo gli atti con un contenuto non decisorio, così erroneamente interpretando i principî affermati dalla sentenza delle Sez. un. Gerbino, senza neanche prendere in considerazione la precedente sentenza delle Sez. un. Tanzi, là dove si è fatto riferimento alla nullità di tutti gli atti decisori assunti dal giudice ricusato, ivi compresi, senza alcuna limitazione di sorta, quelli emessi prima della definizione del giudizio; d) che l'ordinanza impugnata, infatti, ha ritenuto di prendere in considerazione solo una tipologia di atti decisori, ossia quelli che definiscono il giudizio, e, dopo averne escluso la sussistenza, ha limitato l'ambito del suo apprezzamento, erroneamente ritenendo di non doversi intrattenere oltre nell'accertamento di tale profilo, così omettendo la valutazione di altri atti decisori assunti nel corso del procedimento ancor prima che venisse accolta l'istanza di ricusazione; e) che il Collegio pregiudicato, infatti, come allegato in una memoria difensiva ritualmente depositata, ha emesso numerosi atti a contenuto decisorio, la cui mancata declaratoria di validità ne comporta necessariamente la invalidità e la radicale insuscettibilità di utilizzazione ai fini del decidere; f) che analoghe considerazioni devono svolgersi in relazione alla illegittima declaratoria di efficacia degli atti a contenuto probatorio, avendo la difesa indicato, nella richiamata memoria, gli incombenti istruttori che dovevano ritenersi chiaramente pregiudicati.

3. Con requisitoria trasmessa alla cancelleria di questa Suprema Corte in data 10 gennaio 2023, il Procuratore generale ha formulato le sue conclusioni, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

4. Con motivi nuovi trasmessi alla cancelleria di questa Suprema Corte in data 13 gennaio 2023 il difensore di fiducia, Avv. Francesco Calabrese, ha illustrato ulteriori argomentazioni a sostegno del secondo profilo dedotto nell'unico motivo di ricorso, evidenziando, in relazione alla mancata declaratoria di inefficacia degli atti processuali a contenuto non decisorio ex art. 42, comma 2, cit., l'omessa valutazione del grado di compromissione della terzietà e imparzialità dei giudici ricusati alla luce dei principî affermati dalla giurisprudenza di legittimità, e in particolare dalle Sezioni unite della Suprema Corte con le richiamate sentenze Digiacomantonio, Tanzi e Gerbino.

Diversamente da quanto affermato nell'ordinanza impugnata, non risulta esser stato compiutamente approfondito il contenuto dei verbali stenotipici delle udienze dibattimentali, il cui esame, di contro, avrebbe consentito di rilevare l'esistenza di numerosi atti processuali - di contenuto decisorio e non decisorio - assunti dai giudici ricusati nei confronti dell'odierno ricorrente, ma non valutati sotto il profilo della denunciata compromissione.

A sostegno della su esposta deduzione il ricorrente ha posto in evidenza, con il supporto di una analitica tabella riepilogativa degli atti assunti nel corso delle varie udienze dibattimentali, che in relazione ad un complessivo numero di 260 udienze è riscontrabile l'esistenza di numerosi atti non esaminati dalla Corte distrettuale, nonché di altrettanto numerosi atti erroneamente valutati in merito al grado di compromissione dei richiamati profili di terzietà e imparzialità dei giudici, tenuto conto del fatto che si registrano segnatamente: a) n. 339 ordinanze di rigetto delle opposizioni o eccezioni sollevate dalle difese - tra cui anche quella dell'odierno ricorrente - in ordine ai fatti oggetto delle imputazioni a lui contestate; b) n. 8 ordinanze di accoglimento delle opposizioni o eccezioni sollevate dalle difese - tra cui anche quella dell'odierno ricorrente - riguardo alle imputazioni a lui contestate; c) n. 77 ordinanze di accoglimento delle opposizioni, richieste ed eccezioni avanzate dal P.M. con riferimento alle imputazioni mosse al predetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate.

2. Con riferimento al primo dei distinti profili di doglianza oggetto dell'unico motivo del ricorso proposto nell'interesse del M. deve rilevarsi che, in tema di formazione della sentenza penale, si distingue pacificamente la sentenza-decisione, che afferma la volontà dello Stato in ordine alla pretesa punitiva e si perfeziona con la lettura del dispositivo in pubblica udienza, a norma dell'art. 544 [recte: 545 - n.d.r.], comma 1, c.p.p., dalla sentenza-documento, che si realizza con la redazione della motivazione, la sottoscrizione ed il successivo deposito (v., ex multis, Sez. 6, n. 1793 del 3 giugno 1993, dep. 1994, De Tommasi, Rv. 198561, con riferimento all'accertamento dei requisiti di capacità del giudice; Sez. 1, n. 7749 del 24 maggio 1996, Tucci, Rv. 205530; Sez. 5, n. 1520 del 17 marzo 2000, Cannella, Rv. 215835; Sez. 3, n. 4692 del 12 settembre 2019, dep. 2020, Adami, Rv. 278408).

Muovendo dalle implicazioni logicamente sottese alla formulazione di tale criterio discretivo, nell'ipotesi qui considerata occorre avere riguardo, diversamente da quanto affermato nel provvedimento impugnato, alla data della sentenza-decisione (dunque alla lettura del dispositivo, avvenuta nel caso in esame il 27 ottobre 2020), poiché essa rappresenta il momento centrale dell'esercizio della funzione giurisdizionale, esprimendo, all'esito della deliberazione, il convincimento basato su una valutazione di merito che è potenzialmente idonea a determinare l'effetto pregiudicante in relazione all'attività del giudice, laddove il successivo deposito dei motivi che giustificano l'assunzione della decisione (verificatosi nel caso di specie il 5 marzo 2021) costituisce la manifestazione esterna del percorso ragionativo seguito nell'adozione delle relative statuizioni decisorie, integrando un requisito essenziale dell'atto-sentenza ai fini dello sviluppo delle successive attività processuali, e in particolare della facoltà di impugnare i provvedimenti giurisdizionali.

Entro tale prospettiva ermeneutica giova richiamare il principio affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 283 del 6 luglio 2000, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 37, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto.

Alla base di tale declaratoria di incostituzionalità la richiamata decisione ha posto, infatti, le "valutazioni pregiudicanti" che "rientrano nelle funzioni proprie dei giudici poi ricusati", spiegando che la «... funzione pregiudicata va a sua volta individuata in una decisione attinente alla responsabilità penale, essendo necessario, perché si verifichi un pregiudizio per l'imparzialità, che il giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione finale della causa».

Ora, nell'accogliere, con la precedente ordinanza del 15 settembre 2022, la dichiarazione di ricusazione proposta dall'odierno ricorrente nell'ambito del procedimento penale pendente innanzi al Tribunale di Vibo Valentia (r.g.n.r. 2239/14), la Corte distrettuale aveva correttamente richiamato, fra l'altro, la menzionata sentenza del Giudice delle leggi ed aveva ritenuto "concretizzata" l'ipotesi di ricusazione rilevante nel caso in esame, ponendo espressamente in evidenza: a) che nel processo c.d. "Nemea" «... sono confluite le posizioni degli imputati del delitto di partecipazione alla cosca di 'ndrangheta Soriano, originariamente contestate nel procedimento "Rinascita-Scott": il capo d'imputazione associativo contestato nel processo Nemea, alla cui sentenza hanno contribuito i magistrati ricusati, è collegato sostanzialmente al capo A) del processo Rinascita-Scott e alla posizione di M.»; b) che «... la valutazione dell'operatività del M. nel ruolo apicale operata nel processo Nemea al fine di valutare la posizione associativa dei Soriano, fondata sulla valutazione di fonti di prova in parte coincidenti con quelle del processo Rinascita-Scott, ha senz'altro integrato una valutazione di merito sullo stesso fatto associativo per il quale è imputato nel processo in corso».

Pur muovendo da premesse argomentative correttamente impostate, l'ordinanza in questa sede impugnata ha sciolto, ex art. 42, comma 2, cit., la riserva assunta con la richiamata ordinanza del 15 settembre 2022 senza trarne le necessarie implicazioni ai fini della corretta individuazione del dies a quo rilevante per la verifica degli atti processuali eventualmente colpiti dalla situazione pregiudicante: momento che, per quanto dianzi esposto, avrebbe dovuto farsi risalire alla lettura del dispositivo della sentenza "Nemea", non al deposito dei motivi, poiché è nella sentenza-decisione che si invera la valutazione di merito attinente al giudizio sulla responsabilità penale, con la conseguente determinazione degli effetti pregiudicanti sullo svolgimento della successiva attività processuale del giudice, da accertare in concreto con il ricorso agli istituti dell'astensione e della ricusazione.

Ne consegue che, nel caso in esame, è sull'intero arco dell'attività dibattimentale celebrata dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia nell'ambito del richiamato processo penale (dunque a decorrere dalla data del 13 gennaio 2021) che dovrà essere generalmente rinnovata, in sede di rinvio, l'operazione di controllo selettivo degli atti ex art. 42, comma 2, cit., sulla base dei principî di diritto che verranno qui di seguito enunciati con riferimento al secondo dei profili di doglianza prospettati nel ricorso.

3. A tale riguardo, in particolare, la verifica degli atti precedentemente compiuti dal giudice ricusato, al fine di stabilire se ed in quale parte essi conservino efficacia, involge propriamente il "merito della ricusazione" ex art. 41, comma 3, c.p.p. e deve essere pertanto compiuta all'interno della prospettiva ermeneutica tracciata dal Supremo Consesso di questa Corte con le sentenze Tanzi (Sez. un., n. 23122 del 27 gennaio 2011, Rv. 249734) e Gerbino (Sez. un., n. 37207 del 16 luglio 2020, Rv. 280116).

Secondo i principî ivi affermati, l'oggetto del riesame selettivo nell'ambito dell'incidente di ricusazione copre l'insieme dell'attività processuale, decisoria o meno, svolta dal giudice astenutosi o ricusato, senza che alcuna distinzione sia possibile rilevare all'interno della categoria generale degli "atti del procedimento", sì come utilizzata dal legislatore nel primo comma dell'art. 42 cit.

Occorre valutare, pertanto, al fine qui considerato, non solo gli atti propriamente decisori e quelli a contenuto probatorio, ma anche gli atti meramente interlocutori e l'intera attività processuale compiuta dal giudice ricusato, secondo le categorie riconducibili alla coppia concettuale invalidità-inefficacia, così come delineata nelle richiamate decisioni delle Sezioni unite.

Sotto tale profilo, infatti, il difetto di imparzialità del giudice si traduce, rispettivamente, nella sanzione processuale della nullità assoluta di cui all'art. 178, comma 1, lett. a), c.p.p. che colpisce le "decisioni" ed è rilevabile in ogni grado e stato del processo (ferma la forza del giudicato), ovvero nella sanzione della inefficacia, che investe, a sua volta, "ogni altra attività processuale" da lui compiuta (come, ad es., gli atti propulsivi, i negozi processuali, l'attività di ammissione, assunzione ed acquisizione delle prove, le ordinanze di sospensione dei termini di custodia cautelare ecc.).

Nella nozione di atto del procedimento, dunque, vanno generalmente ricomprese, alla luce dei principî affermati nelle sentenze Tanzi e Gerbino, non solo le "decisioni" (tra le quali rientra ovviamente la sentenza, il decreto che dispone il giudizio e, in generale, "ogni tipo di provvedimento" - comunque denominato - che sia "idoneo a definire la regiudicanda cui la dichiarazione di ricusazione si riferisce"), ma anche "ogni altra attività processuale" compiuta dal giudice ricusato, con i rispettivi effetti sanzionatori dianzi precisati.

Nella sentenza Gerbino, inoltre, si esplicita la portata della garanzia della precondizione della imparzialità del giudice, affermando che, una volta accertato il difetto di potere giurisdizionale esercitabile in relazione ad una determinata regiudicanda, è indifferente, per il procedimento principale, il momento in cui intervenga la decisione definitiva di accoglimento della ricusazione all'esito del relativo procedimento incidentale.

Delle implicazioni logicamente riconnesse a tale quadro di principî, tuttavia, il provvedimento impugnato non ha fatto buon governo, avendo circoscritto l'ambito della sua cognizione ad alcuni soltanto degli atti a contenuto probatorio posti in essere durante l'istruttoria dibattimentale (v. pagg. 7 ss.), senza prenderli in esame tutti e senza considerare il profilo della eventuale inefficacia che potrebbe aver colpito i numerosi altri atti processuali compiuti nel corso del dibattimento (ordinanze di rinnovazione del dibattimento, di acquisizione di atti, di rigetto delle eccezioni difensive, di riunione, di revoca testi, di stralcio, di sospensione dei termini ecc.), né le conseguenze eventualmente prodotte dall'accertato difetto di imparzialità del giudice sull'attività processuale svolta nel corso di intere udienze dibattimentali affatto esaminate, secondo quanto specificamente prospettato dal ricorrente nelle allegate produzioni documentali.

Per altro verso deve poi rilevarsi che il profilo di doglianza qui esaminato soffre, a sua volta, così come delineato nell'atto introduttivo, di un'errata impostazione ricostruttiva, là dove pretende di individuare una duplice categoria di atti a contenuto decisorio che le richiamate sentenze delle Sezioni unite di questa Suprema Corte non hanno affatto enucleato: l'atto compiuto dal giudice ricusato, invero, o è di tipo decisorio (con la potenziale conseguenza di una declaratoria di nullità in sede di controllo selettivo), o non lo è, così rientrando nella diversa nozione di "ogni altra attività processuale", per la quale può invece rilevare, se del caso, la diversa sanzione della inefficacia, secondo la linea di demarcazione tracciata alla luce dei generali parametri di riferimento indicati nelle su menzionate decisioni.

Giova infine richiamare, ai fini delle valutazioni che dovranno essere conseguentemente effettuate in sede rescissoria, i chiarimenti operati dalla sentenza Gerbino in ordine alla nozione di "merito della ricusazione", secondo la formula lessicale impiegata dal legislatore nella disposizione di cui all'art. 41, comma 3, cit.: essa, infatti, costituisce l'oggetto dell'attività demandata al giudice funzionalmente competente a decidere nell'ambito della relativa procedura incidentale e ricomprende nel suo ampio raggio di applicazione l'operazione di controllo selettivo sugli atti che conservano efficacia ai sensi dell'art. 42, comma 2, cit., qualora, come avvenuto nel caso in esame, la dichiarazione di ricusazione venga accolta.

Non di un'attività meramente ricognitiva si tratta, ma, come posto in rilievo dalla richiamata decisione, «... di una puntuale verifica incentrata su ogni singolo atto, al fine di stabilire se ne sia possibile il recupero, accertando se la sua formazione sia avvenuta in situazioni e condizioni tali da escludere qualsiasi rischio di compromissione delle richiamate garanzie costituzionali».

4. Sulla base delle su esposte considerazioni s'impone, conclusivamente, l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello in dispositivo indicata, che dovrà conseguentemente eliminare i vizi rilevati, uniformandosi ai principî da questa Suprema Corte stabiliti.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catanzaro.

Depositata il 1° marzo 2023.

L. Tramontano (cur.)

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