Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 4 aprile 2023, n. 3447
Presidente: Caringella - Estensore: Fantini
Considerato che:
- i ricorrenti hanno interposto appello nei confronti della sentenza 16 novembre 2022, n. 15204 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. II, che ha dichiarato improcedibile il loro ricorso avverso l'ordinanza sindacale n. 107 in data 24 giugno 2022, recante "divieto di circolazione di veicoli a trazione animale e disposizioni a tutela degli equidi nelle attività ludiche e sportive in presenza di ondate di calore di particolare intensità", in particolare nella parte in cui impone "a decorrere dalla data di pubblicazione [...] sino al 15 settembre 2022 il divieto di circolazione per le vetture pubbliche a trazione animale ed ogni attività di trazione e trasporto con equidi dalle ore 11 alle ore 18, nelle giornate caratterizzate da livello 2 di rischio";
- l'avversata ordinanza del Sindaco di Roma Capitale era dunque finalizzata a vietare la circolazione delle carrozze a cavallo nell'estate 2022 (periodo 24 giugno/15 settembre) al ricorrere di giornate con calore di livello 2 o 3, dalle ore 11 alle 18;
- i ricorrenti, vetturini o sostituti alla guida della carrozza a cavallo, in primo grado hanno dedotta l'illegittima preclusione della circolazione, in assenza di una base normativa e di idonea motivazione tecnico-scientifica, lesiva per la loro attività, risultando il maggiore afflusso di turisti dalle ore 11 alle 13 e dalle 17 alle 18 e comunque il contrasto del provvedimento impugnato con le ordinanze sindacali degli anni precedenti.
Considerato che:
- la sentenza di prime cure, emessa all'esito dell'udienza cautelare, ha dichiarato il ricorso improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse nella considerazione che l'ordinanza sindacale impugnata ha esaurito la sua efficacia nell'arco temporale compreso tra il 24 giugno e il 15 settembre del 2022, oltre che della mancata allegazione di un qualche interesse di tipo risarcitorio;
- l'appello deduce la violazione dell'art. 73, comma 3, c.p.a. in quanto il ricorso è stato trattenuto in decisione senza che i difensori fossero presenti all'udienza cautelare e dunque senza che fosse stato provocato il contraddittorio sull'improcedibilità rilevata d'ufficio, nonché la violazione dell'art. 34, comma 3, avendo i ricorrenti argomentato l'interesse alla pronuncia cautelare ai sensi dell'art. 55, comma 10, dello stesso c.p.a.; ripropone poi i motivi svolti in primo grado, incentrati principalmente sulla violazione dell'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 e sull'insussistenza, al cospetto di un'ondata di calore di livello 2, delle condizioni sanitarie di pericolo per gli equini, in ragione delle loro caratteristiche;
- si è costituita in resistenza Roma Capitale, chiedendo genericamente la reiezione del ricorso in appello.
Ritenuto che:
- il primo motivo di appello, concernente la violazione dell'art. 73, comma 3, c.p.a., è infondato, in quanto l'avviso finalizzato a provocare il contraddittorio non è necessario se i procuratori delle parti non sono presenti in udienza, atteso che la ratio della disposizione è quella di offrire ai difensori delle parti, in piena attuazione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost., la possibilità di controdedurre, alla quale, non presenziando in udienza ovvero in camera di consiglio, il procuratore rinuncia;
- conseguentemente non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa, che avrebbe comportato l'annullamento della sentenza impugnata e la rimessione della causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.;
- analogamente infondato è l'assunto degli appellanti volto a contestare la statuizione di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse, argomentato nella considerazione che i ricorrenti hanno enunciato le ragioni sottese all'istanza cautelare finalizzata all'ottenimento di una sollecita fissazione del merito, e in particolare il timore che l'amministrazione possa reiterare l'ordinanza sindacale nel 2023;
- invero, anche a prescindere dalla considerazione per cui non coincidono necessariamente le ragioni sottostanti alla tutela cautelare con l'utilità pratica ritraibile dalla decisione nel merito del ricorso, nel caso di specie l'esaurirsi, in pendenza del giudizio, dell'efficacia temporale del provvedimento impugnato evidenzia inequivocabilmente il venire meno dell'interesse all'annullamento dello stesso;
- in tale situazione, per procedersi all'accertamento dell'illegittimità dell'atto ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori; non occorre specificare i presupposti dell'eventuale domanda risarcitoria, né averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione, ma la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 c.p.a. (così, da ultimo, C.d.S., Ad. plen., 13 luglio 2022, n. 8), non potendo dunque condividersi l'assunto di parte appellante per cui detto interesse avrebbe potuto essere successivamente rappresentato;
- in assenza della dichiarazione di interesse a fini risarcitori, e stante l'improcedibilità dell'azione di annullamento, il giudice non è tenuto ad accertare la legittimità o meno dell'atto impugnato, non essendo postulabile nella fattispecie controversa neppure una residua utilità, anche soltanto strumentale (quale il pericolo di reiterazione del provvedimento) o morale che imponga di statuire nel merito, in violazione del principio generale che impedisce al giudice di pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati (art. 34, comma 2, c.p.a.);
- la conferma della statuizione di improcedibilità preclude la disamina del secondo motivo di ricorso, attinente ai pretesi vizi propri del provvedimento impugnato.
Ritenuto conseguentemente che:
- l'appello va respinto, in ragione dell'infondatezza dei motivi dedotti;
- da ultimo, le spese di giudizio seguono, come per regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l'appello.
Condanna gli appellanti alla rifusione, in favore di Roma Capitale, delle spese di giudizio, liquidate in euro millecinquecento/00 (1.500,00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.