Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 17 aprile 2023, n. 3823

Presidente: Lipari - Estensore: D'Alessandri

FATTO

1. Parte appellante ha impugnato la sentenza n. 487 del 6 aprile 2018 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sede di Firenze, Sez. III, che ha respinto il ricorso da questa proposto per l'annullamento del provvedimento del dirigente del Dipartimento del governo del territorio - Sezione gestione del territorio del Comune di Pisa, adottato il 30 maggio 2001, con il quale è stata rigettata la domanda di condono edilizio avente a oggetto la sanatoria per il cambio d'uso da soffitta a civile abitazione, relativamente alla sua unità immobiliare sita in Marina di Pisa, ritenendo conseguentemente prive di validità anche le autorizzazioni ambientali prot. 11929 del 27 agosto 1996 e 1877 del 27 marzo 1997.

2. In particolare, l'odierno appellante, con domanda presentata in data 12 novembre 1985, ha richiesto al Comune di Pisa il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria, ai sensi dell'art. 31 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, per la realizzazione di un'unità immobiliare a uso abitativo nel sottotetto della porzione di immobile di sua proprietà, mediante modifiche prospettiche consistenti nella creazione di lucernari e di una finestra sul lato sud, nonché per la costruzione di un balcone ringhierato sul lato nord.

Il Comune di Pisa, con lettera del 9 febbraio 1996, ha comunicato al ricorrente che la Commissione edilizia integrata, investita dell'esame della pratica, aveva espresso parere favorevole alla realizzazione delle opere, ad esclusione della terrazza, perché ritenuta eccessivamente estesa.

Infatti, la Commissione edilizia integrata, investita dell'esame della pratica, aveva espresso parere non favorevole limitatamente alla terrazza, sollecitando una proposta di riqualificazione volta a ridurre le dimensioni del manufatto.

L'odierno appellante, pertanto, in data 3 settembre 1996, ha presentato al Comune un progetto di adeguamento estetico della terrazza, che è stato, poi, approvato con autorizzazione ambientale ex art. 7 della l. 29 giugno 1939, n. 1497, e con autorizzazione edilizia n. 402 del 2 agosto 1997 per l'esecuzione delle opere di riqualificazione e ridimensionamento.

A seguito degli accertamenti effettuati dalla Polizia giudiziaria, è emerso che alla data del 5 aprile 2001 le opere di riqualificazione non erano state ancora realizzate, sicché il Comune di Pisa, con provvedimento del 30 maggio 2001, ha dichiarato decaduto il ricorrente dall'autorizzazione edilizia e, conseguentemente, ha rigettato la domanda di condono edilizio relativa alla costruzione della terrazza.

Con il medesimo provvedimento, l'Amministrazione comunale ha respinto la domanda di sanatoria edilizia relativa al cambio di destinazione d'uso del sottotetto in abitazione, ritenendo che lo stato esistente denunciato dall'odierno appellante alla data di presentazione della domanda non corrispondesse allo stato legittimo, stante l'abusiva sopraelevazione della soffitta effettuata in corso d'opera, ossia in epoca successiva all'anno 1976, indicato nella domanda di condono.

3. L'odierno appellante ha impugnato il predetto diniego innanzi al T.A.R. Toscana, lamentando, in estrema sintesi, l'errata applicazione dell'art. 4 della l. 28 gennaio 1977, n. 10, in virtù della mancata indicazione della data di notifica del provvedimento che non avrebbe consentito la contestazione circa il mancato rispetto dei termini di esecuzione e ultimazione dei lavori, nonché a causa dell'omessa valutazione in ordine alla possibilità di una proroga d'ufficio dei predetti termini.

Il ricorrente ha censurato, altresì, l'illegittima estensione degli effetti della decadenza del provvedimento autorizzativo dei lavori di riqualificazione della terrazza anche al sottotetto, oggetto di separato condono edilizio, evidenziando come la domanda di condono avesse rappresentato fedelmente lo stato di fatto dell'immobile oggetto di sanatoria, ivi compresa la sopraelevazione, realizzata nell'anno 1976.

Il Comune di Pisa si è costituito nel giudizio di primo grado, precisando che il rigetto della sanatoria riguardante la trasformazione del sottotetto sarebbe stato determinato dall'omessa indicazione dell'aumento di volumetria dello stesso.

L'Amministrazione intimata ha ribadito che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la sopraelevazione non sarebbe avvenuta nel 1976, bensì successivamente, come emerso dalle risultanze del verbale della Polizia municipale del 25 novembre 1976, dal quale si evince che "i lavori di sopraelevazione non erano ancora stati ultimati".

4. Il T.A.R. Toscana, con la sentenza gravata in questa sede, ha respinto il ricorso, sostenendo che la scadenza dei termini per l'esecuzione dei lavori risulterebbe ancorata alla data di rilascio del titolo e che, comunque, non sarebbe stata allegata alcuna giustificazione circa il mancato avvio dei lavori.

Inoltre, ad avviso del Giudice di prime cure, la domanda di sanatoria avrebbe dovuto riguardare non solo il mutamento della destinazione d'uso, ma in primo luogo la sopraelevazione, realizzata in difformità dal titolo edilizio originario.

Il Giudice di primo grado ha, infatti, evidenziato come il ricorrente non avesse allegato alcun elemento utile per confutare le risultanze del rapporto della Polizia municipale del 1976 circa la data di ultimazione dei lavori.

5. Avverso la suddetta sentenza, l'odierno appellante ha proposto il presente gravame, censurando la correttezza del ragionamento logico-giuridico seguito dal Giudice di prime cure sotto molteplici profili.

In particolare, l'odierno appellante ha formulato i seguenti rubricati motivi di appello:

I) illegittimità della sentenza impugnata per violazione dei principi sulla ripartizione dell'onere probatorio, per violazione del diritto di difesa e per violazione dell'art. 21-bis l. n. 241/1990, nonché per motivazione irragionevole;

II) illegittimità della sentenza impugnata per motivazione illogica ed irragionevole;

III) illegittimità della sentenza impugnata per violazione dei principi contenuti nella l. n. 47/1985 e, in particolare, degli artt. 31 e 35 della l. 47/1985, nonché per motivazione illogica ed irragionevole.

6. Il Comune si è costituito in giudizio, in data 21 dicembre 2018, resistendo all'appello e chiedendone la reiezione.

Con dichiarazione depositata in giudizio il 3 maggio 2021, il difensore del Comune di Pisa, Avv. Gloria Lazzeri, ha dichiarato di rinunciare al mandato difensivo, in quanto non più avvocato dipendente del Comune di Pisa, ma legale di altro ente pubblico a seguito di trasferimento per mobilità.

Con atto depositato il 6 maggio 2021, il Comune di Pisa si è nuovamente costituito in giudizio con l'Avv. Sandra Ciaramelli, in sostituzione dell'Avv. Giuseppina Gigliotti.

7. In vista dell'udienza di trattazione, il Comune ha depositato documenti e una memoria, con la quale ha illustrato le proprie difese e replicato in maniera puntuale alle censure ex adverso proposte.

In particolare, con memoria depositata in data 24 gennaio 2023, l'Amministrazione comunale ha evidenziato l'irrilevanza della prova dell'avvenuta consegna del provvedimento autorizzatorio n. 409/1997, richiesta dal ricorrente, stante la mancata impugnazione dell'atto divenuto ormai inoppugnabile, e ha ribadito nuovamente che la domanda di sanatoria concerne il solo cambio di destinazione d'uso del sottotetto e non la sopraelevazione dello stesso, realizzata in periodo successivo all'anno 1976.

In replica a quanto dedotto dalla parte resistente, l'appellante, con memoria depositata il 3 febbraio 2023, ha evidenziato che il provvedimento impugnato si basa su una evidente carenza di istruttoria, in virtù della mancata notifica del titolo edilizio, e ha sottolineato, altresì, come l'aumento volumetrico fosse - in realtà - stato già indicato nella domanda di condono, rappresentando il presupposto del mutamento di destinazione d'uso.

8. In data 21 febbraio 2023, l'appellante ha depositato un'istanza di passaggio in decisione della causa sulla base degli scritti difensivi depositati.

All'udienza di smaltimento del 24 febbraio 2023, svoltasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

9. L'appello è in parte fondato per le ragioni che seguono.

10. Con il primo motivo di doglianza, si censura il capo della sentenza impugnata con il quale il T.A.R. ha affermato che il termine decadenziale di inizio e ultimazione dei lavori decorre dalla data di rilascio del titolo abilitativo.

L'appellante deduce, infatti, che l'Amministrazione comunale avrebbe dovuto dare prova della data di comunicazione o notifica del provvedimento, essendosi limitata, invece, a produrre soltanto la copia del provvedimento autorizzativo e la lettera di invito al ricorrente di provvedere al suo ritiro presso gli uffici comunali, senza alcuna prova di avvenuta consegna o dell'effettivo ritiro.

11. Tale doglianza può ritenersi meritevole di accoglimento.

In ordine all'efficacia temporale e alla decadenza del permesso di costruire, giova evidenziare che l'art. 15 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dispone esplicitamente che "il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo", dovendosi intendere quale data per l'inizio del decorso del termine decadenziale non quella di "mera" adozione dell'atto, bensì quella della materiale consegna del provvedimento autorizzativo, all'esito di comunicazione all'interessato.

Invero, il permesso di costruire, quantomeno ai fini del decorso del suddetto termine, può essere considerato alla stregua di un provvedimento amministrativo recettizio che postula l'avvenuta comunicazione ai diretti interessati, non potendo ritenersi sufficiente, ai fini della sua esistenza, la mera data di emanazione dell'atto (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 28 agosto 2017, n. 4126; 4 febbraio 2016, n. 666).

Sul punto, si evidenzia che l'art. 21-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, subordina l'efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati alla comunicazione dello stesso al destinatario, atteso che, in assenza della predetta conoscenza, l'atto, seppure validamente costituito, risulterebbe inidoneo a produrre l'effetto giuridico voluto.

Seppure, infatti, il permesso di costruire non è un titolo limitativo della sfera giuridica del privato, e anzi costituisce un atto ampliativo della stessa, la suindicata regola deve essere applicata a quelli che sono effetti negativi sanciti previsti nell'ambito del provvedimento ampliativo, come nel caso delle decadenze connesse all'inizio dei lavori assentiti, stante l'illogicità di far decorrere i termini di decadenza dall'adozione di un provvedimento che non è stato portato a conoscenza del destinatario.

Il permesso di costruire ha natura ampliativa della sfera giuridica del richiedente, per cui è idoneo a produrre i suoi effetti fin dal momento dell'emanazione, indipendentemente dal fatto che sia comunicato all'interessato e che questo abbia materialmente provveduto a ritirarlo; solo limitatamente agli effetti pregiudizievoli che possono derivare dal rilascio del titolo edilizio (ad esempio, decadenza per mancato inizio dei lavori nel termine prescritto) può postularsi una natura recettizia del medesimo (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 21 novembre 2016, n. 5396; C.d.S., Sez. IV, 21 dicembre 2015, n. 5791).

Di conseguenza non può ritenersi che la scadenza dei termini per l'esecuzione dei lavori possa decorrere dalla data di rilascio del titolo, in quanto l'effetto pregiudizievole derivante dalla decadenza conseguente al mancato inizio dei lavori nel termine prescritto dal titolo autorizzatorio postula l'avvenuta conoscenza del permesso di costruire nei confronti del destinatario, atteso che lo stesso è idoneo a produrre i suoi effetti fin dal momento della sua emanazione soltanto qualora risulti ampliativo della sfera giuridica del richiedente (cfr. C.d.S., Sez. IV, 21 dicembre 2015, n. 5791).

Quindi, diversamente da quanto argomentato dal Giudice di primo grado, il dies a quo dal quale decorre il termine di ultimazione dei lavori deve essere individuato nella materiale consegna del titolo edilizio, all'esito di una notifica o qualsiasi altra comunicazione che renda l'istante edotto circa l'adozione del titolo autorizzatorio, non potendosi ritenere sufficiente la data di formale adozione del permesso (ex multis, C.d.S., Sez. IV, 3 gennaio 2023, n. 103; 23 novembre 2018, n. 6628; 3 aprile 2018, n. 2082).

Alla luce delle suesposte considerazioni, pertanto, la lettera di invito al ritiro del permesso presso gli uffici comunali, versata in atti, non può essere considerata alla stregua di una prova incontrovertibile circa l'avvenuta consegna del titolo, in quanto l'Amministrazione comunale avrebbe dovuto allegare la prova attestante l'effettiva conoscenza del provvedimento abilitativo, dal quale sarebbe poi decorso il termine di decadenza dallo ius aedificandi.

12. Con il secondo motivo di impugnazione, l'appellante deduce l'illogicità e l'irragionevolezza dell'iter logico-giuridico seguito dal Giudice di prime cure, il quale, nell'escludere la rilevanza del discrimen esistente tra autorizzazione e concessione edilizia, ha affermato che la decadenza risulta incorporata nel provvedimento autorizzativo.

Al riguardo, l'appellante sostiene che, dal tenore letterale del contenuto [del] provvedimento, sembrerebbe evincersi che la prescrizione inerente alla data di inizio e fine dei lavori non fosse stata dettata a pena di decadenza.

13. Tale censura si rivela infondata.

Al riguardo, il Collegio rileva di condividere la motivazione del Giudice di prime cure concernente l'irrilevanza della distinzione sussistente tra la concessione edilizia e l'autorizzazione, in quanto al permesso di costruire, di cui all'art. 10 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è riconosciuto pacificamente un carattere autorizzatorio, perché volto alla rimozione di un limite legale all'esercizio dello ius aedificandi da parte del proprietario del suolo.

Invero, le incertezze concernenti la collocazione sistematica del permesso di costruire, insorte a seguito dell'introduzione dell'espressione "concessione edilizia", ad opera della l. 28 gennaio 1977, n. 10, sono state pacificamente risolte dalla giurisprudenza costituzionale, la quale ha affermato che la concessione a edificare, analogamente alla licenza edilizia, non è attributiva di diritti nuovi ma presuppone facoltà preesistenti (cfr. Corte cost., 30 gennaio 1980, n. 5).

Pertanto, alla luce del riconosciuto carattere autorizzatorio del permesso di costruire, va ritenuto che l'Amministrazione abbia correttamente applicato la normativa statale che è univoca nello stabilire che nel provvedimento autorizzativo vadano indicati il termine di inizio dei lavori, non superiore ad un anno dal rilascio del titolo, ed il termine di ultimazione delle opere, che non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori.

I predetti termini presentano una natura decadenziale, atteso che l'art. 15 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, inoltre, dispone che "decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga".

Pertanto, contrariamente a quanto affermato dall'appellante, alla prescrizione inerente alle date di inizio e ultimazione dei lavori, contenuta nell'autorizzazione edilizia n. 402 del 2 agosto 1997, può essere attribuito un valore decadenziale, essendo pacificamente riconosciuta a pena di decadenza dal titolo, come disposto dal citato art. 15 d.P.R. 380/2001.

14. Con il terzo motivo di doglianza, l'appellante censura l'impugnata sentenza nella parte in cui non avrebbe analizzato correttamente la situazione di fatto, poiché il Giudice di prime cure, nell'assegnare rilevanza alla mancata confutazione delle risultanze del verbale della Polizia municipale del 1976, non avrebbe considerato che il predetto rapporto era stato esibito dal Comune intimato soltanto nel corso del giudizio.

Sul punto, infatti, l'appellante evidenzia di aver tempestivamente contestato le predette risultanze con memoria difensiva, nella quale ha ribadito che la sopraelevazione del fabbricato sarebbe stata ultimata nel novembre del 1976, quanto meno al rustico.

Tale censura si rivela priva di pregio.

È infatti corretta la decisione del T.A.R., incentrata sulla mancata dimostrazione circa la realizzazione della sopraelevazione al rustico, alla data del verbale della Polizia municipale del 25 novembre 1976, nonché in ordine alle misure volumetriche e di superficie inserite nella domanda di condono.

L'appellante, infatti, sostiene che dalle espressioni "ha realizzato" e "tale sopraelevazione attualmente non ancora ultimata", usate dai verbalizzanti, potesse evincersi che la sopraelevazione fosse stata già realizzata al rustico e che, pertanto, sarebbe stato ammissibile il condono edilizio delle opere realizzate, atteso che l'art. 31 della l. 47/1985 subordina il rilascio della sanatoria all'esecuzione dei lavori al c.d. rustico, privi delle finiture e, dunque, non completati funzionalmente.

A sostegno di tale assunto l'appellante ha ribadito di aver segnalato esplicitamente nella domanda di condono edilizio, presentata il 12 novembre 1985, il mutamento della destinazione d'uso, la sopraelevazione, nonché l'esatta volumetria e consistenza delle opere abusive realizzate sul fabbricato, mediante l'indicazione dei "piani fuori terra", del "volume totale", pari a 280 mc, e della "superficie utile abitabile".

In realtà, sulla base dei documenti versati nel giudizio, può evincersi che nell'anno 1976 i lavori di sopraelevazione non erano ancora stati ultimati e che, inoltre, la sopraelevazione del tetto, realizzata in difformità dal titolo originario, non era stata adeguatamente esplicitata all'interno della domanda di condono.

Quanto al primo profilo, dal contenuto delle indagini di Polizia giudiziaria, effettuate nel 2001 a seguito della segnalazione di una vicina, nonché dal verbale di contravvenzione della Polizia municipale redatto in data 25 novembre 1976, infatti, è emerso che l'appellante ha realizzato, in difformità dalla licenza edilizia, la sopraelevazione al di fuori dei limiti concessi e che la stessa non era ancora stata ultimata nel 1976, contrariamente a quanto dichiarato nell'istanza di condono.

A fronte di tali risultanze, sarebbe stato in ogni caso onere dell'odierno appellante comprovare la data di ultimazione delle opere di sopraelevazione del sottotetto, nello stato sufficiente per l'ottenimento del condono, in conformità al consolidato principio secondo cui, ai fini dell'accoglibilità di domande di sanatoria edilizia, l'onere nella prova di dimostrare il ricorrere delle circostanze previste dalla legge, tra cui la data di ultimazione delle opere, verte in capo al richiedente.

Quanto al secondo profilo l'appellante avrebbe dovuto indicare nella domanda di condono la realizzazione di una sopraelevazione, con volume ex novo, e non richiedere "soltanto" il cambio di destinazione d'uso dei locali.

Quanto ai dati volumetrici indicati nella domanda di condono, che a detta dell'appellante dimostrerebbero che la domanda di condono comprendeva anche l'aumento volumetrico del sottotetto, il Collegio rileva come gli stessi non sono sufficienti a dimostrare che quest'ultimo fosse stato anch'esso esatto oggetto della domanda di condono.

Stante l'eccezionalità dell'istituto del condono la tipologia di opere oggetto di richiesta di sanatoria devono essere specificamente indicate senza lasciare spazi a margini di incertezza.

Inoltre, come affermato correttamente dal Giudice di prime cure, non si possono ritenere sufficienti i dati indicati nella domanda di condono, poiché non vi è prova di quale fosse lo stato assentito in origine dell'immobile e, segnatamente, del sottotetto.

15. Per le suesposte motivazioni l'appello, pertanto, va in parte accolto, limitatamente alla prima censura, attinente alla costruzione della terrazza, e in parte respinto, per la parte attinente al cambio di destinazione d'uso del sottotetto in abitazione.

Alla luce dell'accoglimento solo parziale dell'appello e delle specifiche circostanze inerenti al giudizio, il Collegio rileva che sussistano fondati motivi per disporre la compensazione delle spese di lite del grado di appello tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e in parte lo rigetta, nei termini di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.