Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna
Sezione II
Sentenza 3 maggio 2023, n. 270
Presidente: Di Benedetto - Estensore: Tenca
Considerato:
- che la deliberazione consiliare gravata si esprime negativamente al termine dell'iter di approvazione della variante al PRG correlata al procedimento unico per l'ampliamento dell'attività produttiva delle ricorrenti;
- che, secondo un orientamento, la motivazione dell'atto deliberativo collegiale può legittimamente essere desunta dalle opinioni espresse dai singoli componenti dell'organo, le quali costituiscono esplicazione delle ragioni addotte per suffragare il contenuto della votazione, nel corso della trattazione di ciascun affare sottoposto all'esame dell'organo collegiale (C.d.S., Sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5236);
- che, secondo diverso indirizzo, il dibattito consiliare non può integrare la motivazione dell'atto collegiale, in quanto, nonostante la sua utilità nel rendere più chiare le ragioni dell'agire amministrativo che si traduce nella votazione finale, non può costituire di per sé l'elemento essenziale di un provvedimento amministrativo quale è appunto la motivazione dell'atto;
- che, infatti, il confronto in Consiglio comunale rappresenta l'espressione degli orientamenti personali dei singoli consiglieri che vi prendono parte, con la conseguenza che la mera trascrizione della relazione introduttiva alla delibera e il successivo dibattito non rendono il senso della scelta palese e trasparente, rendendosi inidoneo a dare contezza delle scelte amministrative adottate dall'organo collegiale e dell'iter formativo della volontà complessiva dell'organo stesso, espresso attraverso la votazione finale (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 27 gennaio 2021, n. 248; C.d.S., Sez. V, 8 febbraio 2011, n. 854; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 29 maggio 2018, n. 1104);
- che, nella vicenda controversa, dalla lettura delle opinioni dei singoli Consiglieri e delle rispettive dichiarazioni di voto, non è possibile evincere i profili a supporto dell'atto di diniego, in rapporto allo sviluppo del procedimento sino a quel momento pressoché univocamente orientato a una conclusione favorevole;
- che affiorano singole opinioni contrarie - seppur diffuse e articolate - non sempre allineate tra loro e soprattutto non in grado di integrare un'omogenea, solida e comprensibile motivazione sul piano amministrativo di non adesione al progetto.
Evidenziato:
- che gli atti prodromici erano univocamente diretti alla definizione dell'iter con l'approvazione finale del progetto;
- che è in atti il verbale di conclusione positiva della conferenza di servizi, con pareri favorevoli unanimi salve le prescrizioni impartite;
- che l'accordo ex art. 11 l. 241/1990 (doc. 22 ricorrenti) prevedeva all'art. 2 "Impegni del Comune" l'obbligo di quest'ultimo "di procedere al recepimento dei contenuti dell'accordo mediante procedimento amministrativo di abilitazione degli interventi previsto dall'art. 53 della L. 24/2017";
- che il Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 settembre 2018, n. 5276, nel richiamare il precedente della Sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2256, ha affermato che «fermi i casi di contratti di diritto privato (per i quali trovano certamente applicazione le disposizioni del codice civile), nei casi invece di contratto ad oggetto pubblico l'amministrazione mantiene comunque la sua tradizionale posizione di supremazia; tali contratti non sono disciplinati dalle regole proprie del diritto privato, ma meramente dai "principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti", sempre "in quanto compatibili" e salvo che "non diversamente previsto" (C.d.S., Sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786; 14 ottobre 2013, n. 5000); [...] nel caso delle convenzioni che accedono all'esercizio di potestà amministrativa (anche latamente) concessoria - dove è chiara la natura latamente contrattuale dell'atto bilaterale, stante la regolazione di aspetti patrimoniali - ben possono trovare applicazione le disposizioni in tema di obbligazioni e contratti. Tuttavia, tale applicazione non può esservi, se non considerando la persistenza (ed immanenza) del potere pubblico, dato che l'atto fondativo del rapporto tra amministrazione e privato non è la convenzione, bensì il provvedimento, rispetto al quale la prima rappresenta solo uno strumento ausiliario, idoneo alla regolazione (subalterna al provvedimento) di aspetti patrimoniali del rapporto, nell'ambito di una più ampia finalità di pubblico interesse che ispira l'azione amministrativa»;
- che, alla luce della ricostruzione illustrata, è possibile richiamare i canoni civilistici con la precisazione della permanenza dei poteri di supremazia dell'amministrazione in una materia dove si rinvengono preminenti interessi pubblici (di determinazione dell'assetto del territorio in cui vive la collettività di riferimento);
- che invero, tra i principi ricavabili dal codice civile, affiorano la correttezza e la buona fede, i quali appaiono indebitamente lesi dalla condotta intrapresa dal Comune.
Rilevato:
- che in taluni casi è possibile scorgere un affidamento qualificato, e ciò nell'ipotesi in cui la pubblica amministrazione abbia adottato atti o posto in essere comportamenti suscettibili di generare nel privato un'aspettativa, o meglio una "fiducia", nella conseguente attività provvedimentale;
- che, in primo luogo, dall'analisi del dibattito consiliare e delle singole dichiarazioni di voto, non si rintracciano profili puntuali e circostanziati di inosservanza degli impegni assunti con l'accordo suddetto;
- che, al contrario, a pag. 39 e 40 dell'atto impugnato si dà conto del fatto che il progetto è ritenuto meritevole di interesse pubblico, con aumento dei dipendenti (250 unità), ottimizzazione del processo produttivo, sviluppo economico del territorio e realizzazione di opere di urbanizzazione di interesse generale;
- che durante il complesso iter sono state valorizzate le circostanze oggettive dell'insistenza in area adiacente del complesso che chiede di espandersi in una zona già classificata come produttiva (sottozona "D2 artigianale/industriale di espansione");
- che, a fronte dello stadio avanzato del procedimento (ormai prossimo alla conclusione positiva), la perduranza delle prerogative dell'organo consiliare non può rendere totalmente recessive le aspettative qualificate maturate dalla parte privata;
- che, di conseguenza, un eventuale revirement deve essere accompagnato dall'esternazione di ragioni di interesse pubblico chiare, circostanziate e di spessore, che diano sostegno al mutato avviso e illustrino i profili di incongruenza del progetto (non suscettibili di rimedio, ad esempio, con modifiche e aggiustamenti, mediante l'apertura di un nuovo confronto con l'operatore economico in ossequio al principio di proporzionalità), salva la responsabilità precontrattuale ove configurabile.
Ritenuto:
- che, in definitiva, la pretesa avanzata in giudizio è fondata e deve essere accolta;
- che (in disparte la sua genericità) la domanda risarcitoria non può essere accolta stante l'obbligo di riedizione dell'attività amministrativa e il possibile diverso esito dell'iter;
- che le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo a carico del Comune resistente (mentre possono essere compensate nei confronti dell'Unione intimata).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando accoglie il ricorso in epigrafe, e per l'effetto annulla la deliberazione consiliare impugnata.
Rigetta la domanda di risarcimento del danno.
Condanna il Comune di Nonantola a corrispondere alle società ricorrenti la somma di 3.000 euro a titolo di compenso per la difesa tecnica, oltre a oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.